Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Profumo
Lettura del testo

AI FAMILIARI.

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«»

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Rimase ancora un poco a stropicciarsi la faccia tra le foglie di loto. Intanto, all'improvvisa fiducia, all'improvvisa gioia subentrava una lieve ombra di incredulità:

«Niente che me n'avverta!...»

Subentrava uno scoraggiamento, pel caso che il dottore si fosse ingannato.

«Come ne sarebbe lieto Patrizio

E un sentimento molto simile al vivo piacere di una vendetta le balenava nel cuore, al pensiero che anche la vecchia avrebbe appreso la notizia.

«Signore, perdonatemi!...» esclamò, levando gli occhi al cielo.

Nella viva luce del corridoio si sentì aprire il cuore.

«Se fosse vero, bella Madre santissima

Le pareva che quell'avvenimento avrebbe risoluto mirabilmente ogni difficoltà della sua vita. In che modo? Non ne aveva un'idea chiara; capiva però che la risoluzione poteva scaturire soltanto di , e provava un gran bisogno di ringraziare Dio e la Madonna che le avevano concessa quella grazia.

I piedi l'avevano portata inconsapevolmente verso la sagrestia. Da che trovavasi a Marzallo, non s'era mai avventurata da sola nella chiesa del convento; vi era sempre andata col marito o con la suocera, nei giorni che un prete veniva a dirvi l'unica messa che vi si celebrava con le elemosine dei fedeli. Perciò, sospinto l'uscio socchiuso della sagrestia e trovàtasi faccia a faccia col Padreterno che spolverava gli scaffali dei paramenti sacri, diventò rossa in viso e si arrestò su la soglia, quasi avesse commesso una grande sconvenienza introducendosi in quel luogo così come si trovava, in veste da casa e in pianelle, senza nemmeno un fazzoletto in testa.

«Voscenza? Che miracoloesclamò il Padreterno, saltando giù dallo sgabello su cui era montato. «Venga, venga! Le farò vedere tante belle cose...»

Eugenia accennò al suo vestito.

«Non c'è nessuno» riprese il Padreterno. «Vuol vedere i paramenti? I calici, le patene, il ciborio? Quel po' che è rimasto. Il meglio volò via al tempo della soppressione, sia detto senza maldicenza

«No, no... Grazie

Ma lasciò richiudere l'uscio alle sue spalle, con un turbamento non mai provato, sedotta da quella intimità con le cose di Dio, che in quel momento assumevano delizioso significato per lei.

«Guardi, guardidisse il Padreterno, tirandosi giù le maniche della camicia, rimboccate fino ai gomiti. «In quest'armadio sono conservate le teste, le mani e i piedi dei personaggi pel sacro sepolcro della Settimana Santa!... Li osservavo poco fa. Peccato! Nessuno sa più vestirli come i padri carmelitani una volta. Maraviglie! Non le rivedremo più! Che cosa vuole che faccia il povero Padreterno che non se n'intende? Guardi

E aperse l'armadio. Alla vista di quelle teste di cera con occhi di vetro, di quelle mani e di quei piedi ammonticchiati alla rinfusa, Eugenia gettò un grido. Tremava, come davanti a un carnaio, senza poter distoglierne lo sguardo, ammaliata improvvisamente dal viso pallido dell'Addolorata, dalla faccia compunta di san Giovanni; da tutte quelle mani variamente atteggiate e come irrigidite dalla morte; dalle punte di piedi ignudi e di calcagna mescolate fra quel viluppo di mani e di teste, col collo vuoto da cui scappavan fuori fiocchi di stoppa che parevano grumi di sangue sbianchito.

«Chiuda! Chiuda» ella balbettò.

«Non abbia paura; sono di cera... Ecco Pilato

E il Padreterno palleggiava un testone coi capelli neri, arruffati, ricinto da una sgualcita corona di carta dorata.

«Mi fa malegridò Eugenia, coprendosi la faccia con le mani.

Il Padreterno ripose la testa coronata del governatore della Giudea e chiuse l'armadio.

