Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Nostra gente
Lettura del testo

MASTRO COSIMO

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

MASTRO COSIMO

Quella portineria della moglie presso le monache del Santissimo Salvatore era stata una gran disgrazia per mastro Cosimo.

Che poteva importargli di avere l'alloggio e la bottega gratis? La moglie voleva!

E brontolava, da mattina a sera:

– Con la scusa della badessa e delle monache che la mandano attorno, mia moglie sta fuori di casa tutta la santa giornata; e tocca a me cucinare la minestra e badare ai tre diavoli scatenati, che mangiano il pane a tradimento e ruzzano tra le erbe e il concime, alle mura, come porcelli, salvo il santo battesimo!

– Chi altare serve, altare manduca – gli rispose una volta comare Paola che filava al sole.

– E non è veroreplicò mastro Cosimo, lanciando di piallare. – Ve lo dico in un orecchio: è più quel che mia moglie consuma in scarpe, che quel guadagna. Le monache somigliano ai frati; hanno un braccio lungo per prendere, e l'altro corto quando si tratta di dare qualcosa. So io quel che mi dico!

Oramai s'era incaponito: voleva la moglie tra i piedi, in bottega, come prima. Dover fare certi servigi di casa, perchè colei non aveva un solo momento di tempo con quelle teste fasciate che la mandavano attorno sin dall'alba, no, non gli garbava affatto. E brontolava, da mattina a sera intanto che si slogava le braccia a piallare e a segare sul banco davanti a l'uscio della bottega, per guadagnare quattro soldi.

Appena però le monache picchiavano dalla grata sovrastante, egli smetteva sùbito di lavorare e accorreva, facendo le scuse per sua moglie che non era ancora tornata:

– Se la madre badessa vuole qualcosa...

Bravo, mastro Cosimo! Voglio il cappellano.

E mastro Cosimo s'infilava lesto lesto la giacchetta e correva a chiamare il cappellano che giuocava a tarocchi nella bottega di Mezzo-Porco, e gli rispondeva: – Vengo, vengo! – senza rizzarsi mai.

Mastro Cosimo gli diceva di tanto in tanto:

Padre cappellano, la madre badessa attende!

Era come dire al muro. Don Gregorio continuava a leticare col Pagano, con Don Rosario che, col Giove in mano, aveva sbagliato la giuocata; e si scordava di mastro Cosimo, della badessa, di tutti. Si sarebbe scordato fin di mangiare quando giocava a tarocchi.

Ed ecco il bel guadagno d'avere la moglie portinaia! Mezza giornata perduta pel padre cappellano, che all'ultimo gli aveva detto:

Va a farti benedire tu e la tua madre badessa!

– Insomma, che pretendi? – gli diceva la moglieMangiare senza lavorare? Dovrei lamentarmi io invece, che mi sento rotte le gambe dal correre qua e , e non ho più fiato dal gridare per le vie: – Chi ha quattr'ova! – ora che le ova sono scarse e si vendono due tre soldi. Se io non mi rompessi le gambe e non perdessi la voce dall'urlare, tu però non mangeresti questo piatto di maccheroni che hai davanti, berresti questo vino regalatomi da suor Maria Teresa! Ieri avesti un bel pezzo di carne; e hai pane e minestra tutti i giorni... Con che viso ti lagni?

Mastro Cosimo non fiatava a queste lavate di capo. Sua moglie gl'imponeva con la voce e con la persona; e poi, era la verità: Con che viso si lagnava?

La mattina dopo, però, tornava da capo. E vedendola andare e venire dal mercato, da questo o quel posto; e sentendo le monache che picchiavano dalla grata, se la portinaia era in ritardo, riprendeva il brontolio peggio del giorno avanti:

– Questa non è vita! Questa non è vita!

La gente cominciò a divertirsi col farlo stizzire:

Mastro Cosimo, guardatevi dal cappellano nuovo!

Mastro Cosimo, guardatevi da don Ignazio il sagrestano!

Glielo dissero tante volte, ch'egli cominciò a riflettere seriamente:

– Se lo dicono, vuol dire che è vero!

E un giorno montò in parlatorio e fece chiamare la madre badessa:

– Mia moglie potete mandarla dove volete, ma dal cappellano nuovo, no!

Perchè, mastro Cosimo?

– Dal cappellano nuovo, no!

– Ma, infine, perchè?

– Dal cappellano nuovo, no! La gente sparla.

