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Eugenia aveva avuto l'imprudente curiosità d'informarsi da Giulia se Ruggero aveva mantenuto la sua promessa.
«Ha voluto perfino mutar camera» rispose Giulia. «Oh, con le buone maniere, gli si fa fare quel che si vuole!»
«Ed è proprio bella costei?» domandò Eugenia, con aria distratta.
«Pare una signora! Alta, bianca come il latte; capigliatura nerissima, da fare invidia; vita stretta quanto un anello. Si chiama Santa.»
L'ascoltava ansiosa, con una lieve puntura di gelosia al cuore; contenta e, nel tempo istesso, corrucciata che egli avesse mantenuto la sua parola, quasi le imponesse con quel sacrificio l'obbligo di un compenso. Perciò soggiunse:
«Andrà via presto tuo fratello?»
«Tra due mesi. In due mesi» seguitò Giulia, dopo un istante di pausa «possono accadere tante cose!»
«Niente.»
Tutt'a un tratto Giulia scoppiava in pianto, e le gettava le braccia al collo.
«Gli hanno risposto di no!... Mi mettono con le spalle al muro!... Mi faranno fare una pazzia!»
Parlava tra' singhiozzi, col viso nascosto sul petto dell'amica, stringendola convulsamente.
«Coraggio! Si persuaderanno... Lo fanno pel tuo bene!... I genitori hanno certamente le loro ragioni.»
«Ah, mio padre non ragiona!... È montato in furore! Ha dato una rispostaccia!... Quasi si trattasse d'un facchino!»
«Non piangere!» la pregava Eugenia.
Aveva intanto anche lei le lagrime agli occhi, rimescolata da quell'insolito sfogo d'una persona sempre così allegra e così pronta agli scherzi.
«Non piangere! Può sopravvenire qualcuno e sorprenderti in questo stato.»
«È vero... Ruggero è di là» disse Giulia, asciugandosi gli occhi.
E cominciò a raccontare i particolari del fatto, parlando a sbalzi, interrompendosi, correggendosi se si accorgeva di aver dimenticato qualcosa, e ripigliando il filo degli avvenimenti, di tutto quell'inferno di casa sua nei giorni scorsi. Per questo non era venuta a trovarla. Padre, madre, sorelle, quattro mastini contro di lei! Ruggero, zitto, come se non sapesse nulla:
«Significa che non mi dà torto!»
«Calmati! Il tempo aggiusterà ogni cosa.»
«L'aggiusterò io!» rispose Giulia.
«In che maniera?»
«Vedrai!»
«Non parlare così!»
«Farò a modo mio!»
Né volle dire altro. E scoteva tristamente il capo ai buoni consigli di Eugenia, senza alzar gli occhi, come chi è ben deciso e non vuol lasciarsi persuadere del contrario.
«Ecco Ruggero» ella disse, sentendo picchiare all'uscio.
Invece era il Padreterno che si stropicciava le mani tutto contento:
«Vengo con la risposta del canonico Lupi: accetta. Venerdì, sabato e domenica; domenica, messa cantata. Comincerò a preparar l'altare. Cinquanta torce e dugento mortaretti. Ho pensato a tutto. La signora fa un triduo alla Madonna dello Spasimo» soggiunse rivolgendosi a Giulia. «Le signorine vi assisteranno tutti e tre i giorni. Messe e sermoni, trenta lire. Per meno non è stato possibile.»
«Un triduo? Perché?» domandò Giulia, appena il Padreterno fu andato via.
«Per un voto di mesi fa, quand'ero malata.»
«Senti» disse Giulia, esitante. «Cinquanta torce e dugento mortaretti anche per me!... Così non lo saprà nessuno... Non avertelo a male: tutte le spese a mezzo. Ah! se la Vergine benedetta volesse farmi la grazia, come l'ha già fatta anche a te!»
«Sì, sì; figurati!» s'affrettò a rispondere Eugenia. «La Madonna ti consolerà.»
