Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Per l'arte
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TRUCIOLI

II

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II16

 

— Il teatro naturalista? Disse il Sardou facendo una delle sue smorfie caratteristiche; ma è semplicemente assurdo! Mi sorprende che un uomo d'ingegno come lo Zola possa lasciarsi illudere da una simile sciocchezza. È assurdo! Lo capirebbe un ragazzo!

— Ma dunque, risposi con qualche esitanza, la verità resta proprio esclusa dal teatro?

— No: bisogna intenderci. Se non sbaglio, voi, caro signore, partecipate in qualche modo della illusione dello Zola.

— Non lo nego.

— Oh, non ve ne faccio colpa! È una illusione generosa, lo riconosco, un'illusione elevata. Portare la verità, l'osservazione, il metodo scientifico dove finora non c'è stato altro che la menzogna, l'inganno, il capriccio, la fantasia!... La tentazione è potente, irresistibile: ma è lo stesso come cercar di raddrizzare le gambe ai cani.

— Eppure Molière ha fatto qualcosa di simile colla commedia dell'Arte.

— Ah, non mi domandate il mio parere su questo; potrei dirvi delle cose che forse vi farebbero perdere quel po' di buona opinione che avete di me. E poi ora sono accademico, bisogna che affetti di rispettare la tradizione... Insomma, lasciamo stare Molière e parliamo di noi. Lo Zola parte da un principio falso, quello che la drammatica sia un'arte... Niente affatto! È un mestiere... Vi sorprende?

— Certamente!

— Questo avviene probabilmente perché non vi siete mai provato a scrivere pel teatro. Vedete lo stesso Zola, un uomo di ingegno superiore, lo ripeto, quantunque egli non sia mai stato molto cortese con me. Aveva l'abitudine del metodo scientifico, dell'osservazione diretta, aveva sotto gli occhi la verità, la natura... Ebbene? Quando ha voluto far qualcosa pel teatro, colla scusa del naturalismo, ha fatto del falso più falso del nostro falso. Era inevitabile! E accadrà sempre così quando si vorrà portare nella drammatica dei preconcetti estranei ad essa. Io credo di intendermene un pochino. Vi pare?

— Siete un maestro.

Sapete come faccio quando debbo scrivere una commedia? Metto la testa fuori della finestra e annuso il vento che spira. Parigi ha delle fissazioni che durano qualche tempo, delle vere malattie contagiose che scorrono da un quartiere all'altro e poi montano in vagone e via per la provincia, per l'Europa talvolta... Vi ricordate, dopo il '70? Non si parlava d'altro che di spie. Se avevamo perduto contro la Prussia, la colpa era delle spie tedesche che si erano introdotte nella nostra casa, nei nostri negozi, nelle nostre amministrazioni; un esercito di camerieri, di operai, di commessi, di donne facili... Tiens! Tiens! Voilà mon affaire! E scrissi Dora. Forse mi preoccupai del metodo scientifico, dell'osservazione, della verità? Che! Non avrei avuto le quattrocento rappresentazioni sulle quali contavo. La donna spia! Ecco l'amo... Il pubblico doveva mordere, per forza. Quando il pubblico è preoccupato da un sentimento, in teatro diventa più bête che altrove. Tutto sta nel sapergli fare il tiro... E questo, checché ne dica lo Zola, è mestiere, schietto mestiere. Quando scrivevo la commedia, arrivando a certi punti, i più scabrosi, i più grossi ad inghiottire, facevo anch'io la grimace, pensando al pubblico che doveva mandarli giù... Ma ero sicuro!... Glieli vedevo mandar giù come se niente fosse stato... Rammentatevi la storia di quel profumo dei guanti e di quel foglio di carta nell'atto quinto della Dora. Per poco che uno rifletta... Ma, caro signore, se voi permettete, per un solo minuto, che il pubblico rifletta, non c'è commedia che regga... — L'attualità: è il punto solido dove un commediografo deve poggiare il piede. Il resto è affare di manipolazione, di fattura, di pratica, di colpo d'occhio. Pare che lo Zola cominci a capirlo: leggete: è segnato col lapis rosso.

Mi porse il volume dello Zola Nos auteurs dramatiques che era aperto sul tavolino. Il brano segnato parlava dei Bourgeois de Pont-Arcy.

«Fabrice a une explication avec Bérangère, et, au lieu de tout lui dire, il se contente de lui jurer qu'il n'a jamais été l'amant de Marcelle et de lui demander de croire à sa parole, par un miracle d'amour. L'effet a été très grand. J'ai cru surprendre tout le secret de ce qu'on nomme le métier du théâtre».

