Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
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PRIME ARMI.

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PRIME ARMI.

Sapendo che Nino Capra si stizzava facilmente a ogni soprannome che gli veniva appioppato, i suoi compagni di scuola si divertivano a trovargliene sempre dei nuovi.

Dapprima, quel burlone di Montemagno, che una ne faceva e un'altra già ne pensava, lo avea chiamato Nirtuzzu – in dialetto siciliano vuol dire anche sgriccioloinventando pure la canzonetta:

Ninu, Ninuzzu, – pigghia ppi l'accurzu  (scorciatoia).

Ninu, Ninuzzzu, – pigghia ppi lu pinninu  (pendio).

– Te li do io l'accurzu e il pinninu!

Allora Montemagno, quasi a rincarare la dose:

Guarda badduzza che si ribella!

Badduzza  – pallottolaera un altro soprannome che Nino Capra non poteva soffrire, quantunque fosse davvero corto e pienotto, e badduzza non costituisce precisamente un'offesa.

Al primo pugno ricevuto in viso, Montemagno rispose con una scarica dei suoi. Alto, ossuto, ai pugni aggiunse parecchi calci, facendo ruzzolare Nino per terra. E siccome il giorno avanti era piovuto, egli dovette presentarsi a casa col vestito tutto imbrattato di mota. Disse una bugietta:

– Sono sdrucciolato e son cascato.

Non fu creduto, però il giorno che suo padre se lo vide riportare a casa col naso pesto, insanguinato per una ferita nella fronte, ridotto quasi irriconoscibile:

– Ben ti stia! Vuoi fare il prepotente? È la lezione che meriti!

Nino stette zitto. Non volle far sapere a suo padre che si era azzuffato per difenderlo. Finchè si trattava di poteva chiudere  un orecchio e anche tutt'e due... È vero che, invece, li teneva sempre aperti, ma, infine, non voleva dire. Se non avea finto di non sentire finora, poteva farlo da ora in poi. Ma quando si trattava di suo padre! No! No! Non dovevano chiamarlo: il figlio del Lupumanaru!... Non era lupo mannaro suo padre!

Egli aveva in mente il lupo mannaro di certe fiabe che il maestro faceva leggere in classe e non riusciva a persuadersi perchè la gente chiamasse così suo padre, che era un bell'uomo e il primo sarto del paese.

Avrebbe voluto domandarlo alla mamma.... Ma se essa non sapeva che il padre veniva chiamato a quel modo? Sarebbe stato un gran dolore per lei, specialmente ora che usciva appena da una grave malattia.

Il Maestro, però, due giorni dopo, vedendolo con la fronte fasciata, gli aveva domandato:

– Come ti sei ferito, Capra?

– Sono stato io, signor Maestrodisse Montemagno.

– E te ne vanti?

– No, signor Maestro. Io scherzavo; lui si è impermalito....

Impermalito di che?

Disse che mio padre....

E Nino Capra fu interrotto da uno scoppio di pianto.

Il Maestro spiegò di che si trattava:

– Ci sono dei disgraziati che a ogni far di luna patiscono un assalto di nervi. Urlano, fanno schiuma dalla bocca, sentono gran bisogno di aria aperta, e corrono per le vie, di notte, mettono paura agli sciocchi. Li chiamano lupi mannari.... come nelle fiabe. E gli ignoranti credono che questi disgraziati si trasformino proprio in quei mostri creati dalla fantasia popolare. Spesso tutto si riduce a una malignità e a niente altro. In ogni caso, bisogna aver compassione di tali poveri malati.

– Mio padre non è malato!! – protestò Nino.

Bravo! – soggiunse il maestro. – Questa risposta ti fa onore: e i tuoi compagni mostrano di essere cattivi, ineducati per lo meno. Tu, Montemagno, che sei più grande di tutti e sei molto indietro perchè, ormai, hai preso l'abitudine di rifare due volte la stessa classe, tu, Montemagno, dovresti dare agli altri l'esempio....

– Sì, signor Maestro – lo interruppe il ragazzo.

E, infatti, da quel giorno in poi Nino Capra e Montemagno furono i migliori amici del mondo.

