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Per le scale, la comitiva incontrò il cavaliere in giubba e cravatta bianca, con la croce all'occhiello, la fascia tricolore cinta al fianco, un guanto infilato e uno no. Era preceduto dai mazzieri del comune in toga di raso rosso e con le mazze di argento appoggiate alla spalla, dagli uscieri, e seguito dal segretario del comune e dal brigadiere dei carabinieri in uniforme di gala e pennacchio.
«Care signore, che piacere! Che piacere, caro Agente! Cominciavo a dubitare della vostra venuta.»
«La folla ci ha impedito di arrivare più presto» rispose Patrizio.
«Che calca, papà!» esclamò Giulia. «E che caldo! Si soffocava.»
«Potevi condurle per le vie traverse» disse il cavaliere a Ruggero, che saliva, ultimo, gli scalini lentamente, con aria annoiata e il cappello su la nuca.
«Non mi hanno dato retta» egli brontolò.
La signora Geltrude, appoggiata al braccio di Benedetta, ansimava un pochino.
«Gradisco, soprattutto, che sia venuta lei» le disse il cavaliere. «Sono di servizio, come vede. Festa popolare. Il sindaco deve suonare la traccola, per dirigere la processione. Usi di paesetti, signora mia; bisogna uniformarvisi, per politica.»
«Fa bene» rispose la signora Geltrude con voce fioca.
«Non le trattengo per le scale. Sente la banda? Viene a prendermi. A rivederle!...»
Si confondeva in inchini e strette di mano.
Angelica, riprendendo a salire, spiegava a Eugenia:
«Nelle altre feste si adopra un campanello di argento, nella Settimana Santa la traccola. Serve a dare il segnale. In certi posti, bisogna fermarsi; davanti al Casino di convegno, per esempio; sotto le case del sindaco e degli assessori, se si trovano su la via; sotto i monasteri delle monache, perché possano osservar bene il sepolcro col Cristo morto... Papà si è fatta fare la lezione da don Giuseppe, usciere comunale pratico di tutti i cerimoniali vecchi e nuovi.»
Giulia, intanto, trattenutasi indietro, sussurrava all'orecchio di Ruggero:.
«Hai visto la tuba dell'Agente?»
«Sembra un fumaiolo» rispondeva Ruggero, sottovoce. «Vo' domandargli se fa razza...»
Grande illuminazione fin dall'anticamera: tutti gli usci spalancati. Parecchi altri invitati, signore, ragazzi e bambini, che già avevano preso posto nei balconi, rientrarono un po' per curiosità, un po' per convenienza; l'apparizione della famiglia dell'Agente era un avvenimento di cui si parlava da una settimana in tutta Marzallo. Angelica si affaccendava di qua e di là per le presentazioni.
«La signora Bisicchia, moglie dell'assessore anziano. Carolina, sua figlia... La signora Zapulla, notaressa.»
«Venga, venga qua» disse Giulia, prendendo Eugenia per mano.
E presso il gran balcone di centro, presentava le signore che si erano alzate da sedere al loro arrivo:
«Le signorine Zuccarello; la zia Vita, cugina di papà; la signora Di Maggio, zia delle signorine...»
«Si sono scomodate per causa mia...»
«Segga qui, è il miglior posto» rispose a Eugenia una delle Zuccarello. «Era serbato per lei.»
«Eh, c'è posto per tutte!» disse la zia Vita, mettendosi a sedere. «Do il buon esempio.»
Angelica venne a scusare la mamma.
«È in uno dei suoi peggiori momenti. Ha voluto in camera il dottore. Ormai ci siamo abituate.»
«Ogni famiglia ha la sua croce» sentenziò la signora Di Maggio.
Patrizio, rimasto in disparte con Ruggero, guardava un ritratto appeso alla parete.
«È del nonno, da senatore comunale» spiegava Ruggero. «Alla spagnola, ogni assessore era allora senatore; e quella toga, nelle feste pubbliche, dava aria maestosa alle autorità.»
