Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
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TOMO I

STORIA FOSCA

VI IL DOTTOR CYMBALUS

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VI

 

IL DOTTOR CYMBALUS

 

Da due anni Hermann Strauss lavorava assiduamente a un Nuovo sistema della Natura; ma quel giorno la sua meditazione era stata troppo intensa. Perduto nella immensità d'un problema d'altissima metafisica, aveva finito coll'addormentarsi; e russava da piú d'un'ora quando fu bruscamente svegliato da un insistente picchiare all'uscio.

- Avanti! - borbottò, sbadigliando e stirandosi sulla poltrona.

Comparve una gran cuffia dov'era affogata una grinzosa testa di vecchia.

- Ci è un giovane che desidera parlarle - biascicò la cuffia.

- Passi - rispose Hermann. - Chi diavolo può essere? - E aveva appena terminato di pensar questa domanda, che un bel giovane, alto di statura, biondo, pallido e in abito da viaggio, si presentava sulla soglia.

- William Usinger! -

I due amici si abbracciarono affettuosamente.

- Era arrivato quel giorno?

- ; e ripartiva domani. Aveva bisogno di lui.

- Son qua. Ma siedi; fumiamo una pipa.

- Grazie -.

L'Usinger posò sul tavolino un grosso piego sigillato.

- Vo in America - egli disse; - lontanetto, è vero?

- Ci metterai un po' di piú ad arrivare. Infine si va in capo al mondo e si ritorna.

- Si poteva anche non tornare...

- Certamente, quando si trovava da star bene... Ah! È il tuo viaggio di nozze! - esclamò Hermann picchiandosi colla mano sulla fronte e spalancando gli occhi cerulei sotto le sue lenti da miope.

Il silenzio di William lo sorprese.

- Hai già sposato?

- No. Ma parliamo di cose serie. Sono qui per un affare di grave interesse.

- Non sei sposo?

- No - replicò William seccamente.

- O dunque?

- Parto per l'America.

- Ma che cosa è accaduto?

- Una cosa semplicissima: Ida sposa un altro.

- Tu l'abbandoni? Tu che mi scrivevi di amarla tanto?

- È lei che preferisce di sposare un francese.

- Francese per giunta! - esclamò Hermann dando un fortissimo pugno sul tavolino.

- Oh, per me val lo stesso, quando l'amato non son piú io!

- Povero William! Tu vuoi dimenticare, tu vuoi...

- T'inganni. Due donne non mi usciranno mai dal cuore: mia madre e lei!

- A proposito, e tua madre?

- Non ha voluto ricevermi.

- Nemmeno per farsi vedere, per farsi adorare in silenzio? -

William scosse il capo tristamente.

- Tua madre dev'essere un'altra!

- È lei! Ne ho in mano le piú irrefragabili prove.

- Povero William!

- Mi sento vecchio, decrepito a venticinque anni. Senza famiglia, senz'affetti, senza speranze, senz'illusioni, che ci faccio fra voi?

- Hai ragione. Vai in America: abbandona questa vecchia Europa che casca a pezzi da ogni parte. Vai in America. Buon viaggio! potrai presto rifarti il cuore. Buon viaggio!... Ma è triste doversi dire addio forse per sempre!

- Ed ecco il motivo della mia visita - disse William molto commosso. - Questo plico sigillato contiene alcune carte importanti e le mie ultime volontà.

- Le tue ultime volontà?

- Riguardo a quel che lascio in Europa - soggiunse l'Usinger sorridendo. - Per l'esecuzione del mio testamento non bisogna aspettare la mia morte. Appena imbarcato, intendo non esser piú vivo per nessuno di qui, cioè fra tre o quattro giorni. Non ammattirai; te lo avverto perché tu non stia in pensiero. Ho venduto tutto. Questo plico contiene, in biglietti, in obbligazioni, in cambiali, quas'intiera la somma che ne ho ricavata.

- E pel tuo viaggio? Pel tuo avvenire?

- Non dubitare, ci ho pensato. Accetti?

- Ma di cuore! -

Hermann aveva le lagrime agli occhi. William, pallidissimo, faceva grandi sforzi per contenersi.

