Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Novelle
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IL «DIARIO» DI CESARE.

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IL «DIARIO» DI CESARE.

Appena alzatosi da letto, Cesare Galdi correva nello studio del padre per domandare ansiosamente:

– Ha scritto lo zio?

Il Professore Galdi era mattiniero; e prima di andare alla Clinica dell'Ospedale, soleva passare un'oretta a rinfrescarsi la mentediceva – con la lettura di qualche classico italiano o latino, per non imbestialirsiaggiungeva – con le piaghe, le suture, le amputazioni e simili bellezze!

E, quasi ogni volta, rispondeva al figliuolo:

– Ma che ti figuri? Lo zio ha ben altro da fare come Corrispondente di guerra. Quando ha tempo di scriverci, ci regala appena una paginetta mezza illegibile, tanto è stata buttata giù frettolosamente! Io mi maraviglio che possa mandare due lunghe lettere la settimana al Corriere. Sono importantissime. Farà bene a riunirle in volume, come quelle sue dalla Libia.

Ah, le corrispondenze dello zio! Erano la grande invidia di Cesare Galdi.

Il Professore tornava a casa con un gran fascio di giornali, ed egli se li divorava tutti, leggendo a preferenza le lettere Dal teatro della Guerra del fratello di suo padre, da lui giudicate più interessanti di quelle degli altri giornalisti.

Par di essere nelle trincee, è vero babbo? – egli si estasiava durante la colezione o il desinare. – Par di sentire le scariche delle mitragliatrici; par di vedere gli assalti alla baionetta, è vero babbo?

E il giovinetto si maravigliava di non leggere che qualche corrispondente fosse stato ferito o ucciso in uno scontro. Da parecchie settimane, prima di entrare in classe, egli ragionava di guerra coi compagni.

Dovresti andare a combattere anche tu!

– Se avessi più di quindici anni! – rispondeva. – Ma almeno io m'interesso dei grandi fatti. Non sono un'anima morta, come voialtri!

– Io ho un cugino, tenente di Artiglieria.

– Io ho un fratello caporale, nel Fanteria!

– Ma non sono in Francia, come mio zio che assiste ogni giorno ai combattimenti e ne scrive nel giornale!

– Mio padre dice che tutte le corrispondenze dei giornali sono bugie....

Cesare afferrò pel petto del vestito il compagno che gli stava allato, e rispose:

– Tuo padre non parlerebbe così se conoscesse mio zio! Sai chi è Lorenzo Galdi? E l'autore del volume: L'Italia in Libia. Lo han citato fin nella Camera dei Deputati....

Citato.... in che senso?

– Con onore, come autorità.... Che ti pare?

E, all'uscita dalla Scuola, Cesare riprendeva a discorrere della guerra, dei francesi, degli inglesi, dei tedeschi e anche un po' dei russi.... Ma questi erano lontani e lo interessavano meno.... E, poi, in Russia non c'era suo zio.

Parecchi compagni facevano circolo intorno a lui, ascoltando attenti, domandando qualche spiegazione; altri gli passavano accanto, gridandogli ironicamente: – Addio, Capitano! Addio. Generale! – E Cesare rispondeva, senza scomporsi: – Addio, cretini!

Gli pareva impossibile che i ragazzi della Prima Ginnasiale non s'interessassero molto della terribile guerra che sconvolgeva il mondo intero.

Egli avrebbe potuto recitare a memoria lunghi brani delle Corrispondenze di suo zio, tante volte le aveva rilette. Ma da qualche tempo in qua fantasticava certe corrispondenze di sua invenzione, che ancora non sapeva decidersi di dare alla carta, quantunque avesse già preparato alcuni quaderni, col titolo «Il Diario di Cesare» scritto in rosso fiammante.

Aveva la testa piena di notizie di ogni sorta! Avrebbe voluto mescolarle, fonderle, mettendosi nella situazione di tutti quei giornalisti che pareva si esponessero al pericolo di ricevere una palla nemica in fronte.