«Non l'ho conosciuto. Ai suoi tempi, era il terrore dei panettieri e dei macellai. Se ne parla tuttavia. Andava per le spicce; invece di multe, bastonate con la canna d'India dal pomo d'oro, che non lasciava mai; e due, tre giorni di carcere per giunta. Oh, non canzonava! E il popolino lo portava in palma di mano. Non canzonava neppure in famiglia a quel che racconta papà. Canna d'India per tutti, anche per papà, già ammogliato e padre di due figliuole. Par vivo nel ritratto. E somigliantissimo, a quel che assicurano. Ma io la trattengo qui, e lei è uscito dal suo romitorio soltanto per vedere la processione. Saracenata! come diciamo qui. Il parroco si è messo attorno a papà, e tanto ha detto, tanto ha fatto!... Quistione di elezioni comunali, si capisce! Certe cose però, a questi lumi di luna, non si dovrebbero vedere più. Non le pare?»
«Ci vogliono i flagellanti per stanarlo!» esclamò il dottor Mola sopraggiungendo.
«Lei oggi è felice coi suoi flagellanti!» gli disse Ruggero, che soleva incitarlo.
«L'amico è di scuola modera!» rispose il dottore rivolgendosi a Patrizio. «Voglio scandalizzarlo. Non sono né felice, né niente; non m'indigno però.»
«Saracenate! Saracenate!» ripeteva Ruggero. «E, forse, i Saraceni non le farebbero nemmen loro al giorno d'oggi! Vergogna!»
«Lasciali fare, figliuolo mio!»
«Si figuri, signor Agente!» continuava il giovanotto. «Ladri, ammoniti, la peggiore schiuma del paese; i flagellanti non sono altro.»
«Lasciali fare! Lasciali fare!» rispondeva il dottore. «È bene che cotesta gente, una volta all'anno almeno, creda in Dio e faccia penitenza. Si flagellano sul serio; intendi? Un buon salasso, a guardar le cose anche materialmente, non fa male a costoro. Qualcuno ne muore, parecchi si ammalano, tutti rimangono spossati per parecchie settimane... È un guadagno. Si pongono in circostanza di non poter commettere, per un certo tempo, nessuna cattiva azione... Te ne persuadi? La religione, anche quando diventa un po' superstiziosa, dà sempre buoni frutti. Sono poveri ignoranti; bisogna compatirli!» soggiunse, rivolto a Patrizio.
«È ignorante anche il parroco?» insistette Ruggero.
«È di buona fede, è persona pratica certamente; prende gli uomini pel loro verso... All'Agente, a te, a me, non direbbe mai che la disciplina a sangue sia cosa gradita a Dio e degna d'essere praticata. Parlerebbe altro linguaggio, quello del ragionamento e della persuasione. I ladri, gli ammoniti, coloro che tu chiami la peggiore schiuma del paese, non lo comprenderebbero; sarebbe come parlar turco con essi. Intendi, libero pensatore mio, che non pensi niente, né puoi pensare?»
«Il progresso spazzerà via tutti i parrucconi!» disse Ruggero.
«Spazzate, spazzate pure, figliuoli miei! Io sono vecchio; mi spazzerà via la morte prima assai di voialtri. Non dubitate però, ci sarà chi spazzerà voi e di mala maniera! Chi non teme Dio, può aver paura delle persone di questo mondo?»
«Initium sapientiae!... Lo ripeta» rispose Ruggero, facendogli il verso con la voce e col gesto.
«A te, sarebbe inutile dirlo; sei moralmente sordo, caro mio! Ci vorrebbe tuo nonno, per sturarti gli orecchi con la sua canna d'India. Lasciami salutare le signore.»
