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II
- Ebbene, trovala tu! - aveva risposto Lorenzo.
E un mese dopo suo padre, aiutato da un canonico amico di famiglia, scovava la ragazza in un paesetto vicino, a Niscemi.
- Figlia unica, bellina, educata bene, con discretissima dote... Vedrai. Sarai contento -.
Quella gioia del buon vecchio, che lo guardava con gli occhi luccicanti di tenerezza, intanto che si aggirava per la stanza fregandosi le mani, arzillo, meno curvo di prima, quasi il prossimo matrimonio del figliuolo gli avesse già levato una diecina di anni di su le spalle; quel «Vedrai. Sarai contento» pronunziato con accento commosso, era stato l'ultima spinta per Lorenzo che esitava.
A lui, studioso, amante della vita appartata e senza sopraccapi domestici, il celibato non dispiaceva punto; e la casa non gli pareva fredda e vuota come a suo padre. Don Giacomo invece, dopo la morte della moglie e della sorella, si credeva dimezzato, ridotto alle mani di una grullaccia di serva che faceva prendere il bruciaticcio al desinare e non spolverava mai, né levava mai un ragnatelo.
- Posso mandarla via? È cresciuta in casa... Mi sono già abituato a lei. Una persona nuova mi farebbe cattiva impressione...
- Lo sappiamo! Per questo si va a Niscemi - gli rispondeva il canonico, mentre la carrozza correva, sbalzando fra un nembo di polvere, per lo stradone. - È vero, dottore? -
Lorenzo, muto e pensieroso, accennava di sí col capo e continuava a fumare, guardando le colline che fuggivano dietro gli sportelli, e le pianticine selvatiche, e gli alberi bianchi di polvere fiancheggianti la strada, e che soffocavano a quel sole. Il paesaggio, stranamente cupo, gli riempiva il cuore di tristezza irrequieta.
Perché si era lasciato indurre? Perché?...
Ma appena vide la ragazza e passò un'ora in quel salotto rimesso a nuovo per l'occasione, seduto sul canapè con lei da un lato e don Paolino, il padre di lei, dall'altro; dopo la prima impressione, un po' sfavorevole, del futuro suocero, lungo, magro, nero come il pepe, con muso e occhietti da furetto, Lorenzo si sentí rassicurato. Quella figurina bionda e minutina che lo guardava sorridendo, ingenuamente curiosa, che lo interrogava e gli rispondeva quasi lo avesse conosciuto da gran tempo, e che diveniva piú rossa in viso s'egli le rivolgeva la parola, gli era riuscita subito una graditissima sorpresa.
- No.
- Che gliene sembra? Già, per lei abituato alle grandi città...
Ella parlava con dolcezza gentile, senz'affettazione, ritta sulla vita, cacciandosi indietro di tanto in tanto una ciocca di capelli che le ricadeva su la fronte, umettando spesso i labbrini rossi con un rapido movimento della lingua; assai piú bella ora che il color naturale ritornato lasciava scorgere tutta la delicatezza della bianca pelle della faccia.
Don Paolino volle che sua figlia cantasse qualche cosa: - La «Casta diva», la musica delle musiche!... Dico bene, eh? Musica delle musiche!
- Che idea!... Ma questi signori scapperanno via...
- Questi signori ti compatiranno. Lo sanno che non sei la Patti...
- Benedetto babbo!... Mi costringi a certe cattive figure!...
Invece Lorenzo era meravigliato, sentendole cantare squisitamente la bella romanza del Perrotta: «Sogno gentil, tu fuggi...»
- Non mi canzoni, per giunta - rispose Concettina.
Il canonico e don Paolino parlavano di interessi, in disparte.
