Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO I

PROFILI DI DONNE

II GIULIA

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II

 

GIULIA

 

Sedetti. Ella tremava ancora; non riusciva a snodare il nastro del suo cappellino. Aveva gli occhi pieni di lagrime e faceva sforzi per rattenerle. Mi guardava sorridendo, rossa in viso come una bimba colta in fallo, ma non poteva parlare.

Anch'io non trovavo il verso di dire qualcosa; ero sorpreso e un po' stordito. Un'avventura cosí inattesa! Non sapevo intanto se dovevo proprio rallegrarmi della mia parte di cavaliere errante; temevo di aver fatto una ridicola figura. Gli urli, gli insulti di quei cialtroni, le risate ed i fischi quando, presa per mano la povera donna smarrita, la feci montare nel fiàcchere… Insomma, non sapevo che pensare.

Mentre il fiàcchere andava di corsa, ella era appena riuscita a balbutire due o tre volte un «grazie». Io, dal mio canto, non avevo voluto mostrarmi indiscreto. La curiosità di sapere chi avessi salvato dagli insulti di una mezza dozzina di beceri e di spazzaturai mi spinse però ad accettare l'invito di salire le scale del suo quartierino. Ma, entrato in quel salotto, non volli aver l'aria tanto poco generosa e tanto poco cavalleresca di cercar di sapere i fatti altrui, fossero stati anche quelli di una donna con cui poteva, come già sospettavo, farsi a fidanza.

Ella si era omai tolto il cappellino, si era sbarazzata dello scialle buttandolo negligentemente su di una sedia; e ravviati un pochino, quasi per istinto, i capelli, venne a sedersi con moto agile e grazioso sul divano, al mio fianco, ripetendo:

- Grazie, signore!

- Ma di nulla - risposi: - ogn'altro in simil caso avrebbe fatto lo stesso

- Oh, signore! - continuò - la mia gratitudine è poca cosa; ma io, stia certo, terrò memoria di questo per tutta la vita. -

veva una vocina dolce, insinuante, come se ne odono soltanto in Toscana; una voce, oserei dire, da fisarmonica; di quelle che t'incatenano a star a sentire anche quando non dicon nulla che valga la pena di essere ascoltato.

Senza scialle e cappellino la sua persona mi parve piú bella. Figurati! Un par di occhi magnifici, di un azzurro cupo stupendo; una chioma di capelli biondi, ricca e tutta sua, che s'increspava e splendeva come l'oro coi riflessi della luce; una taglia svelta, asciutta, delicata; e delle manine da principessa! Cento belle ragioni da rendere piú piccante l'avventura e piú goloso il mistero.

Quel suono di voce mi aveva quasi sconvolto. La voce parmi l'espressione piú immediata dell'anima; ha un che d'immateriale, di piú vicino ad essa, il quale mentisce di rado. Vi sono delle inflessioni, delle modulazioni che rivelano tanto, se son sapute studiare! La parola dirà una cosa, ma il suono ne dirà un'altra, chi gli pon mente; e dico suono e non tono, che è molto diverso. Secondo me, quella vocina non indicava un'anima volgare, benché potesse anch'essere caduta molto in basso; scendeva diritta al cuore ed ispirava subito confidenza. Però il facile scetticismo della vita non tardò a suggerirmi di stare in guardia. In ogni caso chi mi assicurava che dopo quella giornata io e quella donna ci saremmo nuovamente trovati insieme!

Nei brevi minuti trascorsi senza che nessuno di noi due avesse saputo appiccare una conversazione, ella si passò parecchie volte le mani sul viso, come per riaversi del disturbo avuto in piazza Barbano; io potei intanto osservarla un po' meglio e dare una occhiata al salottino ove, sconosciuti l'una all'altro, ci trovavamo muti, faccia a faccia. Il salottino era di una elegante semplicità, un vero nido da donna Le tendine verdi della finestra vi diffondevano un che d'incerto, di sfumato, di voluttuoso che montava al capo come un odore troppo acuto. Fu lei che ruppe il silenzio.

- Oso chiederle il suo nome - disse guardandomi in volto con un sorriso inesprimibile, un sorriso particolarmente degli occhi colmi ancora di lagrime.

- Dottor Camillo Samboni - risposi inchinandomi.

- Me lo scriverò nel cuore!