- Hermann - disse l'Usinger dopo alcuni momenti di silenzio; - promettimi di non aprire questo plico prima di quando ti ho detto!

- Anche piú tardi, mio caro, se cosí ti fa piacere. Io già l'ho con me che non tento di distoglierti dalla tua trista risoluzione. Trattienti almeno un paio di giorni!

- Non posso, ho molte faccende da sbrigare. Volevo anzi, per far piú presto, spedirti il plico colla posta; ma poi mutai pensiero. Ho voluto abbracciarti prima di lasciare l'Europa.

- Grazie, caro William! Mi hai fatto proprio piacere. Dove sei tu alloggiato?

- Alla Blauen Stern.

- Verrò a trovarti. Staremo insieme fino a stasera -.

Quando Hermann Strauss rimase solo, accese la sua grande pipa, si calcò sulla fronte il berretto di pelle di volpe, incrociò le braccia e stette assorto, lungamente, cogli occhi fissi sul busto di Hegel collocato in faccia.

A un tratto si riscosse, si precipitò sul plico, ne ruppe i sigilli, prese il solo foglio scritto ch'esso conteneva, e, prima di averne letto mezza pagina, cacciò un urlo.

- Che io arrivi a tempo! Che io arrivi a tempo! - balbettava scappando fuori di casa.

 

La Blauen Stern era situata al punto opposto della città.

Hermann attraversò una viuzza, svoltò una cantonata, sboccò in una piazzetta, infilò due altre straducole contorte ed oscure, uscí nella via principale, e poi tirò diritto, correndo affannosamente, senza curarsi che la gente si fermasse a guardarlo. Giungendo al portone dell'albergo non avea piú fiato.

- William Usinger? - domandò al portinaio mezzo appisolato nel suo stambugino.

Il portinaio si scosse, si strofinò gli occhi e, guardatolo in viso, chiamò:

- Resi!

Comparve una donna sui trent'anni, una vera paesana, grassa, bionda, untuosa. Il portinaio accennò ad Hermann che parlasse con lei.

- William Usinger è in casa? - replicò Hermann che sembrava sui carboni accesi.

- Glielo dirò subito -.

E sparí dietro l'uscio da cui era sbucata.

Quei minuti di aspettazione parvero un secolo ad Hermann. Finalmente la Resi venne a dire che l'Usinger era andato fuori di buona ora e non era piú tornato.

- Le sue valigie son ancora qui? - domandò Hermann agitatissimo.

- Non ha valigie.

- Dovrà pagare il suo conto...

- L'ha saldato.

- Dove poteva trovarlo? Come raggiungerlo a tempo? Hermann pestava coi piedi, si strizzava le mani, bestemmiava, guardando indeciso di qua e di ; quando eccoti l'Usinger.

- Ah! - urlò Hermann, correndogli addosso come se quello avesse tentato di scappare.

- Hai aperto la busta! - disse William, con piglio severo.

- !

Hermann per precauzione lo teneva sempre pel vestito. Montarono le scale, silenziosi. Entrati in camera, William buttò in un canto il suo berretto da viaggio e si lasciò cadere sopra una poltrona. Hermann rimase in piedi innanzi a lui.

- Aveva perduto il cervello?

Lo rimproverava affettuosamente.

- Poteva darsi. Ma cosí che credeva di fare?

- Il suo dovere d'amico.

- Un dovere inutile.

- William!

- Voleva persuaderlo di amare la vita dopo tutto quello che lui sapeva? C'era forse il mezzo di strapparsi il cuore dal petto e non morire? Aveva lui il modo di renderlo freddo e insensibile come il marmo?

- ! ! - esclamò Hermann.

A quelle ultime parole dell'Usinger gli era balenata nella mente una luce improvvisa; perciò lo abbracciava con effusione. William stava a guardarlo stupito.

- Il cervello del suo amico aveva dato la volta? -

Ma Hermann sorrideva, si fregava le mani dalla gioia:

- Gli bastava l'animo di sostenere una dolorosa operazione chirurgica?

