Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO I

STORIA FOSCA

III CONTRASTO

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III

 

CONTRASTO

 

Alberto diventava piú impaziente da un momento all'altro e guardava l'orologio con certe occhiatacce... come se questo gli facesse il dispetto di ritardargli le ore. - Le dodici! Per arrivare alle tre di sera ci voleva addirittura l'eternità -.

Il caminetto scoppiettava nel salottino con un'allegra fiammata. Pareva borbottasse: «Stai fermo, accosta la poltrona; facciamo quattro chiacchiere sotto voce; ho tante cose a dirti!». Ma Alberto ora andava su e giú, da un angolo all'altro; ora incollava il volto ai vetri della finestra e guardava nella via, senza dir nulla; i passanti gli parevano ombre.

Il cielo era grigio. Folate di nuvole scure spuntavano dietro i tetti e andavan via di corsa, quasi avessero fretta. Quelle nuvole pregne di poggia, che pareva la rattenessero a stento per rovesciarla giú al primo scoppio di tuono, Alberto le vedeva fuggire pel cielo come tanti uccellacci di mal augurio.

Quel tempo minaccioso gli metteva l'uggia addosso.

- O perché non splendeva una bella giornata di sole? Anche il tempo lo contrariava, gli faceva un dispetto, gli dimezzava la sua felicità, gli amareggiava uno dei piú squisiti piaceri della sua vita di scapolo! Già, se cominciava a piovere, col rovescione che sarebbe venuto giú, lei avrebbe trovato una scusa per mancare alla promessa. Oh, non le sarebbe parso vero! Se l'era lasciata strappare a stento, dopo parecchi mesi d'insistenza, quasi per stanchezza!... La pioggia, sicuramente, sarebbe stata un bel pretesto!

E già le prime goccie battevano sui vetri, brillavano un momentino, e poi sbavavano.

Alberto, involtando nervosamente una sigaretta, masticava improperi all'indirizzo della pioggia.

 

Si aggirò pel salotto a testa bassa, lentamente; prese in mano uno dei tanti volumi buttati alla rinfusa sopra un tavolino e si sdraiò sulla poltrona, presso il caminetto. Il caminetto continuava a scoppiettare, a borbottare colle sue lingue di fiamma.

- Inutile! Non poteva leggere. Le lettere gli ballavano sotto gli occhi. Era troppo arrabbiato -.

E si allungava sulla poltrona, chiudendo gli occhi, strizzando la sigaretta fra i denti.

- Domani alle tre!...-

Se lo sentiva ripetere all'orecchio da una voce affiochita dalla distanza, musicale, un gorgheggio di usignuolo, da un'eco che sembrava gli arrivasse da una profumata regione tropicale verso cui si sentiva trasportato, come nei sogni, vertiginosamente.

- Ah quella bionda testa di donna! Gli accendeva l'immaginazione di riflessi dorati, di rosei fulgori.

- E quegli occhi! Cerulei, limpidissimi, profondi; un'immensità di cielo! E quelle labbra! Cosí sanguigne da rendere smorta la bianchezza opalina della carnagione! Quella testa di bionda maliarda gli faceva degli accenni civettuoli, promesse che avean l'aria di voler essere ripulse, inviti che pretendevano di parere concessioni pietose.

E il salotto gli s'illuminava di un vasto incendio di sole, e il pianoforte aperto in un angolo vibrava da tutte le sue corde un fremito armonioso, senza che nessuno lo toccasse, per sola virtú della presenza di lei!...

 

Un gran fantasticatore quell'Alberto! Glielo dicevo sempre; ma questa volta, bisogna convenirne, avea ragione. Nei suoi panni chi non avrebbe fatto lo stesso? La signora Moroni era una fiera bellezza, da far girare il capo a un santo e fargli perdere il paradiso.

Girare il capo, l'ho detto a posta. In quanto a farsi amare, ecco, la signora Moroni era di quelle donne che si desiderano violentemente ma non si amano punto. Da prima, lo confesso, non ero di questo parere, non facevo distinzioni; confondevo scioccamente il violento desiderio coll'amore.

- Sbagli - mi disse Alberto una sera; - c'è una bella differenza. Il desiderio, sodisfatto, cessa; l'amore è un abisso che non può mai colmarsi.

- Cessa anche l'amore...

- No; il vero amore si trasforma, non cessa -.

