Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Profumo
Lettura del testo

AI FAMILIARI.

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«Prendi un po' di riposo. Son due notti e due giorni che non chiudi occhio. Ti ammalerai anche tu.»

«Dice benissimo la signora; riposatevi almeno un par d'ore! Bisognerebbe essere di bronzo per resistere a questi eccessi

Patrizio non dava ascolto alle preghiere di Eugenia, né alle esortazioni del dottore. Pallido, con gli occhi infossati, il viso istupidito dall'angoscia, e la voce molle dalle lagrime che egli comprimeva per non ispaventare l'inferma, pareva proprio un fantasma se interrogava insistentemente, se sollecitava un servizio, se dava ordini a Dorata, al Padreterno, a Zuccaro o agli altri commessi pronti ad andare dovunque occorresse.

Seduto al capezzale del letto su cui la sua povera mamma giaceva immobile come una morta (e sembrava tale ne momenti che il coma le faceva chiudere gli occhi), egli stringeva tra le mani convulse le inerti e scarne mani di lei, ansioso di sorprendere qualche piccolo movimento nei muscoli paralizzati dal fiero colpo apoplettico... Niente! Niente!...

Allora si rizzava, per chinarsi subito su quel viso terreo, dove gli occhi conservavano integro lo sguardo indagatore e penetrante; e smaniando domandava:

«Mamma, mi senti? Fammi un cenno

Quegli occhi lo guardavano fisso; uno scintillìo di intelligenza si accendeva in fondo alla grigia pupilla, parole dell'anima certamente; niente altro. Ed egli ricadeva su la seggiola con la desolazione nel cuore, per ricominciare da a poco, lusingato da nuova speranza ed egualmente deluso.

Dappiè del letto, di faccia a lui, Eugenia - che mostrava sul volto le tracce dell'insolita veglia, quantunque quella mattina, per ordine del medico, si fosse riposata alcune ore - seguiva attentamente ogni movimento di Patrizio, tendeva l'orecchio a ogni parola da lui mormorata alla mamma. E quando Patrizio, chino sovr'essa, le ripeteva: «Mamma, mi senti?» e attendeva la risposta con gli occhi spalancati su quegli altri occhi che lo guardavano fisso fisso, ella si sentiva invadere da un terror folle; come se tra quei due avvenisse in quell'istante qualcosa di misterioso, a cui ella doveva rimanere estranea; qualcosa di malaugurato, che le sarebbe pesato addosso, anche allorché colei non sarebbe stata più !

«Lasciala tranquilla!» gli disse Eugenia quella mattina, prendendolo per la mano. «Non vedi che non può parlare

«Mi sente, m'intende; glielo leggo nello sguardo» rispose Patrizio. «È vero» mamma, che tu mi senti? Non scoraggiarti. Vinceremo il male. Ecco qui il dottore. Lo riconosci

Eugenia notò, con dispetto, che neppure quella volta egli aveva accennato che c'era anche lei! E si levò subito da sedere, col pretesto di cedere il posto al nuovo arrivato.

Le pareva di fare o d'aver fatto un brutto sogno a occhi aperti. L'orrore della vista dei flagellanti le si confondeva, nella mente turbata, con l'orrore di quell'affannato ritorno a casa dietro la portantina preceduta dalla lanterna, lungo le buie viuzze dovute attraversare per evitare la folla. Appoggiata al braccio di Patrizio, che camminava muto e quasi barcollante, ella stentava a seguirlo. Piangeva, ma per lui. Di tratto in tratto, si asciugava gli occhi, si faceva forza per dirgli qualche parola di conforto, e non riceveva risposta. Le buie viuzze si seguivano, s'avvolgevano, parevano un laberinto di cui non si sapeva trovar l'uscita. Nel silenzio della notte e dei luoghi deserti di gente, i passi del triste convoglio risonavano cupi sul selciato mal commesso, dove ella inciampava per l'andare affrettato. Quel funebre arnese procedeva, nero tra i neri profili degli uomini che lo portavano dai due capi con movimento a balzi; procedeva, sostava, riprendeva il cammino, sostava di nuovo.

