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II
UN BACIO
Alla marchesa Bellati era stata data la penitenza di «contentare all'orecchio». - Oh! No, no! Si rifiutava!... Non avrebbe saputo da che parte rifarsi! -
E rideva, faceva delle moine graziose, da bimba; ma il direttore del giuoco fu inesorabile. Le porse il braccio e la condusse attorno, aspettando ritto, serio come un ciambellano, che le persone delle quali ella si accostava all'orecchio dichiarassero di contentarsi delle sue proposte di penitente.
Le signore (ce n'era parecchie) si eran contentate quasi subito: la marchesa, senza dubbio, avea saputo indovinare desideri e aspirazioni che, a quattr'occhi, non temevano di scoprirsi. Gli uomini, meno un solo, l'ultimo, erano stati piú gentili: - Si eran dichiarati contenti della sola vista di lei -.
Restava il barone Paolo Foli, un bel giovane, un capo ameno, che tutte le settimane, con un tono di tragica serietà, invariabilmente soleva ripeterle:
- Marchesa, è inesplicabile come già non siate pazzamente innamorata di me. Questo però non impedisce che io lo sia di voi! -
La marchesa, tutte le settimane, invariabilmente, gli porgeva a baciare con affettata sentimentalità la sua manina di vedova, bianca, vellutata, e rispondeva:
- È inesplicabile!... Ma pure è cosí! -
Nelle serate di casa Bellati il barone Paolo Foli era chiamato l'«inesplicabile». La cosa sembrava non andasse oltre i limiti di un semplice scherzo. Infatti fra gli invitati a Borzano, magnifica villa del conte Rampa, il barone quel giorno le aveva ricantato il suo ritornello a colazione, in giardino, alla passeggiata e, poco prima, anche nel salotto dove tutti si erano riuniti dopo il pranzo a terminar la serata ciarlando, facendo un po' di musica e, in mancanza di meglio, svagandosi coi giuochi di società.
Il barone vedendo accostare la marchesa si era sdraiato sulla poltrona con la fiera attitudine di un uomo molto difficile a contentare.
- Oh, sentite! - gli disse lei; - se fate lo schizzinoso, vi pianto.
- Per la grazia di Dio, c'è un direttore nel salotto! - rispose il barone.
E additava il cavalier Vergati che se ne stava lí ritto, impettito, a pochi passi, tutto compreso della solennità del suo ufficio.
Il cavalier Vergati s'inchinò profondamente: - Avrebbe fatto giustizia! -
La marchesa dovette rassegnarsi e sedette accanto al barone:
- Vi contentereste se io fossi innamorata di voi?
- È poco - rispose il barone; - questo accadrà un giorno o l'altro.
- Impertinente!
- È sempre poco. Avanti.
- Se vi procurassi una bella moglie, con dieci milioni di dote?
- È troppo. La moglie mi guasterebbe i milioni.
- Non saprei che farne. Sono un uomo straordinariamente virtuoso e modesto.
- Dio mio! - esclamò la marchesa, impazientendosi e battendo i piedini.
- Parla di me?
- Che grullo!... E se vi regalassi una cuoca?
- Ne ho già una in serbo, per sposarla in articulo mortis.
- La meritereste! -
Andavano per le lunghe. La marchesa aveva già fatto una trentina di proposte, ma il barone teneva duro, divagando, rispondendo cose assurde.
- Volete che ve lo dica io quando sarò contento?
- Sentiamo; sarà una stupidaggine - rispose la marchesa.
- No, la cosa piú ovvia di questo mondo.
- Quando? Via!...
- Ma prima bisogna fare una scommessa.
- Vada per la scommessa! Auff! Che cosa dovremmo scommettere?
- Quella mano -.
La marchesa si guardava curiosamente la destra additata dal barone, voltandola e rivoltandola, senza capire.
- Ah! - fece la marchesa. - E in premio di che?
- Ecco - replicò il barone, accostandosele all'orecchio. - Io sarò contento unicamente il giorno in cui vi avrò dato (notate bene!) senza il vostro consenso, senza vostra resistenza, ma tranquillamente, con tutto mio agio, un bel bacio sulla bocca. Volete scommettere? -
La marchesa, diventata rossa come una ciliegia, s'era rizzata sulla vita.
- Accetto - disse dopo un momento, con aria altiera, sorridendo. - E vi sembra la cosa piú ovvia? Ma sapete che siete...?
- Il piú bel giovane e l'uomo piú spiritoso di tutto il creato: è la mia opinione -.
La marchesa si levò da sedere.
- Perdoni - disse il cavalier Vergati fermandola. - Il barone non si è finora dichiarato soddisfatto.