- E il suo, se non le dispiace? - dissi facendomi ardito.

- Giulia Lorini - rispose senza esitare.

Ma dopo un istante, abbassò gli occhi, si coperse il volto colle mani e diè in uno scoppio di pianto.

- Scusi, ve' - feci; - sono stato indiscreto. Se la mia presenza

- No, no rimanga; mi fa tanto piacere!

- Allora, prego, smetta di piangere. Via! Non è stato nulla. Son cose che accadono tutti i giorni. Gentaccia ne capita sempre tra i piedi delle persone per bene. Non bisogna farci caso. -

Ella continuava a piangere, a singhiozzare, abbandonata sulla spalliera del divano e si torceva violentemente le mani. Cominciavo a sentirmi commuovere in modo strano

- Si calmi - le dicevo - farà peggio: si calmi.

- Mi lasci sfogare - rispondeva - mi lasci sfogare un pochino. Ho un nodo al cuore Soffro! -

Ero in piedi innanzi a lei e la guardavo con un sentimento di pietà intimo, quasi la fosse stata una amica di antica data.

- Il pianto le farà bene - pensavo; e continuavo a guardarla.

Ella di tanto in tanto alzava verso di me gli occhi bagnati di lagrime, e tentava di sorridere quasi avesse cercato scusarsi di quell'involontario sfogo; poi tornava a singhiozzare piú forte e si stringeva convulsa le mani.

Ho vergogna di dirlo! (Ma io ti racconto quest'avventura per darti appunto una prova di piú delle stranezze del cuore umano.) Ho vergogna di dirlo! Quel pianto, dopo pochi minuti, cominciò a diventarmi sospetto. Gli sforzi ch'ella faceva per rattenersi, per ridursi in calma mi parvero insomma un abile tratto di commedia. Mi compiacqui di questa idea, applaudii segretamente alla mia finezza di intendimento, e dissi tra me: - Facciamo il grullo! Vediamo dove l'amica vorrebbe condurmi. Questa scena ha uno scopo! -

La Giulia potè finalmente vincere se stessa, rasciugò le sue lagrime, e levatasi da sedere, accostossi a me con un'aria di timidezza e d'ingenuità che mi fece dispetto.

- Perdoni - disse con quel suo tono di voce incantevole: - non ho potuto frenarmi. Ella è cosí buono, che non se l'avrà, spero, avuto a male.

- A male niente affatto! - risposi dimenticando per un istante la parte che volevo rappresentare - Sarei troppo fortunato se potessi giovarle a qualcosa. -

E appena pronunziate queste parole mi arrabbiai nel mio interno di essermi già lasciato trarre in inganno dalla creduta apparenza.

- Grazie - ella rispose - grazie, di cuore

- Questo quartierino è una delizia - ripresi io, tanto per non far languire il discorso.

- Bene esposto ed arieggiato, ma un vero guscio di noce. Per me, se si vuole, è anche troppo largo.

- Sta sola?

- solacolla donna di servizio. -

E abbassò gli occhi sospirando.

- Forse sbaglio, ma lei non mi par fiorentina.

- Sono di Siena, però vivo in Firenze da due anni.

- Sempre sola? - osai chiederle con un accento che non voleva sembrare impertinente.

Ella non rispose, ma divenne prima rossa, poi pallida in viso.

- Soffre? - fec'io, pentito a un tratto di quella domanda.

- Un poco - rispose - ma ormai ci ho fatto il callo. Patisco talvolta dei mancamenti di cuore.

- Da parecchio tempo?

- Da due anni.

- E non ha pensato a curarsi?

- Che! - ripose con una leggiera scrollatina di spalle.

- Fa male - soggiunsi involontariamente premuroso di scancellare l'impressione di quelle mie parole.

- Bisognerebbe esser tranquilla.

- Chi glielo impedisce?

- Tutto! -

La guardai fisso in volto. Provavo ad ogni sua parola delle sensazioni forti e diverse. Mi sentivo ammaliato da quella fresca bellezza, ma temevo di fare al suo cospetto la figura di un grullo. Ero spinto a darle a capire che avevo già indovinato la sua condizione e che era inutile ogni arte per celarmela; ma non volevo nello stesso tempo parere scortese.