- Bisogna contare soltanto sulla dote materna. Per ora, non posso disfarmi di questo po' di miseria che mi basta appena per vivucchiare... Dopo morto, se rimarrà tuttavia qualche cencio... -
- Sempre lo stesso!... Donnaiuolo! Non v'accorgete che siete vecchio? -
Don Giacomo intanto covava amorosamente con gli occhi il figliuolo e Concettina che ragionavano di musica e delle sorelle di carità presso le quali ella era stata educata. Non perdeva una parola, né un movimento di quelle due creature che gli parevano fatte proprio a posta l'una per l'altra. Se non fosse stato sconveniente, gli avrebbe detto: - Abbracciatevi! - tanto non capiva nella pelle.
- Ora mi resta soltanto vedermi ballare su le ginocchia un nipotino e sentirmi chiamare: «Nonno!» Dopo, farò posto agli altri... Me ne andrò col cuore in pace -.
Non finiva di parlare della nuorina:
- Un angelo! Mi pare mill'anni d'averla per casa cosí allegra e chiacchierina!
- Infatti, è un po' troppo vivace, - rispose Lorenzo, che era tornato piú volte a Niscemi e aveva passato parecchie giornate con la fidanzata.
- Meglio - lo interruppe il padre.
Lorenzo non osava contrariarlo; quella franchezza di maniere, però tanto insolita in una ragazza di provincia, lo rendeva perplesso. E quando Concettina diceva a don Paolino certe cose che una figliuola non avrebbe dovuto mai dire, Lorenzo diventava serio, si turbava.
- È ingenuità? È leggerezza di civettuola che vuole far colpo? È...
Non sapeva spiegarselo. In certi momenti arrivava fino a sospettare che dentro quella figurina apparentemente buona, sincera, gentile, si nascondesse un carattere un po' cattivo, un po' viziato; e aveva paura dell'avvenire. Massime quando la figurina gentile riprendeva il sopravvento, ed egli si sentiva a poco a poco legare come non credeva fosse possibile; massime quando un fremito di piacere gli correva rapidamente da capo a piè, pensando che fra non molto quella personcina bionda e delicata, quegli occhi di un meraviglioso azzurro cupo, quei labbrini cosí rossi che parevano dipinti col minio, sarebbero stati suoi, proprio suoi!
Quando era lontano, nel silenzio della sua camera o davanti i suoi libri, riflettendo, vedeva avvicinarsi con isgomento il tempo fissato per le nozze. E siccome, all'opposto, Concettina a ogni nuova visita di lui diventava sempre piú espansiva, Lorenzo non riusciva a persuadersi che tutto quell'affetto fosse realmente sentito; e si pentiva di essere stato troppo condiscendente col padre. Infatti il giorno ch'ella gli prese una mano e gliela strinse forte forte tra le sue, dicendogli: - Come ti voglio bene! Come ti voglio bene! - Lorenzo rimase un po' male, quantunque si sforzasse a sorriderle.
E un'altra sera fu peggio. Si trovavano sulla terrazza, al buio; egli stava per congedarsi:
- Passeranno due o tre settimane prima che io possa ritornare; gli ammalati mi chiamano...
- Ah! - esclamò Concettina.
E tutt'a a un tratto, gli buttò le braccia al collo: - Perché non mi hai dato mai un bacio? -
Lorenzo era tornato in Caltagirone mezzo stordito da quel bacio e da quelle parole pronunciate con vocina piena di lagrime:
- Che strana ragazza!... Non è la moglie che ci voleva per me... È troppo nervosa! -
E, l'ultima notte di scapolo passata nella cameretta dove aveva dormito fin da ragazzo, gli parve di sentir morire dolorosamente qualcosa d'intimo, la miglior parte di se stesso, la sua bella libertà di giovane solitario e studioso; e gli parve che il lettino, il tavolino ingombro di libri scientifici, i mobili, i quadri delle pareti, tutti gli ripetessero un malinconico addio con quei ricordi che dileguavano come scacciati via dalla vita nuova che cominciava per lui. Aperse la finestra su la città sepolta nel sonno, e fra il buio di quella notte senza stelle, alla dubbia luce dei fanali che agonizzavano in mezzo alla nebbia, provò una stretta al cuore.