William fece una mossa di offesa.

- Lo prendeva per un bimbo?

- Si sentiva l'animo di sostenere una dolorosa operazione chirurgica? - Glielo domandava seriamente.

- Perché?

- Per diventare freddo e insensibile come il marmo. Gli bastava l'animo? - Rispondesse.

- Oh, ! - disse William. - Ma questo è impossibile.

- Meno di quel che supponi. Tu conosci certamente, almeno di fama, il dottore Franz Cymbalus, uno dei piú grandi, anzi forse il piú grande dei fisiologi viventi. Le sue scoperte sul sistema nervoso sono le conquiste piú straordinarie della scienza moderna. È stato mio maestro e mi vuol bene. Anderemo a trovarlo. Il dottor Cymbalus ti salverà.

- È dunque un Dio cotest'uomo?

- Uno scienziato; val quasi lo stesso.

- Non credere che io m'illuda - disse l'Usinger. - Se acconsento a venir da lui, è solamente per contentarti. Abita lontano?

- In una sua villetta, a poche miglia dalla città.

- Su, andiamo! -

E l'Usinger rispose con un'incredula scrollata di spalle al gran respiro di soddisfazione cacciato fuori da Hermann.

 

Il dottor Cymbalus era seduto sopra una panca di legno con due bimbi sulle ginocchia. Sorrideva, li accarezzava e rispondeva bonariamente alle vivaci domande di quelle due bionde testoline.

- Domine, bona dies - disse Hermann dietro il cancello, togliendosi di capo il berretto.

Il dottore lo riconobbe, mise a terra i due bimbi che si perdettero pei viali, e andò ad aprire facendo colla mano un affettuoso saluto.

- Amico mio! - disse, introducendo i due arrivati. - Sono lietissimo di rivedervi. Signore, vorrei poter soggiungere altrettanto di voi; ma, se la memoria non m'inganna, non credo d'avervi veduto un'altra volta. Per questo non siete meno il ben venuto in casa mia.

- William Usinger - disse Hermann.

William fece un profondo inchino. Il dottor Cymbalus gli stese la mano.

- Maestro, il mio amico ha bisogno della sua scienza - disse Hermann sorridendo all'Usinger.

- È ammalato?

- Piú che ammalato: è deciso di ammazzarsi.

- Cosí giovane?

- , maestro, cosí giovane!

- Non viene certamente da me perché gliene fornisca il mezzo - disse il dottore. - Ma entriamo in casa. Ragioneremo con piú comodo -.

Il dottore condusse i due ospiti nel suo gabinetto di studio, un caos di libri, di carte, di mappe, di strumenti, di boccette, di vasi, di cranii, di preparati anatomici, di scheletri umani. L'Usinger, entrando, sentí dei brividi per la schiena.

Il dottore sedette sulla poltrona dietro il suo tavolino. I due amici gli sedettero di faccia.

Quella figura di vecchio scienzato era dolce e serena. La sua fronte spaziosa e solcata da rughe profonde, il suo occhio vivo e scintillante malgrado le veglie sostenute per mezzo secolo in pro della scienza e dell'umanità, il suo labbro quasi sempre sorridente, la posatezza delle sue maniere, la bontà della sua parola, tutto rivelava in lui una natura elevata; di quelle che dal sapersi piú grandi delle altre attingono la virtú dell'umiltà che le fa venerande.

- Voi dunque volete morire? - disse il dottor Cymbalus con un accento di paterna ironia.

- , o signore - rispose l'Usinger freddamente. Mentre Hermann raccontava, a grandi tratti, la dolorosa storia di William, il dottor Cymbalus teneva bassa la testa e gli occhi socchiusi; le sue labbra erano atteggiate a commiserazione profonda.