E andò via, lasciando la badessa che si faceva il segno della santa croce per quella suggestione del demonio contro il servo di Dio.

Don Ignazio si trovava in chiesa a metter su il parato per la festa del Cuor di Gesù. Mastro Cosimo brusco brusco, gli disse:

Sentite, don Ignazio: se vi trovo a discorrere a quattr'occhi con mia moglie!...

– Siete impazzito? – rispose il sagrestano di su l'altare, con gli spilli fra i denti.

– Colei in sagrestia non ci deve bazzicare; non è il suo posto. Se vi occorre qualche cosa, avete mani e piedi anche voi; vi pagano per questo. Mia moglie è portinaia delle monache...

– Siete impazzito?

– Sì! Sì! Ma se vi trovo tutti e due in sagrestia a discorrere a quattr'occhi, per quel santo crocifisso che non sono degno di nominare, vi spacco la testa a colpi d'ascia!

La sera, marito e moglie leticarono fino a tardi. Mastro Cosimo, questa volta, non cedeva:

– Dal cappellano nuovo, no!

– Non capite che ve lo dicono apposta per farvi arrabbiare?

 

***

 

Con quella pulce nell'orecchio, mastro Cosimo lavorava di mala voglia. Spesso abbandonava la bottega per seguire di nascosto sua moglie, e vedere se per caso andasse dal cappellano nuovo. E se la prendeva con don Gregorio che non aveva più voluto saperne delle monache per via dei tarocchi:

– Per costui mi trovo in questo malanno!

Non gliela perdonava, e ne andava discorrendo con tutti, quasi l'affare del cappellano nuovo l'avesse visto coi propri occhi; fino a che un bel giorno il cappellano non andò a trovarlo in bottega con le narici aperte e le pupille torve, che pareva volesse mangiarselo vivo:

Mastro ubbriacone! – vi chiamerò dopo col vostro nome – volete finirla, sì o no, con questa commedia?

Mastro Cosimo, preso alla sprovveduta, non seppe che rispondere e balbettò:

– Ma io!... Ma io!...

– Non vi vergognate di disonorarvi con la vostra stessa bocca, e calunniare un servo di Dio? Pezzo di ubbriacone, che non siete altro!

E finì minacciandolo, se non smettesse, di prenderlo a schiaffi, come si meritava.

Il povero mastro Cosimo era rimasto intontito anche un po' per rispetto dell'abito sacerdotale. Più tardi, però, la moglie lo trovò che arrotava la scure, mandando grugniti: – Uh! uh! – mentre Cecco, il figlio maggiore, girava la ruota.

– Questa dovrà servire per te e pel tuo cappellano! – le disse appena la vide entrare, mostrando la scure.

E continuò a grugnire in cadenza con lo stridìo della ruota.

La 'gna Carmela non gli diè retta, e si mise a preparare il desinare:

– Il Signore vuole così, per gastigo dei miei peccati!... Intanto la panciaccia te la riempi, e il vino lo vuoi!... Se continui, a questo modo, le monache ci manderanno via dalla casa e dalla bottega, e così rimarremo sul lastrico a crepar di fame come prima, con questi tre innocenti! Non hai viscere di padre?

– Mi contento di crepar di famerispose mastro Cosimo. – Non voglio esser becco! La scure, vedi? ora taglia come un rasoio. Voglio radergli la chierica, con questa qui, al tuo buon padre cappellano!

Scomunicato! Scomunicato!

Mastro Cosimo brandiva la scure che luccicava come uno specchio.

Guarda, l'ho arrotata apposta. Eh! Eh! continuava, stralunando gli occhi e sghignazzando stranamente: – Eh? Eh? – tanto che i bambini ebbero paura e si misero a strillare, e la 'gna Carmela si spaventò anche lei e corse alla finestra urlando:

Aiuto! Aiuto! Vuole ammazzarmi!

Quella notte, per ismaltire il vino – come gli disse il brigadiere dei carabinierimastro Cosimo dovette dormire in caserma, sul tavolato; e la mattina dopo, fu condotto dal Sindaco, che gli fece un predicone di tre quarti d'ora:

– Se il vino non sapete misurarvelo da voi, ve lo misurerà la Legge! Pare impossibile, alla vostra età!

Per giunta, gli ordinò di andare, insieme col brigadiere, in casa del cappellano, a chiedergli scusa.

Bella legge! Cornuto e bastonato! – brontolava mastro Cosimo camminando a capo chino.