- Perché si era lasciato indurre? Perché?... - Tornava a domandarselo con dispetto.
Il giorno delle nozze, il padre vedendolo triste e muto, prima che arrivassero gli invitati e mentre Concettina si abbigliava, gli domandò:
- Benissimo.
- Insomma?
- L'emozione, forse!... -
E si sforzò di prendere un'aria allegra. Quel giorno fin Concettina gli pareva meno bella del solito, meno aggraziata, impacciata nel suo abito bianco a strascico, sotto il velo e la ghirlanda di fiori d'arancio.
Piú tardi però, quando fra l'ombra delle cortine del gran letto nuziale, sul candore dei guanciali vide quella bionda testina dagli occhi scintillanti, dalle labbra semiaperte a un sorriso, dalle gote di un incarnato cosí vivo che la bianca pelle pareva macchiata, ristette un momento a guardarla; poi si slanciò pel corsello, dalla parte di lei. Concettina, dando un gridino, si era coperto il volto con le mani, agitatissima da quell'ultima commozione di ragazza. Lorenzo gliele allontanò delicatamente - non facevano punto resistenza - e, agitato anche lui, lui che non credeva di amarla, lui che l'avea sposata soltanto per far piacere al babbo, l'andava baciando e ribaciando sulle labbra, ripetendole sottovoce
- Ti voglio bene! Ti voglio bene!
- Ah!... Ce n'è voluto per strapparti queste parole! Cattivo!... -
Ella lo rimproverava teneramente, mentre Lorenzo sorrideva soddisfatto, orgoglioso, rimescolato da un turbamento profondo e soave.
- Ti chiedo perdono, con questi baci... Mi perdoni?
E gli accarezzava la testa colle manine, passandogli le dita fra i capelli:
- Sí, sí!... Tu hai avuto ragione di essere un tantino diffidente; ci siamo conosciuti cosí poco!... E poi, tu eri felice da scapolo... Avevi molto da perdere sposandomi, e niente da guadagnare... Lasciamelo dire; è la verità. Ma io... io ti amavo anche prima di conoscerti, sin dal momento in cui seppi che, forse, saresti stato il mio liberatore... Soffrivo tanto con mio padre! Immensamente. Non puoi neanche immaginarlo... E quando ti vidi la prima volta...
Concettina s'interruppe accorgendosi che Lorenzo non la baciava piú e che anzi tentava di svincolarsi.
- Che hai?
- Niente. Parla, continua a parlare, - rispose Lorenzo con voce affiochita, dominandosi a stento. Aveva accostato l'orecchio a quel petto ansante, e premeva la guancia su la tela finissima della camicia che gli dava in quel punto una cattiva sensazione di cosa diaccia.
- Parla, parla!... Voglio ascoltare i battiti del tuo cuore... Lasciami sentire, direttamente, quanto mi vuoi bene... Lasciami sentire...
- Oh, Lorenzo!
E chiuse gli occhi, con soave abbandono di tutta la persona, quasi naufragasse in un mare di ineffabile dolcezza. Lorenzo continuava ad ascoltare, trattenendo il respiro:
- Oh, Dio!... Possibile?... Quei borbottii!... Quei gorgoglii dei polmoni!... No, non era possibile!...
- Spaventato dalla trista scoperta, non prestando fede ai propri sensi, si rizzò su la vita.
Allora Concettina riaprí gli occhi, stirando le braccia, quasi si destasse da lungo sonno.
- Hai avuto la risposta?... Sei contento? -
E sorrideva, mentre Lorenzo sentiva piegarsi le gambe sotto, e il letto, le cortine, la bionda testa di lei, tutto gli traballava attorno vertiginosamente.