- Io non posso approvare la vostra risoluzione - egli disse all'Usinger quando Hermann ebbe finito. - I miei studi m'ispirano un immenso orrore per l'opera di rovina che voi meditate; forse, perché mi trovo, piú d'ogni altro, nel caso di misurarne la gravità. La mia vecchiezza e i miei studi mi autorizzano a tenervi questo linguaggio. Le vostre sventure sono grandi; però voi dimenticate che la natura non toglie nulla senza dar dei compensi. Nel mondo vi sono molti esseri che paiono condannati alla perpetua servitú di altri esseri superiori; nascono, vivono, muoiono senz'un loro apparente profitto. Fra gli uomini, nella vita civile e in quella dell'intelligenza, succede lo stesso. Il genio potrebbe dirsi una tremenda schiavitú; la scienza, un'orribile catena. Tutta la gloria e tutte le ricchezze di questo mondo non valgono a compensare la piú piccola parte dei dolori che l'artista e lo scienziato provano nella creazione delle loro opere e nella ricerca della verità, che è una creazione anch'essa. Voi dite di voler morire perché vi è mancata la consolazione degli affetti domestici; ma chi vi dice che la natura non v'abbia destinato ad esercitare le forze del vostro cuore e del vostro intelletto in una sfera assai piú larga di quella della famiglia? La società si compone di tanti cerchi concentrici. La famiglia occupa il posto di mezzo; l'umanità l'ultimo, almeno nel mondo che noi abitiamo. Piú in della famiglia vi è la città; piú in di questa, la nazione; piú in ancora, le nazioni; un campo immenso, fecondissimo, ove quella piena d'affetto che vi tumultua nel cuore potrebbe trovare mille sfoghi. Quante vie non sono aperte alla vostra attività nell'istruzione, nella politica, nella milizia, nel commercio, nelle arti, nelle industrie, nelle scienze, perfino nelle occupazioni piú spregevoli?

Per una sublime fatalità, ogni minima influenza del minimo atomo contribuisce, coi suoi mezzi, al grande edificio del progresso. La materia si trasforma e trasforma, alla sua volta, quello che noi chiamiamo spirito, pensiero. Vi siete mai reso conto della benefica legge del lavoro, la piú perfetta esplicazione dell'amore? No, certamente. Per vostra mala sorte vi siete invece concentrato in voi stesso; avete aumentato con crudele compiacenza la forza del male; avete già iniziato, isolandovi, quell'inconsiderata opera di distruzione che ora intendete di compire. Forse non avete mai provato la consolazione di beneficare i vostri simili...

- - lo interruppe l'Usinger. - Ma sopratutto (può darsi ch'io sia un grande egoista) ho sempre pensato a me stesso. Io ammiro la grandezza delle cose da lei dette, e mi addoloro di trovarle indifferenti per me, cioè, troppo elevate pel mio cuore, per la mia indole, fors'anche per la mia stessa volontà. Ma se la sua scienza, o signore, non ha altri mezzi per giovarmi, mi affretto a chiederle scusa di questi momenti di noia. Li deve al mio buon amico Strauss; ma li perdoni a tutti e due.

- Maestro! - disse Hermann, stendendo le mani verso il dottore in atto di preghiera. - Maestro, bisogna salvare ad ogni costo quest'infermo di mente. L'ho qui condotto colla fiducia che lei lo avrebbe salvato.

- Ma in che maniera, caro Strauss? - domandò il dottore.

- Mi son ricordato a un tratto di quella sua straordinaria scoperta, della quale lei diceva di sentirsi atterrito; di quella scoperta che lei vuole portar con sé nella tomba, per non mettere nelle mani della fanciulla umanità un'arma cosí terribile e di cosí facile abuso. Ebbene, Maestro, quella scoperta può strappare alla distruzione una vita vigorosa, un'intelligenza potente. Non vorrà lei stender la mano per salvare metà d'una creatura già decisa di perdersi intiera? -

Il dottor Cymbalus guardava William fissamente. Questi aspettava con calma la risoluzione dello scienziato.

- E s'io vi rispondessi che non posso far nulla?

- Mi ammazzerei.

- Ma voi ignorate senza dubbio quello che Hermann mi chiede!

- No, signore. So che si tratta d'un'operazione colla quale rimarrei freddo e insensibile come un uomo senza cuore.

