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Patrizio era sceso giù nella selva, quasi cacciato via di camera da quel: «Soffro!... Lasciami stare!... Soffro!»
Ah!... Perché le parole, il suono della voce, l'accento, l'espressione della faccia non rivelano mai interamente l'altrui pensiero? Perché tra quei segni e la verità nascosta nell'intimo cervello s'intravede sempre un abisso che nessuno può colmare, né varcare?
«Soffro!» Ma di che cosa?... E perché non voleva essere confortata, né compassionata? «Lasciami stare!» Signore Iddio! E quando glielo ripeteva, dura, accigliata, ostinata?... Appunto quando avrebbe voluto afferrare, nell'attimo, l'occasione, il pretesto per dirle quel che non gli era mai riescito di dire e che, gli soffocava il cuore e lo faceva soffrire e smaniare assai peggio di lei!
Andava a grandi passi lungo i viali, strizzandosi le mani, irritato, anzi offeso della dolcezza autunnale che si diffondeva dalla limpidissima profondità del cielo, dal tepore dell'aria serotina, dal colore delle foglie degli alberi leggermente ingiallite, dal fioco rapido fremito che investiva, a intervalli, i rami degli arboscelli, i cespi delle erbe e delle piante fiorite, lo zampillo della fontana di là della siepe. Quella voluttuosa dolcezza lo investiva, lo vinceva, lo distraeva dall'unico pensiero in cui egli sentiva ormai rifugiata, a cercarvi uno scampo, tutta la vitalità della sua intelligenza e del suo cuore. Lo distraeva anche la voce del Padreterno che, più in là, presso il muro di cinta, canticchiava con voce roca e stonata - pareva gemesse e si lamentasse - dando secchi e frequenti colpi di accetta a un ramo da abbattere.
Per ciò egli esitava d'inoltrarsi verso quella parte, e ritornava su le proprie pedate, non oltrepassando i due ultimi viali; insofferente pure di questo contrattempo, quando la voce roca e lamentosa, arrivandogli più da vicino, pareva gli impedisse di trovare le risposte alle incessanti domande: «Soffre? Ma di che? Lasciarla stare?... Ma perché?»
Di tratto in tratto si arrestava scosso, impaurito di qualcosa che egli non distingueva bene se gli venisse da fuori o da dentro di lui - terror vano? sospetto? realtà? - da qualcosa che gli balenava davanti e spariva senza dargli tempo di raccapezzarsi. E riprendeva a passeggiare più affrettatamente, scotendo la testa, strizzandosi le mani; comprimendosi, contraendosi con tutta la persona, come se da quello sforzo materiale dovesse finalmente scaturir la luce che doveva rischiarargli la tenebra in cui brancolava affannato.
Tra la siepe accosto cominciò a chioccolare un merlo, quasi brontolasse; fischiò, tornò a brontolare. Di cima all'annoso cipresso, che gareggiava per altezza col campanile del convento, rispose, dopo breve pausa, un lesto gorgheggio di usignuolo, che sùbito tacque... Il merlo intanto pareva frugasse, chioccolando a intervalli, brontolando impaziente. Un altro chiocchiolio si udì allora, dolce, dimesso, nel folto della siepe a pochi metri di distanza. E il merlo, che lo aveva certamente riconosciuto, sguisciò di tra le fronde e con volo rapido e breve, chioccolando gioioso, andò a raggiungere la compagna, il cui dolce e dimesso richiamo gli aveva fatto intendere: «Sono qui!». Per un istante i due chioccolii confusero in uno solo, di rimproveri e di carezze insieme. Patrizio era meravigliato di aver potuto dimenticare per qualche minuto il suo dolore e interessarsi a quella scena. Ma quando il brontolio dei due merli cessò e l'usignolo gettò dall'alto del cipresso una melodiosa volata di trilli e di gorgheggi che parve gentile augurio di riposo ai due amanti o sposi appollaiati nella siepe, Patrizio si sentì salire dal cuore una commozione piena d'intensa tristezza.