Nino avrebbe volentieri esercitato il mestiere del padre. Gli sembrava anche divertente quel prender le misure addosso ai clienti, segnarle su la stoffa, e poi impu gnare la grossa forbice, tagliare le diverse parti del vestito, imbastirle e darle a cucire ai giovani di bottega, che venivano chiamati – gli sembrava cosa buffagiovani anche quando erano innanzi con l'età. Come quel don Carmine che non poteva dare un punto senza canticchiare sottovoce, e per ciò gli altri spesso lo sgridavano:

– Ma state un po' zitto, Malulamentu!

Nino, nei giorni di vacanza, passava qualche mezz'ora nel negozio paterno, e il suo spasso era appunto don Carmine Malulamentu, che soleva raccontare storielle divertentissime, di casi accaduti a lui quando lavorava presso un altro sarto. E allora bisognava dirgli, per diversa ragione:

– Ma state zitto!

Cominciando, non la finiva più.

Un giorno che il Maestro aveva detto agli scolari: – Per còmpito, fatemi un raccontino di vostra invenzione, – Nino ebbe l'idea di quasi trascrivere una delle storielle di don Carmine; e lo fece così bene che il Maestro, insospettito, gli domandò:

– L'hai copiato da qualche libro?

– No, signor Maestro: l'ho sentita raccontare da don Carmine, nel negozio di mio padre.

Quel raccontino era riuscito una meraviglia di semplicità e di ingenuità. Il Maestro ne fu così contento, che, incontrato il padre di Nino, lo fermò per rallegrarsi con lui.

– Il ragazzo è pieno d'ingegno e di buon volere.

– Ne faremo un avvocato, con la grazia di Dio, – rispose don Cola Capra.

Lascerete a lui la scelta della professione.

– Io son pronto a fare tutti i sacrifizi possibili per dargli il mezzo di studiare; ma, capisce, spesse volte i giovani non intendono le necessità della vita. Non sono ricco....

Per Nino lo studio era un gran piacere.

Sua madre, che non sapeva leggere, lo guardava con ammirazione quando lo vedeva seduto a tavolino, con i gomiti appoggiativi su, la testa tra le mani, e gli occhi fissi nel libro aperto davanti. E se Nino scriveva e si fermava con la punta del portapenne tra le labbra, e lo sguardo quasi smarrito dietro qualcosa che pareva volasse lontano, oltre l'ammirazione ella provava un senso di pena, perchè le sembrava che il suo figliuolo soffrisse.

Non osava d'interromperlo, di domandargli che cosa inseguisse con la mente, così superiore di ella lo giudicava. E ogni volta che Nino, per distrarsi, le diceva anche ora, come quand'era bambino di quattro, di cinque anniMamma, raccontami una bella fiaba, – ella si meravigliava della richiesta. Era però grande sodisfazione per lei vederselo seduto di faccia, savio, intento, proprio come allora quando una, due fiabe erano il solo mezzo di farlo star cheto.

Grazie, mamma! – egli diceva. – Ma sai che le tue fiabe sono più belle di quelle che ci fa leggere il Maestro? Te le ha raccontate la nonna, è vero?

Gli sembravano più belle anche pel modo con cui venivano  dette. Si vedeva che i personaggi, gli avvenimenti delle fiabe rappresentavano, per lei, una realtà; e per ciò ella prendeva gli atteggiamenti, le inflessioni di voce con cui avrebbero dovuto parlare i Re, i Reucci, la Reginotta, gli Orchi, le Mammedraghe. E anche ora, come quand'era piccino, agli urli: Ahù! Ahù! dell'Orco che inseguiva un disgraziato o che tornava a casa dalla caccia, anche ora egli si sentiva correre i brividi per la schiena; e la fiaba diventava mirabile realtà pure per lui.

Qualche volta, però, egli invertiva le parti. Nei giorni di vacanza, vedendo la mamma seduta presso la finestra con accanto un monte di biancheria da rammendare, le diceva ridendo:

Mamma, vuoi sentire una fiaba, di quelle che leggiamo a scuola?

E Nino godeva di veder passare su quel viso buono, avvizzito più dalle malattie che dagli anni, tutte le impressioni degli avvenimenti straordinari raccontati dall'autore; specialmente quando il Reuccio o la Reginotta si trovavano in qualche grave pericolo, e la rammendatrice interrompeva il lavoro, e pendeva dalle labbra del figliuolo fino al punto in cui la Reginotta o il Reuccio non erano scampati dalla disgrazia che li minacciava.

