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Vent'anni dopo la sua morte, ecco, la simpatica figura del grande artista ci si presenta dinanzi viva e parlante, rivelandoci la miglior parte di sé stesso, l'anima sua, le sue lotte, le sue speranze, i suoi dolori, tutta la nobile vita del suo spirito, che è quanto dire una continua aspirazione e una rapida ascensione verso il più alto ideale dell'arte.
E non egli soltanto, ma rivive con lui un mondo che pareva perduto per sempre; fatti e persone delle quali il ricordo già si cancellava anche nella memoria di coloro che furono attori e testimoni di quella rivoluzione artistica per cui è stato possibile il trionfo dell'arte moderna. Talché noi che siamo arrivati dopo, che godiamo tranquillamente del fatto compiuto, che ci incamminiamo con franchezza per una via larga e spianata, rimanghiamo meravigliati e sorpresi nell'apprendere quanti sforzi, quante lotte, quanti sudori e quante vittime è costato lo sgombrare questa via dai rovi che la sbarravano, dai sassi che la rendevano impraticabile, e il colmare gli scoscendimenti, e l'appianare l'erta e lo abbattere i macigni piantati nel bel mezzo di essa quasi a impedire d'inoltrarsi.
Ma fra tutte queste figure evocate e risuscitate con una ricchezza di particolari alla quale in Italia siamo poco abituati, primeggia quella di Bernardo per una speciale attrattiva.
In lui l'intuizione dell'artista è così vigorosa e così acuta che quasi lo fa diventare un pensatore. C'è un misto di riflessione e di sensazione da cui ci sentiamo scossi e incantati.
Quelli che hanno ammirato dopo vent'anni il suo meraviglioso Consiglio dei Dieci e il sorprendente abbozzo del Tasso che dà i primi segni di pazzia proveranno un acre diletto nell'apprendere tutto il processo per cui sono passati quei quadri, e se li vedranno come ridipingere sotto gli occhi, nello studio dell'artista.
«Ho ripreso il quadro dei Dieci e sono bell'e avanti; già ho ritoccato sette o otto figurine e posso dirti fin da ora, in buona coscienza, che non posso lagnarmi di me, almeno di quanto vi ho fatto finora. Ho già semplificato e variato dei movimenti e delle espressioni e mi fa molto più vero e naturale l'assieme, e già vi son dentro dei pregi che non potranno più scappare. La mia smania per l'arte, e massime per la verità, diventa follia e, forse, chi sa che dàgli e dàgli non arrivi pur io a fare della verità come va fatta!...»
«Delle pieghe non mi resta a ritoccarne che per una figura sola, quella che si tocca la barba; sarebbe anch'essa fatta a quest'ora, ma mi manca il modello. Tutte queste pieghe le ho fatte tutte addosso, a modelli diversi secondo i caratteri; e quantunque le abbia dovute fare di un fiato, in una sola seduta per ritenere il partito spontaneo del vero, pure non sembrano fatte di fretta, né meno studiate da quelle che avrei potuto fare con comodo, ma mi costano sangue e palpiti infiniti!...»
«Mi hanno criticato la espressione dell'ultima figura che si gratta il capo distratta, chi come troppo ignobile, e chi come tradita perché di lontano invece pare che si disperi. Quantunque variata da quella che tu sai nel cartone, e, quantunque, riflettendo, non sia tradita, ho deciso variarla ed ho già pensato al come».
«Finalmente mi è riuscita quella indiavolata distrazione!!!»
Queste notizie e lettere intime sono un vero monumento innalzato dall'amor fraterno a Bernardo Celentano pel ventesimo anniversario della sua morte.
La mattina del 28 luglio 1863 Bernardo era andato al suo studio per lavorare al quadro del Tasso già disegnato e abbozzato.
Il pittore Pollak lo aveva visto sull'uscio dello studio che prendeva un po' di fresco.
— Mi fa bene — egli disse al Pollak.
Poi si era rimesso a dipingere, cantando al suo solito ad alta voce. Il canto non gl'impediva di lavorare con intensità di riflessione.
Si sentiva pieno di forza: l'avvenire gli sorrideva.
Il giorno innanzi aveva scritto al fratello Luigi:
«Io lavoro sempre con tutta l'anima mia, con calore a niuno pari, e non so se capire come debba essere così sfortunato da non riuscire nel mio intento! Ma, viva Dio, ci riuscirò! Questa volta debbo far bene poiché lo voglio...».
Alle undici e mezzo, racconta Luigi, posata a un tratto la tavolozza e i pennelli, s'era posto a sedere restando per alcuni minuti taciturno... e alla domanda del modello — se qualcosa lo turbasse — aveva risposto: un forte mal di capo. Quindi alzatosi s'era affrettato a rivoltare il Tasso al muro, pur riuscendo a muovere il pesante cavalletto ov'era già situato in cornice; e poi, nell'accostarsi al sofà, avea chiesto un sorso d'acqua. Quando il modello corse a porgergli il bicchiere, lo trovò già caduto e privo di sensi; e appena l'ebbe alla meglio disteso, uscì fuori, come si trovava, in costume da Torquato, a gridare al soccorso.
Alle due pomeridiane e 10 minuti Bernardo Celentano era morto senza aver ripreso i sentimenti.
Ma in questo volume rivive tutto intiero e quasi trasfigurato, circondato dalla splendida aureola di un martire dell'arte. Giacché è il fuoco dell'arte che consumollo; è nella lotta per l'arte che la sua fibra audace e forte, per troppa tensione, si spezzò.
Il signor Luigi Celentano non ha fatto un meschino lavoro di compilatore. I suoi personali ricordi e le lettere di Bernardo a lui formarono un insieme così organico che il volume ne ritrae tutto il fascino e l'interesse di un'opera d'arte.
Nulla di più commovente di questo scambio fraterno di impressioni e di idee fatto ogni giorno, per dieci anni, con l'abbandono della conversazione più confidenziale e col calore di una corrispondenza d'innamorati. Nulla di più commovente ora di questa pietosa cura che raccoglie, riordina, commenta, completa una serie meravigliosa di lettere per le quali Bernardo Celentano ci appare più grande e più simpatico di quel che forse non parve a quanti lo conobbero in vita.
Questi due fratelli, da vicino o da lontano, vivevano una identica vita di pensiero, respiravano la medesima aria artistica, si spronavano, si aizzavano a vicenda, l'uno spesso completava l'altro, quantunque fosse Bernardo soltanto quello che poi faceva passare le loro teoriche dell'astratta discussione nella viva realtà del quadro.
Di presenza discutevano rabbiosamente. I nostri discorsi, dice Luigi, erano vivaci e saettanti fino allo scandalo; non di rado per istrada giovava troncarli barbaramente con la fuga repentina dell'uno o dell'altro. Ma nella lontananza era una cosa diversa. Bernardo, in ogni lettera al suo caro Luigi, mostra una venerazione di neofita verso il suo iniziatore.
«Ti ringrazio di tutto cuore del coraggio continuo che mi dai e della fede che cresci in me continuamente colle tue lettere. Ho ben ragione di dire che ho pochi veri amici: ma che pochi? Tu solo sei il mio vero amico, tu che palpiti con me, tu che entri a parte delle mie pene, delle mie gioie, dei miei sospiri, delle mie aspirazioni! Che sii benedetto!...».
Sono le ultime righe che la mano di Bernardo tracciò. Quando questa lettera, scritta il 27 luglio e arrivata a Napoli il 28, veniva tirata su col solito panierino ove il postino l'aveva riposta, la mano del povero Bernardo era stesa rigida e inerte sul sofà del suo studio in via Margutta, n 33!