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Le figlie del sindaco vennero tre giorni dopo, accompagnate dal padre e dalla serva.
«Abbiamo inteso che la sua signora è stata poco bene» disse il cavaliere.
«Indisposizioncina» corresse Patrizio, che non riusciva a spiegarsi in che modo la notizia fosse arrivata fino a loro. «Favoriscano di là. Eugenia!»
«Cara signora» fece il cavaliere «le mie figliuole desideravano venire a ossequiarla, è da un pezzo...»
«È vero! È vero!» ripeterono in coro le tre ragazze attorno a lei, intanto che scambiavano i baci d'uso.
«Io scappo» riprese il sindaco, rivolto a Patrizio. «Oggi c'è seduta straordinaria del Consiglio, che sarà tempestosa. Strade obbligatorie, ruoli di prestazione in... in... non so come li chiamino. Pannicelli caldi!... Vuol sapere la mia opinione? Con la legalità non si fa nulla, caro signor Agente. Il più delle volte, un po' di arbitrio, o di violenza, risolve meglio certe questioni. Ma fatelo capire al sottoprefetto!»
«Non vogliono levarsi gli scialli?» diceva intanto Eugenia alle signorine, che rimanevano in piedi e guardavano attorno per la stanza con indiscreta curiosità, quasi avessero voluto farne l'inventario.
«Grazie» rispose Angelica, la maggiore, dopo di avere interrogate con un'occhiata le sorelle. Eugenia andò in camera a riporre gli scialli e tornò subito.
«Seggano, debbono adattarsi, siamo così ristretti in queste celle!»
«Ci si deve star bene» entrò a dire Giulia, la minore, brunetta corta e pienotta, con occhi, labbra, mani irrequieti, e che pareva non potesse star ferma.
Benedetta, la seconda, rimaneva diritta su la vita, impalata, con un sorriso da cui venivan messi in mostra i brutti denti e le gengive rigonfie.
«Signora Eugenia, io scappo» venne a ripeterle il cavaliere. «Mi compiaccio di vederla bene. Non vi trattenete a lungo» raccomandò alle figliuole. «Cara signora, l'avverto: le mie ragazze ciarlano troppo!...»
«Tanto meglio!» rispose Eugenia, salutandolo col capo.
«Le signorine mi scuseranno» disse Patrizio, tornando indietro dopo aver accompagnato il cavaliere fino al corridoio. «Io debbo servire il pubblico. Ma prima chiamerò la mamma.»
La signora Geltrude entrò strascicando i passi, pallida, con occhi un po' gonfi e aria di stanchezza, da parere assai più vecchia che non fosse.
«Non mi tratterrò molto» ella disse. «La mia presenza non rallegra. Sono state troppo buone a venire a trovarci. C'è chi saprà fare gli onori di casa invece di me.»
«Oh, signora! Che cosa dice? Sarà sempre un piacere per noi...»
«Si figuri!»
Benedetta rimaneva zitta, approvando, con più larga mostra dei denti e delle gengive rigonfie, quel che le altre dicevano.
Tutt'a un tratto, appena Patrizio uscì, Giulia si levò da sedere.
«Questa finestra dà su la selva?»
E, senza attendere la risposta, era già corsa ad affacciarsi.
«Buon giorno, Padreterno, buon giorno!... C'è giù il Padreterno, su la spianata. Si diverte lei col Padreterno? È buffo. Non le pare?»
«Lo veggo qualche momento, di sfuggita» rispose Eugenia.
«Da noi viene spesso, pel vino delle Sante Messe, egli dice. Ma io credo che il prete ne beva poco o punto di quel vino. Noi glielo diamo lo stesso; l'elemosina sta nelle intenzioni. Pover'omo! Infine non fa male a nessuno. E tiene così pulita la chiesa!... Loro possono dirlo, loro che vi ascoltano messa tutti i giorni.»
«Tutti i giorni no; quando possiamo.»