A ogni fermata, l'uomo dalla lanterna tornava indietro e rischiarava l'interno della portantina; Patrizio, lei, Ruggero, che aveva voluto accompagnarli, si precipitavano tutti attorno agli sportelli... Ma le figure delle due persone sedute dentro, una dirimpetto all'altra - la vecchia col viso sconvolto e gli occhi smarriti, abbandonata da un lato; il dottore, curvo, quasi ripiegato per lo scarso spazio, con tra le mani i polsi di quella - ora, ricordando o sognando (non lo capiva bene), le si confondevano nell'immaginazione con la figura del Cristo morto, steso su la barella dorata, dietro i larghi cristalli circondati dai fanaletti accesi; e le poche parole scambiate a voce bassa tra il dottore, Patrizio, lei, Ruggero e i portatori, le si mutavano a poco a poco in quel mormorio tumultuoso della folla, in quel grido straziante: «Misericordia, Signore! Pietà, Signore!» che quella sera fatale l'aveva sbalordita!

Ahimè, non era un brutto sogno! Poteva non credere ai propri occhi vedendo giacente nel letto il corpo mal vivo che guardava fisso? Poteva mai dubitare udendo la desolata, insistente domanda: «Mamma, mi senti? Mamma, mi senti?».

Il dottor Mola quella sera aveva detto subito a Patrizio:

«Bisognerebbe allontanare di qui la vostra signora. Ho paura di una ricaduta

«Allontanarla?... In che maniera?» aveva egli risposto come un sonnambulo. «Glielo dica lei; lo ascolta. Io non ho testa

Ma Eugenia s'era indignata:

«Abbandonar Patrizio in questi momenti? Oh!...»

E aveva voluto vegliare assieme con lui, ostinata, irremovibile, senza lasciarlo solo neppure un minuto la prima notte e gran parte del giorno appresso. Sostenuta dal suo stesso sbalordimento, eccitata dalla pietà dell'immenso dolore di lui, dimenticando i torti della suocera, aveva fin vinta la gran ripugnanza che quel corpo inerte le ispirava; ed era accorsa premurosamente ogni volta che era stato necessario sollevarla sui guanciali, o mutarla di fianco, per impedire che altre mani la toccassero all'infuori delle sue e di quelle di Patrizio.

Incontrandosi negli sguardi fissi e duri dell'inferma, che le sembrava volesse farle male anche allora, li aveva sempre evitati. Per istintiva delicatezza di sentimento, aveva cercato di non farsi scorgere nemmeno compiendo la sua umile opera d'infermiera con l'applicare i senapismi, col rinnovare le pezzette delle bagnature diacce alla fronte. E nelle lunghe ore di fallace speranza in una benigna risoluzione della crisi, quando nel silenzio della camera si sentiva soltanto il respiro affannato dell'inferma, e in quel volto emaciato dagli anni e dai patimenti, ora immobilizzato dalla paralisi, gli occhi si muovevano lenti per figgersi su qualcuno, quasi cercassero chi potesse intendere il loro muto linguaggio, Eugenia si teneva un po' indietro su la seggiola dappiè del letto, spinta da inconsapevole suggerimento del suo buon cuore.

Perciò si sentì offesa, non appena le parve di comprendere bene l'intenzione di Patrizio e i di lui pretesti per tenerla discosta, per celarne la presenza alla mamma a fine di risparmiarle in quello stato una sensazione spiacevole.

Benedetta e Giulia, arrivate poco dopo assieme col fratello, la trovarono piangente, sola sola, nella sua camera.

«La signora sta peggiodomandò Benedetta.

«Sempre lo stesso» ella rispose con voce cupa.

«Non piangadisse Giulia, abbracciandola e asciugandole gli occhi col fazzoletto prèsole di mano. «Si faccia coraggio

«Povero Agente! Vuol tanto bene alla mamma e n'era voluto tanto benesoggiunse Benedetta. «So io come parlava del figliuolo! Bisognava sentirla

«Il dottore che ne dicedomandò Ruggero a Eugenia.