Noi siamo curiosi! Non sappiamo supporre che anche certe donne possano avere delle verecondie, delle delicatezze di sentimento, delle alterezze di carattere quanto ogni altra, e stentiamo a scomodarci per risparmiar loro un'umiliazione. Vogliamo forse vendicarci dell'incanto che proviamo; cerchiamo forse scusare con un'indecente rivolta la nostra fiacchezza di sensi.

In quel momento io facevo queste rapide riflessioni, però non mi decidevo a tagliar corto al discorso per non andare piú in . Sentivo un'ebbrezza voluttuosa montarmi al cervello; vedevo in quei vapori, a poco a poco, sparire i nobili sentimenti della mia coscienza di uomo, e non mi sforzavo alla menoma resistenza. In pochi minuti avevo bella e accomodata una di quelle transazioni del cuore che indicano ordinariamente il marcio del carattere di una persona, e ripigliavo con curiosità:

- Come tutto? -

La mia domanda fu accompagnata da un gesto confidenziale che invitava la bella donnina a sedersi di bel nuovo.

- Signore! - ella disse ubbidendo rassegnata; - noi siamo due sconosciuti. Se io, per rispondere alla sua gentile interrogazione, le facessi delle confidenze, sarei forse sicura di esser creduta? Lei, dal canto suo, non ha davvero nessuna ragione di prestar fede alle mie parole. Le infelici mie pari sono condannate al martirio della diffidenza. Oh! I nostri dolori veri non li diciamo a nessuno. Il meglio che possiamo fare è tentare di dimenticarli -.

Con la fina penetrazione della donna ella mi aveva letto nell'animo e aveva risposto franca, schietta. Mi sentii piccino innanzi a lei.

- Non esigo delle confidenze - risposi, onde celare la mia sconfitta; - sarei troppo ardito Volevo solamente rammentarle ch'ero un dottore come un altro, e che le offrivo i servizi della mia poca scienza.

- A che pro? Ella curerebbe i miei nervi, e il cuore e l'anima disfarrebbero l'opera sua. Ho inteso dire che in questa sorta di malattie la tranquillità interna val piú di qualsiasi rimedio: è difficile averla!

- Ma dunque?

- Si lascia correre l'acqua per la china, e quel che succede è bene -.

Durante il ragionare avevo guardato l'attaccatura del suo collo, una vera perfezione. La pelle di una bianchezza quasi scintillante lasciava trasparire certe piccole vene azzurrognole che sembrava volessero svelare il sorprendente congegno della vita di quel bellissimo corpo; mentre il respiro un po' rotto e frequente dava ai movimenti della gola un che di cosí molle e voluttuoso da metter la voglia di mangiarsela dai baci. Mi sentivo un pochino girare il cervello.

Non ho mai compreso, come in quel momento, il predominio che possono i nervi prender talvolta sulla ragione. Fosse l'ora, il locale, le circostanze e quella bella figurina di donna seduta al mio fianco, cosí poco lontana da sentirmi di quando in quando sul viso il lievissimo e tiepido alitare del suo fiato; fosse in quel giorno una facile disposizione del mio spirito a vagare nell'indefinito, a trarre dalla stupida realtà imagini e visioni che la rendono trasformata; fosse qualche altra recondita ragione che non vo' star a cercare, certo è insomma che io provavo dentro di me una insistente e piacevole violenza, la quale ricacciava indietro tutte le riflessioni sagge ed oneste, e lasciava libere le dorate tentazioni uscenti a nugolo in mille forme dalla fantasia riscaldata.

Il ragionare aveva preso un tono troppo serio. Tentai condurlo ad una certa gaiezza.

- Se lei avesse delle ragioni per non amare la vita - risposi - questo disdegno starebbe bene Ma lei è giovane, è bella, ricca delle piú liete promesse dell'avvenire

- Promesse! - m'interruppe - ha detto bene

- Che spesso valgon meglio della realtà - soggiunsi. - Secondo me, la felicità della vita non consiste nel possedere, bensí nel correre dietro un fantasma che sempre ci fugge di mano. Il possesso è la morte.