«Scusi» disse. «È vero: quelle teste staccate fanno un brutto effetto... anche a me. Ma bisognava vedere i personaggi belli e vestiti, atteggiati, aggruppati, tra i ceri accesi, i vasi di garofani e di basilico, e il gran parato di carta e velluti! Oh!... La Madonna Addolorata, con le sette spade conficcate nel petto, singhiozzava per via di fili di seta, tesi come corde di chitarra (un novizio, nascosto dietro il parato, li faceva scattare di tratto in tratto): zin! zin! Singhiozzi da spezzar il cuore). Pilato con la penna da scrivere che se ne scappava in alto non appena lo scellerato tentava di metter la firma alla condanna di nostro Signore! E Giuda! E Caifasso! E san Pietro col gallo che cantava tre volte! E Gesù alla colonna, flagellato dai giudei!... Parevano proprio vivi! Il venerdì santo, folla fitta così! E compunzione e pianti e penitenze!... Ora il povero Padreterno accende quattro mozziconi di candele fra quattro stracci stinti di carta da parato, e festa! Siamo diventati una manica di giudei, di protestanti senza DioMadonna. E quei quattro stracci di carta da parato il povero Padreterno rimane a contemplarseli solo solo. Non viene più un cane in questa chiesa abbandonata. Vanno a vedere i sacri sepolcri delle altre chiese, dove ancora li apparecchiano. Sacri sepolcri? Fanno ridere di compassione. Miserie!... Buffonate

Eugenia, ancora un po' sbalordita, non rispose; fece due o tre passi e aperse l'uscio che metteva nella chiesa.

Bianca, illuminata dal sole che penetrava dalle larghe vetrate, la chiesa le parve più spaziosa delle altre volte, ma meno solenne. Il Padreterno, ad alta voce, con poco o nessun rispetto del santo luogo per abitudine di sagrestano, le faceva smarrire il sentimento religioso che l'aveva spinta a entrare. Così, invece di andare diritto verso l'altare della Madonna, ella si lasciava trascinare da lui a osservare distrattamente quadri e altari, quasi vi fosse andata soltanto per cavarsi quella curiosità.

«Vedete? Qui c'è mezzo paradisodiceva il Padreterno, indicando un gran quadro, pieno di innumerevoli figure di angioli e di santi. «Pittore fu un canonico di Marzallo, che mio nonno ha conosciuto. Dipingeva per la gloria di Dio... e della propria pancia. Il suo compenso era pappatorio: un capo di selvaggina per ogni sacro personaggio. E i devoti andavano a caccia, o compravano una lepre, un beccaccino, un coniglio, una gallina prataiola per aver sul quadro ognuno il proprio santo, oltre agli angioli, ai serafini e cherubini, che il canonico vi accatastava di propria volontà a carico del convento. Guardi lassù, tra le nuvole, tutte quelle testoline di angioletti con le alucce appiccate al collo; un capo di selvaggina per ognuna di esse! Ce n'è voluto, signora mia! E se il devoto non portava il coniglio, o la lepre, o la beccaccia, piff! paff! in quattro botte il canonico gli scancellava il santo o la santa sotto gli occhi... E diceva di dipingere per la gloria di Dio

Il Padreterno rideva; ma Eugenia, andando così attorno per la chiesa e udendolo parlare, sentiva dileguare dal cuore il sentimento voluto effondere a piè di Dio e della Madonna. Guardava le sue vesti da casa, e timorosa e incerta di commettere una profanazione, seguiva il Padreterno che, in maniche di camicia, la conduceva per le navate alzando la voce, quasi essi non fossero nella casa di Dio, e il Sagramento non stesse laggiù, nel tabernacolo dell'altar maggiore, dove ardeva la lampada perenne. Avrebbe voluto dirgli: «Zitto, lasciatemi sola; voglio pregare: sono venuta qui a posta e non poteva. Già dubitava che ora le riuscisse più di pregare...

«Quello è sant'Antonio di Padova, col bambino Gesù» riprendeva intanto il Padreterno. «L'hanno santificato e sta bene; il papa ci ha dovuto avere le sue buone ragioni. Ma io, signora mia, se fossi il bambino Gesù, invece di fargli una carezza al viso sbarbato, gli vorrei piuttosto tirar un orecchio, e forte anche, per insegnargli un po' di carità, bell'e santo qual è!»

«Che dite? Non sta bene parlare così!» lo interruppe Eugenia.