 

***

 

Un giorno, tornando dalla scuola, Nino fu stupito di vedere molta gente affollata davanti al negozio del padre, e fece una corsa per arrivare più presto.

Aveva sùbito sospettato che fosse accaduta qualche disgrazia. Invece, tutte quelle persone del vicinato, donne la più parte, quando gli fecero largo per lasciarlo passare, avevano visi lieti e ciarlavano allegramente.

Si trovò tra le braccia del padre, se lo strinse affettuosamente al cuore e lo baciò più volte, ripetendo:

Figlio mio! Figlio mio!

Era – cosa insolitapure sua madre, che lo abbracciò anch'essa, ripetendo: – Figlio mio! Figlio mio!

E siccome Nino la guardava negli occhi, ella si affrettò a dirgli:

– Siamo diventati ricchi.... Un'eredità!

Egli aveva provato una specie di stordimento e non aveva domandato nessuna spiegazione. Gli pareva che fosse accaduto in casa qualcosa che somigliava a certi miracolosi avvenimenti delle fiabe.

Poi suo padre gli parlò dello zio, fratello di lui, andato in Russia, maestro di musica. Non aveva più dato notizie di , e don Cola, se non lo aveva pianto per morto, non si era presa gran premura di informarsi di che n'era avvenuto. Soltanto una volta aveva fatto scrivere dal Sindaco, non ricordava più a chi, all'Imperatore gli pareva, o al suo Ministro, e non aveva ricevuto nessuna risposta... E ora, dopo tanti anni, ecco, gli arrivava la notizia: Vostro fratello è morto, e vi ha lasciato, per testamento, tutto il suo!

Per qualche tempo, Nino si accorse del mutamento avvenuto nella sua famiglia. Poi suo padre smise il negozio di sarto, comprò la bella casa nuova dei Raccuglia che non sapevano come dividersela, e acquistò anche la loro proprietà di Serralonga col giardino di aranci e limoni, vigneto e frutteto.

Non perciò don Cola mise superbia.

Tutto il suo orgoglio consisteva nel figliuolo che quell'anno si era meritato la medaglia di primo grado e bei libri illustrati in premio.

Nella casa nuova, Nino aveva scelto una stanza con due finestre, una a levante e l'altra a mezzogiorno, soleggiata, con ampia vista su la campagna.

Si sentiva un po' spostato, però, tra tutti quei mobili nuovi, lucenti, da signorino, e quasi rimpiangeva la cameretta dove aveva passato la sua fanciullezza, e da cui vedeva soltanto certe misere casupole, e la cima di un albero di albicocco che spuntava dietro il muro di un orto. Ma erano rimpianti fugaci.

E quando si riscoteva tutt'a un tratto, si rimproverava di sciupare così un tempo che avrebbe dovuto consacrare allo studio.

Non se ne pentiva, però, allorchè alla lettura di una pagina, d'una poesia riportata in un libro di scuola, si accorgeva che quell'estasi, quel sogno a occhi aperti davanti allo spettacolo della campagna gli facevano intendere meglio di prima quella pagina, quella poesia, che ora gli sembravano più significative e più belle.

La prima volta che il padre lo condusse a Serralonga, Nino parve impazzito. Andava di qua, correva di , saltava, gridava, quasi gli sembrasse che quello soltanto era il vero modo di prenderne possesso.

E mentre il suo babbo s'intratteneva col mezzadro, dando ordini, chiedendo spiegazioni, la mamma, per frenare quegli impeti di gioia, gli disse:

Dammi il braccio.

E Nino diventò sùbito savio, e seguì, senza impazienza, i lenti passi della mamma, pei viali del giardino di agrumi, dando indicazioni:

Vedi, mamma? Questa è una pianta di arancio innestata di recente. Vorrò imparare a innestare; il figlio maggiore del mezzadro mi ha promesso di insegnarmi.

– Ma tu non dovrai fare il contadino. Sarai avvocato, medico, chirurgo....

– Oh, no, chirurgo! Le piaghe mi dànno ribrezzo.... Guarda com'è alta questa pianta di limone! Dice il figlio del mezzadro che essa è la più vecchia di tutte quelle del giardino.... Questi qui sono limoncelli; quelli , mandarini. Laggiù c'è anche un fico coi rami bianchi, contorti.... Si trova per caso in mezzo agli aranci.

E gli sembrava che la sua mamma non ammirasse tutto a bastanza.