– Dunque – concludeva – posso fingere di fare il corrispondente anch'io, e sarebbe bella se potessi far stampare le mie corrispondenze in qualche giornale!

Pensava alla stampa di esse prima di averne scritto una sola riga! Ma in quei giorni doveva occuparsi di una materia in cui si sentiva deficiente. Non vedeva l'ora di esser libero per dedicarsi interamente al suo «Diario», che, ogni giorno più, gli scaldava la testa.

Finalmente potè occuparsi dell'esecuzione del Diario.

Lo aveva rimuginato. Gli pareva che avrebbe dovuto faticar poco; trascriverlo invece che crearlo; ma si accorse che la cosa non era così facile, come se la era immaginata.

Restò più di mezz'ora col quaderno davanti e la penna in mano; poi ricordò la prima Corrispondenza dello zio, dopo il suo arrivo in Francia, e gli parve che era giusto di cominciare in quel modo.

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

«Sono a Parigi per poche ore. Faccio colezione in un Caffè, in attesa che mi si firmino le carte, necessarie.

«Nel Caffè, poca gente. Dico al cameriere che mi serve: – Eh?... Scarsi avventori! – Sono tutti alla guerra. – Gli dico: – E voi non siete stato chiamato sotto le armi? – Mi ha risposto:

– E qui chi servirebbe le colezioni, i desinari a coloro che sono rimasti?

«Ha ragione.

«Colezione eccellente, sì, ma salata, salatissima, intendo dire per il conto.

«Ho pagato, ho acceso l'ultimo sigaro italiano che mi rimaneva e sono andato a ritirare le carte.

«Quante noie! Domande su domande:

«– E voi siete proprio giornalista?

«– E vorreste andare proprio fino alle trincee?

«– Fin dove si può.

«– Badate: certe cose non si possono scrivere, per non fornire indicazioni al nemico.

«– So il mio dovere. Non è la prima volta che faccio il corrispondente.

«Finalmente, posso montare in treno.

«Con la scusa della guerra, i treni vanno come le lumache. I vagoni di terza classe sono pieni di truppa. Io viaggio in prima....»

Cesare si fermò, portò alla bocca l'estrema punta del portapenne, e cominciò, inconsapevolmente, a masticarla. Intanto rileggeva: «Sono a Parigi...» Approvò, crollando il capo, quel che aveva scritto, e riprese:

«In mezzo a ufficiali, alti e bassi, cioè di ogni grado. C'erano anche due generali, uno grasso e baffuto, ritinto – si vedeva; – l'altro, magro, lungo, che non diceva una parola, e mi guardava con certi occhi....

Per chi mi ha preso? E io gli ho detto: – Sono italiano, giornalista. Ho le carte in regola.

«– Si accompagna con noi? Vedrà come gliele soniamo ai tedeschi! E l'Italia perchè non viene a fare la guerra? Ha paura?...» Risposi: – L'Italia non ha paura di nessuno! – Il Generale magro e lungo stette zitto. L'altro, il grasso e baffuto, intervenne: «Noi francesi vogliamo bene all'Italia; l'abbiamo fatta noi a.... a....» Non si ricordava dove. Risposi: – l'Italia si è fatta da , con Vittorio Emanuele e Garibaldi.... – cominciavo a sentirmi seccato; e se avessero continuato su lo stesso tono, Generali e buoni com'erano.... Ma ebbero prudenza; e si misero a discorrere tra loro.

«Io ripresi a fumare l'ultimo sigaro italiano che mi era rimasto».

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

Sì, c'era l'intonazione delle Corrispondenze dello zio, e certa spavalderia, che lo aveva impressionato in alcuni articoli di «Rastignacdove molte cose gli rimanevano oscure e per ciò gli piacevano di più.

Per quella mattina non scrisse altro. Riprese la penna prima di andare a letto.