«Ah, voscenza non sa che il primo di giugno incomincia la tredicina di cotesto santo; ed è sempre la nostra rovina! I devoti lo pregano con messe e vespri: «Sant'Antonio benedetto, non mandate la nebbia, ora che gli ulivi sono in fiore!». E lui, dispettoso, nebbia sopra nebbia, per disseccare la fioritura degli ulivi, nostra sola ricchezza! Quel faccione di cuor contento le pare viso da fare miracoli? Io, intanto, non gli accendo neppure un mozzicone di candela

Eugenia si allontanò frettolosamente, quantunque non potesse frenarsi di ridere. Scandalizzata delle sciocchezze del Padreterno, dette ad alta voce nella casa di Dio, in faccia allo stesso santo, era andata a inginocchiarsi davanti alla cappella della Madonna dello Spasimo, cercando di raccogliersi e di pregare. Ma il suo cuore era già freddo, inaridito, e la parola restia.

La Madonna, che agonizzava sull'altare a piè della croce, tra Maria Maddalena e san Giovanni, non riusciva a commoverla; quelle viscere che avrebbero dovuto sussultare di gioia e di gratitudine, rimanevano inerti. Ahimè, la Madonna la castigava forse in tal modo per la sua irriverenza? Un sordo terrore l'agitava, pensando che poco fa la rivelazione del dottore era bastata per farle sgorgare dagli occhi dolcissime lacrime.

«Madonna mia! Bella Madre Santissima! Abbiate pietà di me!» ella mormorava.

Queste parole però non se le sentiva scaturire dal cuore, ma suggerire dalla riflessione. Diceva così, perché si soleva dire così, perché tante altre volte ella stessa aveva detto così. Le pareva, anzi, che le venissero suggerite da un'altra persona inginocchiata al suo fianco.

«Vergine addolorata! Madre degli sconsolati, abbiate pietà di me!»

Si portò le mani agli occhi. La gran luce, che inondava la chiesa dalle finestre della navata centrale e da quelle della cupola, da cui un fascio di sole scendeva appunto, tra un nugolo di formicolante pulviscolo, fino a piè dell'altare, la distraeva abbagliandola. Ma anche con gli occhi chiusi e coperti dalle mani, ella rimaneva impietrita, né poteva pregare. Una maligna voce le sussurrava sommessamente dentro l'orecchio: «Non è vero! Nulla vive nelle tue viscere. Per questo rimangono mute».

«Santa Madre degli afflitti, abbiate pietà di me!» ella balbettava.

Si sentiva mancare il terreno sotto le ginocchia; le veniva di prorompere in un grand'urlo e rovesciarsi sul pavimento e rotolarvisi per quella smania che le attanagliava lo stomaco e le scoteva tutta la persona. E si rizzò in piedi, barcollante, atterrita dell'assalto nervoso che stava per scoppiarle addosso, presentito da due giorni.

Le pareva di correre, di volare leggera come una piuma, sfiorando appena il suolo. La voce del Padreterno, che la invitava dall'angolo opposto a osservare qualcosa, la inseguiva, la inseguiva tra le colonne e tra i banchi attraversati rapidamente, con gli occhi ansiosi fissi all'uscio della sagrestia, quasi non dovesse più raggiungerlo e varcarlo...

Nel corridoio riconobbe appena Patrizio che le veniva incontro, rimproverandola affettuosamente:

«Ti ho cercata dappertutto! Dovevi avvertirmi che andavi in chiesa

«Ah, Patrizio!... Patrizio!...»

E si rovesciò, arcuando il corpo e contorcendo i polsi, tra le braccia di lui.

 

Ora ella restava dimessa, quasi vergognosa, dinanzi a suo marito.

«Non tormentarti! Non è niente. Sto meglio

Patrizio le rispondeva con mite sorriso di rassegnazione, sentendo di amarla più fortemente da che la sapeva colpita.

Non la rimproverava più d'avere taciuto; la compativa come una bambina un po' strana e viziata che mostrava di volersi correggere.

«Dimmi: il dottore si è ingannato?» gli domandò un giorno.

«Si è ingannato

«Lo sentivosospirò Eugenia.

«Meglio così.»

«Perché?»

«Perché è meglio che, prima, tu sia guarita perfettamente

«Presto?»