- No, non può essere!... Me ne sarei accorto prima!... -
Fece uno sforzo e si chinò avidamente su lei, coprendola di baci corti e spessi, tenendo stretta fra le palme quella faccina un po' magra e affilata, che diventava bellissima sorridendo, come appunto allora, affondata nei guanciali, con gli occhi azzurri che sembravano due stelle, i dentini affacciati appena appena fra le labbra della bocchina piú stretta di un anello e che gli andava ripetendo:
- Hai avuto la risposta? Sei contento? -
- È stato un orribile sogno? Gli pareva; ma aveva paura di accertarsene, ora che sapeva di amarla, ora che era sicuro d'essere amato, ora che la intimità gli aveva fatto apprezzare il grande valore del tesoro posseduto... Vedendosela venire incontro nella terrazza, a braccio del suocero che voleva la sua parte, anche lui, della cara nuorina; vedendola fresca, rosea, allegra, Lorenzo trasalí dalla gioia:
- Chè! chè! È stata una sciocca allucinazione di dottore -.
- Geloso! - gli disse il padre, spingendogli Concettina fra le braccia. Ma ella si voltò ad abbracciare il suocero, ridendo come una bimba, saltellando:
- Lo faremo arrabbiare spesso cosí. È vero? -
A Caltagirone, la casa fredda e vuota, dove il povero vecchio si aggirava da parecchi anni come una mosca senza capo, gli parve piena a un tratto quando vi arrivò la nuorina; e gli parve tiepida, scaldata dall'affetto di que' due figliuoli che sembravano due innamorati non ancora sposini. I terrazzini vedovi e tristi si pararono, in poche settimane, di trofei di verde e di fiori: e tutte quelle stanze in fila, mesi addietro malinconiche e sciatte, coi mobili coperti di polvere e i cristalli appannati, schiacciate dalla desolazione del silenzio quasi mai interrotto, ripresero a sorridere meglio di una volta, con quella rondinina che andava lesta attorno, osservando tutto, badando a tutto, e che pareva avesse fatto ringiovanire la vecchia serva.
Pel salotto vibravano spesso le corde del pianoforte, specialmente quando Lorenzo, tornato dalle sue visite agli ammalati, andava a sdraiarsi su la poltrona fumando, con una gamba accavalciata all'altra, gli occhi socchiusi, intanto che Concettina canticchiava, volgendo la bionda testina per guardarlo e sorridergli, tutta inebbriata di musica. Lorenzo veniva riafferrato qualche volta dalle diffidenze, dai terrori dell'avvenire... Ed ecco, allora si consolava; la sua vita tranquilla, casalinga, studiosa non era mutata in niente, aveva anzi qualcosa di piú intimo, di piú elevato.
Concettina si sentiva pienamente felice:
- Sono entrata nel paradiso! -
E se le tornava in mente quel che aveva sofferto stando col padre - al tempo che questi le trascinava in casa, senza ritegno, senza rispetto per la sua dignità di ragazza, le donnacce che andava a scovare chi sa dove, e che gli mettevano a soqquadro ogni cosa e gli mangiavano gli occhi - ella scoteva nervosamente la testa, per fugare quei ricordi che le facevano male; contenta, nella tristezza, che il babbo fosse venuto a visitarla una o due volte soltanto:
- Ora è padrone di tirarsi dietro quante donnacce vuole, e profanare la camera dove è morta quella santa della mamma!... Ma non voglio pensarci! - Perciò le pareva che la sua salute, invece di peggiorare, rifiorisse.
- Ti senti bene? - le domandava qualche volta Lorenzo, agitato dal sospetto che tornava a morderlo di tanto in tanto.
- Benissimo - ella rispondeva. - Non sono mai stata cosí bene. E non era vero. Da qualche tempo in qua sentiva un malessere indefinibile e non osava, un po' per pudore, un po' per delicatezza, confessarlo al marito: fiacchezza per tutta la persona, difficoltà nel respirare e nel digerire; dolori qua e là nel petto; peso, affanno, durante la notte, che le impedivano di dormire.