Era lieta di mettere assieme i loro dolori, quantunque cotanto diversi. Poteva mai dirle che ella faceva quel triduo per impetrar pace al suo povero cuore? Poteva mai dirle di quell'atroce spina che le si conficcava tanto più fonda, quanto più ella tentava di strapparla? Poteva mai dirle le notti insonni, o turbate da sogni che, sveglia, aveva vergogna di ricordare? E i nervi sconvolti, che le facevano formicolar le carni, zufolare gli orecchi, atterrendola col presentimento di nuovi accessi del suo male?
«Signore!... E tutt'a un colpo!»
Non sapeva capacitarsene. Il suo turbamento era grande. Si sentiva come legata da giuramento segreto:
«Do la mia parola d'onore... a lei!»
E avrebbe voluto spezzar questa catena. Perché avea taciuto? Perché non si era indignata? Consentimento! Accettazione! E per questo egli le diceva con gli sguardi: «Ora sono vostro, ora che l'ho rotta con Santa!». Non si era lei compiaciuta di tale rottura? Non era stata un momento, un fuggevole momento, anche gelosa di colei? Diventava di bragia, ricordando: fremeva di dispetto, pensando di essere in balia di una forza contro la quale cercava invano di resistere... Ah, soltanto la Madonna poteva salvarla!
Voleva fuggirlo... e lo attendeva con ansia! Non avrebbe voluto nemmeno guardarlo... e, quando gli era presente, pendeva dalle labbra di lui, quasi le sue parole più indifferenti avessero avuto un doppio significato: uno palese per gli altri, uno segreto e ch'ella sola comprendeva!
E i sotterfugi che andava mettendo innanzi per convincersi che non c'era niente di male nelle proprie intenzioni e in quelle di lui? Se ne avvedeva dopo, e se ne accorava come di sintomo grave; spietata nello sfatarli, inesorabile nel condannarsi. Ah, soltanto la Madonna poteva salvarla!
Non le dava più l'animo di sdegnarsi contro Patrizio. Lo evitava, lo sfuggiva; aveva paura che non le leggesse nel cuore. Oh, Dio! Che sarebbe avvenuto, s'egli le avesse letto nel cuore? Come l'avrebbe disprezzata, scacciandola via!... Ed era possibile?... Sarebbe dunque arrivata fino a questo? Si sentiva scoppiare la testa. Le tempie le martellavano; la punta della lingua le s'irrigidiva... No, non era lei che sentiva a quel modo! Non era lei che pensava a quel modo! No, no; era il suo male... Ah, soltanto la Madonna poteva salvarla!
E i pochi giorni che la separavano dal triduo le parvero eterni. E l'occuparsi, insieme col Padreterno, dei preparativi per ornare riccamente l'altare della Madonna le riuscì di sollievo.
«Non più cinquanta ma cento torce, signora? Oh! L'altare parrà una gran vampa.»
«E ognuna con un bel mazzo di fiori.»
«E il parato sia bello più che si può.»
«Don Ignazio il paratore, è già al lavoro. Venga a vedere. Carte nuove, signora, tutte foglie d'oro e disegni stupendi. Le adopra la prima volta.»
«Per suonar l'organo e per cantare?»
«Padre Carmelo, non c'è altri; sentirà che vocione! Al Genitori genitoque tremeranno le vetrate. Gli metterò in un canto della tastiera un'ampollina di moscatello per rinfrescarsi la gola. Ci vuole, signora mia. Il succo della vigna gli piace assai. E se, invece dell'ampollina, fosse un bottiglione... Via! L'ampollina in chiesa, il bottiglione in sagrestia.»
Il Padreterno rideva, arzillo, contento che la sua chiesa abbandonata riprendesse un po' di vita con quel triduo. Che scampanio doveva essere in quei giorni! Insomma, festa coi fiocchi!
Così Eugenia si esaltava, certa della prossima liberazione; e stava un po' meno sulla sua con Ruggero, sicura di poterne sfidare gli sguardi e ascoltarne impunemente le parole. Queste già diventavano di giorno più ardite, d'una arditezza concentrata e contegnosa però, quale poteva essere quella di un giovanotto molto impacciato nella prima avventura con una signora.