Il padre cappellano gli fece un altro predicozzo:

– E voi date retta ai nemici della religione, oggi che non si vuol più udire neppure il nome di Gesù Cristo? Io vi renderò ben per male, da vero cristiano. Però, prima di ragionare di questo, prendete un boccone.

Mastro Cosimo non disse di no, quantunque un po' insospettito di tanta dolcezza. E mentre, nella anticamera, intingeva il pane nelle uova fritte che la sorella del cappellano gli avea messo davanti, il cappellano passeggiava su e giù, senza zimarra, con le mani dietro la schiena, il berrettino di cotone bianco in testa, come un contadino, e le tasche a cintola dondolanti sui fianchi.

– Voglio rendervi ben per male. Ho pensato a voi, ora che don Ignazio il sagrestano lascia la chiesa del monastero. Che ne dite? Vostra moglie portinaia e voi sagrestano; siete contento?

– Si burla di me.

Parlo seriamente.

– Che ne so io dei dominu spapiscu?

– Quando dirò: Dominus vobiscum, voi risponderete: Amen! Vi insegnerò in quattro giorni.

Mastro Cosimo, all'idea di vedersi col collare e con la cotta, s'era messo a ridere.

– Che! Che! Voglio fare il falegname, il mestiere di mio padre...

 

***

 

Picchia e ripicchia, però, in una settimana s'era lasciato persuadere; e così, invece di radere la chierica al cappellano con la scure arrotata a posta, mastro Cosimo prese anche il don allorchè si attaccò il collare e si mise in testa lo zucchetto di panno nero. La gente rideva vedendolo passare per le vie serio e impettito, perchè il collare gli dava fastidio:

– Mi par d'esserediceva gli stesso – il cane corso di Saverio il macellaio, quello che afferra i maiali.

Fin le monache si contorcevano dalle risa, lassù nel coro, al vederlo sgambettare per la chiesa impacciato nella sottana, con la cotta sgualcita, e quando stentava un'ora ad accendere i ceri dell'altar maggiore per la benedizione.

Rida pure la gente! In questo modo, tocca a me di andare a chiamare il cappellano ogni volta che occorre, e le cattive lingue non hanno più niente da ridire intorno a mia moglie.

Non già che la pulce del sospetto non tornasse, di tanto in tanto, a ronzargli dentro l'orecchio; ma egli si rassicurava sùbito. Aveva sempre tenuto tanto di occhi aperti e non si era mai accorto di niente, quantunque non mancassero buoni cristiani che cercavano di metterlo su, per esempio, il canonico Mazza:

Furbo il cappellano! Vi ha dato la pagnotta per turarvi la bocca.

– Ed è anche lui servo di Dio! – pensava mastro CosimoParla per invidia, perchè non lo hanno voluto cappellano....

Quella mattina però, dopo ch'egli aveva picchiato un buon quarto d'ora all'uscio del cappellano senza che nessuno venisse ad aprirgli, e Nina la Pollastra s'era affacciata alla finestra e gli aveva detto, ridendo: – C'è su vostra moglie che sta a confessarsidon Cosimo, come ora lo chiamavano, si sentì colpire alla nuca e rammollire le gambe... E non picchiò più; e, col cuore che gli tremava, si nascose sotto l'arco vicino, per vedere se mai era vero che sua moglie stesse lassù a confessarsi. La lingua gli era diventata arida a un tratto, e gli pareva di avere il tossico in bocca:

– Ah, scellerata! Ah, prete infame!

Si strappò il maledetto collare che lo soffocava, e lo buttò per terra; vide balenarsi davanti a gli occhi la scure arrotata, riposta in un canto della bottega, e si diè a correre come un matto per andare a prenderla e far macello di quei due.

Lasciatemi! Voglio ammazzarli! – urlava tentando di svincolarsi dalle persone che lo trattenevano.

Gli amici e i parenti del cappellano cominciarono a dire che il troppo vino lo faceva delirare; e Nina la Pollastra assicurò il brigadiere che ella aveva detto soltanto per ridere: – C'è su vostra moglie che sta a confessarsi. In coscienza, non le constava. – Ma sorrideva sotto il naso.

Il brigadiere che in certi pasticci non voleva metterci le mani, per amor della pace, disse a don Cosimo:

Lasciate vostra moglie alle monache e mettete bottega altrove, se volete farvi i fatti vostri e non andare in prigione. Sarà meglio. Infine, c'è la Legge per tutti; non dovete farvi giustizia da voi.

