IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
VI20
«Io sono una fanciulla debole come un filo d'erba; così che qui nel mio petto vi è ora un tumulto pari a quello di uno stormo di uccelli schiamazzanti sulla spiaggia o sul greto. Ora non vi è altro che tumulto, come d'uno stormo di uccelli. Verrà il momento che il cuore in calma...».
La indovinate fra mille? È poesia giapponese.
Ma state ancora a sentire:
«Se il sole si fosse nascosto dietro gli azzurri monti e fosse la notte già scura come le more di rovo, io ti uscirei certo incontro; e tu, sorridente e fulgido come il sole che sorge, qui ne verresti. Con le tue braccia bianche come sarte d'ailanto ti stringeresti al mio seno, che è tenero e candido al par di spuma di neve...».
Par di leggere i versetti del Cantico dei cantici eppure è poesia giapponese antichissima: ed è il professore A. Severini che ce la regala insieme colla graziosa leggenda di Jasogami e Camicoto, dopo averci fatto l'altro non men prezioso regalo della Fiaba del nonno Tagliabambù, l'anno scorso.
Quello che principalmente colpisce è l'aria tutta moderna di questa poesia primitiva. Il Severini racconta, nella prefazione, che il Massarani, quando ebbe in mano quel Libro di Giada che poi tradusse così elegantemente in italiano sulla traduzione francese della figlia del Gautier, andò a domandargli con tutta serietà se veramente quel libro non era una innocente e graziosa finzione. — Ma come? Perché ne sospetta?— disse il Severini. — Perché vi si trova — rispose il Massarani — quel malinconico sentimento della natura, quella specie di blando Weltschmerz che è cosa tutta moderna.
Il dubbio del Massarani era naturalissimo. Lo spirito moderno dunque, in questa sua evoluzione con cui tenta liberarsi dalle influenze classiche e accostarsi direttamente alla natura, non fa che ritornare al suo punto di partenza? Lasciamo lì tale spinosa questione — anche perché non è questo il posto dove potrebbe trattarsi con larghezza — e torniamo al Giappone, o meglio, a quel rivolo d'arte giapponese che il Severini ci appresta, per notare un riscontro curioso.
Quando il Carni Jacci-Hoco giunge alla casa della bella Nunacava Hime e si mette a cantare la sua nagauta, dopo di aver detto il suo nome e i suoi titoli, aggiunge:
«Or dunque per congiungersi a lei ecco egli è qui; per congiungersi a lei, ecco le parla. Ma intanto io non ho ancora slacciato il cingolo della mia spada, io non ho ancora sgruppato il mio lucco; io son qui ritto, o fanciulla, a spingere la stridente imposta della tua porta; io son qui ritto a tirarla; e intanto, mentre ancora sul fosco monte l'upupa si lamenta, già chioccia il silvestre fagiano, già canta il domestico gallo. Ahimé! Ahimé! Questi uccelli già cantano. Oh, malmenatemi, strangolatemi questi uccelli!».
Va! Gli amanti saranno sempre gli stessi! La Giulietta dello Shakespeare si dispererà ugualmente che l'allodola già annunzi il prossimo apparire del giorno! E i grandi, i veri poeti, a molta distanza di tempi e di luoghi, s'incontreranno, come qui, quasi nelle stesse parole, allorché vorranno esprimere fedelmente la eterna voce del cuore!