Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Profumo
Lettura del testo

AI FAMILIARI.

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Patrizio Moro-Lanza si sentiva da tre mesi così pienamente felice, che già cominciava a provare una superstiziosa paura, quasi presentisse che la sua cattiva sorte stesse in agguato a tramargli qualche crudele sorpresa. Gli pareva impossibile che la disdetta, da cui era stato perseguitato fin dalla fanciullezza, fosse ora cessata d'improvviso, appena entrata in casa di lui la bella e gentile persona divenuta da tre mesi la dolce compagna della sua vita. Avea notato, con grande meraviglia, che dal giorno del suo matrimonio tutto gli era riuscito bene. Fin le circostanze che da prima gli avevano prodotto un senso di stizza e di dispiacere, come l'improvviso traslocamento all'Agenzia delle Tasse di Marzallo e il vasto ex convento destinato da quel municipio per ufficio dell'Agenzia e per abitazione dell'Agente; fin queste circostanze si erano a un tratto mutate in favor suo e contribuivano a rendergli più deliziosa la cara solitudine della sua vita, fra la madre malaticcia sempre e sofferente e la giovane moglie che pareva gettasse attorno, per le malinconiche stanze della loro strana abitazione, sorridenti sprazzi di sole.

Il viaggio da Avola a Marzallo era stato tristissimo. Mattinata nebbiosa e piovosa, da far apparire brutte anche le magnifiche campagne, per le quali serpeggia la strada provinciale; freddo straordinariamente intenso, che prostrava, in fondo alla carrozza mal difesa, la povera signora Geltrude avviluppata nella pelliccia e mezza sepolta sotto la coperta da viaggio e gli scialli pesanti; rumoroso e continuo sobbalzare del legno che produceva grave sconcerto a Eugenia, diventata così smorta in viso da sembrare che dovesse da un momento all'altro svenirsi. E lungo l'interminabile viaggio, soltanto poche parole scambiate a voce bassa, quasi che tutta quella tristezza del cielo e della terra impedisse di parlare anche a lui che non soffriva, e che avrebbe voluto diminuire con qualche motto allegro la noia e la stanchezza di tante ore di carrozza.

Alla domanda: «Mamma, come ti senti?» la signora Geltrude rispondeva con un lieve cenno degli occhi socchiusi, rendendo più dura la espressione di quella ruga della fronte che la inesplicabile diffidenza di lei verso la nuora pareva segnasse, da qualche settimana, con maggiore energia. Patrizio dissimulava a stento il dispetto prodottogli dal contegno di sua madre, e a quella muta risposta, che forse intendeva ripetergli tante cose sentitesi dire e ridire prima del matrimonio, subito, come per compensarsi, rivolgeva a Eugenia la stessa domanda:

«Come ti senti

«Non mi far parlare; è peggio» ella rispondeva con un fil di voce.

E tornava ad appoggiare la stanca testa sul braccio sorretto da uno dei bracciali pendenti ai due lati del legno.

Allora tacevano tutti e tre, oppressi dall'uggia e dall'indisposizione fisica; intanto egli premeva più forte l'esile mano di lei, abbandonata tra le sue sotto la coperta stesa sui loro ginocchi, e le diceva a quel modo tutte le affettuosissime cose che le avrebbe dette con la parola, se si fossero trovati soli, o se sua madre non gliele avesse fatte morir in gola con quel broncio che le si era fissato sul volto a guisa di maschera.

Come mai non aveva pensato a provvedersi di un liquore esilarante o calmante?

Se lo rimproverava. E invece, con che cura non si era fatto preparare la cestina che conteneva la colazione, rimasta intatta in un angolo della carrozza perché la sofferenza di quelle due care persone toglieva l'appetito anche a lui! Tre o quattro volte avea cercato d'indurle a prendere qualche cosa da ristorarsi; il loro ostinato rifiuto non gli dava più animo d'insistere.

A intervalli pareva che il cielo stesse per ritornare sereno, e che la nebbia si sarebbe presto dileguata ai raggi del sole affacciatosi tra le nuvole squarciate dal vento. Le cime dei monti lontani apparivano come accennanti con un sorriso, dorate sopra un lembo di azzurro; già s'intravedevano, fantasticamente sfumati, alberi, casolari e ville in mezzo alla densa nebbia opalina qua e iridata di riflessi.

