Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
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L'OMINO DI MAMMA...

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L'OMINO DI MAMMA...

Durante le ore di scuola, la casa di Fifì Marini tornava ad essere invasa dal triste silenzio che rendeva la madre di lui un pietoso fantasma di dolore più che una creatura vivente.

Quando il ragazzo era in casa, ella si sforzava di nascondere le sue pene, di mostrarsi ilare per non spegnere quell'inconsapevole vivacità che le rammentava il carattere del padre, come la fisonomia e il tono della voce e i gesti ne riproducevano la persona.

Le sarebbe quasi parso di contristare l'Anima santa del marito, morto di tifo due anni addietro, se il ragazzo, intelligentissimo, si fosse dovuto accorgere delle crescenti strettezze della famiglia.

Con le due figliuole ella non era così cautelosa. Esse si mostravano un po' savie e chiuse, e pareva intendessero quel che si nascondeva sotto il mutismo, la pallida magrezza o sotto la intermittente serietà della mamma.

Come Fifì somigliava al padre, Melina la maggiore, aveva gli occhi azzurri di lei, la personcina slanciata; Diana i capelli biondi, ondulati.

Melina, di quattordici anni, già sapeva fare piccoli lavori all'uncinetto che la mamma riuniva e disponeva in collaretti, in polsini, in minuscole sottocoppe. Ogni dieci giorni veniva in casa loro la rivenditrice, donnona alta e grassa che, quando cominciava a raccontare i guai di casa sua, non finiva più, come se non si accorgesse che dai Marini, meno il marito ubbriacone e manesco, non ce ne fossero altrettanti e peggio!... Ma bisognava lasciar dire, perchè soltanto per suo mezzo i lavori all'uncinetto di Melina fruttavano qualche cosa, insieme con quelli di cucito che accumulava la mamma, miseramente pagati dal padrone di un Laboratorio di Biancheria.

Diana, a cinque anni, mentre la sorella e la mamma lavoravano, silenziose, si divertiva con la bambola in un canto della stanza; e, arrivata una cert'ora stava in orecchio per sentire la scampanellata di Fifì che tornava dalla scuola, e pareva fosse inseguito, così forte faceva squillare il campanello.

Infatti egli irrompeva nella stanza, dove la mamma e la sorella lavoravano, rosso in viso, col fiato ai denti per aver salito frettolosamente le scale. Gli pareva mill'anni di annunziare: – Otto... mamma per il còmpito! Sette in aritmetica!... Dieci in condotta!... Sei contenta, mamma? – E, buttata su una seggiola la cartella colma di libri e di quaderni, toglieva di mano a Melina il lavoro, dicendole:

Devi distrarti anche tu!... E anche tu, mamma, che perdi gli occhi con la biancheria. –

E tutt'a un tratto la casa risonava di gridi, di risate, con grande gioia di Diana, verso cui Fifì era di una condiscendenza stragrande.

Era sempre allegro Fifì, e per ciò di buon cuore.

Un giorno, durante la lezione di aritmetica, accadde questo: Nel primo banco, in mezzo, quello spilungone di Conradi con la testa sul collo di cicogna impediva di vedere la lavagna a Mirata che sedeva più indietro. Mirata corto, sornione aveva cavato di tasca un bel fico maturo, che doveva servirgli per la colezione, e nel momento in cui il Maestro voltava le spalle, lo scaraventava con forza tra capo e collo a Conradi. S'intese il rumore e il grido del colpito e sùbito una sonora risata di tutta la classe. Conradi si rizzò in piedi, mostrando al Maestro il proiettile che gli si era schiacciato su la nuca.

Il Maestro aveva dovuto farsi forza per reprimere l'ilarità, vedendo il fico e il gesto dello spilungone. Poi, severamente, aveva domandato;

– Chi ha avuto l’impertinenza?.. Capisco che ha voluto fare uno scherzo: ma certi scherzi sono da villani...

Gli scolari, tutti a capo chino, non osavano rifiatare.

Badino! – soggiunse il Maestro. – Se scopro chi è stato l'autore di questa... sconcezza, senza ch'egli abbia il coraggio di palesarsi, lo sospenderò per quindici giorni e ai prossimi esami...

– Sono stato io, signor maestro!

Fifì Marini si era rizzato in piedi improvvisamente, e a testa alta, quasi con orgoglio, si era accusato della colpa non commessa.

Va bene! – rispose il Maestro. – Terminata la lezione saprai quel che ti aspetta.... Già lo sospettavo. Vergognati!