E don Cosimo andò via come un cane bastonato.

 

***

 

– La Legge per tutti! E il cappellano intanto si è preso mia moglie; e le monache e la madre badessa tengono il sacco al cappellano, e il brigadiere pure!

Non sapeva capacitarsene, in quella botteguccia buia, avuta per carità, solo solo, coi quattro arnesi del mestiere attaccati a una parete e con quattro miseri pezzi di legname che non facevano ingombro.

– Ah, mi sento le braccia rotte!

E passava giornate intere su gli scalini della Collegiata, al sole, con la pipa in bocca, ragionando da , come un pazzo:

– Dov'è la legge per, tutti?

– Non ve lo dicevo? – insinuava il Canonico Mazza.

– E io, sciocco, credevo che egli sparlasse per invidia, perchè non era stato fatto cappellano invece dell'altro! – rifletteva mastro Cosimo.

Dovreste andare da Monsignore, quando verrà per la visita. Soltanto lui può conciarlo per le feste il vostro padre cappellano.

Mastro Cosimo scrollava la testa; non sperava neppure in Monsignore:

– È prete anche lui!...

Andate da Monsignore! Andate da Monsignore!

Intanto, crogiolandosi al sole, con la pipa in bocca, aspettando Monsignore che non veniva, mastro Cosimo, dalla fame, dimagrava. I quattrini non potevano piovergli dal cielo; non c'era più sua moglie che gli desse la minestra e il vino delle monache; e gli avventori diventavano rari, vedendosi serviti male.

Fate pace con vostra moglie! – gli diceva suo compare Capra. – Non è vero nulla, parola di sangiovanni.

– Come? Non è vero ch'è andata a confessarsi? Non è vero che vi andava tutte le mattine, col pretesto di portargli il caffè e i biscottini della Madre badessa?

Date retta alle male lingue?

Do retta a quest'occhi. E se il Signore mi leva per poco la mano d'addosso, farò uno sproposito; non ne posso più! Lo vedete dove mi tocca di dormire? Su questo strame, come una bestia, mentre colei si ravvoltola tra le lenzuola comprate col mio sangue!

– Volete perdere la libertà? Pazzo! Pazzo!

Quella sera infatti riprese la scure e cominciò ad arrotarla di nuovo:

– Se Monsignore non mi fa giustizia!...

Piuttosto dovreste bere meno vino – gli ripeteva il compare. – Il vino vi alla testa e vi consuma.

Si stordiva così, bevendo e ribevendo, appena buscava quattro soldi.

E quando aveva bevuto e acceso la pipa, su quegli scalini della Collegiata, faceva il predicatore contro il prete ladro che gli aveva rubato la moglie, e intanto sorbiva tranquillamente tutte le mattine, con sacrilegio, il sangue di Gesù Cristo.

– Se Monsignore non mi fa giustizia!...

Monsignore finalmente venne, e mastro Cosimo aspettò che fosse arrivato davanti a la Collegiata sotto il baldacchino portato dal Sindaco e dagli Assessori, con la banda musicale dietro; e mentre tutti baciavano la mano a Monsignore che non potea fare un passo tra la folla, egli cominciò a urlare:

Monsignore, giustizia!

Il brigadiere che si trovò , gli diede un ceffone e lo prese per le spalle.

Monsignore, giustizia!...

La gente, parte rideva, parte, indignata gridava: Zitto! zitto! E accadde una gran confusione, perchè mastro Cosimo, che voleva giustizia a ogni costo, si dibatteva, agitando con una mano il berretto per aria, rivoltandosi contro il brigadiere...

La giustizia gli fu fatta con metterlo in gatta buia per ordine del Sindaco, che ve lo lasciò un giorno e una notte.

– Così guarirete dai fumi del vino!

In quelle ventiquattr'ore, mastro Cosimo era invecchiato di dieci anni. Aveva la febbre, tremava tutto, come se qualcosa lo scotesse dentro; e, dopo due giorni di quel fuoco divoratore, non aveva più forza di parlare. Si lamentava, si lamentava, senza trovare ristoro sul duro strame, in fondo alla botteguccia dove moriva a poco a poco, quasi al buio, abbandonato come un cane arrabbiato, con gli occhi alla scure che luccicava dalla parete:

– Se campo, mi farò giustizia con quella !

E gli occhi fissi e spalancati parevano ancora vivi!


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License