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«Scrivo dalla camera di un alberguccio in questo villaggio di Ipres, a pochi chilometri dal Quartier generale. Ho percorso in quindici ore parecchie centinaia di chilometri in un territorio che presenta tutte le desolazioni della guerra. Case di campagna rase al suolo; ville signorili mezze bruciate, con le imposte sconquassate, boschi ridotti una fitta di tronchi spezzati dalle cannonate; ponti fatti saltare in aria per arrestare le marce del nemico. Si passava dal verde dei prati al bianco della neve alta così, più di un metro. Ma quel che maggiormente impressionava era il silenzio che incombeva da per tutto. Fin gli uccelli sono scomparsi!

«Gli uccellacci che volano sono soltanto gli aeroplani, che buttano bombe. Ne ho visto uno, in alto, quasi tra le nuvole che coprivano il cielo. Chi sa dove andava? Tutti i viaggiatori erano affacciati agli sportelli, a guardare se mai si avvicinasse, e buttasse bombe su i vagoni. I soldati dei vagoni di terza classe gli mandavano imprecazioni, lo fischiavano, come se quelli dell'aeroplano potessero sentirli di lassù, dalle nuvole.

«Domani, finalmente, conoscerò le famose trincee»

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

E, appena levatosi da letto, riprese il lavoro. Per poco non gli pareva che fosse un Corrispondente di guerra sul serio, e che non compisse il suo incarico rimpasticciando alla meglio corrispondenze e notizie, delle quali si era rimpinzata la memoria leggendo i giornali che portava a casa suo padre.

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«Sono arrivato che appena albeggiava. Il cielo era coperto di nuvole nere. Pioverà peggio che non abbia piovuto in tutta la nottata. Per fortuna, ho avuto la buona idea di comprarmi un paio di stivali alti fino a mezza gamba, che non temono l'umidità. Si cammina sprofondando nella mota.

«Curiosa! I tedeschi del Kaiser hanno scavato le trincee. I francesi hanno scavato le trincee. Gli inglesi hanno scavato le trincee, e vi si nascondono, immersi nel fango, attenti a guardare se uno rizza il capo e a tirargli. Si sentono spari dietro spari. E così passa il tempo. Domandiamo ai capi: – Che è stato? – Niente. Abbiamo preso una trincea; ammazzato parecchi nemici, fatto centinaia di prigionieri.... – Posso scriverlo? – Certamente. – Come se si fossero messi di accordo francesi, tedeschi, inglesi: Abbiamo preso una trincea, ammazzato parecchi uomini, fatto centinaia di prigionieri....

«Ma ogni bel gioco dura poco.

«L'azione di ieri è stata tremenda; una vera carneficina. Non si distinguevano più nemici da nemici. Cataste di morti; di feriti....»

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

Cesare s'interruppe. Avrebbe voluto descrivere la mischia, e dare nomi di Generali, di Comandanti, ma in quel momento non ne ricordava nessuno. Si rammentava quello di un Generale russo; la battaglia, però, era accaduta in terra francese.... Che c'entrava un Generale russo? Avrebbe fatto ridere. Improvvisamente, si ricordò: Joffre!... Intinse la penna e continuò:

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«Ma la vittoria è stata dei francesi!

«Ho visto il generale Joffre che scendeva, a cavallo, dalla collina d'onde aveva diretto l'azione. Gli ho gridato levandomi il berretto: – Viva la Francia!

«– Voi siete italiano – mi ha detto in francese. – Viva pure l'Italia.... che tarda, però, a venire con noi! – Verrà soggiunsi io – se sarà il caso! – Che ne sapevo se sarebbe andata o non andata? Non volevo compromettere il mio paese. Mi ripresi tutt'à un tratto: – Sono già venuti i garibaldini signor Generale!

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«Tempo indiavolato! Vento, neve, pioggia come Dio li manda. La neve si accumula sui vagoni in modo da rallentare la corsa del treno. In certe stazioni diecine di operai devono sbarazzare con le pale il tetto dei carrozzoni, perchè il treno non sia arrestato dal gran peso della neve. – Questa è nuova! – si applaudì Cesare. – Non l'ho letta in nessuna corrispondenza giornalistica.