- Non sarà niente! -
Si confortava cosí. Se suo marito la guardava fisso, con occhio scrutatore, allorquando il tristo sospetto gli si riaffacciava, ella si sforzava di apparire piú vegeta, piú allegra.
- Non sarà niente! - ripeteva da sé.
Una mattina però, dopo parecchie nottate insonni, non aveva potuto levarsi da letto. Lorenzo, uscito di casa per tempo, rientrava dalle visite ai suoi malati.
- Concettina è indisposta - gli disse don Giacomo.
E gli sorridevano gli occhi: il nipotino arrivava! Ma vedendo impallidire il figlio e cacciarsi le mani fra i capelli, rimase di sasso.
Don Giacomo, che non aveva osato entrare in camera della nuora, si aggirava dietro l'uscio, aspettando che Lorenzo venisse fuori.
- Che è, insomma? -
Lorenzo, lasciatosi cadere su la seggiola accanto al tavolino, col capo fra le mani, singhiozzava:
- La colpa è mia. Egoista! Sí, la colpa è mia -.
Non rispondeva altro a quel povero vecchio che piangeva con lui senza sapere perché. E quando, interrottamente, torcendosi le mani, poté accennargli qualcosa, don Giacomo tentò di dargli coraggio:
- Esageri. Faremo un consulto a Catania, a Napoli, se occorre... Perché desolarsi a questo modo? -
Finché Concettina non s'accorse della gravezza del male, non fu niente; i rimedi ordinati da Lorenzo le recarono qualche sollievo, ed ella tornò a sguizzare per la casa, gaia, leggera, quantunque un po' insospettita delle cure e dei riguardi che si vedeva prodigati; nervosa talvolta, e con accessi di tristezza che parevano strani fino a lei medesima.
Cantava piú spesso, per distrarsi; ma, la romanza del Perrotta da lei preferita, ricordo della prima visita di Lorenzo, ora la commuoveva fortemente, quasi sentisse cantarla da un'altra persona. Quelle note avevano mutato accento, espressione, significato; le parevano un lamento, un sospiro di anima in pena; e un giorno non poté arrivare alla fine:
- E tu non cantarla! - le disse Lorenzo, dolcemente. - Bisogna che tu stia tranquilla. Dovresti evitare qualunque scossa violenta. L'affaccendarti per casa come fai... -
Concettina, ancora vibrante di quella commozione, gli si era seduta sulle ginocchia e gli accarezzava la barba, guardandolo negli occhi, intanto che egli continuava:
- Sei troppo gracile... Questa che sarebbe soltanto una piccola indisposizione per un'altra, per te, capisci? Diventa quasi una cosa grave... Sí, sí -.
Ella negava, spingendo indietro la testa:
No, no. Mi credi malaticcia?...
- Non dico questo, ma...
- Vuoi saperlo? Le medicine devi serbarle pei tuoi malati. Io non ne prenderò piú! Mi curerò da me!... Mi credo dottoressa anch'io! Ecco; i miei rimedi sono questi baci... E questi altri qui -.
E lo baciava a riprese, cedendo tutt'a a un tratto alla smaniosa tenerezza che da una settimana la tormentava:
- Ti vorrei sempre al fianco, come in questo momento! Già odio quei cattivi dei malati che non guariscono mai, e ti rubano a me da mattina a sera... Non mi sembri piú mio -.
Nelle belle giornate primaverili, andavano a passeggiare alla villa comunale. Ella gli si stringeva al braccio fortemente, per sentir meglio e fargli sentire il contatto. Camminavano a passi lenti, parlando poco; si fermavano ad ammirare una pianticina fiorita, a guardare o ad ascoltare un cardellino che trillava dondolandosi sul ramo di una siepe; passavano in rivista le figurine in rilievo dei vasi di terra cotta, prezioso lavoro del Vaccaro.
