Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Nostra gente
Lettura del testo

ALLE ASSISE

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

ALLE ASSISE

La vasta sala delle Assise era affollatissima come nelle grandi occasioni.

L'usciere chiamò, ad alta voce:

Agrippina Caruso.

Un vivo movimento di curiosità, accompagnato da lungo mormorio, corse tra la folla degli spettatori; e le teste dei Giurati si volsero tutte verso l’uscio, aspettando la comparsa della moglie dell'accusato, che si fece attendere un pochino.

Agrippina Carusotornò a chiamare l'usciere.

E quando fu vista entrare quella bella giovane abbrunata, pallida, con gli occhi bassi, quasi barcollante, e che non sapeva dove dirigersi – l'usciere dovette prenderla per una mano, e condurla davanti al Presidente, che la fissava aggiustandosi gli occhiali luccicanti sul naso aguzzo – nel profondo silenzio della sala, si sentì soltanto il fruscio delle carte che gli avvocati sfogliavano sui tavolini dirimpetto alla Corte.

Sedete – le disse il Presidente – e fatevi coraggio. Raccontate il fatto ai signori Giurati.

La povera giovane alzò timidamente la testa, guardò quei visi tutti rivolti intentamente verso di lei, e, con voce piena di lacrime, rispose

Signore, io non so nulla.

– Non vi si dice di accusare nessuno. Raccontate quel che sapete. Com'è morta la bambina? Che sospettaste allora?

Il Presidente addolciva la voce, sorrideva, per farle animo; e col gesto additava i Giurati, per far capire a colei che il fatto egli lo sapeva benissimo, ma che dovevano saperlo anche quei signori seduti , e dalla bocca di lei; così ordinava la legge.

La giovane borbottò alcune parole.

Più forte – le disse il Procuratore del Re.

Ma appena ella scorse dietro il cancello di ferro, suo marito che la guardava con gli occhi spalancati e il viso sconvolto, non potè più frenarsi, scoppiò in pianto.

Finalmente, rasserenàtasi un pochino, cominciò a parlare:

– La piccina era figlia dell'altro marito. Dapprima anche costui le voleva bene, ma dopo, non so perchè, cominciò a trattarla duramente. La picchiava per un nonnulla, non la poteva più soffrire. Quella mattina io l'avevo mandata da lui, insieme con la sorellina del secondo letto, per portargli la colazione in bottega. Sapevo che egli non voleva; ma la bambina più piccola aveva paura di anda sola e s'era messa a piangere. Così mi indussi a farla accompagnare, mio malgrado. Non fosse mai stato! Le bambine tardavano a tornare a casa; mi sentivo su le spine. In quei giorni egli mi era parso più rabbioso del solito, e temevo non si sfogasse su la povera creatura da me mandata contro il divieto di lui. Che gli aveva fatto quella povera creaturina? Non me ne rendevo ragione. Ora non poteva più vedersela dinanzi, non voleva sentirne nemmeno il nome. Si chiamava Giovanna, come l'altro mio marito, morto un mese prima che mi sgravassi di lei; le avevo messo quel nome per ricordo. Le bambine tornarono a casa coi grembiulini pieni di trucioli; lui è falegname. – Che ti ha detto il babbo? – domandai a Giovanna. – Niente. – Non ti ha picchiata? – No, mamma; anzi ci ha dato da mangiare. – Respirai! Ma, da a poco la poverina si sentì male. Aveva nausee, dolori allo stomaco. Le diedi una tazza di acqua bollita. Fu peggio. La bambina cominciò a vomitare. Si contorceva, urlava; si sentiva bruciare dentro. Accorsero le vicine. Salì su il dottore, che passava per caso. – Che ha mangiato? – il dottore voleva saperlo da me. Che ne sapevo io? Ma ero atterrita, vedendogli osservare attentamente quel che la bambina vomitava, e vedendolo pensieroso davanti alla creaturina che si contorceva sempre più urlando: – Mamma, che fuoco, qui! – con le manine rattrappite su lo stomaco, gli occhi infossati, le pupille grandi così, che mettevano paura. Ah, figliolina mia!...

Nell'aula, silenzio profondo. I singhiozzi della povera donna si sentivano fin dalle ultime file della folla pigiata, quantunque il Presidente parlasse a voce alta per fare animo alla dolente, e consolarla, e indurla a riprendere il racconto.

– Il dottore ordinò di darle a bere del latte e andò via; ma tornò quasi sùbito col Pretore, per interrogare la bambina che già stentava a parlare tanto era sfinita. Io non capivo. Perchè il Pretore? Ero spaventata.

– E vostro marito – la interruppe il Procuratore del Re.

– Mio marito?... Tornato da bottega, al vedere tanta gente in casa, s'era turbato anche lui.

– Non diceste così al Giudice istruttore; rammentatevelo.

La figura e la voce di quel personaggio vestito di nero, con quello strano berretto in testa e tutti quei lacci d'argento che gli pendevano sul petto, le incuteva terrore, le impediva di parlare.

– Ecco quel che dicestesoggiunse il Presidente.