«Guarda» egli diceva allegro «guarda, Eugenia, che bellezza

Ma, quasi lo facessero apposta, e il vento riammassava subito le nuvole diradate; e la nebbia tornava a nascondere con rinvadenti ondate alberi, ville, ogni cosa; e la pioggia riprendeva a scrosciare sul cielo della carrozza, a sbavare sui vetri degli sportellini mal connessi, facendo penetrare gli spruzzi fin dentro la vecchia carcassa, che cigolava e rumoreggiava di più, portata via dal trotto dei cavalli spazientiti e imbizziti pel sopravvenuto rovescio.

Finalmente, a un nuovo intervallo di serenità, la voce del cocchiere, che si era chinato e voltato verso il finestrino dalla parte destra, diede il lieto annunzio:

«Ecco Marzallo

Anche Eugenia accostò la faccia allo sportello per guardare.

In alto, in cima alla roccia che scendeva a picco, si scorgevano, illuminati dal sole, i campanili, le cupole delle chiese, le facciate bianche e i tetti scuri di un gruppo di case affacciate proprio all'orlo del precipizio e quasi minaccianti di buttarsi giù; e - lucide macchie verdi - alberi e cespugli, bagnati dalla pioggia, arrampicati tra le sporgenze dei massi drizzantisi minacciosamente su la pianura. Non si capiva in che modo la carrozza avrebbe potuto salire lassù, tanto roccia, campanili, cupole e case sembravano vicini, da potersi toccare col dito.

Patrizio aveva sentito così accosto il tepore della guancia di Eugenia, che per poco non si era voltato a imprimervi un bacio. Il pudore della sua casta giovinezza e il pensiero che gli occhi severamente socchiusi della madre stessero a sorvegliarlo con la gelosa diffidenza contro la nuora, lo avevano trattenuto; ma le sue mani stringevano più forte quella di Eugenia, e ella gli rispondeva con un sorriso a fior di labbra dolce e stanco, e lo ringraziava con lo sguardo, sorriso anch'esso.

Le tristi impressioni del viaggio gli s'erano dileguate rapidamente dall'animo a quell'apparizione luminosa che si levava sul cielo purissimo, col fascino d'un paese orientale per quei campanili, per quelle cupole disegnate sul fondo azzurro con netti contorni; per tutta quella bianchezza di case, che contrastava col rossiccio delle rupi e il verde degli alberi e delle macchie. E gli parvero un'eternità le due ore e mezzo che la carrozza impiegò a trascinarsi con irritante lentezza, su pei continui serpeggiamenti della strada tagliata nel vivo masso.

A ogni svoltata, enormi grotte trogloditiche spalancavano le nere bocche; su la soglia stavano fitte o sedute strane figure di contadini abbrustoliti dal sole; larghe spire di fumo scappavano da alcune grotte come da fucine di giganti.

No, la grand'uggia di quella giornata piovosa e nebbiosa ora non gli pareva più un cattivo presagio pel loro avvenire nella nuova residenza dove il Ministro lo aveva sbalzato all'improvviso con una lettera molto lusinghiera e promettente.

A Eugenia l'allontanarsi dai parenti, che avevano fieramente osteggiato il suo matrimonio, non era costato gran dolore. Patrizio le aveva detto che andavano in una cittaduzza ospitale, come assicuravano tutte le persone che gli avevano dato lettere di presentazione e di raccomandazione piene di affettuosa cortesia. Di parecchie non si sarebbe avvalso; non amava di conoscere molta gente; ma potevano servire in qualche occasione. A Marzallo, rifatto stabilmente il lor nido, avrebbero ripreso a vivere a parte; felici di volersi bene, senza disperdere fuori di casa, in mezzo a chi non aveva nulla di comune con loro, le giovani forze del cuore. E , nella pace della loro intimità, avrebbero dimenticato tutti i dolori, tutti i contrasti che si eran frapposti così duramente per due anni tra lei e lui, da far ora sembrare deliziosissimo sogno la realtà della loro unione.