Gli scolari si erano guardati negli occhi, stupìti dell'atto di Marini, e non sapevano spiegarselo. Più di tutti, si vedeva, era stupito e mortificato Mirata.

Terminata la lezione, egli cenno col dito in alto al Maestro di voler parlare. Esitava, mantruciando un quaderno:

– Non è vero... Marini! – Balbettò. – Sono stato io!.. E non voglio che egli sia punito per cagion mia.

– E tu... perchè dunque?... – domandava il Maestro a Fifì.

– Volevo risparmiargli un castigo. L'atto, signor Maestro, mi era piaciuto tanto, che avrei voluto farlo io se avessi avuto un fico in tasca!

Il Maestro non aveva potuto far a meno di ridere, insieme con tutti gli scolari, e finse di dimenticarsi che doveva punire qualcuno.

 

***

 

Quella mattina, Fifì messasi a tracolla la cartella di scuola, si era piantato su le gambette allargate davanti a la mamma, in attesa.

La mamma ebbe un sorriso strano, e pareva che si sforzasse a far sorridere anche gli occhi che avrebbero voluto piangere.

Figlio mio, non ho... soldi per la tua colezione! Mangerai qualcosa di più al ritorno dalla scuola... Me ne dispiace tanto, per te!

– Ma io sono ricco, mamma! Io ne ho diciotto, e voglio darteli...

– Tu hai diciotto soldi?... Come mai, omino mio?

Guadagnàti, col sudore della mia fronte, come ho appreso in un libro di lettura. Pensavo di comprare qualcosa per te e per le sorelle, appena avrei compiuto la lira. Li ho in fondo alla cassetta del mio tavolino da studio... Vado a prenderli. Sai? Ho fatto dei cómpiti per i miei compagni più ignoranti di me, e me li hanno pagati due, tre soldi l'uno. Anche quattro; quella bestia del figlio del cavalier Baratta...

Fifì corse in camera sua, e tornò facendo ballare i soldi nel palmo di una mano.

Contali!... Diciotto!

Povero Fifì! Povero il mio omino!

Ora che lo so, ogni sera, dopo fatto il mio cómpito, ne preparo qualcun'altro, e la mattina dopo... E una volta il cómpito ceduto a Baratta ebbe nove punti e il mio sette e mezzo! Quel mezzo non mi andò giù!

La signora Marini era così commossa dell'atto del figlio, che ci mancò poco non lo mandasse via senza soldi per la colezione.

Ma era destino che quel giorno Fifì tornasse a casa a stomaco vuoto.

Passando davanti a una cartoleria, aveva visto esposto, attaccato a uno spago, un fascicolo di giornale illustrato col disegno, in grande, di un teatrino di marionette e parecchie marionette da ritagliare. Non ci aveva pensato due volte, e aveva speso, per comprare i due fascicoli, i quattro soldi della colezione.

In classe, era stato insolitamente distratto, con la gran tentazione di cavar fuori dalla cartella i due fascicoli e osservarli meglio. Ma appena fu fuori, annunziò a parecchi compagni:

– Faccio un teatrino da burattini. Vedrete che bellezza! E che ridere!

E, sciorinando in faccia alle sorelle i disegni a colori, diè il clamoroso annunzio:

– Faccio un teatrino da burattini!

Pareva ammattito dalla gioia.

E, appena tornato a casa, invece di continuare a esaltarsi, era andato a chiudersi nella sua cameretta, aveva sgombrato il tavolino del calamaio, dei pochi libri e delle carte che vi si trovavano, e vi aveva spiegato su i fascicoli. In uno di essi era lo sfondo della scena, e le quinte analoghe; nell'altro diversi burattini stampati davanti e dietro, e vesti di ricambio delle donne.

La signora Marini e Diana, che non sapevano spiegarsi quel silenzio, entrati in camera, lo trovarono intento a ritagliare i disegni e le figure dei personaggi.

Lascia stare i burattini – gli disse la mamma, – e ascoltami bene. Mi è stata fatta una proposta. C'è un vecchio, ricco, che presta danaro alla gente. Ha bisogno di una persona per tenergli in regola i conti. È morto, giorni fa, lo scrivano che lo serviva da anni.... Lui sa fare appena la sua firma. Ti pagherebbe, da prima, quaranta lire al mese, per provarti.... In questi momenti, sono una fortuna per noi.

– E la scuola? – la interruppe Fifì.

– Stai per ottenere la licenza elementare... Io non potrei farti far proseguire negli studi. Bisogna che tu cominci a lavorare. Lo so, non è bello; ma che possiamo farci? Anche tuo padre lavorava....