 

- Le due!-

Agli squilli argentini dell'orologio Alberto si riscosse. - Avea dormito? Avea sognato? Avea fantasticato? Si sentiva intorpidito. Il caminetto rosseggiava senza fiamma; la pioggia cadeva lentamente. Il cielo prendeva quel colore bianchiccio che precede il sereno. Il salottino nuotava entro una luce dolce, morbida, insinuante. Alberto se la sentiva penetrare per tutto il corpo, come il tepore di un bagno.

Non era piú impaziente. Guardava l'orologio con altr'occhio; dubitava andasse avanti:

- Possibile! Le due? Quasi quasi gli dispiaceva che mancasse appena un'ora all'arrivo di lei.

- C'era da sentir fermare, da un momento all'altro, la sua carrozza al portone... Forse non sarebbe venuta nemmeno in carrozza... La prima scampanellata all'uscio sarebbe stata la sua, certamente... Ecco, dimenticava di lasciarlo soltanto accostato!... Lei voleva cosí, per non aspettare sul pianerottolo... Ma non si muoveva.

Rimaneva , sdraiato, colla pianta dei piedi contro la brace, senza trovar la forza di levarsi; giacché bisognava andasse lui stesso ad aprire, avendo allontanato il servitore con una scusa, per esser piú libero... Ma non si muoveva.

O che cosa era avvenuto dentro di lui? Ah! Di pensiero in pensiero, di ricordo in ricordo, avea perduto di vista a poco a poco l'imagine della sua bionda maliarda... L'avea lasciata per via, senz'accorgersene, come un compagno di passeggiata che indugi erborizzando. Si era voltato una o due volte, sbadatamente, senza curarsi di aspettarla... E il tradimento gliel'aveva fatto quel brontolone del caminetto.

Quattro anni fa, nello stesso mese, alla stess'ora, con una giornata egualmente piovosa, in quel medesimo posto... Gli pareva un sogno! Povera Erminia! Singhiozzava, col volto nascosto fra le mani, riversata indietro sulla spalliera della poltrona, desolatamente; e lui, pallido come un morto, colle mani giunte in atto di preghiera, colla voce turbata dall'emozione, tentava di farle coraggio! Terribili momenti! Ma che potevano fare contro quella forza brutale che spezzava, a un tratto, i nodi creduti eterni della loro catena di amore? Lei doveva partire col marito, senza speranza di ritorno! Quel colpo la uccideva; già le pareva di accomiatarsi dal letto di morte! Si sentiva schiacciato anche lui; sentiva mancarsi il respiro!

Povera Erminia! Lo vedeva ancora quel viso bruno e pallido, contornato dai folti capelli neri, pieno di profonda tristezza. La sentiva ancora quella voce soave, che sembrava scaturisse dall'intima profondità del cuore!

Come si erano amati! Come si eran sentiti fulminare, tutti e due, la prima volta che si eran visti!

E che delizia in quelle continue cure di eludere ogni sospetto, di addormentare ogni malignità, in quell'inebriarsi della poesia del lor segreto come due giovanetti di sedici anni! E che tesori di piccole astuzie prodigate per passare insieme intiere giornate mentre la gente li credeva distanti cento miglia l'uno dall'altra, o anche soltanto per vedersi!

Divine follie! Sublimi abbandoni! Ineffabili ore di scoraggiamenti, di dubbi, di felicità spensierata! Delizie senza nome! Voluttà piú dello spirito che della carne, in quella raffinatezza, in quell'elevatezza che scaturiva dal prepotente rigoglio delle loro anime innamorate!...

Al brontolio del caminetto, al guizzo delle fiamme azzurrognole, ai bagliori d'oro che montavano ondulanti in alto quasi volessero scappar via per la gola affumicata, tutto il passato gli si risvegliava nella memoria, viveva una vita quasi piú reale di quella vissuta una volta!

- Ma che? Le due e mezzo? Di già? Decisamente le lancette dell'orologio a pendolo si scapricciavano a correre! -

Cosí la bionda maliarda ritornava a inframettersi importuna tra lui e quei cari ricordi, colla sua aureola di biondi capelli elegantemente arruffati, colla provocante serenità dei suoi occhi azzurri, colle sue labbra porporine, colla marmorea candidezza del collo e del seno, con tutte le sue seduzioni di cortigiana aristocratica che si concede e non si profonde, con quei suoi capricci di sensi e quella terribile freddezza di cuore che pareva un calcolo e non era!