Nella via male illuminata con tutto il gran sfoggio di lanterne di carta, la folla si pigiava variopinta, e rumoreggiava in attesa della processione; fiume di teste che sotto la casa del sindaco guardavano in alto, per vedere la moglie dell'Agente. Una dozzina di giovanotti si erano radunati davanti a la banca del notaio Grosso, proprio dirimpetto al gran balcone centrale; e cicalavano guardando in su con insistenza, facendo commenti; si capiva dai gesti. Angelica, che aveva ravvisato tra costoro la malombra di Giulia, dal terrazzino accanto sorvegliava la sorella seduta presso di Eugenia, a cui dava spiegazioni gesticolando e ridendo per farsi scorgere da lui. Angelica si rodeva dentro per quella telegrafia non potuta impedire.
Ma già risonava in fondo alla via il sordo rullo dei tamburi che precedevano le confraternite. Laggiù la folla si apriva, e spuntava un gran stendardo, che pareva fendesse il cielo coi luccicori della sua stoffa tramata a lamine d'argento e ricca di ricami d'oro. Indi, a due a due, brillavano a un tratto, tra il nero della calca, le torce accese, protette da lanternini di carta bianchi, rossi, gialli, verdi, che illuminavano i candidi cappucci e le mantelline color porpora dei confrati.
Eugenia si protendeva dalla ringhiera per veder meglio lo spettacolo; e non si accorgeva che, nei balconi e nella via, lo spettacolo per gli altri era lei: la sua personcina svelta, la modesta eleganza del suo vestito grigio-ferro, il suo volto un po' dimagrito e un po' pallido, i begli occhi neri, i capelli nerissimi ondulati, pettinati semplicemente, un po' arruffati su la fronte. Era seria, commossa, e anche un tantino stordita dalla vista di tutta quella folla rumorosa, che si mescolava, si agitava per l'avvicinarsi della processione. I rulli dei tamburi, abbassati di tono, ora si sentivano più distinti, a intervalli, simili a quelli d'un convoglio funebre. A ondate, arrivavano e le lamentose note della marcia funebre della Jone, suonata dalla banda musicale dietro il corteo, e il salmodiare dei preti che non si vedevano ancora, perché la via faceva gomito presso la chiesa del Rosario.
All'inoltrarsi dei tamburini, un gran solco si apriva tra la folla. Nino il macellaio, Beppe l'orbo, facchino di piazza, e maestro Mario Patruzza, infagottati con le belle toghe di seta bigia, il cappello schiacciato, della stessa stoffa, pendente dietro le spalle, la cigna di cuoio con piastre di rame a traverso il petto e i tamburini su l'anca sinistra, procedevano alteri, rullando assieme, con lunghe pause, tristamente; e la gente rideva, quando qualcuno li apostrofava al passaggio.
«Ecco la confraternita del Santissimo Sacramento» diceva a Eugenia la signora Bisicchia. «L'altra che segue è del Santissimo Rosario; si distingue per la mantelletta verde. È la più ricca; ha tanti beni! Se li gode il cassiere.»
«Incappucciati a quel modo, con quei due buchi neri sul viso, i confrati mi hanno fatto sempre paura» interruppe Giulia. «Come sono brutti!»
«Ecco la confraternita dei nobili» indicava la signora Bisicchia. «Tutti in bianco.»
«Dei nobili spiantati, bisogna dire» soggiunse Giulia ridendo. «La famiglia del barone Ciocia ha il privilegio di portare il gran lanternone d'argento dietro il Santissimo. Il vecchio barone, che si regge appena su le gambe, si farebbe ammazzare prima di cederlo a un altro. Reggono il lanternone da padre in figlio. Lo impegnerebbe volentieri, per desinar meglio un paio di giorni!»
E la processione continuava a sfilare, lenta, interminabile; stendardi e confraternite, e poi stendardi e confraternite, e stendardi e confraternite ancora; un riverente silenzio si spandeva tra la folla. Ora venivano avanti le Congregazioni dell'Immacolata e di San Rocco, precedute dai loro pennoni; le Società dei grossi massai, dei contadini, degli operai di ogni mestiere, tutti in abito scuro, gravi di portamento, con corone di spine in testa e in mano torce con lanternini di carta, su cui trasparivano rozzamente istoriati i vari attrezzi della Passione: tre chiodi, il martello, la scala, la spugna dell'aceto e del fiele, o il velo della Veronica, o la croce soltanto.