Oh, voleva saturarsi di sole e d'aria pura fra tutto quel verde, lungo quei viali che salivano, scendevano, serpeggiavano, cosí deserti da fare pietà!
E tornati su, alla vista del paesaggio che si apriva lí davanti, con la pianura verde distesa laggiú, con l'Etna in fondo, e a destra quella fuga di colline nereggianti di uliveti, ella dilatava i polmoni, quantunque un respiro largo già le riuscisse penoso.
- Che bellezza! Non mi moverei mai piú di qui!... Ma tu dov'hai la testa? -
Che poteva risponderle? Doveva confessarle il martirio di seguire giorno per giorno, ora per ora, col suo sguardo di medico, i terribili progressi del male nel delicato organismo che non poteva opporgli resistenza? Doveva confessarle gli incessanti rimorsi che lo straziavano perché lui, dottore, lo aveva trascurato sin dal primo giorno?...
- Per egoismo! Cosa imperdonabile. Vero delitto! -
Ed ecco che le carezze, i baci e gli abbracci, le intense gioie di innamorati alle quali si erano abbandonati spensieratamente, gioiosamente, come se egli, l'egoista! avesse ignorato che la povera creatura doveva piú prestamente restarne infranta, ecco, gli si mutavano tutti in angosce, in dilaniamenti...
- Me li merito! Merito anche peggio! -
In certi momenti però, vinto dalla stanchezza di quella lunga dissimulazione, tentava d'illudersi:
- La natura fa talvolta miracoli che stupiscono gli scienziati. Chi sa?... -
E osava sperare. Ma una notte Concettina lo svegliò con un grido
E al vederla seduta sul letto, co' capelli sciolti, atterrita dallo sbocco di sangue rosseggiante sul guanciale, Lorenzo non sperò piú.
Allora, per la prima volta, anche Concettina capí chiaramente di che si trattava. E gli si aggrappò al collo, piangente, con gli occhi smarriti dal terrore:
- Lorenzo mio, dammi aiuto. Non voglio morire!
- Non è niente - le ripeteva Lorenzo.
Ma ella leggeva la sua sentenza in quegli sguardi desolati, in quel volto terreo e contratto dallo spasimo interno.
- Mia madre è morta di questo male... Dovrò morire cosí anch'io? Oh, no, non voglio morire!... Sono felice, Lorenzo mio. Non voglio morire! - esclamava, straziante.
Una tristezza quasi di lutto si addensò nella casa. Lorenzo, il povero vecchio di suo padre e la serva, istupiditi da quel silenzio pauroso, parevano tre ombre, tre anime del purgatorio raggirantisi per un luogo di pena.
- Chi l'avrebbe sospettato? - smaniava don Giacomo. - Quel fior di salute! E l'ho costretto io a sposare costei! Ma come sospettare? -
Concettina se ne stava in camera, rannicchiata nella poltrona tenendo socchiusi gli occhi, tossendo, ansimando, arsa dalla febbre che ormai non la lasciava piú, estenuata da sudorini ghiacci che le imperlavano la fronte bianca come cera, e si osservava continuamente le manine scarne. Voleva Lorenzo sempre accanto, agitata da terribile gelosia dell'avvenire, quand'ella non sarebbe stata piú là, come la sua povera mamma... E perciò voleva portarselo con sé, per continuare ad amarlo ed esserne amata nella tomba, nell'altra vita, eternamente.
- Baciami! Baciami! - gli diceva a ogni momento.
Lorenzo esitava: quella continua eccitazione dei nervi agevolava la potenza del male.
- Hai paura?... Ti faccio schifo?... - strillava Concettina, con voce strozzata da un gruppo di pianto.
- Vuoi ucciderti, per forza? - balbettava l'infelice.