– Anche tu, mammina, lo vedo! Anche Melina, ora l'ho compreso... Lavorerò, come tu vuoi... Saprò fare quel che il ricco vecchio desidera? Conosco bene l'aritmetica delle elementari.... Ma basterà? Se quel vecchio si contenta.... quando dovrei cominciare?

Fifì pareva allegro; e intanto ripiegava i due fascicoli, col cuore serrato. Era inutile pensare al teatrino.

Tieni! – disse a Diana. – Divértiti! Puoi anche stracciarli.... Non me ne importa più.... Dovrò andare io da quel vecchio? – soggiunse.

–Verrà lui a prendersi la risposta, assieme col signor Mirata che ti ha raccomandato. È il padre del tuo compagno di scuola....

– Ah! Di quello.... del fico!... Ppaff! Su la nuca di Conradi! Che risa, mamma! Se lo meritava lo spilungone!

Fifì rideva, come se il fatto fosse accaduto quel giorno; ma la mamma comprese che il riso non era schietto. Evidentemente al bravo figliuolo dispiaceva di lasciare la scuola; e glielo disse.

– Se volessi darti a intendere di no, mamma, ti direi una bugia. Studierò un po' da me. I Maestri ci hanno ripetuto in molte occasioni che tanti grandi uomini si sono istruiti da loro stessi. Tenterò di diventare un grand'uomo anch'io! Intanto terrò i conti dello.... strozzino....

– Non ti scappi di bocca questa parolaccia!

– Chi presta quattrini non si chiama così?

– Non tutti....

Dovrò stare tutta la giornata da lui?

– Certamente. Dice il signor Mirata che è un gran via vai, da mattina a sera; danari che escono, danari che entrano.... Per te, sarà anche un divertimento.

Dovrebbe darcene anche a noi....

– Oh, no, no, figlio mio. Meglio guadagnarseli col lavoro che toglierli in prestito!.... E se poi non potessimo restituirli?... Oh, no, no!

– Se mi dèsse cento lire al mese, eh, mamma?

–Si comincia dal poco – conclude la buona donna.

 

***

 

– Ecco qua il vostro futuro contabile! – disse il signor Mirata, presentando Fifì al vecchio signor Drago, che pareva drago di nome e di fatto.

Con la gran zazzera di capelli grigi, l'ispida barba bianca e quel vestito color marrone molto trasandato, il vecchio aveva l'apparenza di un povero diavolo reso arcigno dalle sofferenze. Specialmente quando, per veder meglio, aggrottava le setolose sopracciglia, e stringeva le labbra sotto gli irti peli dei baffi. Peggio poi se parlava guardando a quel modo.

– Non è troppo ragazzo? – disse.

– Ha tredici anni, mi parerispose il signor Mirata, rivolto alla Marini.

– Li compirà nel maggio prossimo....

– Gli anni non contano; il ragazzo è istruitino; è stato sempre il primo nelle classi.

Sai, ragazzo mio? Si tratta di somme spesso importanti. Farei tutto da me, se fossi andato a scuola. Ma allora, quando ero bambino, non c'erano scuole come ora, e i parenti non si curavano.... Siete fortunati oggi!.... Preferisco prendere te, invece di un adulto ammaliziato che m'imbroglierebbe ogni cosa. I conti io li so fare meglio di qualunque altro, con la testa; ma i miei affari sono troppi, e la memoria qualche volta non mi aiuta. Quello che è scritto non va via... Dunque, ci proveremo a vicenda.... Va bene?... Cara signora Marini.... più di quaranta lire al mese non mi conviene; non posso. C'è voluto il signor Mirata per farmi calare la testa. Quaranta lire sicure, al giorno d'oggi.... capisce.... Alla tua etàriprese parlando a Fifì – io non ne guadagnavo neppure la metà, e facevo il garzone presso un negoziante di tessuti. Dunque, te l'ha detto l'orario il signor Mirata? Alle otto precise, la mattina; e poi dalle due alle sei, il dopopranzo. Certe volte starai delle ore senza far niente, secondo.... Mancuso, il commesso che avevo prima – morto un mese fa – non andava a casa neppur per fare colazione. Mi si era affezionato.... Veda, signora Marini; io ho un nipote che avrebbe potuto farmi quel che faceva Mancuso, quel che dovrà farmi suo figlio, ma è così perverso, così vizioso! Si è sciupato tutto, e vorrebbe vivere alle mie spalle.... Per me è come se non esistesse; quando morrò, poichè non ho altri parenti.... Dunque, restiamo intesi....