«E i flagellanti?» domandò Giulia alla signora Di Maggio.
«Seguono il Santo Sepolcro. Ecco le bandiere!»
Una fitta d'ampie bandiere a due colori, bianco e rosso, bianco e cilestrino, rosso e giallo, s'inoltrava, ondeggiando all'aria in fondo alla via; pareva che i varii colori si azzuffassero, quando il venticello le agitava.
«Questo è niente!» rimpiangeva la zia Vita. «Che concludono le sole bandiere? Una volta c'erano anche i giudei con gli elmi e le corazze, montanti su cavalli riccamente bardati. Allora, sì, era uno spettacolo degno d'essere veduto! Parlo di avanti il quarantotto; me ne ricordo appena.»
«Ruggero sbadiglia dalla noia» disse Giulia a Eugenia. «Avrebbe voluto andarsene con gli amici, a divertirsi tra la folla. Papà gli ha ordinato di rimanere in casa con noi.»
Eugenia si voltò dalla parte indicata. Ruggero e Patrizio si erano rincattucciati nel balcone della camera appresso, dove sedevano la signora Geltrude, Benedetta e il dottor Mola. Il giovanotto sorpassava Patrizio con l'intiera altezza della testa folta di capelli tagliati a spazzola. Accortosi della mossa di Eugenia, e supponendo ch'ella volesse dire qualche cosa a Patrizio, gli accennò col gomito.
«Mi vuoi costì?» domandò l'Agente.
Eugenia rispose di no con un segno del capo, sorridendo; e si voltò subito a continuare a guardare la processione. Però quella florida figura di giovanotto, forte, dalle spalle larghe, dalla bruna tinta del volto, dai baffetti neri che s'incurvavano appena, quantunque continuamente tormentati dalle dita ora dell'una ora dell'altra mano; quella figura, al cui confronto la persona di Patrizio si rimpicciniva e invecchiava, le rimase per alcuni istanti dinanzi agli occhi, quasi a velarle lo spettacolo della via.
Un po' disordinatamente, già sfilavano là sotto le bandiere di seta a due colori, portate da ragazzi che ne reggevano le aste: una cinquantina. Appresso, in lunghe file, chierici e preti, in cotta e cappa nera, con la torcia in una mano, il pollice dell'altra agganciato alla borchia d'argento della cappa. Le loro lamentazioni a canto fermo si confondevano con lo strosciar della stoffa di seta delle bandiere sbattute dal vento.
La folla, che s'era inginocchiata scoprendosi il capo al passaggio del baldacchino di broccato, sotto cui il parroco portava solennemente la reliquia della croce, si levava subito in piedi, agitata dalla curiosità, con vasto mormorio. E su quella marea di teste umane sorgevano qua e là braccia accennanti con la mano, e bambini levati in alto dai parenti perché vedessero anch'essi il Cristo morto e i flagellanti. Per alcuni minuti la processione fu interrotta.
Al rumore secco della traccola scossa dal sindaco laggiù, laggiù, la barella dorata del Cristo morto, a foggia di tumulo, barcollava con i lanternini che la circondavano, quasi sornuotante su quel fiume di teste; e non riusciva ad aprirsi un passaggio. Gran rumore, misto di voci urlanti e di scrosci, come di catene sbattute insieme, sboccava dalla cantonata dove la via faceva gomito...
«I flagellanti! I flagellanti! Eccoli! Eccoli!»
Pareva che la processione si fosse cangiata in tumulto.
«Papà è là. Guardi!» disse Giulia a Eugenia. «I carabinieri tentano di far largo...»
«Che confusione!» esclamava la zia Vita. «Non c'è più rispetto per le cose sante.»
Il rumore della traccolina s'udiva di nuovo, prolungatamente. Eugenia vedeva il braccio del cavaliere levato in alto, con la mano guantata che agitava la traccolina per dare il segnale. Ma i confrati, che portavano a spalla il Santo Sepolcro, reggendosi a le forcine su cui poggiavano le aste della barella nelle frequenti fermate, dovevano arrestarsi a ogni due passi, impediti dalla folla.