Nelle ore che passava in casa e specialmente nei giorni di vacanza, Nino aveva potuto notare da qualche tempo in qua, una affluenza di povera gente, specie di quelle persone che hanno il pudore della loro miseria. Chiedevano di sua madre, s'intrattenevano a bassa voce con lei, e nell'andar via si diffondevano in ringraziamenti, in esclamazioni:

– Cento anni di vita! Soltanto il Signore potrà renderglielo!

Un giorno seppe che suo padre aveva fatto la dote di seicento lire a un'orfana sua lontanissima parente. La ragazza aveva potuto così sposare un buon operaio e metter su una botteguccia di mercerie.

Marito e moglie erano venuti a ringraziarlo, e Nino potè assistere a una commovente scena, quando quei due volevano baciar le mani del loro benefattore, e don Cola se ne schermiva vivacemente, mettendosi le mani dietro la schiena e poi nelle tasche dei calzoni, quasi quei due tentassero di usargli una violenza.

Nino avrebbe voluto fare un po' di bene anche lui all'insaputa dei genitori. E, ora, andando a scuola, si metteva in tasca parecchi soldi, di quelli che ricavava in regalo dalla mamma e dal babbo in diverse occasioni. Pensava:

– Il primo povero che càpita gli faccio l'elemosina.

Ma quando ne incontrava uno, aveva quasi vergogna di accostarlo e dirgli: – Ecco qui! – E, naturalmente, a un ragazzo nessuno stendeva la mano.

Più volte, andando per le vie, si era imbattuto in un vecchio che trascinava le gambe. Doveva essere stato un bell'uomo, si vedeva dall'aspetto reso venerando dalla lunga barba bianca. Vestito miseramente, si avvicinava alle persone cavandosi il berretto, senza importunarle con lamentevoli richieste; e se non riceveva niente, si allontanava salutando rispettosamente, trascinando le gambe.

I ragazzi lo burlavano, gridandogli dietro:

Guarda come corre! Guarda come corre!

E siccome egli si rivoltava, minacciandoli col bastone, quelli urlavano più forte.

Guarda come corre! Guarda come corre!!

Una mattina, Nino Capra e Montemagno, indignati, avevano rincorso e disperso la turba di ragazzacci che molestavano il vecchio, e Nino aveva fatto proprio uno sforzo per vincere il ritegno di dargli i quattro soldi che si trovava in tasca. Gli pareva di umiliarlo, di mortificarlo facendo lui, ragazzo, l'elemosina a una persona che poteva essergli nonno.

Dopo quella mattina però, la prima volta che lo incontrò, gli stese la mano con pochi soldi, senza attendere che il vecchio passasse oltre.

Sentite – gli disse – se mi dite dove state di casa, verrò a portarvi o vi manderò qualche altro soccorso.

 

***

 

Nino si sentì stringere il cuore da grande pietà, quando mise il piede nel bugigattolo affumicato, a pian terreno, dove il vecchio abitava. Due seggiole impagliate, un rozzo tavolino e un misero giaciglio ne formavano tutto la mobilia.

Il vecchio lo guardava stupito; pareva che non credesse ai suoi occhi, vedendo quel buon ragazzo che, timidamente gli aveva detto: – Sono delle mie strenne – quasi per scusarsi di non potergli dare più di quelle venti lire in argento e in monetine di nichel messegli in mano.

E Nino non tanto era contento di aver fatto quell'opera di carità quanto dell'aver potuto farla di nascosto di tutti.

In certi momenti però provava una specie di rimorso per non aver dato conto, specialmente alla mamma, delle lire portate a quel vecchio. E per ciò, un giorno, volle interrogarla:

– Il danaro che regalate tu e il babbo è mio, è vero: Posso farne quel che voglio....

Purchè tu non lo adoperi male.

– E non debbo chiedere permessi a te a lui, è vero?

Purchè tu non lo adoperi male! – replicò la mamma.

E sorrise in maniera da far capire che sospettava del cattivo uso ch'egli avrebbe voluto farne.

Nino fu sul punto di rivelarle in che modo se ne era servito; ma gli parve che stesse per vantarsi di una piccola buon'azione, e rispose soltanto:

– Non dubitare; lo adopererò bene.

Fece la stessa domanda al padre, il giorno che questi, combinata la vendita degli agrumi e ricevuta dal compratore una forte caparra, gli diede una moneta di oro da cento lire.