Ella gli s'attaccava alle labbra con labbra scolorite e febbrili, stringendogli attorno al collo i braccini stecchiti: ed erano baci caldi, violenti, interminabili; cosí intendeva inoculare il proprio male al marito. La notte, se lo teneva abbracciato stretto stretto, fiato contro fiato, per compenetrarlo con la febbre che la struggeva, con quel sudore mortale che le agghiacciava il corpo e ch'ella voleva assolutamente fosse mortale anche per lui. E se Lorenzo resisteva a quei capricci di malata, ella dava in istrilli, in pianti, cadeva in crisi nervose che lo atterrivano, quasi dovesse spirargli allora allora tra le braccia.
- Ah, tu non m'ami piú!... Sei stanco di me... Me ne accorgo -.
Lorenzo la supplicava a mani giunte e con le lagrime agli occhi.
- Sí, me n'accorgo. Ti son diventata insopportabile. Ti par mill'anni di liberarti di questo cadavere... Mi odii, forse...
- Concettina!
- Non puoi ingannarmi; ti leggo nell'anima. Che infamia! Ti ho adorato piú di Dio; ti ho dato tutta la mia vita, tutta; muoio... di amore... per te; e tu intanto!... Ingrato! Ingrato!... E portava alla faccia sbiancata e macilente le scarne mani, scotendo desolatamente il capo, finché non veniva presa da un colpo di tosse che le facea perdere il respiro e la lasciava abbattuta, sfinita, tra i guanciali che la sorreggevano da ogni lato. Lorenzo, ginocchioni, piú pallido di lei, tentava di farle ingoiare un cucchiaio di calmante:
- Per amor mio, per amore di te stessa! Vuoi proprio ucciderti con questi eccessi? -
Vedendoselo ai piedi; sentendo quella voce piena di angoscia e che le rimescolava il cuore, ella si rizzava, e lo guardava, lo guardava, vinta da pietà di donna innamorata, capace di qualunque sacrificio.
- Perdonami, - gli diceva, - perdonami!... No, non toccarmi, non baciarmi. Sono appestata; allontanati!... Tu devi vivere... Vivi. Lasciami morire qui, abbandonata. Mi basterà vederti, sentirti parlare... Dimmi però che mi vuoi bene ancora, come prima. Proprio come prima?...
- Anche piú!
- Allora... giurami che quando sarò morta tu non amerai nessun'altra donna.
- Te lo giuro.
-... Che seguiterai a dormire in questa camera, in quel letto, con quella stessa biancheria...
- Te lo giuro!
- Ah, se tu mentissi!... Vieni, fatti piú accosto... Dammi un bacio, uno solo! Sono diventata brutta, lo so senz'essermi vista allo specchio... Ma ti voglio tanto bene! Tu sei mio, è vero, Lorenzo?
- Grazie. Come mi fanno bene queste parole!... Ah, se potessi risanare! Ah, se potessi almeno continuare a vivere in questo stato, a costo di penare il doppio, venti, cento volte piú!
- Guarirai; ogni speranza non è perduta. Senza questi terrori, senza questi eccessi...
- Sarò buona, starò tranquilla; vedrai. Ti ubbidirò come una cagnolina... Lasciati baciare... Non ti faccio ribrezzo, è vero? No. Stringimi forte al cuore... -
Queste tregue duravano appena un giorno, qualche volta soltanto poche ore; poi la fissazione la riprendeva. Fra il bianco delle pareti, alla luce del giorno che penetrava dalle ampie vetrate con tutti gli splendori del maggio, in quel silenzio di ore ed ore, interrotto soltanto dal sommesso rammarichio di lei o dagli schianti di tosse che, di tratto in tratto, pareva dovessero soffocarla; quella figura squallida, da gli occhi infossati e diventati piú grandi nel volto rimpicciolito, dai capelli spettinati che conservavano tuttavia i loro bagliori di oro filato, affondata fra i guanciali nella poltrona, perché a letto non ci voleva piú stare, oh!, era spettacolo pietosissimo.