- È un'operazione che qualunque vecchio barbiere sarebbe capace di fare. Ma io provo ribrezzo a stender la mano sopra una creatura perfetta per guastarla senza riparo! Non vo' commettere un sacrilegio. Un ago, una lancetta basterebbero per turbare la meravigliosa armonia del vostro organismo. Qualcosa di voi perirebbe, come per incanto. Diverreste un uomo nuovo, una creatura senz'affetti...

- Non desidero altro - interruppe l'Usinger. - Le mie sventure provengono dal cuore. S'io fossi insensibile, se...

- Ah, ma un giorno voi potreste amaramente rimpiangere quello di cui ora volete disfarvi!

- No, non è possibile; soffro troppo.

- Badate! La scienza sarà impotente a darvi il minimo aiuto. È la sua inferiorità di faccia alla natura, è la sua miseria attuale. Per dispetto, come l'ebreo della leggenda, voi potreste buttar nell'oceano la preziosissima gemma del vostro sentimento. Ma nessuno, badate! Ripeto, nessuno potrebbe piú ripescarvela. Persistete ancora nella vostra risoluzione?

- Piú che mai, mio signore! -

Il dottor Cymbalus appoggiò i gomiti sul tavolino, mise la testa fra le mani e stette a riflettere per due minuti. Hermann guardava il suo maestro trattenendo il respiro. William aspettava, tranquillo, facendo girare tra le dita gli orli del suo berretto da viaggio.

- Avrei amato - disse il dottore - che piú della mia scienza vi giovassero i miei consigli. La vita è una bella cosa; credetelo a un vecchio che non può star molto a lasciarla. Dite di no? Dio faccia che un giorno non mi abbiate a dar ragione! -

Il dottor Cymbalus scrisse una prescrizione sur un foglietto di carta e la porse ad Hermann:

- Dopo sei giorni di questa cura, tornate qui. Tenteremo -.

Hermann si precipitò sulla mano del maestro e la coperse di baci.

William si sentiva stranamente commosso.

 

Una settimana dopo, Hermann e William picchiavano al cancello della villetta.

In un angolo della camera larga ed ariosa era preparato il letto pel paziente. Sopra il tavolino rotondo posto nel centro, vedevansi due boccette con liquidi rossi e nerastri, fasce ripiegate, filacce e una piccola borsa chirurgica.

William guardò questi apparati con occhio indifferente. Il dottor Cymbalus gli ordinò di mettersi a letto, poi gli somministrò il cloroformio.

Mentre Hermann, aiutato dal servo del dottore, rivoltava bocconi il suo povero William reso insensibile, il dottore cavava fuori dalla borsina due aghi e una lancetta, preparava due fasce e stendeva sopra cuscinetti di filacce un po' di quei liquidi rossi e nerastri delle boccette, che subito si rapprendevano.

Era sopra pensiero.

- Lasciatemi solo - egli disse; - e non entrate prima che io suoni -.

Trascorsero dieci minuti; durante i quali Hermann, che origliava dietro l'uscio, non sentí altro nella camera che il passo affrettato del dottore dal letto al tavolino e dal tavolino al letto. Benché non dubitasse menomamente della riuscita, era agitatissimo, tremava, non vedeva l'ora che l'uscio della stanza di William fosse stato aperto.

Il dottore suonò.

- Tenetevi pronti - disse, vedendo entrare Hermann e il servitore. - Appena si sveglierà, le sue convulsioni saranno tremende -.

Un lento mugolio annunziava da a poco il ritorno ai sensi dell'Usinger.

Le filacce, trattenute da due fasce nel mezzo della spina dorsale e all'occipite, indicavano il posto dove l'operazione aveva avuto luogo. Non vi si scorgeva traccia di sangue.

William stirava le braccia con moto convulsivo, poi le lasciava cadere come sfinite. Tentò svoltarsi, ma non riuscí. Lo lasciarono fare. Il dottore aveva raccomandato intervenissero soltanto nel caso che quello cercasse di strapparsi le fasce.