Intanto la processione si riannodava; la gente, sospinta dai carabinieri, lasciava libero il passaggio. Il Santo Sepolcro, con l'armatura di legno dorato, guarnita di grandi cristalli, veniva innanzi preceduto dai mazzieri del comune, dal segretario, dal sindaco che straccolava a ogni ventina di passi e si voltava a guardare verso i terrazzini di casa sua. Il tumulto aumentava.
«I flagellanti! I flagellanti! Eccoli! Eccoli!»
A due a due, ignudi, ricinti i fianchi da larga fascia bianca di tela, essi s'avanzavano, battendosi le spalle con le discipline laceranti, urlando:
«Pietà, Signore, pietà! Misericordia, Signore!»
Su per le braccia abbronzite e le vellose spalle, larghe righe di sangue scorrevano; piaghe, già nere pei grumi formatisi lungo la via, si riaprivano sotto i colpi.
«Misericordia, Signore! Pietà, Signore, pietà!»
E le discipline agitate per aria, incessantemente colpivano quasi con rabbia, aprendo nuove ferite, facendo sprizzare altre righe di sangue su quei corpi che già mettevano orrore.
Coi capelli in disordine, con la faccia sanguinolenta per le lacerazioni prodotte alla testa e alla fronte dalla corona di pungentissime spine conficcata nella pelle e scossa dall'agitarsi di tutta la persona ricurva, essi non sembravano più creature umane, civili, ma selvaggi sbucati improvvisamente da terre ignote, ebbri di sacro furore pei loro riti nefandi, come diceva in quel punto a Patrizio Ruggero indignato.
«Poveracci! Non si reggono in piedi!» esclamò Eugenia.
Non avrebbe voluto guardarli; ma quell'orrore l'attirava, facendole scorrere un gran brivido per le ossa.
Giulia aveva le lacrime agli occhi. La zia Vita piangeva a dirotto, ripetendo sommessamente:
«Pietà, Signore, pietà! Misericordia, Signore!»
Così faceva ad alta voce, sul passaggio, parte della folla commossa; mentre parte, urtandosi, sospingendosi, insultandosi, si rovesciava dietro la banda, che in coda alla processione continuava a suonare la marcia funebre della Jone; ma la musica si sentiva appena, sopraffatta dal tumulto delle varie voci e dal sordo rumore delle discipline di ferro, sbattute dai flagellanti su le loro spalle sanguinose.
«Che cosa è accaduto? Donna Geltrude si sente male?» disse Giulia, vedendo Patrizio, Ruggero e il dottore agitarsi premurosamente sul balcone.
Eugenia accorse seguita da Giulia e dalle signore Vita e Di Maggio.
«Si sente male?» domandò a Patrizio.
«Un po' di intorpidimento alle gambe. Lo star seduta così a lungo, forse...»
«È malaticcia, povera signora!» diceva Giulia alla zia.
«Ha un viso che non mi piace. Non vi sembra, dottore?» domandò la signora Di Maggio.
«Zitta!» rispose il dottor Mola, mentre tirava in disparte Ruggero: «La portantina! Manda qualcuno dai Gennaro che la prestano volentieri. Si tratta di paralisi!... Non dir nulla...»
E tornava subito presso la signora Geltrude.
Due volte Patrizio aveva tentato di farla camminare, sorreggendola, ma invano. Ella lo guardava senza poter parlare; e pareva che tutta la potenza vitale del corpo le si fosse raccolta negli occhi. Anche le braccia cascavano inerti, appena Patrizio le rilasciava.
«Niente di grave, forse...» balbettò il dottore.
«Non può rimanere qui...» disse Patrizio. «Ed era venuta così volentieri!»
Eugenia tremava come una foglia, quantunque non avesse ben capito di che cosa si trattasse; e indistintamente mormorava:
«Oh, Madonna santa! Oh, Signore!»