Era ridotto a questo punto? A invidiare la felicità di due bestioline? Sì, sì; a questo punto!
E l'irritazione compressa gli scoppiava in un gesto di minaccia all'ignoto ostacolo che egli sentiva frapposto tra sua moglie e lui.
Il Padreterno gli veniva incontro, con le maniche della camicia rimboccate sopra gomiti e l'accetta in ispalla, asciugandosi il sudore col fazzoletto a scacchi.
Patrizio lo salutò inchinando il capo, senza rispondere niente.
«Come sta la signora?» riprese il Padreterno. «Meglio, pare, giacché lo veggo qui a prendere un po' d'aria. Sente? Si direbbe che la selva si svegli dal sonno con questo venticello della sera, e parli sottovoce: ciù! ciù! ciù! Dio sia benedetto! Alcune volte non sembra che gli alberi e le piante ragionino tra loro? Sono vivi anch'essi, come noi. Alcuni anzi campano assai più a lungo di noi. Quel cipresso, dicono, ha quasi dugento anni. Beato lui! Ah! Gli alberi stanno meglio di noi cristiani per certe cose. Quando un lor ramo invecchia e si secca, il potatore glielo leva via - ho fatto così or ora, laggiù - ed essi ringiovaniscono, mettono nuovi rami. Io intanto ho le braccia che già mi dicono poco; e se me le facessi potare... addio Padreterno!»
«Non siete allegro oggi» disse Patrizio.
«Come vuole che sia allegro? Solo, senza un cane che mi voglia bene...»
«Vi vogliamo bene noi.»
«Per carità; e Dio deve renderglielo in questa e nell'altra vita... Mah!... Quando penso... E sarebbe meglio non pensarci... Oggi, caro signor Agente, è una brutta giornata pel povero Padreterno!»
«Perché?»
«Perché? Cinquantadue anni oggi... Non mi creda uno sciocco... Certe cose non si dimenticano mai... Se non sono in galera, è un miracolo della Madonna del Carmine... Avrei dovuti ammazzarli tutti e due! Ma la colpa era un po' mia! Ero stato cieco! Ascolti le parole d'un vecchio; se le scriva qui, nella mente (e mi scusi!... Ha moglie anche lei, e giovane e bella): si guardi dai mosconi che ronzano attorno! Chi si guardò si salvò.»
Patrizio, impallidito a un tratto, spalancò gli occhi...
«Era pure giovane e bella mia moglie... Me lo avevano avvertito: «Padreterno, guardatevi dai mosconi!». Proprio queste parole! Ma io avevo una benda su gli occhi; le volevo bene, non la credevo capace... Ah, le donne! Non hanno cervello. E tutte le mie disgrazie son venute di lì!... Quando apersi gli occhi!... Meno male che non avevamo figliuoli. E così, io per una via, lei per un'altra... Ma ero come dimezzato... Queste ferite, signor Agente mio, non rimarginano mai! Cinquantadue anni fa! Come se fosse stato ieri! Lavoro, rido, canto, servo i miei padroni, sì; e porto la maschera da cinquantadue anni... Sia fatta la volontà di Dio. Ma lei, scusi, parlo da ignorante, lei che è giovane ancora, dia retta a me! Via, via i mosconi!»
Patrizio avrebbe voluto saltargli addosso, e costringerlo con la violenza a dir tutto. Nell'atteggiamento delle labbra, nell'espressione degli occhi del Padreterno, gli pareva di scorgere la malizia, l'ironia di chi sa e vuol dire e non dire... Ma si sentiva paralizzato.
Quell'avvertimento corrispondeva a certe parole del dottore, a oscuri presentimenti, a dubbi, a sospetti balenatigli nella mente, spariti, ritornati, spariti di nuovo senza lasciar traccia. Nelle parole del Padreterno c'era... più che un avvertimento qualunque, più che un sospetto campato in aria? E il terrore che colui potesse, tutt'a un tratto, apprendergli... gli diè una stretta così forte al cuore che gli parve di venir meno.