- E doveva occupare in quel giorno, in quell'ora, lo stesso posto della sua povera morta, di lei che gli avea fatto provare le gioie piú grandi e il piú grande dolore della sua vita?... Ora che rimormoravano pel salotto quegli addii dolorosi, pur troppo gli ultimi?... Ora che gli si rinnovavano dentro l'orecchio quei singhiozzi soffocati dai baci piú strazianti che mai scoccasse bocca di donna?... No! No! -

Quell'inatteso rifiorire di un affetto da lui creduto già inaridito; quei ricordi di sensazioni che diventavano in quel momento sensazioni immediate, lo sbalordivano, gli davano la tortura di un rimorso, gli producevano un improvviso disgusto.

Una gentile tenerezza gli si affollava al cuore da ogni parte del suo corpo; le pupille gli nuotavano in qualche cosa che aveva la soavità delle lagrime; i suoi nervi erano sopraffatti da una lassezza deliziosa, ch'egli si rimproverava fiaccamente.

- Debolezza di fanciullo! intanto l'assaporava con gusto, come un frutto conservato fresco fuori stagione...

 

Una scampanellata arditissima, nervosissima lo fece balzare in piedi.

- Era lei! Lei, la desiderata da tanto tempo! Lei, il fascino irresistibile della carne, per cui gli eran divampati nel sangue ardori divoranti da farlo soffrire come se gli fosse corsi carboni accesi dentro le vene!... -

Il campanello tornò a squillare, piú nervoso.

Senza coscienza di quel che facesse, tremante dall'emozione, in punta di piedi, Alberto era arrivato fino all'uscio; e mentre stava per stendere la mano al paletto: - Vile! - sentí gridarsi dal profondo del cuore.

E il suo braccio si arrestò quasi paralizzato, mentre il petto gli ansava forte; e le gambe gli si piegavano, al fruscio di una veste e al lieve rumore di due tacchi che allontanavano per la scala.

 

Verso le undici, Alberto si presentava dalla signora Moroni. Quella sera il salotto era affollato.

Il Palloni, vedendolo entrare, gli era andato incontro e lo aveva tratto in disparte:

- Briccone! Ho un tuo segreto fra le mani; ma non dubitare, sarò discreto.

E siccome Alberto lo guardava negli occhi:

- C'incontrammo per le scale - gli sussurrò all'orecchio; - ma feci le viste di non riconoscerla. Io andavo dai Cerri, al primo piano -.

Alberto gli rispose con un'alzata di spalle.

La signora Moroni era splendidissima. Egli la guardava affascinato

- Com'era stato sciocco quella mattina! Oh, ma un'altra volta non avrebbe fatto l'imbecille!... -

E cercava una scusa, quando la Moroni gli accennò di accostarsi.

- Come si chiamava quel rimedio contro il mal di capo che lui vantava tanto? Voleva sperimentarlo. Che giornataccia aveva passata! Avea creduto di ammattire!... Ne aveva avuto per sette ore!... Quel rimedio era proprio efficace? Il dottore diceva di no. Ma lei voleva provarlo di nascosto dal dottore... chi sa? Poteva giovarle davvero! Si chiamava?...

- Guarana - disse Alberto, inchinandosi dopo averla guardata negli occhi.

- Che bel giovane! - esclamò un'amica della signora Moroni mentre Alberto si allontanava.

- Un imbecille, come tutti i bei giovani! - rispose lei.

 

Al tocco dopo la mezzanotte Alberto era ancora al club disteso sul canapè, con le gambe allungate, con le braccia incrociate sullo stomaco e la testa abbandonata sulla spalliera. - Un poema, caro amico! - gli diceva sotto voce il Cardini. - Un vero poema! È arrivata in casa mia alle tre e mezzo, inaspettata, come un'apparizione... -

Cardini parlava da una mezz'ora, profondendosi in esclamazioni, perdendosi in un lirismo di frasi e di gesti da far comprendere, povero diavolo! che aveva bisogno di uno sfogo perché la sua felicità non lo uccidesse...

Ma appena aveva inteso pronunziare il nome della signora Moroni, Alberto si era inabissato in una rêverie cosí profonda da non sentire una sola parola delle confidenze del suo amico.

 

Milano, 15 dicembre 1877.


 

 

 


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