«Io ho trovato un mezzo ingegnoso per fare un buco nel ghiaccio. Ho acceso un sigaro e mi son messo a fumare appoggiandone la punta sul vetro.... E quasi sùbito si è formato come un occhio. Un francese, un bel vecchio, signorilmente vestito, disse: – Ah questi italiani! Sono famosi per certe trovate! – Il treno si era fermato. L'accampamento dei garibaldini era a cento passi, rosso come un prato di papaveri.

«Mi venne incontro un ufficiale:

Chi siete? Che cercate?

Corrispondente....

Ah! Italiano? Allora.... Avanti! Noi non vogliamo saperne dei giornalisti che scrivono tante falsità. Figuratevi! Quelli tedeschi non vogliono credere che due figli di Ricciotti Garibaldi sono morti per la Francia.... – S'interruppe pensando: – Anche lo zio ce l'ha con i giornalisti.

«Sentendo il mio nome, molti mi son venuti attorno, scambiandomi per mio zio Lorenzo Galdi. Dapprima io avevo lasciato correre; l'equivoco poteva giovarmi, mi pareva. Ma quando intesi gridare: – Dov'è? Dov'è il mio amico? – dissi sùbito: – Sono suo nipote. – Come se fossi stato mio zio! Mi accolse a braccia aperte, cioè con un braccio aperto, perchè il destro lo aveva appeso al collo con un fazzoletto. – Un piccolo scherzo dei tedeschi! – mi disse. – Ma noi gliene abbiamo fatti parecchi, e di quelli che non si dimenticano facilmente.

«Ho visto Beppino Garibaldi. Bel giovane! Mi ha stretto la mano; così forte che quasi mi ha fatto male. Forse per farmene ricordare.

«E, tutt'a un tratto, fucilate dalle trincee nemiche. E un accorrere, come a un ballo, di quegli uomini che poco fa pareva fossero per spasso, per una scampagnata....

«Mi veniva l'impeto di afferrare un fucile anch'io e buttarmi nella mischia. Ma, in caso di disgrazia, chi avrebbe scritto le Corrispondenze?

«Aiutai gli uomini che portavano fuori di combattimento i feriti. Alcuni di essi potevano reggersi zoppicando, su le gambe; altri erano svenuti, colpiti mortalmente; qualcuno spirava per via, tra le nostre braccia, ma, da a tre ore, la trincea nemica era nostra, e l'Inno di Garibaldi risonava per la pianura, vero Inno di vittoria, cantato anche dai feriti.

«Io non dimenticherò mai queste ore. I garibaldini, comandati da colui che porta il nome dell'immortale suo Nonno, si sono coperti di gloria, come i loro precursori a Digione.

«Ho cantato, in coro anch'io:

 

«Si scopron le tombe, si levano i morti....!»

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

Una sera a tavola, suo padre gli annunziò:

– Tra otto, dieci giorni, tuo zio sarà qui. È un po' malato, scrive; ma temo che lo sia più di un po'. In ogni modo, riposerà, e potrà pubblicare il primo volume delle sue Corrispondenze intorno alla guerra attuale.

Fu un colpo per Cesare Galdi. Pensava che il suo «Diario» non poteva formare neppure mezzo volume; altrimenti avrebbe pregato lo zio:

Zio.... zio! Fa' stampare anche questo, come le tue Corrispondenze!

Lo zio – n'era sicuro – non gli avrebbe detto di no.

Ma aveva, per lo meno, otto giorni di tempo. E in otto giorni!...

E quella notte non andò a letto, deciso di scrivere un bel mucchio di pagine. Infatti....

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

«Avrei voluto rimanere coi miei cari garibaldini ancora un pezzo; ma il mio dovere mi chiama altrove.

«Dovrò imbarcarmi e andare ad assistere alla presa dei Dardanelli. Il capitano mi ha detto:

«– Sappiate però che corriamo pericolo di saltare per aria per qualche mina. Provvedetevi almeno di un salvagente.

