Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Per l'arte
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TRUCIOLI

VIII

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VIII22

 

Vittorio Cherbuliez, che è stato ricevuto poche settimane fa tra gl'immortali dell'Accademia francese, è un romanziere di terz'ordine. Però, dopo Ottavio Feuilletè l'autore prediletto delle signore; ed è stato per lunghi anni uno dei più assidui collaboratori della Revue des Deux-Mondes; due forti ragioni per farlo elevare a quel posto dove Edmondo de Goncourt, Emilio Zola e Alfonso Daudet avrebbero dovuto sedere prima di lui.

Ma non è di ciò che voglio occuparmi.

Mi han fatto specie in questo ricevimento accademico alcune parole del discorso in risposta al suo.

Il Renan gli ha detto:

«Avec quelques maitres exquis, dont vous devenez aujourd' hui le confrère, vous avez su éviter maints défauts, monsieur. Toujours une haute pensée vous guide. Vous ne tombez jamais dans ces interminables histoires bourgeoises, prétendues images d'un monde qui, s'il est tel qu'on le dit, ne vaut pas la peine d'être représenté. Loin de songer à une imitation servile de la réalité (imitation bien inutile puisque celui qui aime tant la réalité n'a qu' à la regarder) vous cherchez les combinaisons capables de mettre en lumière ce que la situation de l'homme a de tragique et de contradictoire».

E precisamente quello che un nostro elevatissimo ingegno — il Bonghiscriveva a proposito del nuovo romanzo del Verga, Il marito d'Elena. Che può importarci, ha egli detto, di cotesti vostri piccoli borghesi senza elevatezza, senza cultura? Come volete interessarci ai loro sentimenti volgari, quasi bestiali, o alle loro azioni che non escono dalla cerchia di un fatto diverso di giornale?

Confessiamo che la cosa non ci sorprende nel nostro pensatore quanto nel Renan che è un artista.

Servile imitazione della realtà! Ecco una frase vuota di senso. Dal momento che la realtà passa nel mondo della rappresentazione artistica, ha già perduto qualche cosa della sua natura materiale, e non è più precisamente quale può vedersi aprendo gli occhi; è più elevata.

L'azione, il sentimento, il personaggio che rimangono di nessun interesse sono, invece, quelli che non arrivano alla pienezza della vita artistica, quelli dove il concetto non trova la completa sua forma. Ma allora la questione muta aspetto. Non dovrà dirsi: questi fatti, questi personaggi sono volgari e perciò non m'interessano; bensì: questi fatti, questi personaggi non vivono la vita dell'arte e perciò non m'interessano. Una cosa molto diversa.

Ne troviamo la prova nello stesso Verga.

Col Marito di Elena l'autore ci conduce in mezzo alla vita della piccola borghesia di provincia. Ma il suo studio, in molti punti eccellente, non raggiunge nell'insieme la necessaria vitalità artistica di cui parlo. Vi sono qua e sproporzioni di parti; vi apparisce una certa fretta e una specie di trascuratezza; avvenimenti e personaggi non assumono quella stupenda solidità alla quale il Verga ci ha abituati in altri recenti suoi lavori, in Pane nero, per esempio, un piccolo racconto di appena un centinaio di paginette. In questo scendiamo ancora più giù nella scala sociale; siamo addirittura fra contadini. Non sentimenti, ma istinti o quasi. La morale? Esse ne hanno una a parte, se pure può dirsi che ne abbiano una. Ebbene? Nulla di più ordinario di quello che accade in questa povera famiglia, dispersa dopo la morte del capo di casa. Lucia va a far la serva e il vecchio padrone la insidia.

«Don Venerando l'era sempre attorno, ora colle buone, ora colle cattive, per guardarsi i suoi interessi; se mettevano troppa legna sul fuoco; quanto olio consumavano per la frittura. Mandava via Brasi a comperargli un soldo di tabacco e cercava di pigliar Lucia pel ganascino correndole dietro per la cucina, in punta di piedi perché sua moglie non udisse, rimproverando la ragazza che gli mancava di rispetto, quando lo faceva correre tenendosi il pancione. — No! No! — Ella pareva una gatta inferocita. — Piuttosto pigliava la sua roba, e se n'andava via. E che mangi? E dove lo trovi un marito senza dote? Guarda quest'orecchini! Poi ti regalerei vent'onze per la tua dote. Brasi per vent'onze si fa cavare tutti e due gli occhi».

Infatti Brasi, quando sa che Don Venerando darà anche le vent'onze, non trova più difficoltà a prendere in moglie la Lucia.

«Il padrone è un galantuomo, comare Lucia! Lasciate ciarlare i vicini, tutta gente invidiosa, che muore di fame e vorrebbero essere al vostro posto».

Questa è la morale di Brasi.

«Santo, il fratello, udì la cosa in piazza, qualche mese dopo. E corse dalla moglie trafelato. Poveri erano sempre stati, ma onorati! La Rossa allibì anch'essa e corse dalla cognata tutta sottosopra che non poteva spiccicar parola. Ma quando tornò a casa da suo marito, era tutt'altra, serena e colle rose in volto.

— Se tu vedessi! Un cassone alto così di roba bianca! Anelli, pendenti e collane d'oro fine. Poi vi sono anche vent'once di denaro per la dote. Una vera provvidenza di Dio!».

Ecco la morale degli altri. Ma che importa?

La realtà non è mai così eloquente come queste viventi creature dell'arte. La volgarità dei personaggi sparisce; quel loro stato rudimentale di sentimenti e di idee ci fa pensare più di qualunque declamazione, più di qualunque sentimentalità o idealità che ci trasporti fra le nuvole.

Un monde qui ne vaut pas la peine d'être représenté!

Ma è appunto il regno dell'assurdo, del falso, del convenzionale, dell'artificiale, il mondo del vostro Cherbuliez, signori accademici, quello che non mette conto di rappresentare nell'arte!

 

18 giugno 1882.





22 Pane nero, di G. Verga, Catania, Giannotta, 1882.



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