Il mugolio diventava a poco a poco un urlo prolungato. William mordeva i cuscini, tormentava con le mani le lenzuola e le materasse, si agitava con tutta la persona, e urlava:

- Ahi! ahi! La morte! La morte! Ahi! Ahi! -

Quando videro che tentava di strapparsi la fasce, Hermann e il servo lo afferrarono ai polsi. Era livido, colla fisonomia contratta, cogli occhi terribilmente spalancati.

- Ahi! ahi! - continuava ad urlare. - La morte! La morte!

- Vi è da temere, maestro? - domandò Hermann ansioso.

- Tutto va bene - rispondeva il dottore colla soddisfazione dello scienziato che ha ottenuto una vittoria. William restò per alcuni minuti come un corpo inerte. Il dottor Cymbalus gli tastava il polso.

- Le convulsioni ricominciano; saranno le ultime, ma piú violente -.

L'accesso riprese appena il dottore aveva terminato di parlare, ma non durò molto. William ricadde spossato.

- Lasciamolo riposare - disse il dottor Cymbalus -. Già si sviluppa la febbre. È la natura che si solleva contro la violazione delle sue leggi! - William dormí tranquillamente quattr'ore di fila. Quando svegliossi, i suoi occhi smarriti si fissavano sulle persone e sugli oggetti intentamente, come per riconoscerli bene; poi passavan via, senza lasciar capire se gli avesse o no riconosciuti. Le sue mani brancicavano nel vuoto, sfregavano le coperte; poi si tastava il viso, il petto, lo stomaco, e tornava a brancicare qualcosa invisibile. La sua voce era un lamentio basso, interrotto, una specie di singhiozzo. Durò cosí due giorni. Al terzo riconobbe Hermann e gli strinse la mano: sorrise al dottore.

- Soffro molto - diceva; - soffro molto qui -. E gl'indicava il petto.

- Non è nulla - rispondeva il dottor Cymbalus. - Passerà -.

Quando questi gli tolse le fasce, Hermann vide sulla spina dorsale e sull'occipite di William due piccolissime cicatrici, due graffiaturine nere; niente altro.

William si sentiva uscire a poco a poco da un profondo sbalordimento. Le idee gli erravano per la mente, gli sfuggivano, gli tornavano innanzi come nuvoloni sballottati da un temporale; poi cominciavano ad ordinarsi simili a una folla di persone entrate confusamente in una sala che riescono infine a trovar tutte il lor posto. Capiva che doveva essere accaduto qualcosa di straordinario dentro di lui; provava un vuoto immenso e un benessere ineffabile, ma non si ricordava bene: credeva d'aver sognato.

- Hermann, il dottor Cymbalus, il letto, la stanza, l'operazione subita non erano fantasmi creati dalla sua fantasia delirante? Si era forse ucciso, e quello stato di calma era la sua nuova esistenza in un mondo migliore?

Finalmente ebbe la certezza della realtà.

- Consummatum est! - gli disse il dottor Cymbalus scotendo la testa tristamente.

- Ella è il genio del bene! - rispose William.

- Dite piuttosto il genio del male, capace di distruggere e non di edificare!

- Ah, dottore, come son lieto di non aver ascoltato i suoi consigli! Io gusto una pace, una felicità che non credevo possibili sulla terra! -

 

Infatti era una felicità vera. All'eccessivo tumulto dei suoi affetti succedeva un silenzio completo. I suoni gli aliavano intorno alle orecchie, sussurrandovi le loro note senza decidersi ad entrarvi. I colori venivano a posarglisi sulla retina colla delicata precauzione di chi non vorrebbe farsi scorgere.

Quella parola misteriosa della malinconia dei tramonti, del mormorio delle acque, del profumo dei fiori, delle linee della campagna, della serenità dei laghi, dell'altero slanciarsi dei monti al cielo, del mesto sprofondarsi delle vallate; quella parola misteriosa che tutti cerchiamo, che tutti ci sforziamo a riprodurre poeti, romanzieri, pittori, scultori, maestri di musica, quella viva ed eterna parola dell'universa natura, lui non la sentiva piú o non la intendeva. Viveva come circondato da un'immensa solitudine, fra le vaste ruine d'un mondo una volta animato. E si sentiva felice, e s'inorgogliva di se stesso.