«E sono andato a comprarmene uno.

«Scrivo dalla sala da pranzo del piroscafo.

«È una magnifica giornata. Il mare è tranquillo; e si viaggerebbe serenamente, senza il pensiero che, da un momento all'altro, potremmo trovarci in fondo al mare, tra i pescicani che si divertirebbero a divorarci. Il piroscafo fila che è un piacere.

«Io sono il solo passaggero. Il capitano mi ha invitato ad andar su, con lui, sul ponte di comando, per godere lo spettacolo del mare. Acqua, acqua, acqua ed acqua! Liscia come una tavola! A me il mare piace quand'è agitato, con le ondate spumanti, se non coi cavalloni della tempesta.... E il Capitano, mi ha detto:

– Avremo un po' di cattivo tempo.

«Mi era parso che lo dicesse per ischerzo. Ma una mezz'ora dopo il piroscafo ballava, e io dovetti scendere giù per non essere inzuppato dagli spruzzi di acqua che arrivavano fin lassù. Si balla tuttora....

«Io scrivo, o, piuttosto, tento di scrivere e faccio certi scarabocchi, come quand'ero alla terza elementare. Appunto, questi sono i piaceri dei Corrispondenti! E, scrivendo, penso:

«Salteremo per aria? Non salteremo?

«Veramente mi dispiacerebbe non assistere alla Presa dei Dardanelli; e, per cautela, ho infilato, il mio salvagente. È un po' impaccioso....

«Il cattivo tempo aumenta. Saltabecchiamo come se il piroscafo fosse un guscio di noce. Devo smettere di scrivere.

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

Cesare si rammentava di un suo viaggetto per mare e della gran paura e di.... altro che aveva avuti; ma, da Corrispondente voleva mostrarsi coraggioso. Si era pentito della cautela di aver indossato il salvagente.... nel «Diario» pensò, ridendo; perchè lui lo aveva inteso nominare, ma non ne aveva mai veduto uno.

Si era messo a tavolino per scrivere fino all'alba.... e all'alba si trovò con le braccia in croce sul piano del tavolino, e la testa su le braccia, comodamente. Aveva scritto appena due paginette, e le righe erano proprio scarabocchiate, quasi illeggibili.

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Il Professore Galdi, che era vedovo da sei anni, aveva una vecchia governante svizzera. Gli dirigeva la casa e faceva un po' da mamma a Cesare. Ella si maravigliava di vederlo ogni giorno chiuso per lunghe ore nel suo studio, cosa insolita per lui.

E qualche volta entrava e lo aveva sorpreso sempre intento a scrivere.

– Che fai, mon enfant?" – Lo chiamava così.

– Niente.... correggo e ricopio certi vecchi còmpiti.

Scendi in giardino, mon enfant.

– Più tardi, mère!

Lo aveva abituato a rispondere così.

Cesare passava parecchie ore , non tanto a scrivere, quanto a rileggersi più volte, ad alta voce, e ad ammirarsi, quasi quelle corrispondenze non fossero invenzione sue, ma proprio scrittura di un Corrispondente di guerra... che avrebbe potuto essere lui, se invece di avere quindici anni, ne avesse avuti almeno venticinque.

E invidiava quella giovane ciclista belga, di cui aveva letto nei giornali che si era battuta come un uomo; e quel bambino, ciclista belga anche lui, che i suoi compagni maturi avevano onorato con una decorazione inventata da loro, ma non meno degna di esser rispettata quanto le decorazioni ufficiali.

Lo zio, naturalmente, si sarebbe riposato qualche giorno e poi sarebbe ripartito. E se lui lo pregasse:

Zio, conducimi con te! Voglio fare il corrispondente anch'io!

Probabilmente lo zio, gli risponderebbe:

–Ma tu non sei ancora buono pel difficile mestiere....

– E allora lui gli darebbe a leggere il suo «Diario», e lo zio gli direbbe:

Bravo! Vieni!