«Dice che è gravissima

«L'età della povera signora complica il male» riprese Benedetta, scrollando la testa, atteggiando le labbra a compassione. «Non riesce a parlare affatto affatto? Che tormento dev'essere non poter dire, in fin di vita, una sola parola al proprio figliuolo

Eugenia portò il fazzoletto agli occhi. Quella pietà la irritava. Tutti compiangevano la vecchia che il gastigo di Dio aveva colpita, sì, il gastigo di Dio, (Eugenia in quel momento n'era proprio convinta!) Nessuno compiangeva lei. Ma la sua liberazione era prossima. Avrebbe respirato, finalmente! Finalmente avrebbe potuto amare ed essere amata senza che quel fantasma si presentasse improvviso a interrompere i baci, a disturbare le carezze di Patrizio e di lei! Ondate di fiele le allagavano il cuore come non le era mai accaduto fin allora. Tutte le sue amarezze vi si rimescolavano, vi venivano a galla: e quelle ondate, che le fiottavano dentro con rapide pulsazioni, montavano su, su, fino ad attossicarle la bocca. Più Benedetta si diffondeva a compatire l'inferma, anzi a farne l'elogio quasi fosse già morta, e più Eugenia sentiva accrescere la sua spietata soddisfazione. Quando Ruggero, per interrompere la sorella, disse: «Eh via! Non muore poi nel fior degli anni!». Eugenia lo guardò riconoscente; per poco non sorrise.

«Così malaticcia e sofferente come dite sia stata sempre» continuò Ruggero «forse non le dispiace morire. Che si fa a questo mondo quando la vita è una pena? Si soffre e si fa soffrire

Egli parlava rivolto a Eugenia, ritorcendo fra l'indice e il pollice d'una mano le punte dei baffettini, con lo sguardo fissato negli occhi di lei, rossi di pianto, quasi vi leggesse nettamente quel ch'ella pensava in quel punto e le desse ragione e l'approvasse. «Si soffre e si fa soffrire!» Oh, se l'aveva fatta soffrire colei!

Imbarazzata però dallo sguardo di Ruggero, Eugenia sentiva rapidamente racchetare il violento impeto di odio che le aveva attossicato anche la bocca. Da a poco - e se ne stupiva ella stessa - presso al letto dell'inferma che rantolava cerea in volto, con gli occhi serrati, le occhiaie livide e la bocca un tantino contorta dal lato sinistro, da a poco ne provava anche e vergogna e rimorso.

Patrizio, in piedi, strizzandosi le mani, intento su l'addormentata, il cui magrissimo corpo quasi spariva sotto la coperta, resisteva alle calde preghiere del dottore che avrebbe voluto pietosamente allontanarlo di . Pareva non udisse o non comprendesse. Eugenia gli si accostò e lo prese per una mano.

«Patrizio!... Patrizio!... Fatti animo!... Non essere un bambino!...» gli andava dicendo, trascinandolo via dolcemente nella loro camera, passandogli un braccio attorno il corpo quasi a sospingerlo. «Patrizio, scuotiti!... Mi fai paura!... Non essere un bambino!... Riposati! Riposati almeno pochi minuti!... Patrizio

I singhiozzi le impedivano la parola, le lagrime le inondavano il viso, intanto che egli, aiutato da Ruggero, si lasciava cascare sul letto come corpo morto, bocconi, singhiozzando alla sua volta:

«Mamma! Mamma mia cara! Povera mamma

«Sì, sì, piangi. Da' sfogo al dolore!... Sarà bene

Non sapeva in che modo farsi perdonare la cattiveria di poc'anzi; e gli accarezzava la testa, gli stringeva fortemente la mano che egli le aveva abbandonata. Se fosse stato possibile, in quel punto Eugenia avrebbe sacrificato metà della sua vita per salvare la mamma morente (diceva proprio: «La mamma» nel suo pensiero!) - e così sollevar Patrizio da quell'abbattimento angoscioso, da quella ineffabile tortura.

«È sua madre! È sua madre!» si ripeteva da sé, per convincersi meglio della ragionevolezza della sua compassione, per fortificare il suo povero cuore vacillante, sbattuto tra gli opposti sentimenti che vi scoppiavano da due giorni in tumulto, lottanti tra loro e racchetandosi e riprendendo vigore, eccitandola con fulminei sbuffi di malvagi rancori e opprimendola tosto con lunghi pentimenti e rimorsi.

«È sua madre! È sua madre!» ella rispose a Ruggero, che tentava anche lui di consolare Patrizio.

E glielo disse con tal accento che quegli si allontanò riputando importuna l'opera sua.

«Benedetta e io restiamo qui» gli sussurrò Giulia in un orecchio, rientrando dalla camera dell'inferma. «È già agonizzante. Può spirare da un momento all'altro!»

Il dottore, dati alcuni ordini al Padreterno, si apprestava ad andar via.