E sfogliato il grosso volume del processo, lesse: «Lui tornato da bottega, se ne stava in disparte, un po' seccato, pareva, di tutto quel tramenio trovato in casa...» – E poi, quando il dottore disse chiaro e tondo al Pretore: – La bambina è avvelenata col fosforo – che rispose vostro marito?

La donna esitò un momento, e guardò suo marito rimasto immobile; poi, persuasa che innanzi a quel personaggio era inutile mentiresapeva tutto! – rispose:

– Lui esclamò: – Non può essere! – E si diè a interrogare la bambina: – Hai preso dei fosfori?... Gli hai mangiati, per caso?... – No, no, rispondeva la bambina – Ecco! – fece lui; ma il Pretore gli disse: – Zitto!

– Che raccontò allora la bambina? – insistette il Presidente, vedendo ch'ella s'era fermata di nuovo.

Raccontò...

Non poteva andare avanti, e, con lo sguardo, chiedeva pietà all'inesorabile ministro della Giustizia, che le accennava di proseguire.

Raccontò che il babbo, in bottega, le aveva dato da bere una cosa brutta; che gliel'aveva fatta bere per forza, e aveva sparso il resto per terra, in un canto...

– Aveva dato da bere anche all'altra bambina.

– A Filomena.

– Aveva preso però un altro bicchiere. È vero?

Rispose di sì con un segno del capo.

Continuatesoggiunse il Presidente, aggiustandosi nuovamente gli occhiali.

– Alle parole della bambina egli disse: – Oh, la bugiarda! – E il Pretore gli diè di nuovo sulla voce: Zitto! – Io mi misi a gridare: Scellerato, scellerato, che avete mai fatto! – Tu sei più infame di colei! – mi rimbrottò. E voleva andar via. Ma il Pretore gli ordinò: – Restate e state zitto, e vi faccio ammutolire io! – Allora lui si rammentò che in bottega c'era la pasta avvelenata pei topi. Forse la bambina n'aveva ingoiato un pezzettino senza sapere che cosa fosse. – Sì, dovette essere così... Non è un cattivo soggetto; non è possibile che abbia avvelenato la bambina lui stesso, a posta! Che male gli aveva fatto la innocente?... Questa è la verità!

Si era alzata da sedere, rivolta verso quell'uomo che la fissava come uno stupido, con le mani sui ginocchi, e la bocca semiaperta, maravigliato che sua moglie ora tentasse di scusarlo, di difenderlo, e mostrasse in viso il dolore di perderlo, se lo mandavano in galera.

Sedete – le disse il Presidente. – Dite ai signori giurati: Era geloso costui? Ve lo fece mai capire? Ve lo disse?

Signori, mi voleva tanto bene! Era geloso del morto! Non voleva che lo ricordassi mai! Questo mi faceva pena. Non capivo in che modo fosse geloso di un morto. Io, come potevo dimenticare quella sant'anima? E poi, la bambina era il suo ritratto, tal quale, fin nel suono della voce; si chiamava Giovanna come lui... Era possibile? Ma voleva che lo dimenticassi, che non lo nominassi più! E odiava la bambina perchè si chiamava Giovanna. La poverina, da un anno, non avea più nome per lui. Le dava nomacci che mi facevano piangere, di nascosto. Guai, se se n'avvedeva! Erano urli, bestemmie!... Come quel giorno che trovò sciorinati al sole i vestiti del morto, perchè non si tarlassero. – Dunque pensavo sempre a colui? Dunque volevo ancora bene a colui? Io sono una malombra nella casa! – E si strappava i capelli, piangendo, bestemmiando i santi e la Madonna. Spezzò sedie, piatti, ogni cosa!... Io corsi a chiudermi in camera, atterrita. Allora lui cominciò a stracciare quei vestiti (nuovi, di panno fino; la sant'anima li aveva indossati poche volte!) li ridusse in pezzettini, e li buttò in istrada, ai porci, diceva! – Di quell'altro in casa, non ci doveva più rimanere neanche un chiodo affisso al muro... niente!... Ora il padrone era lui! Ora comandava lui! Ora voleva esser voluto bene lui! – venne a piangermi dietro l'uscio – Lo capivo? Voleva esser voluto bene lui! – Se gli volevo bene, Signore Iddio!... Non lo vedeva? Che dovevo, che potevo mai fare per persuaderlo? E il nome della sant'anima non mi uscì più dalle labbra; e tutto quel che gli era appartenuto lo nascosi, qua e . – Che poteva importagliene lassù, in Paradiso, dov'era? – E così costui si acchetò un pochino. – Ma c'era la bambina! Ma si chiamava Giovanna! E non voleva, no, che la chiamassi così; perchè dicevaera una fissazione, vergine santa! – non chiamavo lei, ma quell'altro; perciò la chiamavo così spesso! Che bisogno c'era di chiamarla così spesso a nome? Non intendeva forse? – Si figurino! Una povera madre, che non poteva chiamare per nome la propria figliuolina orfana! Mi diventava più compassionevole; non mi pareva più quella, la poverina, senza il nome di suo padre che non l'aveva neppur vista nascere! Ma gli volevo bene; volevo contentarlo; il sacrificio era tutto mio; la bambina che ne capiva? E non ebbe più nome; non ebbe più il nome che le avevano scritto in fronte coll'olio santo. Era peccato mortale... Ma io gli volevo bene! E anche il confessore mi confortavaFate a modo suo, per la pace della casa!