- Senta! - mi rispose - Nessuno sa prendere la vita pel suo meglio piú di noi povere donne. Siamo, come lei dice, sempre alla rincorsa del fantasma che fugge; ma se lei crede che non ci si stanchi, che non ci si sfinisca è perché non l'ha mai provato. Noi rifacciamo la tela di ragno della nostra situazione nel mondo con una buona fede che gli uomini non sanno capire. La dicono leggerezza di cuore! Volubilità! Che! Noi vogliamo solamente carpire la realtà come ella è, ed è brutta assai. Quella leggerezza, quella volubilità ci costano lagrime, tormenti impossibili a dire; ed è per istanchezza, per disperazione, per ispavento da cui ci vien tolto di veder bene, se infine ci buttiamo capofitto in una vitaccia che Dio solo sa quanto pesa! Andiamo! Ne convenga: voialtri uomini siete crudeli!

- E le donne? - feci io con un sorriso che voleva esser malizioso e che nessuno può dire quanto fu da imbecille.

- No, no! - rispose con fiera energia - Vi sono delle azionacce che noi, per tutto l'oro del mondo, non sapremmo commettere. Debolezza o delicatezza d'animo che sia, nemmeno ci passano pel capo; non arriviamo neanche a spiegarcele! -

E la sua voce tremava commossa. I suoi occhi riscintillanti dell'improvviso sdegno mi si fissarono in volto, non saprei dire se per farmi una terribile interrogazione o se per trionfo. Ella si mordeva leggermente il labbro inferiore e colla mano destra mantrugiava un lavoro di trine steso sulla spalliera di una poltroncina presso.

- Oh, noi siamo fatte male! - continuò dopo un istante; - dovremmo esser piú forti. Dovremmo una volta finalmente trar profitto della trista esperienza e non piú lasciarci ingannare!

- Via! Non si arrabbi! - esclamai con un tono di confidenza quasi bambinesco; e le presi una mano e cominciai a lisciargliela colla mia come se quella carezza avesse potuto attutire il suo sdegno.

Lasciò fare. Io le lanciavo da un pezzo certe occhiate ardenti di desiderio, lunghe, esprimenti quel languore delizioso, proprio delle persone innamorate. E non erano mica bugiarde. Mi ribollivano in cuore mille cose; il sangue vi affluiva con febbrile frequenza e spargeva indi per tutto il mio corpo un calore che doveva accendermi il viso piú che se io non fossi rimasto alcun tempo innanzi la brace.

- Non è rabbia - ella rispose, - è indegnazione. Ma, dica, la mano posta davvero sulla coscienza, abbiamo noi donne altro torto che quello di prestarvi fede con un'ingenuità troppo balorda?

- Siete fatte per questo.

- È un'infamia!

- È la natura.

- Credevo lei di piú bel cuore! - sclamò con aria di cortese rimprovero.

- E si è ingannata, e sta bene.

- Fa per celia, per isvagarmi dalla mia fissazione; non è vero?

- Faccio per vederla imponente nello sdegno e maestosa come una Dea -.

E stesi il braccio onde ravviarle una piccola ciocca di capelli che le si sbizzarriva sulla fronte. Ella venne incontro alla mia colla sua mano, e impedí quell'atto senza parere di aver avuto una intenzione severa.

- Parliamo degli uomini e lasciamo stare la Dea - disse sorridendo a fior di labbra.

- Ne parli a sua posta; - risposi - io mi gusterò zitto zitto la felicità di ascoltarla.

- Come siete crudeli voi altri! - continuò attaccando forse il discorso a delle idee che rapide le passavano per la mente. - Vuol dire che nella vostra vita arriva un punto in cui scherzate coi dolori altrui senza rimorso e senz'onta! Arriva un'ora in cui la ebbrezza, e la sazietà vi fanno calpestare ogni cosa piú gentile e piú sacra. Diciamolo senza rossore, senza sottintesi, senza reticenze di sorta: quando noi concediamo qualcosa, concediamo tutto; corpo ed anima, vita e felicità: non sappiamo fare a mezzo. Voialtri non volete capirlo; fingete, forse, perché cosí vi torna conto. Siete delle bestie feroci, ingorde di piacere, di sensazioni violente. Non avete, amando, altro scopo. E cosí quando incontrate una infelice che per mezzo del suo corpo vorrebbe attaccarsi ad un'anima, vi mettete a ridere, gli date la berta e cavate di tasca il salvacondotto della morale per insultarla impunemente o precipitarla giú a rotta di collo in un baratro senza fondo. Dio mio! Anche lui!… -

Aveva pronunziato queste parole con un'inflessione monotona, repressa, piena di emozione crescente; si era fermata un pochino prima di esclamare: «Dio mio! Anche lui!…» e incrociate le mani in atto di strazio profondo, ricominciò a singhiozzare. Ci voleva poco ad intendere che quel «lui» non ero io.