 

Il giorno dopo, però, quando egli visitò il vasto e solitario convento che doveva servirgli da ufficio e da abitazione, si sentì stringere il cuore, pensando che mai Eugenia si sarebbe adattata a vivere in quel casamento dai larghi corridoi, echeggianti al rumore dei tacchi delle persone che venivano e andavano per gli affari d'ufficio; con quella doppia fila di usci sempre chiusi, che prendevano sinistro aspetto di abbandono e di desolazione alla scialba luce delle grandi finestre con vetri polverosi e imposte coperte di ragnateli ai due capi.

«Potrà occupare quante stanze vorrà» gli aveva detto l'assessore destinato dal sindaco ad accompagnarlo. «Il posto è un po' fuori di mano, ma arioso, salubre e ben conservato. Il comune spende molto per questa manutenzione. Vista meravigliosa. C'è anche la selva, se il signor Agente ama gli alberi e i fiori come il suo predecessore. Piante di aranci, di limoni, di nespole del Giappone, di melagrani. I frati di allora pensavano all'utile e al dolce. Il suo predecessore non comprava frutta; coltivava ogni cosa da sé. Passava la giornata più nella selva che in ufficio, lasciando che i commessi sbrigassero gli affari; e perciò le cose dell'Agenzia sono andate a rotta di collo. Ci ha rimesso del suo, pare; e si è attirato addosso un processo, poverino. Brava persona, amabile, servizievole...»

Patrizio non gli badava, oppresso dalla vastità dell'edificio, dall'aspetto desolato di quei corridoi e di quelle stanze, una volta celle di frati carmelitani, ora nude, vuote e silenziose, e però impresse d'un sigillo così caratteristico da far sospettare che qualcosa della vita monastica fosse rimasta appiccata alle pareti, agli usci, al pavimento, alle imposte; qualcosa di cui si sentiva il sordo fermento, come se ne percepiva lo speciale odore; tanfo di rinchiuso, forse, egli pensava, per attenuarsi la cattiva sensazione.

«E se il luogo fa così penoso effetto di giorno, rallegrato dal sole, animato dalla frequenza delle persone che vanno e vengono, figuriamoci di sera, di notte

Egli vi si sarebbe adattato facilmente. Anni addietro, appunto, aveva abitato con la madre in un convento, esso pure destinato da un municipio per ufficio dell'Agenzia delle Tasse e alloggio dell'Agente. Quello però era situato nel centro del paese, in una delle vie più frequentate. Sua madre non era uscita nemmeno una volta dalla cella di cui avea fatta e la sua camera e il suo salotto e la sua sala da pranzo. Costretta dall'infermità a passare settimane e settimane senza lasciare il letto, si svagava soltanto con le occupazioni di dirigere la donna di servizio, col preparare di propria mano il facile desinare, seduta sul letto, appoggiata a una pila di guanciali - gli pareva di vederla! - coperta il busto da un pesantissimo scialle appuntato sotto il mento.

E divagava dietro i ricordi. Vi era rimasto due anni volontario prigioniero, passeggiando lungo il corridoio per sgranchirsi le gambe, tenendo aperto l'uscio della camera di sua madre che così, dal letto in fondo della stanza, poteva vederlo passare e ripassare e fargli cenno o chiamarlo, occorrendo. E in quei due anni di volontaria prigionia, se la pelle del volto gli s'era sbianchita, proprio come quella dei carcerati, la sua salute non aveva sofferto. La sua mente si era giovata di tante lunghe ore di studio, non rubate ai doveri d'ufficio; il carattere non gli si era arrozzito per lo scarso contatto con la società.

Anzi, quella solitudine avea prodotto un gran bene al suo cuore; ed egli godeva di sentirsi ora buono, sincero, facile all'entusiasmo, con un gran tesoro di amore e di energia accumulato nel petto, quel gran tesoro che profondeva ai piedi della sua Eugenia, dinanzi a cui provava l'illusione di una giovinezza prolungata oltre il corso degli anni, quantunque egli avesse passato la trentina.