Il Drago aveva parlato senza dar tempo agli altri di dire una parola, e sempre con tono burbero, quasi pronunziasse rimproveri; ed era andato via salutando appena la signora Marini e conducendo con se Fifì, come una preda.

Entrando in quella casa, il ragazzo provò un lieve senso di soffocazione dal tanfo che vi regnava.

L'anticamera era piena di povera gente, donne la più parte, alcune in piedi, altre sedute. Nella stanza appresso, dietro un sudicio steccato con uno sportello, il vecchio si sedè su una seggiola a bracciuoli, e fece sedere accanto Fifì, davanti a una tavoletta sporgente dove stavano il calamaio, la penna, e la ciotola per il polverino.

Ora ti do il quaderno in cui dovrai segnare.... Guarda: com'è fatto qui.... Nome, cognome, la via e il numero della casa.... e allato la somma, per mia memoria. Leggi le ultime parole.

Fifì stentava a decifrare la brutta calligrafia del morto.

– È scritto.... troppo in frettadisse per scusarsi – e si legge male. Dice: Marianna Cimino, orecchini con perline, peso grammi sette. Valore di stima, lire trenta; date lire quindici, per un mese....

Bravo! – fece il vecchio. – Ora viene la Cimino: l'ho vista in anticamera. Mi porta il denaro, io le restituisco il pegno, e tu tirerai una croce qua, che significa scancellato.

Fifì doveva torcere da lato il collo per vedere la povera donna che parlava col vecchio, pregandolo di accordarle una piccola dilazione; aveva il pianto nella voce....

– Ma che! Ma che! Altri dieci giorni!... Vi abusate della mia bontà! – sbuffava il vecchio dimenandosi su la seggiola. – Voglio il mio danaro!...

– Ho soltanto quattro lire....

– Per gl'interessi di quest'altri giorni?...

Metà per gli interessi, metà per la sorte....

– Si? Sì?... Vi paiono troppe quattro lire?

Fate come volete, vossignoria!

– Per dieci giorni soltanto! Non un giorno di più!... Scrivi: Dilazionato fino al giorno ventuno settembre.

Devo anche notare: lire quattro? – domandò Fifì.

– Non occorre.... Avanti, voi, Musarra. Che mi portate? Quattro stracci?

– Due lenzuoli quasi nuovi.

– Meno male che dite quasi!

Il vecchio si rizzò dalla seggiola, aperse i lenzuoli contro la luce della finestra, li esaminò attentamente, li ripiegò e disse con sprezzo: – Cinque lire!... Eccone tre; per venti giorni.... Scrivi....

La donna non stendeva la mano per ritirare la moneta.

– Non siete contenta?... Ecco la vostra roba.... Fate posto alle altre persone. Non posso perder tempo con voi.

– Almeno, sei!

– Niente ecco qua.... Avreste dovuto ringraziarmi.

Fifì aveva il cuore profondamente commosso da quella sfilata di povere creature che gli erano apparse a traverso lo sportellino, tutte, chi più chi meno, maltrattate dal vecchio, eccettuate tre o quattro che avevano potuto restituire il denaro avuto in prestito e ritirare i loro pegni.

A queste il vecchio aveva detto allegramente: – A rivederci. – Ma esse gli avevano voltate le spalle, borbottandoSperiamo di no.

Fifì era tornato a casa un po' sbalordito.

– Oh, mamma. Sentissi che puzzo!

– Si capisce. Poco fa ho saputo che ha una vecchia serva, che spazzerà una volta al mese. Gli fa anche da desinare....

– E quanta gente! Tutte povere donne.... Una gli ha portato in pegno due lenzuoli: le ha dato tre lire.... Non se le voleva prendere....

– Ah! Non credevo che egli facesse anche piccoli prestiti su pegni! – esclamò la signora Marini, mortificatissima.

E ogni mattina, sul punto che Fifì si preparava ad andare dal vecchio, ella era tentata di dirgli:

Resta qui, figlio mio.

Ma non voleva scoraggiarlo. Fu lui che, un giorno, tornato a casa per la colazione, disse alla mamma:

Perdonami... ma io non andrò più da quello strozzinaccio. Mai più. Mai più.

– Che ti ha fatto?... Che ti ha detto?...