– Ma i quattrini che mi dài sono proprio miei, è vero? E posso farne quel che voglio?

– Tutto, – rispose don Cola, – fuorchè buttarli dalla finestra.

Quel giorno, a desinare, egli spiegava alla moglie l'affare concluso con l'agrumaio. Era molto contento, mangiava con appetito. Verso la fine, disse:

– Questa rimanenza di maccheroni e di stufato mandiamolo alla famiglia del ciabattino del vicolo qui accanto.

– Con una bottiglia di vinosoggiunse sua moglie. – Sarà una festa, poveretti!

C'è un vecchio....

Nino s'interruppe quasi per scoprire anticipatamente con gli occhi l'intenzione dei genitori. Il momento gli sembrava favorevolissimo per la raccomandazione che voleva fare.

C'è un vecchio che va chiedendo la elemosina e può camminare a stento perchè ha male alle gambe. È solo; abita in una specie di grotta.

– Come lo sai?

– Lo so, papà. L'ho visto.... una volta, passando di . Ecco, tu dovresti aiutarlo. Ho pensato: se il babbo lo prendesse per guardiano della vigna.... Dice che ci vuole un guardiano....

Guardiano della vigna, uno che ha male alle gambe! – esclamò don Cola ridendo benevolmente.

– Non deve guardare con le gambe, papà!

– Sarà un'opera di caritàdisse la mamma intenerita dalla proposta del figliuolo.

– Lo conosco, – riprese don Cola. – Un vecchio con la barba bianca, che chiede l'elemosina senza importunare la gente.... Guardiano della vigna! E sia, poichè ti fa piacere. È un'elemosina come un'altra!

A Nino parve troppo facile quella sua vittoria di piccolo protettore, per ciò rispose quasi freddamente:

Grazie papà! Grazie mamma!

 

***

 

Il vecchio era da un mese a Serralonga quando don Cola condusse colà la famiglia per la villeggiatura. Nino aveva saputo che quello si chiamava mastro Santi Caurino, cordaio. Di disgrazia in disgrazia, si era ridotto a chiedere l'elemosina. Soleva dire:

– Non sono stato cordaio per niente. Con l'andare indietro indietro nel filare la canapa delle corde, sono arrivato al punto.... in cui mi vedete!

Nino lo trovò rifatto; col vestito smesso regalatogli da don Cola, sembrava un altro. Era anche di umore gaio; nessuno lo avrebbe sospettato, incontrandolo per le vie. Nino, poi, non rinveniva dalla sorpresa, sentendolo parlare per sentenze, spesso in versi.

 

***

 

Una di quelle mattine in cui Nino si divertiva a correre e a saltare, al suo solito, lungo lo stradale davanti al cancello della villa, vide avanzarsi da una scorciatoia un uomo con gran cappello di paglia in testa, e dietro le spalle, trattenuto da corregge infilate alle braccia, uno zaino che appariva colmo di oggetti come quello dei soldati.

Nino si era fermato a guardarlo con curiosità.

Scusa, ragazzo: c'è il padrone della villa? – domandò quel signore.

– È mio padre, venga; lo chiamo, laggiù.

Fu così che quella sera Nino ebbe per ascoltatore – e non se lo attendeva – il pittore toscano, paesista, che aveva chiesto al signor Capra il permesso di fare alcuni schizzi del giardino di agrumi, ed era rimasto ospite di lui fino al giorno dopo.

Nino lo aveva lasciato in casa, a discorrere con suo padre, e non si era accorto che tutt'e due, poco dopo lo avevano raggiunto per accostarsi al gruppo dei contadini intenti ad ascoltare le ultime parole della fiaba narrata dal vecchio. Nino si avvide del padre e dell'ospite quando era già inoltrato nel raccontare la sua.

Arrossì, esitò un momento. Il pittore, con un gesto della mano, gli fe' cenno:

Prosegui! Avanti!

E per Nino quel gesto fu come un colpo di sprone.

Mai nelle sere precedenti aveva raccontato così bene. E intanto che la fiaba si svolgeva dalle sue labbra una specie di ebbrezza lo esaltava. Per riguardo del suo uditorio, egli parlava il dialetto siciliano. Le più schiette, le più vive parole scoppiavano nei dialoghi, drammatizzati dall'accento della voce che rivelava subito il personaggio senza bisogno di aggiungere altro.