Ruggero non sapeva precisamente nemmeno lui che cosa volesse e sperasse da quella passione a cui si era abbandonato dapprima come a uno svago di vacanze e che era diventata a poco a poco molto seria. La tormentosa ansietà che gli faceva girare il capo, spingendolo ad almanaccare cento cose una più assurda dell'altra, lo paralizzava poi nel punto più propizio a lanciare una parola o fare un gesto, un passo decisivo.
L'attitudine di Eugenia lo metteva in imbarazzo. Era gradito? Era sgradito? Non lo sapeva con certezza. A volte gli pareva di sì, a volte no. E ogni mattina, avviandosi verso il convento per la lezione di matematiche, prendeva una risoluzione, tracciava un disegno, scegliendo il luogo, l'ora: preparando con l'immaginazione tutta la scena, quasi i fatti dovessero accadere proprio come li disponeva lui, o nella selva, o su la terrazza, o in camera di Eugenia, mentre Giulia era distratta o lontana e occupata a stuzzicare l'Agente che fumava digerendo la colazione. Ma se una coincidenza fortuita faceva che le circostanze corrispondessero in gran parte col piano immaginato, e ch'egli ed Eugenia si trovassero quasi soli in fondo a un viale o in un angolo della terrazza, e il ragionamento filasse così bene che sarebbe bastato cogliere al balzo un motto, un atto di lei, per dire alfine quella parola, quella frase preparate con grande studio, rimuginate tanto, e che già gli ribollivano dentro e pareva dovessero sfuggirgli di bocca anche all'insaputa, l'animo gli mancava. Prendeva il largo, faceva dei giri, lasciava scapparsi di mano l'occasione; o rimaneva muto, come adombrato, incapace di saltare l'ostacolo. E tornava a giurare a se stesso che un'altra volta sarebbe stato meno timido e meno sciocco; sì, meno sciocco. Non parlava, e pretendeva d'esser capito! Santa però lo aveva capito subito, vedendolo assiduo al balcone; e le lunghe occhiate erano state sufficienti per ottenere un buon esito. Un giorno, all'improvviso, ella s'era ritirata dalla finestra, sorridendo; e poco dopo era tornata ad affacciarsi per dirgli sottovoce: «Lasciatemi stare: che cosa volete?». «Voglio il vostro cuore, comare Santa!» Ah! Con quella non aveva esitato, non aveva avuto timore di niente. Ma era paragone da farsi? E gliel'aveva immolata, povera Santa! E non s'era più fatto vedere al balcone, dalla mattina alla sera, senza una ragione! E il giorno che le aveva sentito cantare: «Chiantai un ciuri la misi d'abrili... Chistu è l'amuri ca un putia finiri... Facitivi la cruci, ca passau!» era diventato rosso dalla vergogna in camera sua. C'era corso poco non avesse rotto la promessa fatta prima a Eugenia e poi all'Agente. E che cosa ne aveva ottenuto?
Almanaccava altri piani, disponeva altre scene. Ora, finita la lezione, scendeva nella selva e infilava i viali sotto le finestre di lei, sperando di trovarla affacciata, come l'altra volta. Avevano discorso un bel quarto d'ora, in uno di quei giorni che Giulia non veniva con lui; e gli era parso un gran che, quantunque avessero ragionato di cose affatto indifferenti.
Quel parlarsi così, lei dalla finestra, lui di laggiù, quasi ci fosse stato un impedimento a farlo da vicino, gli aveva data la strana illusione d'un furtivo colloquio di amore; e per ciò ricercava l'occasione di rinnovarlo. Il caso ordinariamente lo aiutava. A quell'ora, da quel giorno in poi, egli l'aveva trovata spesso alla finestra, o l'aveva veduta affacciarsi appena giunto, quasi ella stesse in ascolto per sentire il rumore dei passi di lui pel viale.