«Si sente male, signor Agente?» domandò il Padreterno avvicinandoglisi con premura. «Si appoggi al mio braccio.»
«No grazie. Vorrei piuttosto passeggiare ancora.»
«Se ho parlato da vecchio stolido, qual sono... mi perdoni, padrone mio!»
Anche queste parole parvero a Patrizio piene di sottile e maliziosa ironia. Per ciò, dopo un istante di esitanza e di stupore, si sentì agghiacciare il sangue e cominciò a tremare internamente, vedendo comparire in fondo al viale Ruggero, che, dal giorno della fuga della sorella, non era più venuto per le lezioni.
Al lieve gesto di contrarietà dell'Agente, il Padreterno si era voltato per vedere chi arrivava dalla parte del convento; e Patrizio, nello stesso tempo, aveva fissato il Padreterno per sorprendergli su la faccia un indizio, un accenno, se mai... La faccia del Padreterno, atteggiata a un sorriso che le rughe delle gote e della fronte deformavano stranamente, non lasciava decifrar nulla; e intanto Patrizio, facendosi forza, avea già dovuto rispondere al saluto di Ruggero e stringergli la mano.
«Parto per Siracusa col futuro cognato.»
Ruggero diè la notizia con un che di amarezza nella voce.
«Bravo! Bene! Mi rallegro» esclamò il Padreterno. «A tutto c'è rimedio quaggiù, fuorché alla morte... e a un'altra cosa!...»
«Pei vestiti da nozze e pel corredo» seguitò Ruggero. «Se la sua signora e lei hanno commissioni da darmi... Abbiamo trascurato di chieder notizie di donna Eugenia in questi giorni di trambusto. Ella deve scusarci. Sa, in certe circostanze si perde la testa.»
«Niente» rispose, un po' impacciato Patrizio. «Mia moglie sta meglio; uno dei soliti disturbi suoi; nulla di grave. Grazie delle premure e della gentilezza...»
«Per le lezioni...» prese a dire Ruggero.
«Ah! mi dispiace» lo interruppe Patrizio «ma forse non potremo riprenderle più. Ora ho troppo lavoro, troppi grattacapi in ufficio... E poi... lei non ha più bisogno della mia guida...»
Aveva voluto parlare con indifferenza, e non vi era riuscito. Nella voce gli tremava qualcosa di così insolito, che Ruggero lo guardò negli occhi; ma gli occhi dell'Agente vagavano qua e là, quasi per sfuggire l'indagine altrui; e le mani ricercavano, accarezzavano, tiravano talvolta i peli della barba con movimento così concitato, che Ruggero, sospettando che donna Eugenia avesse parlato, o si fosse involontariamente tradita, si sentì diventare piccino piccino.
Patrizio era stupito di quel che aveva detto e fatto con inconsapevole impeto, con stolta precipitazione. Gli pareva di aver offeso Eugenia e se stesso.
Lo guardò da capo a piedi, e sorrise.
E con la rapidità d'un lampo, si rivide a Castroreale, dietro le tende della finestra dell'ufficio, a spiare il terrazzino di faccia dove appariva di tratto in tratto Eugenia quasi attirata dall'avido desiderio di lui! Come l'aveva amata! Come n'era stato amato! Quante lotte! Quante difficoltà!... E aveva vinto! E avevano vinto!... Eh ora? Ora? Oh, no! «Geloso di quel ragazzo? E via!»
Si sentiva forte, grande, un colosso. Gli pareva che se lui avesse tentato di contendergli il cuore di Eugenia, egli lo avrebbe schiacciato con un solo dito... Eh, via! Eh, via!
«Buon viaggio! E buon ritorno!» esclamò rivolto a Ruggero. «Tante cose ai suoi di casa, e tanti auguri agli sposi!»
Che era avvenuto dentro di lui? Non lo capiva.
Ma qualcosa di nuovo e di definitivo era avvenuto certamente.