Ma allora era un'altra cosa!

Eugenia si sarebbe rassegnata a vivere da prigioniera in questo gran casamento deserto? Non era vecchia e inferma come la suocera; aveva altri gusti, altre abitudini, altri bisogni: immaginazione vivissima, nervi sensibilissimi, ahimè!

E intanto che l'assessore, ometto bruno, sbarbato e dallo scilinguagnolo molto sciolto, lo conduceva di qua e di , nell'antico refettorio, nella cappelletta interna pei frati infermi, nella selva, com'egli chiamava con fratesca amplificazione quell'orto, e all'ultimo sull'ampia terrazza, che si affacciava dal picco della roccia su la fertile pianura digradante fino alla spiaggia - gialliccio argine di dune contro la invadente forza del mare; e intanto che colui gli additava una nuvoletta, laggiù, sull'estremo limite dell'orizzonte, dove l'azzurro del mare si confondeva con l'azzurro del cielo, soggiungendo tosto: «È l'isola di Malta» Patrizio ruminava il miglior modo di presentare la cattiva notizia a Eugenia, per prepararla alla sgradevole impressione che egli supponeva dovesse farle l'ex convento. Sarebbero stati in tre soli ad abitarvi la notte, sperduti nel vasto edifizio addossato alla chiesa, su quel picco a cui si accedeva per uno stretto passaggio che, unendolo alle altre rocce, lo riduceva una specie di penisola aerea.

«Sì, il luogo è bello» egli disse, cercando di congedarsi dall'assessore e raggiungere nell'ufficio il reggente provvisorio e i commessi che lo attendevano pel verbale di consegna.

L'assessore però non volle lasciarlo prima di averlo messo in relazione col sagrestano della chiesa:

«Buon diavolaccio! Potrà farsene un servitore attento e onesto; anche un cuoco, se lei e la sua signora non hanno grandi pretensioni

E affacciatosi alla finestra della stanza dei commessi, gridò, accompagnando la voce con un gesto della mano:

«Padreterno! Padreterno!... Lo chiamano così.»

Ma né l'allampanata figura del Padreterno con la barba bianca, di otto giorni, sul viso lungo; né le divagazioni dei commessi, che tentavano di rallegrare la figura troppo seria del nuovo Agente raccontando le manie coltivatrici del suo predecessore, gli tolsero il peso che gli si aggravava sul cuore. Come il cattivo tempo del giorno avanti, quella tristezza di convento abbandonato gli pareva un gran mal augurio, ora che doveva servire a spegnervi il gaio sorriso della sua Eugenia.

Oh, piuttosto avrebbe rinunziato al benefizio dell'alloggio gratuito!

Ma non si fermò su quest'idea. La vita sarebbe parsa più insopportabile a Eugenia, se avesse dovuto passare le giornate con la sola compagnia della suocera, che non si mostrava gran fatto espansiva con lei, neppure dopo aver avuto, nei tre mesi vissuti insieme, sufficientissime prove per vincere l'istintiva ripugnanza del suo cuore di madre. Con l'ufficio e l'abitazione nella stessa casa, fosse stato pure in quell'ex convento pieno della gran malinconia delle cose morte, l'immediata vicinanza non avrebbe fatto scorgere a Eugenia (lo sospettava appena finora) quel che c'era di duro, di avverso, di spietato nel contegno della suocera. Egli avrebbe potuto intervenire a ogni istante per impedire uno scoppio, per deviare un malinteso!

 

Invece, non era avvenuto niente di quello per cui egli s'era con anticipazione afflitto tanto!