La povera giovane s'interrompeva spesso, volgendo la testa verso la gabbia dove ora suo marito smaniava, passandosi le mani su la faccia; e mentre dal cuore le sgorgava quello sfogo, senza ch'ella potesse frenarsi sotto gli occhi dei Giurati pendenti dalle sue labbra, la invadeva il terrore, se mai la sua deposizione potesse nuocere a colui, e aggravarlo dinanzi i giudici. Ma era la verità!

 

***

 

Dal posto dove il Presidente l'aveva fatta sedere, in mezzo ai testimoni, ella sentiva raccontare dall'avvocato tutta la propria storia. Questi però la diceva in un'altra maniera, a modo suo. Ella capiva e non capiva; soltanto capiva che si trattava dell'altro marito. E tutte quelle parole che avevano suono chiaro, intonazione quasi di predica e ch'ella, non intendendole bene, vedeva quasi volare verso i giurati lanciate dai gesti larghi e solenni dell'avvocato, le suscitavano intanto lucidissima la visione di quei fatti, di quella giornata, di quel posto: la dolce sensazione del sole di primavera, del verde del prato, dei canti degli uccelli fra gli alberi e dei muggiti dei buoi lontani, mentr'ella scendeva la viottola che conduceva alla fontana... E quegli, appostato dietro la siepe dei roveti, era sbucato a un tratto e l'aveva afferrata per la vita, prima ch'ella potesse gridare; e levàtala di peso su la mula bardata, l'avea rapita, come un ladro, di violenza, baciandola ansiosamente su la nuca, sui capelli, mentre ella, si dibatteva, indegnata e impaurita. E la mula trottava, e gli alberi correvano vertiginosi attorno, quasi la terra girasse. E lui le andava dicendo: – Ora sei mia! Ora mi vorrai bene! Ora sei mia! – E lei rispondeva: – No no! Che tradimento mi avete fatto! No! – E la mula trottava, quasi fosse d'intesa anch'essa, giù per la china fra gli ulivi, scansando la via battuta. E lei, pur rispondendo sempre di no, perchè non voleva saperne di lui, visto che alla mamma non garbava, già provava, tra lo sdegno, una tenerezza strana, una commozione profonda, una pietà anche, pel forte che la rapiva a quel modo, perchè l'amava e la voleva sua a ogni costo! – Ora sei mia! – e tornava a baciarla. Eppure, lei gridava sempre: – Assassino, che tradimento mi avete fatto! – Ma colui s'era accorto che non lo sgridava più con lo stesso tono sdegnoso, non resisteva più, non si dibatteva più; domandava soltanto: – Dove mi portate? Che volete da me? Riconducetemi a casa mia! Lasciatemi andare! – Infatti, giunti davanti a la grotta fra i fichi d'India, egli saltò da cavallo, e tenendola sempre tra le braccia come una bambina, le disse solamente: – Ah, bella figliuola mia! Tu sarai la mia regina. – E lei piangeva, col viso fra le mani, e non rispondeva nulla; non le pareva più di essere lei. – Sarai la mia regina!...

E l'avvocato continuava ad agitare le braccia, da predicatore, battendo i pugni sul tavolino, facendo la voce grossa. Era strano; ella non afferrava il significato di quelle frasi, di quelle parole così diverse dalle frasi e dalle parole usuali; ma nello stesso tempo capiva chiaramente, quasi le venissero destando nel cervello l'immagine, la rappresentazione di quel che esse raccontavano ai giurati: il passato di lei, il felice passato di un anno e mezzo; sogno sparito sùbito via, quand'ella era diventata davvero la regina di lui, e non solo gli aveva perdonato la violenza ma gli voleva bene e l'adorava come s'adora Gesù Sacramentato!

E la poverina non vedeva più nulla, il Presidente, i giurati, il gran Crocifisso, in fondo alla sala, la folla, la gabbia, niente! E non sentiva più neppure la voce dell'avvocato che rimbombava tuttavia; ma piangeva silenziosamente, assorta nella luminosa visione d'un passato più prossimo, finito così tristamente anch'esso, quando due uomini avevano portato via la cassa della morticina benedetta dal cappellano!... E a lei era parso che le portassero via il cuore!...

 

***

 

La gente, affollata sull'uscio, per vedere d'accosto quella bella giovane così stranamente due volte amata, aspettò un bel pezzo. La poverina, appresa la condanna, era svenuta gettando un urlo, con le braccia tese verso l'uomo che i carabinieri riconducevano in carcere...

E il Presidente aveva detto, per conclusione:

– Ecco la donna! Ha dimenticato fin la bambina!... Caso interessantissimo, caro avvocato.

– Lei era commosso, signor Presidente.

– A dispetto del Codice. Accade.


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License