- Che! - pensai stizzito; - si torna da capo? -

Ed era la conclusione di un ragionamento opposto al suo, fatto nel mio interno mentr'ella parlava - Ecco - avevo detto - le solite cose! Pare una lezioncina imparata a memoria. Infine, se il resultato dev'essere sempre uno, e si potrebbe anche fare a meno di queste noiose storielle! Già se sto qui a recitar la parte del collegiale andremo nell'un via uno. Furba, permío! -

Ma pensavo cosí per isforzo; il cuore non stava piú a bada. Dentro aveva un tumulto di sentimenti diversi che si facevano guerra tra loro, e c'era in mezzo anche la vergogna di quello stentato scetticismo con che volevo dar ad intendere a me stesso che ero un uomo di mondo.

Oh, la vanità! Quante perfidie suggerisce!

Però mi mancava il coraggio di quei sentimenti. Contavo di arrivare all'intento per via di finezze diplomatiche, di passaggi graduati, senza parere insomma, e mulinavo.

- Scusi, veh - diss'ella all'improvviso, reprimendo colla volontà la sua viva agitazione; - è piú forte di me.

- O lasci andare! - risposi; - si è fissata sul caso di poco fa!

- Ma senta che infamia! - esclamò con improvviso abbandono - Non voglio occultarmi… E poi sarebbe inutile!… Avevo un amante -.

Io sorrisi. Ella capí - Non era il primo - soggiunse con altiera franchezza - ma l'amavo piú del primo. Questo voialtri non lo intendete; vi pare un assurdo: ma è la verità. La lusinga di attaccarsi ad un affetto durevole ci rende piú appassionate e migliori. Basta! Si era fatta vita insieme per quasi un anno. Già fabbricavo dei castelli in aria e mi confortavo con essi: mi sentivo felice! Quando si è cadute in questa miseria non abbiamo altra smania che di uscirne. Ci illudiamo facilmente; proviamo un gran bisogno di illuderci. A poco a poco intanto mi accorsi che lui non era piú quello di prima: si annoiava meco, diventava stizzoso e quasi inurbano… Ebbi un gran colpo al cuore! Ma, gua'! Ero abituata ai disinganni. Un giorno feci un gran sforzo (pativo a vederlo in quel modo) e gli dissi:

«Pierino, non so come sia avvenuto, ma non ti voglio piú bene»

«Toh! - rispose ridendo sgangheratamente - e siamo in due!»

«Tanto meglio! - esclamai colla morte nel cuore; - separiamoci amici. Non ci vedremo piú

«I morti non si rivedono!» fece lui, scendendo le scale come sgravato di un gran peso.

Io diedi in un pianto da matta, e giurai di mutar vita. Non è come dirlo! Pare impossibile! Il lavoro ci schiva, quasi la nostra colpa lasciasse del sudiciume sulle cose che non si possa levar piú via. Stentai dei mesi, vivucchiando di certi lavoretti di cucito che mi costavano molto e mi recavano poco piú che nulla; ero decisa a lasciarmi morire! Non avevo voluto vendere un solo dei piccoli oggetti che mi ricordavano lui. Questo salottino è proprio come lui l'ha lasciato; non vi è fuori posto nemmeno una sedia; giacché, per quanto facessi, non me lo ero cavato di mente.

Ieri l'altro, ad un tratto, me lo veggo davanti. Trasalii, volevo mostrarmi sdegnata e non dargli retta: ma lui disse e fece tanto! Mi lasciai accalappiare! Diemmi ad intendere che aveva mutato casa, che teneva in serbo un progetto per farmi del bene, e mi disse che voleva ad ogni costo mostrarmi la sua nuova abitazione. La sua zia era morta (aveva soltanto una zia): poteva omai starmene liberamente con lui e far da padrona di casa. Perché non dovevo credergli? Chi l'aveva costretto a venire?

Ero lieta e trista: non mi diceva il cuore di andarvi. Tutta la notte arzigogolai, mi pentii parecchie volte di aver promesso, ma poi non seppi resistere e non mi parve vero che fosse giorno. Andai, esitando, con un cattivo presentimento, e picchiai a quell'uscio che egli mi aveva indicato.