Per ciò si affrettava a trovarsi all'imboccatura dei Dardanelli.... nel «Diario» s'intende.

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

«Grande, indimenticabile spettacolo! Terra di qua, terra di , con fortezze armate di cannoni, e il mare che imbocca in quel vasto canale, quasi volesse versarsi dall'altra parte come in un imbuto».

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Non l'ho visto, ma su la carta dello stretto riportata dai giornali sembra così. Infine – si confortò Cesare – quanti lettori potrebbero dirmi: Non è così!?

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«Sono stato ricevuto su la corazzata «Patria», per la mia qualità di Corrispondente di giornali.

No, non riusciva ad andare avanti; la notizia dell'arrivo dello zio lo aveva – chi sa perchè? – scombussolato. Doveva fargli leg gere il «Diario» sùbito, o prima che ripartisse?... O era meglio non farglielo leggere affatto?

Lo zio, uomo serio, coltissimo, non poteva soffrire – cosa strana! – i giornalisti. E se qualche volta Cesare gli aveva detto: – Vorrò scrivere anch'io sui giornali! – lo zio lo aveva ammonito: – Ci sono tante altre buone cose da fare in questo mondo! –

Cesare non sapeva spiegarsi perchè, intanto, egli facesse il corrispondente.... di guerra, che era la parte più difficile del giornalista; e pensava al motto che veniva spesso ripetuto dal suo Professore : – Nessuno è contento della sua sorte!

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Non gli pareva vero! Lo zio Lorenzo era , a tavola, seduto di faccia al fratello Professore, che non finiva d'interrogarlo, con grandissima curiosità, intorno a certi punti rimasti oscuri nelle sue Corrispondenze.

Capiscirispondeva il signor Lorenzoc'era la censura militare, rigidissima. E, anche se non ci fosse stata, noi Corrispondenti non dovevamo fare le spie, rivelando mosse al nemico.... che non avrebbe potuto conoscerle altrimenti.

Cesare non seppe contenersi.

Zio, ho scritto Corrispondenze come te.... Un «Diario». Te lo darò per leggerlo.... E, se ti piace,.... dovresti farmelo stampare.... e.... compensare!

Nientemeno! – esclamò il Professore con una di quelle sue belle risate che facevano tanto piacere. – E non me n'hai detto mai niente! Ah! Ah! Voglio leggerlo anch'io.... Ma come hai fatto? Hai copiato?

– Non ho copiato.... Vedrai zio!

E, terminato di desinare, Cesare andò a prendere il manoscritto, già copiato accuratamente. Lo presentò allo zio con una cert'aria vanerella che lo commosse, invece di predisporlo male.

Quella nottata, Cesare non chiuse occhio.

Gli pareva di vedere lo zio, ora in piedi, ora a letto col manoscritto del «Diario» in mano, ma non sapeva indovinar niente dell'impressione che il lavoro gli faceva. Gli pareva mill'anni che si facesse giorno, e che lo zio suonasse il campanello per il caffè. Sarebbe corso anche lui insieme con la cameriera....

Rimase deluso. Lo zio aveva rimesso a quella mattina la lettura del manoscritto!

Ma fu maggiormente deluso quando, sul punto di sedersi a tavola, gli disse:

Bravo! Bravo, Cesare! Come buffa caricatura di certe Corrispondenze dal teatro della Guerra.... quel «Diario» tenuto conto della tua età, è, in molti punti, ben riuscito!

Come caricatura.... di certe corrispondenze di guerra! Proprio così aveva detto lo zio, accompagnando le parole con quel suo sorrisetto irritante di uomo che sa quel che dice e vuol burlarsi, senz'averne l'aria, di chi lo ascolta.

Cesare aveva un groppo di singhiozzi nella gola, e non gli rispose. Più tardi, però, capì che quelle parole dello zio: Come buffa caricatura... erano state quasi una bella lode. E questa lo consolò della mancata pubblicazione e dei compensi che non erano venuti!


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