- Come era superiore a quanto gli stava attorno! Nulla giungeva piú a fare nessun'impressione su lui!

- Ricordava sua madre, ricordava Ida Blumer, le sole creature ch'egli avesse immensamente amate e per le quali il suo cuore aveva tanto sofferto; ma non provava piúcommozione, né rimpianto: - Era vendicato di esse! -

Gioiva del suo trionfo.

Durante questo tempo, avvenimenti inaspettati mettevano sossopra il palazzo della contessa K***.

La sventura avea spetrato quel cuore di madre, e il pentimento e il rimorso la conducevano alla casa del figliuolo cosí spietatamente abbandonato e, una volta, fatto scacciare dai suoi servitori.

William abitava insieme ad Hermann.

Quella stessa vecchia che un giorno lo introdusse nella stanza di studio del suo amico gli annunciò la visita d'una gran dama.

- Passi - rispose smettendo di lavorare.

Una signora vestita a lutto, con un fitto velo sugli occhi si presentava sulla soglia. Esitava ad inoltrarsi.

William le era andato incontro. Allora quella signora avea sollevato il suo velo ed era rimasta a testa bassa innanzi a lui.

- Mia madre -.

William non si era scomposto.

Ma la signora, fulminata da quella freddezza, lo fissò in volto. Non vi traspariva nessun indizio di commozione repressa. Suo figlio la guardava attentamente, ma con impassibile tranquillità.

Al grido straziante della contessa, e al vederla fuggire inorridita, William avea alzate le spalle ed era tornato al tavolino, a disegnare figure di geometria.

Otto giorni dopo, passando davanti la casa dove si espongono i cadaveri non riconosciuti delle persone perite di morte improvvisa o violenta, avea veduto molta gente affollarsi sull'uscio. La curiosità lo avea spinto ad entrarvi.

Sopra una bara giaceva il cadavere d'una giovane dai diciotto ai vent'anni.

Bella, vestita con eleganza, aveva i capelli rappresi sulla fronte e sul collo; gli abiti ancora bagnati indicavano il genere di morte scelto dalla infelice per finire i suoi giorni.

- È Ida Blümer - egli disse; - la riconosco -.

Condotto davanti al commissario, vi fece la sua deposizione. La vista di quel cadavere lo aveva lasciato indifferente.

 

Eran passati sei anni.

- Che cosa voleva dire quella stanchezza vaga, indefinibile che cominciava ad insinuarsi nella sua vita regolare e monotona? Quei confronti del passato col presente, che gli erano stati cagione di tanta allegrezza, perché ora prendevano un accento di lieve rimprovero? -

Fu spaurito di questi sintomi e cercò di svagarsi.

Ma come sfuggire la memoria? Si vedeva perseguitato da essa perfino nei sogni.

Giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, la stanchezza e la noia aumentavano. Non poteva far nulla per arrestarle; si sentiva inetto a resistere.

- La gran legge del lavoro! -

Aveva un bel ricordarsene; non gli riusciva di lavorare. Si stancava, si annoiava subito. Gli mancava qualcosa che gli rendesse caro il lavoro.

La sua solitudine gli faceva spavento. I momenti piú tristi della sua vita gli parvero preferibili, immensamente, a quella calma di morte che l'operazione del dottor Cymbalus gli avea procurata.

- Mamma! Ida! Mamma! Ida! - chiamava ad alta voce, chiuso nella sua stanza, senza voler vedere nessuno.

Tentava di riscuotersi con quei nomi dal torpore che lo teneva incatenato fra i suoi terribili nodi.

- Ma nulla! -

Quelle parole: «Mamma, Ida» gli risuonavano nell'orecchio come due voci che non avessero mai avuto alcun senso per lui.

- Ah! Quell'ore di pianto, di disperazione, di strazio mortale passate a guardar da lontano le finestre del palazzo K*** nelle notti d'inverno! Ah! quell'ore d'agonia, quando si struggeva di abbracciare sua madre che perduta tra le feste e i conviti piú non si ricordava di lui! Quelle erano state ore! E quando i furori della gelosia, i folli propositi di vendetta gli avevano sconvolto il cervello, al tradimento di Ida Blümer? Che emozioni! Che divini dolori!... Ed ora piú nulla! Nulla! Un giorno corse da sua madre.