Lorenzo non doveva muoversi dalla camera dove ella non voleva vedere altri visi, neppure quello del suocero. Già invecchiato, quasi tutto incanutito durante quei terribili mesi, il povero Lorenzo non si riconosceva piú. Ed ella se lo divorava, silenziosa, con sguardi lampeggianti di fascino maligno. Voleva portarselo via con sé; voleva rapirlo a quell'altra che forse attendeva impaziente di gettarglisi tra le braccia, piena di salute, bella, amante e trionfante, tale da scancellargli dalla memoria ogni traccia di lei. No, colei non lo avrebbe avuto. Non lo avrebbe avuto! Se ne sarebbero andati assieme, abbracciati nella morte come nella vita. Suo era, e colei non lo avrebbe avuto, no, no!
E per non lasciarselo sfuggire, per paura che il male non gli si fosse attaccato abbastanza, tornava a baciarlo, a ribaciarlo, su la bocca, su le gote, sul collo, sugli occhi, sui capelli; talvolta lo mordeva, con furore di belva...
- Ah!... Ti ho fatto male?... -
E subito lo baciava dove lo aveva morso, per attutirgli il dolore. Intanto egli doveva asciugarsi il viso coi fazzoletti tutti impregnati del sudore di lei; intanto doveva bere nello stesso bicchiere, dal lato dov'ella avea accostato le labbra... No; non volea lasciare la sua cara preda a quell'altra!
Infatti Lorenzo che davvero si sentiva morire a poco a poco, ora le si avvicinava con indefinito terrore superstizioso, pensando
- I miei presentimenti, ecco, si avverano! -
L'attesa della catastrofe, inevitabile, lo teneva invasato. E il giorno ch'ella gli disse: - Mi sento meglio - Lorenzo le prestò fede, tanto aveva bisogno d'illudersi.
- Mi sento bene, quasi guarita improvvisamente. È effetto di questa bella giornata? Di questo sole? -
Ridiventata buona, gentile, affettuosa come nei primi giorni, scherzava anche intorno alla sua malattia:
- Alla fine vinco io...? Doveva essere cosí! Ho una gran forza dalla mia parte: l'amore!
- Ne hai un'altra: la gioventú -.
Quel giorno Concettina volle rivedere il povero don Giacomo, e gli chiese perdono di essere stata cattiva con lui: - Quando si è malati non si ha coscienza di quel che si fa. Oggi che sto meglio, vede? -
Don Giacomo però non fu ingannato dall'apparenza:
- Ahimè! La lucerna dà gli ultimi guizzi. Bisogna chiamare il prete, se pur si fa a tempo! -
A un tratto, ella si sentí mancare; il debole filo che la teneva attaccata alla vita stava già per spezzarsi. Si abbandonò su la poltrona, guardando Lorenzo con sguardi d'invidia feroce:
- Egli restava?... Non andava via con lei? - Gli accennò, col capo:
- Senti: spingi la poltrona verso il terrazzino; apri la imposta; voglio vedere la città e la campagna, per l'ultima volta... Affrettati... Affrettati... -
Lorenzo ubbidí, macchinalmente.
- Ricordati che lo hai veduto l'ultima volta con me... E quelle colline... quegli alberi!... Ricordati, ricordati... che prima di morire li abbiamo guardati insieme... e che io ti ho detto: «Guarda, guarda!...» E quei pini di Santa Maria di Gesú... lí a manca... dove spesso siamo andati a passeggiare, ricordati!... Ricordati!... -
Lorenzo, trasognato, rispondeva di sí con la voce e col capo. Quel campanile, quelle colline, quegli alberi, quei pini di Santa Maria di Gesú se li sentiva imprimere negli occhi quasi per una malía che lo invadeva... Non avrebbe piú veduto altro che quelli!... Sempre!... Sempre!... Sempre!...
E Concettina, attiratolo al petto con sforzo supremo, cercando le labbra di lui che la reggeva per la vita:
- Muori con me!... Muori con me!... - balbettava.