«Bella comodità avere una chiesa a due passi! Entrano per la sagrestia, è vero? Ce l'ha detto il Padreterno. Deve essere curioso abitare qui. La notte però io avrei paura; spiriterei! Oh, Madonna mia! Sentirei a ogni momento pel corridoio il passo dei frati morti o il loro brontolio dell'uffizio... Mi si accappona la pelle soltanto a pensarci!»
«Zitta!» la rimbrottò la sorella maggiore.
E, dirigendo la parola alla signora Geltrude, continuò:
«Lei è quasi sempre malata, povera signora! Abbiamo chiesto spesso sue notizie, quantunque non avessimo ancora il piacere di conoscerla personalmente. Non siamo potute venire prima di oggi, ora per una ragione, ora per un'altra. Abbiamo la croce della mamma! Gran disgrazia! Crede di avere addosso tutti i malanni del mondo; talvolta si figura di essere giunta proprio in punto di morte; e sta meglio di noi, gliel'assicuro!»
«Malattia come un'altra!» sentenziò Benedetta, senza nemmeno scomporsi dalla sua rigidità.
«Non ne parliamo, per l'amor di Dio!» interruppe Giulia. «E lei, donna Eugenia, non ci dice nulla? Le piace Marzallo? Già non lo conosce; non ha potuto vederlo. Paesetto! Che vuole? Di bello non ha altro che la posizione... e il clima... e le campagne...»
«E gli abitanti cortesi» aggiunse Eugenia.
«Senta» le disse Angelica «se non le dispiace, deve farci vedere il convento.»
«Volentieri.»
«Donna Geltrude ci scuserà. Siamo davvero importune.»
«Mi dispiace, signorine, che io non possa accompagnarle.»
«Rimarrò io con lei, se lo gradisce» disse Benedetta con smorfiettina cerimoniosa.
E, intanto che le sue sorelle, a furia di domande dietro domande, sopraffacevano Eugenia che le guidava, ella intraprendeva con la signora Geltrude la sua inchiesta di curiosa e di pettegola.
«Dev'essere molto contenta di una nuora così bella, così giovane e così buona! Son pochi mesi, se non sbaglio, che il signor Agente ha sposato.»
«Sette.»
«A Castroreale? La sposa è di buona famiglia, ci hanno detto.»
«Sì... Ma io conosco appena quella famiglia. Con la mia salute, stando sempre confinata in casa...»
«Sua nuora, a quel che sembra, ha fatto buona riuscita. È così difficile incontrarsi in un carattere che se la dica col nostro!»
«Patrizio n'è contento» si limitò a rispondere la signora Geltrude.
«Ah, il marito, s'intende! Marito e moglie, quando si vogliono bene, fanno a compatirsi vicendevolmente. Ma tra nuora e suocera, spesso spesso, oh Dio!... Noi lo vediamo dirimpetto a casa nostra. Famiglia per bene; eppure, tra madre, figlio e nuora, che inferno, signora mia! La suocera non ne perdona mai una alla nuora! La nuora, peggio. Il figlio bestemmia da mattina a sera, ora per via della madre, ora per via della moglie! E quando si azzuffano, bisogna che accorra tutto il vicinato. L'altro giorno la mamma ha spaccato la testa al figliuolo.»
«Dio ci castiga in tante maniere!»
«Pur troppo, c'è un punto nella vita che un figlio non è più della madre! Una viene, se lo prende e lo porta via... Meno male, allorché lo porta via! Gli occhi della mamma non veggono niente. Occhio non vede, cuore non crede. Pure, è brutta cosa. Un figliuolo che è costato tanti dolori a una povera mamma, tante cure; che dovrebbe essere la sua consolazione, il suo conforto! Ed egli l'abbandona, si dà corpo e anima a un'estranea, che talvolta ha messo in opera tutte le male arti delle cattive donne per attirarlo nella rete! Legge di Dio, dicono: «Lascia il padre e la madre!». Legge di Dio!»