«Presto, se stai tranquilla, se sai frenarti

«Baciami! Voglio guarir subito!»

«Coi baci non si guarisce

«Resta qui, accanto a me. Sarò buona...»

«E l'ufficio

«Lascia socchiuso l'uscio. Così almeno potrò vederti; mi basterà

Voleva essere tranquilla, voleva frenarsi, come le raccomandava Patrizio. Di tanto in tanto però il solito sospetto, anzi la certezza dell'odio della suocera le rinasceva in fondo al cuore e le accendeva il sangue. Ella faceva ogni sforzo per cacciar via quella tentazione, per tenerla lontana, ma non sempre vi riusciva; massime nei giorni in cui Patrizio pareva volesse sottrarsi a qualunque più piccola tenerezza da parte di lei.

Quel chiodo le rimaneva conficcato proprio in mezzo al cuore. E la vecchia ve lo calcava più profondamente ogni giorno! Ah, quel suo silenzio, quegli sguardi diacci diacci, indifferenti a prima vista, ma così cattivi!

Patrizio tornava a ripeterle:

«È una tua fissazione! E ti fa male. Non voglio sentirne parlare

Ed ella, come l'altra volta, non gliene parlava più. Non pensarci però era impossibile.

«Non mi trattiene mai nella sua camera! Mi risponde appena, con un sì o con un no, quando le rivolgo la parola. Mai non mi dice: 'Eugenia fa' questo! Eugenia fa' quello!'. E sarei tanto felice di servirla! 'Non mi occorre niente.' E si rivolge a Dorata piuttosto che a me!»

Sì, sì, faceva male a ripensarci, a fermarcisi sopra con viva insistenza; Patrizio aveva ragione. E canticchiava a fior di labbra per distrarsi; e si rimproverava di chiamarla, nel suo interno, sprezzantemente: la vecchia! Come dirle: Mamma! intanto? Così avesse potuto ripeterglielo a ogni istante, ella che avea appena conosciuta la sua povera mamma, morta giovanissima soprapparto!

Eppure, pensando e ripensando, si sentiva eccitare assai meno di prima, quasi i suoi nervi già cominciassero ad abituarsi. Cedeva, per sfiducia, per stanchezza.

Che delusione!

S'era ingannata lei, immaginando nel matrimonio una felicità che non c'è, oppure l'avevano tradita le circostanze, le persone. Patrizio? Che cosa s'era immaginata infine? Vita tranquilla, ritirata, consolata da affetto sincero. Carezze! Baci! Cose da nulla, e che pure l'avrebbero resa paga e contenta. Ah! Le lettere di Patrizio l'avevano illusa. E quando, di notte, egli le aveva parlato dalla finestra con quella voce affiochita dalla commozione? L'aveva illusa. Oh, allora egli sembrava un altro! Che parole di fuoco! Che castelli in aria per l'avvenire! Le faceva provare le vertigini. Non aveva mai inteso nessuno parlarle a quel modo! Nessuno le aveva mai detto tutte quelle belle cose carezzevoli, vera musica incantatrice... E l'aveva illusa! L'aveva illusa!... Si era forse illuso anche lui!

Si rivedeva nella cameretta di Castroreale, nel letticciuolo di ragazza, rannicchiata sotto la coperta. Quante fantasticherie, per due anni, in quella bianca cameretta, avanti d'addormentarsi! E quante esitanze, quante lotte, nei primi giorni in cui s'era accorta delle intenzioni di lui, sconosciuto, forestiero, che se la divorava con gli occhi quasi di nascosto, per il dubbio, pareva, di essere scoperto da qualche indiscreto!

Otto mesi fa, laggiù! E ora in quella celletta di convento, lontana dal paese nativo, dai suoi, da ogni persona nota! E quello sconosciuto, quel forestiero, che tante volte l'aveva fatta sorridere, allora, per quel suo modo strano di guardarla fisso fisso, pieno di timidezza e di audacia, era già diventato il suo Patrizio! E lei gli apparteneva, corpo e anima! Oh, lei sì, corpo e anima! Ma lui? lui?

Non trovava risposta a tale domanda. Spesso però si meravigliava anche di essersela potuta indirizzare, ingrata o perversa...

«Di che cosa posso lagnarmi? Che cosa mi manca?...»