– A me, niente. Ma vedendo come tratta le persone che ricorrono da lui, io mi sento strappare il cuore.... io soffro.... Mi viene di afferrarlo per la gola! Se non fossi ragazzo.... Oggi c'è stato un operaio che lo ha supplicato piangendo. Aveva la moglie moribonda.... Chiedeva venti lire.... Presentava una collana d'oro che lo stesso vecchio ha detto ne valeva trenta.... Si è rifiutato di dargliene venti. Anzi gliene ha offerto soltanto dodici.... dicendogli: – Credete che io li rubi i quattrini? – E il poveretto gli ha strappata di mano la collana, ed è andato via imprecando: – Vi possano diventare crusca nella cassa forte. – E quando mi disse: Domani vieni un po' più di buon'ora. – gli risposi con una spallucciata. Non voglio vederlo neppur da lontano.... Mi perdoni, mamma?

Dio ci aiuterà, senza di lui.

– E penso di aiutarmi anche da me.

Dovrebbe pagarti questi venti giorni....

– Non voglio nulla da lui. Le sue lire ci porterebbero sfortuna: sono maledette.

– Hai ragione, omino mio.

La mattina del giorno dopo, il vecchio mandò la sua donna:

Dice il mio padrone: Com'è che il ragazzo non è venuto?

– Non son venuto perchè non voglio più venire da lui. Si provveda.... se trova! – rispose Fifì.

E verso le dieci, col permesso della mamma, uscì.

– In cerca di fortuna! – egli espresse audacemente.

Non sapeva dove andare, a chi rivolgersi. Errava per le vie principali, dov'erano bei negozi; guardava dentro; e vedendo dietro i banchi i commessi affaccendati a servire i clienti, pensava:

– Qui non hanno bisogno di me!

E passava oltre.

Più in c'era un negozio di cappellaio, dove poi si vendevano tant'altre cose diverse: ombrellini, ventagli, borse, manicotti per signore.... Ma anche i commessi dovevano essere al completo, se ce n'erano alcuni disoccupati, in attesa di avventori da servire.

All'ultimo si era fermato davanti le vetrine di un libraio. Quanti bei libri in mostra, anche illustrati, come piacevano a lui! Di tratto in tratto, appariva dietro la vetrina un commesso che si chinava e prendeva uno dei volumi in mostra, e poco dopo tornava a rimetterlo al posto, per ripigliarne un altro.

Ah! Quella sarebbe stata la occupazione adatta per lui! Maneggiare dei libri, sfogliarli, leggerne una pagina qua, una , osservarne le belle figure, senza bisogno di comprare il libro.

Mentre stava a guardare, si affacciò su la porta del negozio un uomo alto, grasso, vestito di nero, senza cappello in testa.

– Forse il padrone della libreriapensò Fifì – o il direttore....

Fifì, stesso non seppe poi dire come mai gli fosse venuto l'ardimento di presentarglisi:

Scusi.... Hanno bisogno di un giovane commesso?...

Curiosa.... Abbiamo dovuto cacciarne via, ieri, uno infedele.... E dobbiamo sostituirlo. Entra; si tratta di te? Come ti chiami?

Fifì Marini.

– Tuo padre?

– È morto, da anni.

– Chi ti conosce?

Meglio di tutti il mio Maestro di sesta, signor Dolci....

Bene. È nostro cliente per i libri scolastici. Fàtti presentare o raccomandare da lui.

Fifì, prima di tornare a casa con una mezza buona notizia, volle andare in cerca del suo caro Maestro, tanto buono con lui.

Lo trovò al solito caffè. E come gli ebbe esposto il motivo della sua venuta, il Maestro Dolci rispose:

– Ma subito! Andiamo.

Quando Fifì rincasò, era già commesso della Libreria Treller, a trenta lire al mese. –

Inutilmente, eh? – domandò la mamma.

Dovrò tornare... dallo strozzino.... Quaranta lire al mese, sono una somma!

– Come ti adatterai? – disse Melina.

– Ci sarebbe stato da fare....

– Che cosa, omino mio?

– Il commesso in un negozio di tessuti; il commesso in un negozio di cappelli, ombrelli, ventagli.... ma non mi hanno voluto – e scoppiò a ridereperchè non ho ancora i baffi!

–No! – lo interruppe la mamma. – Tu hai una buona notizia da darmi, e mi tieni su la corda....

Scusa, mamma. È vero, mamma! Temevo che la bella notizia, detta, così, all'improvviso.... Sono accettato per commesso nella Libreria Treller, guadagnerò un po' meno di quaranta lire al mese....

E saltò al collo della mamma, che aveva gli occhi colmi di lacrime dalla consolazione: abbracciò e baciò anche le sorelle.

– Come mai, omino mio? Racconta! Racconta!

E lui:

– Si affacciò su la porta del negozio.... un uomo.... un uomo alto e grosso, vestito di nero, senza cappello....

E dovè ricominciare tre volte il racconto, tanto era commosso!

 

 


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