«Lei però non ha da lagnarsi...»
«Della nuora, forse?»
«...Nemmeno!» aggiunse la signora Geltrude, gettando una occhiata sospettosa a quei denti ingialliti.
«Qui, sola?» esclamò Patrizio, affacciandosi all'uscio.
«Accompagnala tu dalle sorelle; sono andate con Eugenia, forse su la terrazza o nella selva. Io debbo lasciarla, signorina» riprese la signora Geltrude. «Per me è grande sforzo parlare e star a sentire.»
Un po' delusa nella sua curiosità, Benedetta, nel corridoio, disse a Patrizio:
«Che brava persona è la sua mamma! Si starebbe volentieri tutto il giorno a ragionare con lei! Dica: hanno occupate tre celle soltanto?»
«Parecchie; ne abbiamo fatto due camere, un salottino, una stanza da toeletta, una da pranzo, una per ripostiglio. Anche la cucina, giacché l'antica dei frati sarebbe stata troppo vasta pei nostri bisogni, anche la cucina è una cella adattata a questo scopo con pochi fornelli.»
Scesi alcuni scalini, Benedetta riprese:
«Lei darà lezioni di matematica a mio fratello; ce l'ha detto il babbo. La sua signora, qualche volta, dovrebbe venire a trovarci. È giovanissima.»
«Ha ventidue anni» rispose Patrizio, riflettendo che le figliuole avevano ereditato il vizio paterno di saltare di palo in frasca.
Si udivano strilli e risate, ma né le signorine, né Eugenia si scorgevano ancora, nascoste nella siepe che cingeva lo spazio attorno alla fontana.
«Io ti battezzo, in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo!»
La morettina, tuffate le mani nella vasca, spruzzava d'acqua la sorella, che si difendeva malamente.
E qualche spruzzo era toccato anche ad Eugenia, presso cui Angelica s'era rifugiata.
Patrizio ed Eugenia scambiarono un'occhiata di stupore, e non poterono trattenersi dal ridere.
«Si profuma?» domandò tutt'a un tratto Angelica a Eugenia. «Che odore di zagara! Stordisce.»
Le tre sorelle le fiutavano la veste, il viso, le mani, esclamando in coro:
«Che delizia! La zagara mi piace tanto!»
Eugenia le lasciava fare, un po' impacciata.
«Ancora quel profumo?» esclamò Patrizio.
«Io però lo sento poco» disse Eugenia, annusandosi le mani.
Angelica intanto s'era fatta innanzi:
«Senta, signor Agente: deve avere pazienza. Ora che abbiamo conosciuto la sua signora, un bel giorno, zitte zitte, verremo a rubargliela! La condurremo via, e se lei ci vorrà correre dietro, tanto meglio! Dovrebbe fare come Pina, la nostra cameriera, che non ci lascia d'un passo. È mezza matta, sa? Alla sua signora ha fatto gli occhiacci. Su, Pina, fa' gli occhiacci anche all'Agente.»
Pina, con la faccia di scimmione tra le pieghe della mantellina di panno scuro, restava impassibile, tenendo gli occhi bassi e le labbra strette, come se la signorina non parlasse con lei.
«Sono divertenti» disse Eugenia, appena le tre sorelle si congedarono.
«Mi paiono più matte della serva» rispose Patrizio.
Le prese le mani, impensierito, e aspirò più volte l'odore che si sprigionava dalla pelle.
«Ma che cosa significa? D'onde proviene? E tu lo senti appena?»
«Me n'accorgo se me lo avvertono. Chi ci bada? Passerà.»
Riflettendo che durante la settimana la eccitazione di Eugenia era diminuita poco o niente, all'improvviso gli era balenato il sospetto che l'inesplicabile fenomeno potesse avere qualche strana relazione con la crisi nervosa. E il terrore di un nuovo e maggiore pericolo per Eugenia e per lui, gli faceva affluire rapidamente il sangue al cuore.