E, nella foga della narrazione, la fiaba presa a ripetere si trasformava, si ampliava, con bei particolari, si arruffava, si distrigava; e quando sembrava che il Reuccio o la Reginotta fossero ormai vicini a un felicissimo scioglimento, sopravveniva qualcosa che frapponeva un nuovo, più terribile ostacolo. Nino leggeva negli occhi de' suoi ascoltatori l'ansiosa domanda: – Come gli finirà al povero Reuccio?

E godeva di tenerli su la corda, contento che mai, mai mastro Santi era arrivato fino a questo trionfo, fino al trionfo degli: oh! di sollievo che scoppiarono da quei petti di fanciulli grandi, quali erano i contadini suoi ascoltatori, quando la fiaba terminò con le nozze del Reuccio e della Reginotta.

Bravo! Bravo davvero! – esclamò il pittore. – Non credevo che in certi momenti si potesse ridiventare bambini.... E l'ho provato! Questa fiaba mi sembra di averla letta, ma tu l'hai ridotta quasi diversa. Ed ho capito che tutto quel che hai aggiunto è roba della tua fantasia, improvvisata per ; è vero? Bravo! Non c'è da arrossire. Anzi! Anzi!... Mi rallegro con lei – soggiunse rivolgendosi al signor Capra. – Suo figlio ha il germe del gran dono dell'immaginazione creatrice. Studiando, potrà riuscire un grande artista.... Gliel'auguro di tutto cuore!

Riuscirà!... Non dubiti! Riuscirà!

Era mastro Santi che parlava, con le lacrime nella gola.

Quella notte Nino, dalla commozione non arrivava a chiudere occhio. Egli era più maravigliato del pittore, pensando a quel che doveva essergli accaduto, quasi uno spiraglio di luce gli si fosse aperto nel cervello nei momenti in cui raccontava.

E appena potè addormentarsi, fu per tutta la nottata, un affollarsi, nel sogno, dei vani personaggi della fiaba: Re, Reucci, Reginotte, Fate, Maghi, Orchi, Mammedraghe.... Ed egli si vedeva mescolato con essi, li consigliava, li aiutava, li difendeva, prendeva vivissima parte alla loro gioia, ai loro dolori, lontano dalla sua mamma, da suo padre che, nel sogno, gli erano proprio spariti dalla memoria.

Tre settimane dopo, Nino, che avea terminato le complementari e non avea altre scuole da frequentare nel suo paesetto, entrava in un collegio, per gli studi ginnasiali nella città vicina.

Fu un gran dolore per lui distaccarsi dal genitori. E nei primi mesi, soltanto alla sfuggita gli era tornato alla mente il luminoso mondo delle fiabe.

Non potendo più raccontarle a nessuno, se le raccontava nascostamente da , scrivendone di tanto in tanto una di sua invenzione. Ma, scrivendole, si accorgeva delle grandi difficoltà da superare, e si scoraggiava.... Ricordava le belle parole del pittore in quella sera.

Il sole, tramontato, dorava ancora le cime delle montagne lontane; dal giardino di aranci e dalla campagna attorno si spandeva un sottile profumo che esilarava lo spirito.... E ricordando quel giorno, quell'ora e l'augurio – Suo figlio ha il gran dono dell'immaginazione creatrice. Studiando, potrà riuscire! – Nino si sentiva confortare l'animo, e tornava a ritentare....

Qualche volta provava l'impressione di avere scritto una bella fiaba, più bella di quelle che cercava nei libri, nei giornali per fanciulli; e allora sorrideva sodisfatto di , proprio come gli accadeva quando il suo professore d'italiano gli segnava bei dieci nei cómpiti.

Ora era orgoglioso di quella sua facoltà. Conservava gelosamente i fascicoletti dei manoscritti, non li mostrava neppure ai compagni.

Nella sua mente baluginava, di tratto in tratto, l'idea di fare un'improvvisata a tutti, proprio come usano di solito i grandi scrittori, quando affermano di non avere in preparazione nessun nuovo lavoro, e ne hanno già pronti uno, due....

Pubblicare un volumetto di fiabe, e poi un altro e un altro ancora, diventare un grande scrittore.... e non solamente per fanciulli!

Questo era il sogno di Nino Capra.

Infatti....


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