Da qualche settimana aveva preso l'abitudine di affacciarsi alla finestra del salottino, coi gomiti appoggiati sul davanzale, con la faccia tra le palme. Fantasticava ora intorno all'una, ora intorno all'altra di queste idee che le pullulavano nel cervello non appena rimasta sola. Affacciàtasi a quella finestra, mèssasi in quella positura, le pareva di sentir rannodare la catena delle sue fantasticherie al punto in cui il giorno avanti l'aveva interrotta, con la vista dello stesso paesaggio, con la stessa luce di sole, di faccia al verde di quella siepe di fichi d'India che circondava l'orlo del precipizio; nel silenzio meridiano, interrotto soltanto dalla soneria dell'orologio del convento, o dal cinguettio di qualche passero, o dal grido rauco delle taccole che nidificavano in cima al campanile.

Evidentemente, con la cura ordinata dal dottor Mola, i nervi di lei si andavano calmando. Le stesse cose d'una volta già le producevano impressioni meno vive. Di tanto in tanto, è vero, tornava a sentirsi scotere da capo a piedi, come se il male stesse per ridestàrsele dentro all'improvviso; e ne provava un grande sgomento, prima ignorato... Ma erano minacce che svanivano, che svaporavano col solito odore di zagara, e più rapidamente che per l'innanzi.

Ora la invadeva una tristezza sfibrante, una specie di rimpianto, un dolore chiuso, che talvolta arrivava fino a farla piangere, ma non più a irritarla, a sconvolgerla, a farla contorcere e urlare.

Patrizio l'aveva sorpresa due o tre volte in quella positura, in quella contemplazione:

«Che cosa guardi? Che cosa pensi

«Osservavo quelle donne che stendono il bucato al sole su la siepe di fichi d'India. Vengono ogni quindici giorni; l'ho notato

«Non hai visto?» egli le disse una mattina. «Nella selva sono fiorite le rose. Me l'ha detto il Padreterno

«Non me ne sono accorta

«Non te ne curi più, dovresti dire

«È vero. Le ho trascurate da qualche settimana

«Come ti senti

«Benissimo

«Dimmi la verità

«Non ti nascondo più nulla, lo sai

Ella riprese la sua posizione, coi gomiti sul davanzale e con la faccia tra le mani. Patrizio la guardò alcuni istanti, un po' impacciato; pareva volesse soggiungere qualche altra domanda; poi tornò zitto zitto in ufficio.

Avrebbe voluto domandarle:

«Perché sei cambiata? Che cosa accade nel tuo cuore

E glien'era mancato il coraggio.

Seduto al tavolino, con dinanzi le lunghe liste di cifre da rivedere, da addizionare, da riportare nei diversi registri che lo ingombravano, egli, lavoratore assiduo e paziente, si distraeva di tratto in tratto, abbandonandosi a rimuginare incessantemente la tormentosa interrogazione che da parecchi giorni lo assaliva all'improvviso:

«Perché è cambiata? Che cosa accade nel suo cuore

Ora udiva di rado l'allegro e sommesso canticchiare di lei, che dall'uscio socchiuso s'insinuava nello studio quasi per dirgli: «Bada: sono qui e penso a te! Dimentica un po' coteste brutte cartacce. Vieni a darmi un bacio!». Non levava gli occhi dai registri, non interrompeva il lesto calcolo delle cifre; sentiva però un delicato piacere a quel mormorio di voce femminile che gli aleggiava attorno e gli penetrava nel più profondo del cuore. E se alzava la testa per trovare una certa lettera alfabetica sul dorso dei volumi in-folio del catasto, allineati nei rozzi scaffali lungo le quattro pareti della cella, andava difilato a prendere il volume occorrente, senza cedere alla tentazione di affacciarsi nella camera dove Eugenia canticchiava lavorando presso la finestra, in quei felici primi mesi dell'insediamento nell'ufficio di Marzallo.

Bei giorni!

Sovente ella spingeva, zitta zitta, tra i battenti dell'uscio la testina con capelli neri e lucidi, lievemente ondulati; e restava qualche istante a guardarlo in silenzio, finché non le diceva, sorridendo:

«Ti ho sentita

«Guardami dunque!»