Un servitore che io non conoscevo m'introdusse in una bella stanza e mi lasciò ad attendere. Dopo un pezzetto entrò un uomo sulla cinquantina, alto, grigio di capelli, vestito tutto di nero. Rimasi! Impalai!

«Siete voi, carina?», mi disse con un accento straniero (era forse inglese, che so io?).

Cascai dalle nuvole! Mi scese una benda sugli occhi e fu miracolo non mi svenissi. Ma ripresi subito ardire; e quando quell'uomo mi si accostò e stese la mano per farmi una carezza, lo ributtai indietro con violenza e corsi verso l'uscio. Ei mi ritenne per un braccio. Sghignazzava e borbottava in gola non so che parole poi mi disse:

«A che pro queste scenate? Non sei tu la donna di Pierino? Io sono l'amico di cui ti ha parlato».

Divenni di bragia dalla vergogna e dal dispetto, ed ero intanto fredda, un diaccio. Tremavo a verga a verga.

«Mi lasci andare! - balbettai; - non son io… mi lasci

«Senti - egli mi disse - far l'onesta è tempo perso. Chi per caso entra qui donna onesta, n'esce tutt'altra. Tienlo a mente».

Mi voleva far sedere sulla poltrona vicina. Io resistetti dibattendomi, e poi me gli piantai innanzi inviperita dall'onta.

«Signore! - urlai - posso anche esser quella che lei dice; ma non mi si vende o non mi si cede! Mi lasci! Altrimenti salto a quella finestra e mi metto a chiamar gente

«Per pietà! - indi soggiunsi in tono di preghiera; - sono stata vilmente ingannata… mi lasci andare. Ritornerò, se vuole, un'altra volta (dicevo tutto quello che mi veniva in bocca), ma ora mi lasci… Per amor del cielo!… Non vede come soffro

Si persuase, e aperse l'uscio.

«Grazie!» gli dissi; e stavo per mettere il piede fuori della stanza.

«Verrai davvero?» fece lui.

«, verrò - risposi - domani».

Avrei promesso ben altro per liberarmi!

Osò offerirmi del denaro. Benché mi sentissi tratta a buttarglielo in viso, rifiutai urbanamente, e mi trovai per le scale mezzo morta. Fui subito in piazza Barbano, agitata, disordinata com'ella mi vide. Non riuscivo a infilare una via. Quei beceri che mi avevano veduta entrare, cominciarono ad urlarmi dietro. Dio mio! Mi pareva di ammattire. Le gambe mi si piegavano sotto. Volevo correre ed inciampavo… Chi sa, se lei non era, che cosa mi sarebbe accaduto?… Dica intanto - riprese ella dopo una piccola pausa, - dica se per queste infamie non ci vogliano proprio gli uomini? Se non son prodezze unicamente da loro? -

Ero tra commosso e non saprei definire che altro La musica di tutto quel suo racconto mi aveva dolcemente deliziato le orecchie come un gorgheggio di usignuolo. Ero stato a guardare, ad ammirare l'espressione del suo viso, il movimento delle sue labbra, tutta l'aria fiera, nobile della persona che si rizzava sul busto quasi minacciosa, ma bella nello stesso punto, ma magnifica, ma piena d'un fascino immenso. Non mi ero mosso; avevo quasi rattenuto il respiro: e intanto, tra la emozione, sorridevo internamente con una forzata incredulità che mi faceva proprio comodo, ma che avrei però voluto celare a me stesso. Mi era uopo di credere ch'ella avesse fatto a quel caso un pochino di frangia; avevo bisogno di persuadermi che il caso non fosse poi andato davvero a finire com'ella aveva raccontato. L'uomo è cosí: quando non può trovar una scusa nella realtà delle cose, fa di tutto per persuadersi che le cose stiano preciso come giovano a lui.

Nulla risposi alla focosa interrogazione, anzi le ripresi pian pianino la mano. Ma ella non fu contenta; voleva ad ogni costo dicessi qualcosa.

- Eh? - fece, recando il suo viso rimpetto al mio e piantandomi in fronte quel suo par d'occhi divini.

Trovai una scappatoia.