- Soddisfattissimo - rispose questi.
E si alzava alla sua volta, per inchinarsi colle braccia incrociate sul petto come un mandarino della China.
- Ooh! - esclamarono tutti.
Tre mesi dopo, nel salotto della marchesa Bellati, verso le undici e mezzo di sera non restavano altre persone che il barone Foli e il suo amico commendatore Vanzetti, un ex deputato scartato ultimamente dai suoi elettori senza che nemmeno loro ne sapessero la ragione.
La marchesa pareva stanca dalla fatica e dalla noia di quella serata. C'era stata troppa gente; aveva il capo grosso; si sentiva stordita. Sua madre, la vecchia marchesa, si era già ritirata nelle sue stanze.
- O che quei due signori non avessero nessuna intenzione di andarsene? Se fosse stato soltanto il barone, lo avrebbe messo subito alla porta, dicendogli senza tante cerimonie che cascava dal sonno. Ma col commendatore! -
La marchesa chiamò la cameriera e, sotto voce, ordinò le si preparasse il letto: - Subito; non cenava... E quel commendatore che non si moveva! Sembrava lo facesse a posta -.
Ragionava di ferrovie, di esercizio privato, di esercizio governativo, di treni che deviavano, di treni che non arrivavano piú...
- Oh, il suo, il treno di quella discorsa non arrivava alla fine davvero! -
La marchesa velava uno sbadiglio. Avrebbe voluto alzarsi dalla poltrona; ma si trovava come asserragliata tra il commendatore e il barone, e le pareva sconveniente passare in mezzo a loro...
- Se quell'altro l'avesse almeno guardata in viso! Gli avrebbe fatto un segnale. Pareva impossibile! Un uomo di spirito come lui gustava l'esercizio ferroviario con una voluttà!... E i treni del commendatore continuavano a partire, uno dietro all'altro, senza interruzione. Si scontravano, ammazzavano la gente, non si arrestavano mai...
La marchesa aveva una voglia di urlare: - Cinque minuti di fermata! -
Ma il commendatore non la lasciava respirare; s'infuocava, apostrofava il «Consiglio superiore del movimento», se la prendeva col ministro dei lavori pubblici e gli faceva certe lavate di capo!... Poi veniva la volta del parlamento: - Tutto il marcio era lí! Non c'era piú deputati, ma dei saltimbanchi... dei giuocatori di bussolotti!... E il paese!... Il paese!... Il paese!... La marchesa si era sdraiata sulla spalliera della poltrona, cogli occhi socchiusi, col viso nascosto nell'ombra che la ventola lasciava cadere dal lato di lei. Si sarebbe detto che quella parola: «Il paese! Il paese!», ripetuta dal commendatore nell'entusiasmo della sua perorazione, avesse servito a vincere la resistenza che lei si sforzava di opporre alla forza del sonno. Da lí a poco il ventaglio le scivolava di mano.
Il barone fe' cenno al commendatore: - Continuasse a parlare -.
Intanto si alzava adagino adagino dalla poltrona.
La marchesa diè un grido e si coprí il volto colle mani. - Avevo bisogno di un testimone - disse il barone. - Se non vi dispiace, caro commendatore, potrete esserlo, fra non molto, del nostro contratto di nozze -.
Il commendatore guardava ora lui ora la marchesa, interdetto.
Altri tre mesi dopo, il barone e la marchesa Bellati, diventata quella mattina baronessa Foli, partivano verso le cinque di sera pel loro viaggio di nozze.
Era una serata dolce. L'orizzonte si accendeva ancora delle tinte vive del tramonto con gradazioni soavi.
Presi per mano, i due sposi si guardavano teneramente, commossi, senza dire una parola, da vere persone felici. - Si eran voluti bene tanto tempo, in una maniera stravagante, quasi avessero canzonato!... Ed ora, non era un sogno, facevano il loro viaggio di nozze! -
La baronessa al dubbio lume della lampada del vagone sembrava una bellezza fantastica, con quel viso che aveva sfumature e delicatezze da pastello e, in mezzo, i grandi occhi neri un po' velati da un'indolenza orientale. Infatti lo scialle che l'avviluppava tutta le dava un'aria di levantina.
Sul tardi, il barone tirava sotto il lume la tendina azzurra. Un'ombra discreta invadeva il vagone. Poi scoppiava un bacio.
- Ah, cara mia! - mormorava il barone all'orecchio di lei. - Se tu avessi provato la dolcezza del primo! Quella sera...
- Va là, che non dormivo! Ti volevo bene e...
- Non dormivi?... -
Il barone Paolo Foli rimase male.