Però quella volta la sorte gli era stata avversa. Passeggiava da un pezzo su e giù, e i vetri delle finestre di Eugenia rimanevano ancora chiusi. Si era fermato a discorrere col Padreterno, che potava la siepe nana di bosso; e alzava la voce per farsi sentire:
«Si lavora, eh? Sagrestano, giardiniere, ciabattino!...»
«Un po' di tutto, per la pagnotta, signorino mio.»
Ruggero guardò in alto. Neppure un'ombra dietro i vetri!
«Ve n'andate?»
«Ho finito. Vado a spazzare la sagrestia.»
Ruggero riprese a passeggiare lungo il viale, con gli occhi alla finestra, impaziente. Se Eugenia si fosse affacciata, no, egli non avrebbe saputo dirle nulla, come tant'altre volte! Infine, che cosa voleva dirle? Che mai pretendeva? Niente, niente! Voleva dirle soltanto: «Perché così rigida con me?». Null'altro. Sì, e poi? Come si era messo in testa che poteva essere corrisposto?... Perché no? Perché no? Ah! Gli sarebbe parso di toccare il cielo col dito.
Arrivato in fondo al viale, presso il muro di cinta, s'era messo a cogliere cime di spigo, e le stropicciava tra le mani, aspirandone l'odore, assorto, quando udì il rumore d'un'imposta che veniva aperta.
Ma non si voltò subito, per dominarsi. Il cuore gli balzava. Poi salutò Eugenia da lontano, cavandosi il cappello.
«Rubo poche cime di spighe» disse.
«Hanno un odore troppo acuto» ella rispose.
«Ne vuole qualcuna?»
Stendeva la mano in atto di porgergliele.
«Se riesce a darmela da costì...»
«Che cosa fa?»
«Mi arrampico a questo mandorlo.»
«No; può cascare!»
«Ho studiato ginnastica.»
«No!» ella insisteva, vedendolo salire lestamente di ramo in ramo.
Era già all'altezza della finestra e si spenzolava dal ramo, che s'incurvava pel peso e pareva dovesse spezzarsi.
«Oh, Madonna! Dia qua, e scenda subito.»
Eugenia sporse fuori il braccio, ed egli le afferrò la mano, quasi lo facesse per caso, ritenendola un momento.
«Come trema!»
«Ho paura per lei.»
«Si sta così comodi quassù! Possiamo conversare.»
«Che stravaganza! Scenda, scenda, o mi ritiro.»
Egli invece si sedeva sul ramo, ridendo:
«Si sta così comodi! È un nuovo modo di far visita alle signore» continuava. «Si rischia qualche cosa; le signore dovranno esser grate... E lei, all'opposto, minaccia di ritirarsi!»
Ma non avrebbe voluto dirle soltanto questo. E si passava la lingua sulle labbra, quasi a provarsi di scioglierla, lieto di veder Eugenia impaurita pel temuto pericolo.
«Il ramo cede. Se mi scavezzassi il collo!...»
E per chiasso lo scosse facendolo piegare.
E si ritrasse dalla finestra. Però guardava dall'interno, allungando il collo, pregando: «Scenda! Scenda!». E allorché capì che non avrebbe facilmente ubbidito, tornò ad affacciarsi, severa:
«Possono vederlo. Che direbbero? Non sta bene. Lo faccia per me!»
«Per lei ho fatto ben altro, e non se n'è neppure accorta!» brontolò.
Gli pareva d'aver detto anche troppo, e attese un istante la risposta, prima di accingersi a discendere. La risposta non venne. Solamente ella lo seguiva con gli occhi mentre si lasciava calare tra un ramo e l'altro, e, vìstolo saltare a terra, respirò:
«Che cosa dovrò fare dunque?»
«Niente» ella rispose.