Eugenia aveva accettato allegramente la strana avventura di dover abitare in un ex convento di frati così spazioso, così isolato da parere un castello medioevale. Mancava appena il ponte levatoio per rendere intera l'illusione. E il giorno che poterono lasciar l'albergo, era stata una festa per tutti e due percorrere a braccetto quei lunghi corridoi, visitare le celle che il Padreterno veniva aprendo una dietro l'altra, dando rapidi schiarimenti:

«Queste erano del padre guardiano; questa, di padre Tommaso da Lipari; questa, di padre Inghirami, il famoso predicatore che faceva tremare la gente alla sua predica dell'inferno. Ecco il refettorio; allora vi si mangiava bene; il convento era ricco e i frati se n'intendevano di pappatoria. Quando veniva il Provinciale per la visita, invitavano a pranzo tutti i signori del paese... Questa è l'infermeria; l'ultimo frate che vi ha lasciato la pelle è stato padre Anselmo di Adernò. Saputo che doveva andar via dal convento, disse «Io ne uscirò morto». E infatti... Un santo! Lungo lungo, magro magro; lo chiamavano padre Stendardo. Da qui si scende nella selva

Non grande, ma fitta d'alberi diversi, con parecchi viali, qualche aiuola, un pergolato, una fontana in mezzo dove spillava un sottil getto d'acqua dalla pancia vuota d'una statuetta di terracotta e spezzata chi sa da quanto tempo - forse sin da quando ci erano i frati - la selva era rimasta in abbandono da che l'ultimo Agente era partito. Aiuole, alberi, arbusti, viali avevano bisogno di essere ravviati, ripuliti.

«Me ne occuperò io» progettò Eugenia.

Il Padreterno si offerse per lavorare sotto la direzione di lei. Occorreva però un contadino. L'altro Agente aveva fatto così, quantunque zappasse, potasse, innestasse meglio di qualunque altro; perdeva tutto il suo tempo . Era mezzo matto, pover'uomo!

«D'estate, sarà una delizia» esclamò Eugenia. «Pranzeremo qui, all'ombra degli aranci o sotto il pergolato; anche la mamma potrà venirci

A questo richiamo della mamma uscito dalla bocca di lei, Patrizio, sentitosi intenerire, le strinse il braccio per ringraziarla.

Poi ritornarono su. Egli volle mostrarle la terrazza.

«Che vista! I polmoni si dilatanoesclamò Eugenia.

 

E vi tornarono alcuni giorni dopo, a sera avanzata, appena la signora Geltrude si era chiusa nella sua camera per mettersi a letto.

Serata autunnale dolcissima, irradiata dalla nascente luna piena, che segnava una striscia luminosa sul mare tranquillo e simile, laggiù, laggiù, a un immenso specchio messovi a riflettere il cielo azzurro cupo, tutto scintillante di stelle. Si distinguevano i diversi toni del verde della campagna, quantunque molto scuriti, e i serpeggiamenti dei sentieri, e il biancore delle case rurali, dove tremolava qualche lumicino che spariva e riappariva nella crescente oscurità della notte, come il faro di Capo Pachino. Attorno, vicino, lontano, gran silenzio, interrotto soltanto dal malinconico stornello di un contadino dalla melodia monotona e strascicante. Sotto il parapetto della terrazza, l'abisso nero gorgogliava di sordi rumori: stormio di fronde, scroscio di acque scorrenti, stridi di uccelli notturni. A intervalli, calma profonda, come se tutte le cose tacessero per lasciar sentire a quei due sposi innamorati, che si tenevano con le braccia attorno alla vita, i rapidi battiti dei loro cuori.

«Mi par di sognare

Patrizio non sapeva esprimere altrimenti la intensa sua felicità.

«A me pare, invece, che sia stato sempre così!» rispose Eugenia con voce commossa.

«Non ti annoierai in questa solitudine

«Quando ti annoierai tu!»

Gli cinse le braccia attorno al collo, e reggendosi su la punta dei piedi, gli porse la bocca sorridente, con tale abbandono e tale grazia infantile, che Patrizio, ad arrestare la piena del sentimento, la baciò rapidamente e si affrettò a dirle:

«Guarda

Additava un piroscafo impennacchiato di fumo, che attraversava la tremolante luminosa striscia del mare» e pareva un giocattolo, così rimpicciolito dalla distanza.