- Come medico - risposi - le proibisco di piú occuparsi di quest'affaraccio. E spero di essere ubbidito - soggiunsi affettando una gravità semiseria che la fece sorridere.

- Bisogna rifarsi! - esclamò con un sospiro.

E rimase pensosa.

- Oh! - disse dopo un momento - io non saprò mai come ricambiarle la sua squisita bontà.

- Cominci con un bacio! -

E la fissai per vedere l'impressione di quella mia sfacciataggine.

Ella abbassò gli occhi, strinse un pochino le labbra, e poi, freddamente, mi diede il bacio richiesto. Volevo ricambiarglielo, ma trasse indietro il capo un po' rossa in viso

- Ed ora che pensi di fare? - chiesi, reso piú ardito dal mio trionfo e mostrando, col darle del tu, che volevo andare piú innanzi.

Stette a guardarmi, sorpresa che doveva essere di quel tono cosí confidenziale e, piú che sorpresa, addolorata; poi rispose:

- Lo so io? Morire sarebbe meglio.

- Al diavolo le ubbie!

- Ci vuol poco a dirlo!

- Piú poco a mandarle via! -

Mi ero messo in vena di Don Giovanni e facevo il bellumore

- Sai che qui, in due, ci si sta proprio bene? - soggiunsi tosto mettendole una mano sulla spalla. Ella tentò cortesemente di levarmela di quel posto; ma io le ritenni prigioniera la mano. Pareva contrariata, impacciata da quel mio modo di operare, ma non osava far resistenza.

- Lascerò presto questa casa - rispose - vi son troppe memorie.

- Non tutte tristi.

- Tristissime!

- Andiamo - feci, sdraiandomi sulla spalliera del divano e dandole certe occhiate che dicevano tanto.

Però non mi riusciva di spingermi oltre; volevo risparmiato lo sforzo di una dichiarazione piú aperta. Giacché in mezzo a quell'ebbrezza di sensi appariva di quando in quando un bagliore di coscienza, e sentivo un'acuta punta di rimprovero ferirmi il cuore a guisa di sottilissimo ago; talché avevo una rabbia di me stesso e della mia debolezza, che mi avvelenava il piacere di quella situazione inattesa.

Stetti cosí un pezzo, curioso di spiare i menomi movimenti di lei, stizzito di leggerle sul volto un misto di stupore, di pena mal celata e di rassegnazione sdegnosa; poi, con uno scatto, mi levai da sedere.

- Va via? - ella chiese con un tono che pareva volesse assicurarsi se non partivo di offeso di quel suo contegno.

Io non ero piú buono a nascondere ciò che in quel punto provavo.

- Vo via - risposi; - che sto piú a seccarla? -

Rizzossi e mi si fece innanzi con un'aria di profonda tristezza, ontosa di aver già troppo capito le mie balorde intenzioni e nello stesso tempo proprio decisa a sdebitarsi con me come meglio mi sembrava.

- Se vuol restare! - pronunciò quasi sottovoce; e l'accento rivelava tutta l'amaritudine di quel cuore piú, forse, sdegnato della mia bassezza che del suo avvilimento.

Parve mi avesse sputato in viso. Quella mia ebbrezza cessò ad un tratto.

- Oh! oh! - esclamai inorridito - perdono! -

E corsi in cerca del cappello per celarle il mio rossore e la mia estrema confusione.

Quelle tre brevi parole: «se vuol restare!» erano state pronunziate in modo da significare: «Vilissima creatura! Io volevo pagarti di gratitudine; volevo darti per sempre un nobile posto nel mio cuore! Se tu ora non hai saputo un momento esser diverso da tutti gli altri; se hai vista un'infelice e non sei stato bono di resistere alla tentazione d'insultarla; via, pagati pure la tua buona azione col possesso d'un istante! Dopo almeno avrò il diritto di disprezzarti come tutti i tuoi pari

- Addio! - le dissi senza nemmeno poterla guardare in faccia

Ella prese allora la mia mano e la baciò con effusione, esclamando:

- Grazie! Grazie! Quanto è stato generoso! -

Scappai via

Scendendo quelle scale e quando fui all'aria aperta, abbottonai con grande soddisfazione il mio soprabito; poi mi posi a camminare colla testa alta e col cuore in festa, come chi ha fatto il suo dovere.

 

 

 



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