Perché rimaneva alla finestra? Quella breve altezza le pareva un abisso e le dava le vertigini. Si sentiva attirata laggiù, attirata da quegli sguardi, da quel sorriso pieno di sconforto, da quel silenzio, che pure significava tanto, più di qualunque parola; attirata da quella giovinezza fiorente, da quell'aria balda della persona solidamente impostata su le gambe svelte, da quel piede piccolo e ben calzato, che batteva il suolo con moto irrequieto intanto che gli sguardi continuavano a provocarla. Oh, ma sarebbe stato per poco! Altri due giorni ancora, e la Madonna l'avrebbe liberata e salvata! Altri due giorni ancora, e si sarebbe buttata ai piedi di Patrizio per chiedergli perdono, per confessargli tutto, per avvertirlo del pericolo corso e premunirlo per l'avvenire! La bella Madre Santissima doveva aprire la mente anche a lui, doveva toccargli il cuore, farvi scaturire una fontana d'affetto in cui avrebbero tuffate le labbra tutti e due, insaziatamente. Se non faceva questo miracolo lei, Madre di ogni grazia, chi avrebbe potuto farlo?
Gli occhi le si riempirono di lagrime la mattina del venerdì, quando le campane suonate a festa dal Padreterno e gli spari dei mortaretti la svegliarono di soprassalto, interrompendole un sogno penoso. Le si accapponava la pelle anche sveglia, quasi ella fosse sfuggita davvero alle minacce di morte di quell'orrida figuraccia che l'aveva inseguita pei corridoi del convento, per la terrazza, per la selva, incalzandola fin sul ciglio della rupe, da cui si sarebbe slanciata pazza di terrore, se le campane non l'avessero destata.
Era molle di sudore freddo, e si sentiva stringere la gola.
«Che hai?» le domandò Patrizio.
«Sei ghiaccia! Senti? Il Padreterno si sfoga.»
Ella chiuse gli occhi, rovesciando supina la testa sul guanciale. Come era dolce quell'allegro suono di campane lanciate a distesa mentre la minore squillava con colpi argentini, acutissimi, irrequieti. Pareva che le suonassero proprio sul capo e la sollecitassero a levarsi. Ma ella rimaneva inerte, col cuore ansante, come sconvolto da un addio angoscioso, quasi Ruggero fosse là, così accosto da sentirne il respiro sulla faccia; ed esitasse, timido e rispettoso, nel punto di un bacio supremo, intanto ch'ella non avrebbe esitato più a concedergli le sue labbra... per la prima e l'ultima volta... avanti che la Madonna avesse compiuto il miracolo! Rimaneva inerte prostrata da languore delizioso, tutta vibrante alle ondulazioni del bronzo delle campane che continuavano a suonare a festa: con dentro la gola un singulto salitole dal profondo del petto e che non poteva sprigionarsi; singulto che le metteva spavento, perché le pareva dovesse, insieme, sprigionarsele dalla bocca un nome, quel nome che le avrebbe vuotato il cuore e l'avrebbe lasciata libera e padrona di se medesima!
«No! No!» ella balbettava ansante, spalancando gli occhi al sentirsi inattesamente baciare. «Oh Dio!... Sei tu?... Sei tu!»
«T'eri riaddormentata?» domandò Patrizio. «Sognavi di nuovo?»
«Sì! Sognavo un mostro che m'inseguiva... mi inseguiva.»
«Ah!»
E credette di sorprendere negli sguardi di lui un lampo di diffidenza, un'ombra di sospetto. Per ciò lo guardava fisso, alla prima luce del giorno, mentre egli, aperti gli scuri e finito di vestirsi, si passava le mani sul viso ancora intorpidito dal sonno, ritto nel mezzo della camera, coi capelli e la barba in disordine, come incerto di quel che doveva fare.
Eugenia si levò a sedere sul letto.
Le campane davano gli ultimi squilli, quasi stanche della gioia di aver sonato così a lungo dopo il silenzio di parecchi anni! Soltanto la minore continuava i rintocchi argentini, più forti, più precipitosi; poi, tutt'a un tratto, tacque essa pure.
«È una bella giornata?» domandò Eugenia.
«Bellissima.»
«Perché?»
«Non canzonarmi, se te lo dico.» E soggiunse esitante: «Pel triduo».