«Oh!» mormorò Eugenia, scontenta di quella diversione. Patrizio tentava sempre di dominare il profondo turbamento da cui veniva assalito a certe carezze di lei. Voleva almeno nasconderlo, non per sé, ma per lei. Aveva osservato più volte che la commozione di lui la sovreccitava maggiormente, ed egli temeva che la delicata compagine di quel gentile organismo non dovesse soffrirne e guastarsi per soverchia tensione dei nervi. Aveva osservato che la giovinetta timida e pudibonda, stretta tra le braccia e posseduta con pari timidezza e pudore nei primi giorni del matrimonio, veniva, di mese in mese, inattesamente trasformandosi; e la inesperienza di lui, vissuto casto per natura, per educazione e per le circostanze d'una vita agitata e piena di tristezza, gli faceva guardare con un misto di stupore e di terrore quel che ad altri sarebbe parso cosa ovvia e naturale.

Accorgendosi però dello scontento di Eugenia, rimasta muta con gli occhi fissi laggiù, verso il mare, dove il piroscafo filante a tutta corsa si scorgeva appena, avendo già sorpassato la tremola striscia luminosa, Patrizio l'accarezzò col braccio che la cingeva alla vita, e ripetè la sua frase prediletta:

«Non ti par di sognare

Dall'abisso sottostante montava ora più forte lo stormire delle fronde; i lumi si erano spenti per la campagna; la monotona melodia dello stornello arrivava al loro orecchio affievolita e a intervalli, dispersa dal vento che la spingeva per l'opposta direzione, gli stridi degli uccelli notturni tacevano tra le rocce; in fondo alla vallata, il rumore delle acque scorrenti si mesceva col fremito degli alberi.

E, siccome ella non rispose, Patrizio continuò:

«Quattro mesi addietro, quando le difficoltà del nostro matrimonio parevano proprio insormontabili, e io cominciavo a disperare, se qualcuno fosse venuto a dirmi: «Abbi fede; tra non molto tu sarai lontano da questi luoghi dove hai tanto sofferto; starai, abbracciando per la vita la sospirata persona, su la terrazza di un antico convento, all'ombra del campanile proiettata dal lume di luna; e , sotto un cielo divinamente splendido, di faccia alla terra addormentata e al mare lontano, inaugurerete la vostra vita di innamorati solitari, facendo scoccar baci dove i frati non sognarono mai che baci si sarebbero potuti scambiare senza offesa a Dio» se qualcuno fosse venuto a dirmi questo, io avrei creduto che costui volesse farsi beffe di me!...»

«Rientriamo» disse Eugenia.

«Hai paura

«Sì.»

«Di che cosa?»

«Non lo so

Aveva paura anche lui, ma sapeva benissimo di che cosa: della sua cattiva sorte, che superstiziosamente egli credeva stesse in agguato a tramargli qualche crudele sorpresa. E da più settimane ruminava come scongiurarla, con qualche sacrificio a modo degli antichi, offrendo alla malvagia deità un'ostia che la placasse. Ne rideva talvolta, ma non cessava di pensarvi. E mentre Eugenia si stringeva a lui lungo il corridoio che doveano traversare, quasi temesse l'apparizione dello spettro del frate morto ultimo nel convento, egli ripensava quel sacrifizio che ormai gli pareva urgente, se voleva sviare in tempo il pericolo da cui si sentiva minacciato.

Entrati nella cella scelta per loro camera, accanto a quella della mamma, il primo oggetto che gli venne sotto gli occhi fu un antico vasetto arabo, di cristallo iridato; cimelio salvato, Patrizio non sapeva in che modo, dal disastro seguito alla morte del padre, e del quale non aveva voluto disfarsi neppure nei momenti più difficili, quando la somma offertagli da un amatore inglese lo avrebbe liberato da qualche impiccio. Eugenia aveva collocato il vasetto su una mensolina, in evidenza. Piaceva anche a lei per la stranezza della forma, per la leggerezza, per quel luccichio di colori che pareva lo facesse formicolare come cosa viva a ogni più lieve movimento fra le mani di chi l'osservava.

Fu un lampo; egli non esitò. Staccatosi rapidamente dal braccio di sua moglie, si slanciò verso la mensolina, prese il vasetto e levatolo in alto, con gesto di offerta, lo scagliò contro il pavimento...

«Lo scongiuro è fattoesclamò, traendo un gran respiro di soddisfazione.



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