Vedete? Dice anche mestiere, m'interruppe Sardou, riprendendo il volume. E più giù: «le secret du théâtre est peut être : calculer la déviation qu' il faut donner au vrai pour que le public soit agréablement chatouillé...». Lo Zola scrive così canzonando, con quella sua aria sdegnosa che suol prendere quando parla di noi; ma è una gran verità. Io vorrei dirgli: su, via, ottenetemi col metodo scientifico, coll'osservazione, colla verità, un effetto così potente come questo da me ottenuto con una mezza verità, con un quarto di verità, forse con un millesimo di verità, ed io mi do per vinto, legato mani e piedi. Giacché, caro signore, bisogna tener calcolo di questo: che il pubblico va in teatro per provare delle emozioni, non per fare degli studi di psicologia o di psichiatria, o di patologia, o che altro si voglia. Ed io m'ingegno di scuoterlo, di sollecitarlo, di non lasciarlo indifferente neppure un minuto secondo, se no, addio! Il pubblico vi scappa di mano e l'effetto è perduto. Dicono che io mi sia formato una ricetta per comporre le mie commedie. Certamente. Ma vario le dosi. Sto scrivendo una commedia per Sara Bernhardt. Che cosa ho fatto? Come il solito, ho aperto la finestra, e ho annusato il vento... Nichilismo! Non si parla d'altro. Tiens! Tiens! Voilà mon affaire! Son sicuro di aver messo il piede sul punto solido: il resto verrà da . Un autore inesperto si ingolferebbe nella questione politica, si perderebbe fra le congiure... No, convien deviare, deviare dolcemente; ed io butto il pubblico in un dramma domestico... Un'assurdità, figuratevi! Ho creato una Russia a posta, e dei caratteri e dei costumi russi di mia particolare invenzione, tanto per dare un po' di polvere negli occhi col così detto colorito locale... Io me ne rido di queste fisime, quando non servono a nulla pel mio scopo. Questa volta voglio fare un dramma, un vero dramma con pochi personaggi, con scene larghe, a grandi tratti... Credo di riuscire. La ricetta? Sicuro! Come nella Dora c'è una spia che non è spia, qui ci sarà un nichilista che non è nichilista: è il tiro che faccio sempre e che mi riesce sempre. I miei personaggi cammineranno tutti sul filo di un rasoio. Sotto hanno l'abisso: ma non dubitate, non vi cadranno. Se li lasciassi fare, Dio mio!... ne farebbero delle grosse, e non farebbero punto quello che fa comodo a me. Uno dei personaggi, della Fedora, per esempio, ha un segreto, e se lo lasciassi dire, cioè se egli dovesse parlare come nella realtà, lo metterebbe fuori senza molto stento, alle prime interrogazioni... E allora che ne sarebbe del mio terzo atto? Si, signor Zola, calculer la déviation qu'il faut donner au vrai!... Ora mi son messo in testa di afferrare il pubblico pel bavero dell'abito, a questo modo, e inchiodarlo sulle poltrone, sulle panche, nei palchi, e non farlo fiatare. Ci riuscirò... ne son sicuro. Finché Fedora, la mia russa, non avrà bevuto il veleno e dato gli ultimi tratti, nessuno in teatro dovrà riflettere e ragionare. Il problema è questo. Io ho fede in Sara, che morirà divinamente in pochi secondi...

— Col cianuro di potassio?

— Ecco, lo Zola vorrebbe dirlo al suo pubblico! Errore: non bisogna mai dire cose inutili... Che importa per l'emozione, il sapere se sia il cianuro, il curaro, il volgarissimo fosforo quello che ammazza un personaggio?... Sara morrà divinamente. Anzi, se io faccio morire la mia Fedora, è unicamente a riguardo di lei: però ne convengo, la morte è sempre di effetto sul teatro... E torno a quello che vi dicevo in principio: il teatro naturalista? È semplicemente assurdo... Forse ho abusato della vostra intelligenza... scusate; si parla volentieri del proprio mestiere!

 

* * *

 

Dopo questo brano di ricordi parigini, mi sembra inutile aggiungere altre parole intorno alla Fedora rappresentata al Valle nelle sere scorse. Sardou ha sciolto benissimo il suo problema. Il pubblico resta inchiodato per quattro atti senza fiatare, senza ragionare... È vero che dopo, ripensando... Ma è inutile. Che m'importa del dopo? Direbbe Sardou. E fino a un certo punto io non credo che abbia torto.

 

15 aprile 1883.





16 La Fedora di Vittoriano Sardou — A proposito della rappresentazione della Fedora al Valle, pubblicai nel Fanfulla della Domenica questo brano di finti Ricordi parigini.



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