«È morta?» venne a domandargli Ruggero sottovoce.

«No. Ma è inutile che io stia ancora qui. Ho mandato a chiamare un prete, per le preghiere dei moribondi soltanto. La catastrofe è sopraggiunta più presto che non credevo. Povero Agente! Fa pietà

Eugenia, dall'aria di Giulia, dall'accorrere di Ruggero nell'altra stanza, aveva subito indovinato quello che stava per accadere, e portò le mani alla testa affondando le dita tra i capelli:

«Oh Dio! Oh Diocominciò a balbettare sommessamente.

Giulia le fe' segno di frenarsi, accennando a Patrizio che pareva addormentato.

Tutt'a un tratto lo videro balzar su, con gli occhi sbarrati, pallidissimo, gridando:

«Muore!... Muore!...»

Gli era parso, tra sonno e veglia, di sentirsi chiamare due volte dalla fioca voce della moribonda! E prima che potessero pensare a trattenerlo, era già sull'uscio, dove il dottore e Ruggero gli sbarrarono il passo:

«Fate la volontà di Dio!...» gli diceva il dottore. «Non le turbate l'estremo passaggio

Patrizio strinse i denti, die' una scossa con tutta la persona» quasi a comprimere l'ambascia che lo faceva contorcere come un serpe; e promettendo, più che con le parole coi gesti, di far ogni sforzo per contenersi, supplicava desolatamente che lo lasciassero entrare.

Supina, col petto che si sollevava e si abbassava pel respiro affannato, con gli occhi intorbidati, spalancati e fissi nel vuoto, il viso disfatto, il naso filiginoso, l'inferma rantolava stancamente a intervalli, che di mano in mano diventavano più lunghi e più strazianti.

Nella camera, silenzio profondo.

Patrizio era caduto in ginocchio davanti al letto, inebetito, con le mani giunte in atto di preghiera; e a quella vista si erano inginocchiati anche gli altri, tranne Eugenia e Giulia che la sosteneva da un lato.

Eugenia si sentiva trattenuta in piedi dal fascino delle torbide pupille della morente che le parevano fissate intensamente su lei, piene del loro ultimo cruccio, quasi maledicenti insieme con quel rantolo che le sembrava parola.

«No! No!... Perché?... Mamma, perché?» avrebbe voluto gridarle.

Ma la sua lingua era legata. Sopraffatta da un orrore nuovo, Eugenia sentiva in tutto il corpo il rapido ridestarsi del suo male, creduto domato; e tremava, tremava senza poter distogliere lo sguardo dalle torbide pupille che lo evocavano su, con terribile malia, da tutte le parti del suo corpo, dove la cura del dottor Mola lo aveva già ricacciato.

«No! No! Oh, mamma!... Perché? Perché?»

Portò le mani alla gola per tentar di sciogliere il nodo da cui si sentiva soffocata, e si rovesciò indietro con un rantolo che si confuse con l'ultimo fioco rantolo della morente.

Patrizio non sentì niente, né vide Giulia e Ruggero portar via la povera Eugenia che si agitava violentemente.

I suoi sguardi eran rimasti inchiodati sul volto, immobile e senza vita neppure negli occhi, di colei che era stata la prima, la più grande, l'unica adorazione del suo cuore. Non poteva affatto persuadersi che già fosse cadavere; e gli pareva impossibile che, dopo così terribile scena, egli potesse ancora continuare a vivere e a pensare! Non piangeva, non diceva nulla, restava in ginocchio, con le mani giunte, opponendo tutta la inerzia del suo corpo affranto al dottore, a Zuccaro e a Griffo che volevano portarlo via.

E rifletteva, come in vaneggiamento muto:

«Morta! Morta senza potermi dire una sola parola! Morta, forse, senza aver sentito la mia voce! Morta in questo modo, quasi abbia voluto andarsene per sempre col broncio, con la collera che mi ha mostrato fino a pochi giorni fa, inesorabile, implacabile! Che orrore

«Rassegnatevi! Fate la volontà di Dio!» gli ripetè il dottor Mola prendendolo per le braccia.

Il pianto gli scattò dal cuore tutt'a un tratto, e singhiozzando «Mamma! Mamma!» si rizzò per coprire di baci e bagnare di lacrime la squallida faccia della venerata sua morta.


 


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