La contessa K*** si preparava per un viaggio lontano. Nel momento che William saliva le scale del palazzo ricordando la trista scena di parecchi anni fa, essa trovavasi nel suo elegante salotto, abbandonata su una poltrona, col viso fra le mani, piangente. Una cameriera levava della roba da un mobile antico incrostato di avorio e di madreperla, e nominato un oggetto, aspettava che la sua signora le rispondesse o no con un cenno del capo.

William irrompeva nella stanza.

La contessa pareva ammattita dalla gioia. Rideva, piangeva, lo abbracciava, lo carezzava, tornava ad abbracciarlo. William non rifiniva dal baciarla:

- Il contatto di quelle labbra dovea fargli rivivere il cuore! Chiamami figlio! Chiamami figlio!

- Figliuolo, figliuolo mio! - ripeteva la contessa.

Il rimorso, il pentimento, la gioia rendevano sublime l'accento di lei.

William smaniava; si scioglieva dalle braccia di sua madre, le metteva una mano sulla fronte per tenerle sollevato il volto:

- Voleva contemplarlo bene e assorbire tutti gli splendori di quegli occhi! Qui le tue mani, sul mio cuore!... Premi forte!... Ancora piú forte! Ma no! No! Quel terribile gelo non voleva fondersi. Il suo cuore era morto per sempre! Non un palpito! Non una leggiera emozione! Baciava forse una statua? Era un'infamia! Oh, maledetta quella scienza che lo aveva cosí ridotto! -

 

La mattina dopo, senza dir nulla al suo amico, William Usinger prese la strada che conduceva alla villetta del dottor Cymbalus.

Era giorno di festa. Allegre brigate di uomini e di donne, sparse pei prati che fiancheggiavano la strada, conversavano allegramente o ballavano al suono del violino e del contrabasso. William si fermava a guardare quelle persone felici; ma non capiva piú nulla di quella loro musica, e di quelle loro canzoni. Quei visi sorridenti gli sembravano atteggiati a scherno o a disprezzo per lui.

Il dottor Cymbalus lo ricevette colla sua solita cordialità.

William gli espose quel che provava.

- Io non v'ingannavo, figliuolo mio! - gli disse il dottore diventato tristo e meditabondo. - Forse sarebbe stato meglio vi avessi lasciato mettere in atto la vostra disperata risoluzione! Non credete per questo che vi fossi indotto da una vanità di scienziato, per tentar l'esperimento delle mie scoperte. Voi calunniereste il mio cuore d'onest'uomo che la scienza fa palpitare vivamente per qualunque creatura che soffre. Fui sedotto da una speranza: osai sperare che la natura non sarebbe stata inesorabile. Eravate cosí giovane! Avevate tanto sofferto! Ma la natura non muta le sue ineluttabili leggi.

- Addio, dottore! - disse William.

- Abbiate coraggio, abbiate coraggio!

- Avrò coraggio -.

Il dottor Cymbalus dalla finestra del suo studio seguí coll'occhio il giovane che s'allontanava a capo chino. Lo vide fermarsi per consegnar qualcosa al servo poi sparire nel campo vicino, dietro un folto gruppo di alberi.

S'udí un'esplosione d'arma da fuoco.

Il dottore corse in fretta, accompagnato dal servo, verso il punto dove l'Usinger era scomparso.

William giaceva a terra immerso in un lago di sangue, col petto squarciato da una terribile ferita.

Quando il servo consegnò al dottore il foglio ricevuto alcuni momenti prima, il vecchio scienziato lo aperse tremando dalla commozione, colle lacrime agli occhi. Esso conteneva queste brevi parole:

«Lascio tutto il mio patrimonio al dottor Franz Cymbalus ed al mio amico Hermann Strauss perché con esso istituiscano una scuola gratuita dove si insegni ad Amare

 

Firenze, settembre 1865.


 

 

 

 


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