Egli continuava il suo lavoro, scrivendo una cifra qua, un'altra , consultando qualche foglio, svoltando una pagina, e poi rispondeva:

«Ecco, ti guardo

Eugenia gli faceva un rapido saluto con la mano e spariva.

Bei giorni!

Qualche volta ella picchiava all'uscio:

«Vuoi un sorso di caffè

«Grazie; più tardi

«Si fredderà

«Non sarà gran male

Eugenia, tenendo in mano la tazzina fumante, sospingeva l'uscio con gesto di fanciullesco dispetto, ed entrava dondolando graziosamente la testa, facendo una smorfiettina con le labbra:

«Non deve freddarsi... Oh, non fare il cipiglio! Vado via subito.»

«Qui si viene soltanto per affari» le diceva, scherzando, nel restituire la tazzina vuota. «Grazie. Questa volta, passi

E riprendeva a lavorare, brontolando rapidamente le cifre, seguendone le filze con la mano che teneva la penna, continuando l'operazione quasi non l'avesse punto interrotta; ma più svelto, ma con qualcosa che gli sorrideva internamente e gli rendeva gioconde fin le cifre.

Ora non più!

Quel sommesso gorgheggio femminile era cessato; quelle gentili apparizioni d'un istante interrompevano assai raramente la monotonia del suo arido lavoro. I capricci delle scappatelle in fondo ai corridoi fuori mano, o nella selva, o sulla terrazza, in diverse ore del giorno, specie a sera inoltrata, nelle serate di luna piena, o nella tiepida oscurità protettrice delle notti estive senza luna; quei capricci, che tante volte lo avevano conturbato perché gli era parso rivelassero in Eugenia un che di malsano e sensuale, da cui veniva urtata la sua rigida idealità; ora che ella restava volentieri sola, in camera o in salotto, anche senza essere occupata in uno dei soliti lavorini di cucito e d'uncinetto, quei capricci egli già cominciava a rimpiangerli, quantunque tuttavia non lo confessasse apertamente a se stesso. Fin i contrasti, le lotte per attutire o infrenare l'irritazione di lei a proposito del contegno della suocera; gli scoppi di pianto e gli accessi nervosi, sopravvenuti a sconvolgere la tranquillità della sua vita e ad atterrirlo per l'avvenire; fin questi talvolta gli sembravano preferibili a quella nuova fase d'indifferenza che gli dava viva inquietudine. «Cosa stranapensava. Non avea sempre desiderato che fosse così, per quel gran bisogno di riposo che egli provava dopo le tante fiere agitazioni e i tanti profondi dolori della sua misera giovinezza? Perché dunque si sentiva preso da malessere, osservando che, col decrescere della malattia di Eugenia, il carattere di lei veniva appunto conformandosi all'idea che egli s'era fatta di un'inalterabile felicità domestica, di una esistenza isolata e quasi fuori del mondo?

«È cambiata? Che cosa accade nel suo cuore

Non aveva proprio desiderato questo, no, mai! E perciò scrollava la testa e si passava la mano su la fronte per scacciar via l'irritante pensiero.

«È assurdo! È impossibile

Riprese a lavorare, assorbendosi nei calcoli numerici. Intanto, a dispetto dell'attenzione richiesta dalle operazioni aritmetiche, la dolorosa domanda gli insisteva, gli insisteva tuttavia dentro il cervello. Si levò dal tavolino, andò di , nella stanza dove i commessi lavoravano o fingevano di lavorare, come egli soleva benignamente rimproverarli, e parve volesse sfogare contro di essi il malumore.

I commessi si guardarono negli occhi, meravigliati.

«Quest'Agente è una damadicevano spesso tra loro. «Una dama a dirittura

E nei rari momenti di severità, si borbottavano da un tavolino all'altro:

«Cattivo tempo

«Tramontana

«Scirocco

Poco dopo, nella stanza si sentì soltanto lo stridere delle loro penne su per le colonne degli stampati e sui fogli di carta bollata dei certificati catastali, mentre Patrizio andava da un tavolino all'altro esaminando una registrazione, riscontrando una cifra, rimproverando Ciancio per una cassatura, Griffo per una omissione, Zuccaro per l'eccessiva lentezza di una copia.

«Cattivo tempo

«Tramontana

«Scirocco

I commessi si ammiccavano, facendo versacci.



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