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Renato la guardava sorridendo, tra incredulo e meravigliato, intanto ch'ella, a occhi bassi, mordendosi lievemente le labbra, apriva e chiudeva il ventaglio, quasi mortificata del silenzio di lui. Alla viva luce del sole, tra i riflessi verdi del prato, quella bruna carnagione prendeva toni dorati sulle guance e nella dolce attaccatura della gola; e i grandi occhi nerissimi, su quel viso scarno e strano, davano un'espressione piú provocante al nasino un po' rivolto in su e alle labbra tumide e fresche, che si chiazzavano di macchioline bianche sotto la irrequieta pressione dei dentini.
Ella sentiva, senza vederli, quegli sguardi che la ricercavano tutta; e la personcina alta e minuta si agitava impaziente, oppressa da tale insistenza. Finalmente alzò gli occhi, timida...
- Non mi crede?...
- Perché dunque sorride cosí? Già il torto è mio... Avrei dovuto avvertirla subito... prima di accettare l'invito... -
E nella voce turbata le tremolava qualcosa che pareva pianto.
Allora Renato non sorrise piú, impacciato alla sua volta. Le prese una mano, si mise carezzevolmente sotto il braccio quel braccino magro, serrato nella manica attillata del vestito nero; e, riprendendo a passeggiare, le andava parlando all'orecchio, tra uno sbuffo di fumo e l'altro della sua sigaretta:
- Oh, non insisto piú!... Torneremo, non occorre neppur dirlo, torneremo però qualche altra volta alla Cagnola... a passare insieme una mezza giornata... No?
- A che scopo? Ecco, questo significa che lei non mi ha creduto. Perché si ostina a non credermi?...
- Al contrario! Certe cose non si discutono; si aspettano, si lasciano venire al momento opportuno, è vero? E se non arrivano... Intanto, per oggi, mi sento compensato abbastanza da questa dolce passeggiata da innamorati. La gente (ahimè, a torto!) deve crederci proprio due innamorati. Infatti, vede?, quell'uomo fermato sotto gli alberi sta a guardarci da un pezzo, masticando la sua invidia insieme col mozzicone di sigaro che non vuole accendersi -.
E voltando il capo, ella rideva a scossettine portando la punta del ventaglio alle labbra, piegando un po' il busto slanciato; rideva, ma quasi per tentar di distrarsi da riflessioni penose che le esitavano ancora sul volto.
Quell'uomo fermato sotto gli alberi, dopo averli seguiti con lo sguardo lungo il sentiero del prato, era andato a sedersi dirimpetto a loro, divorandoseli con certi occhi sgranati, dal tavolino dove mangiava solo, col tovagliolo appiccato al colletto. Luigia e Renato, a metà di pranzo, messisi di buon umore, gli ridevano quasi in faccia, facendolo arrossire coll'imboccarsi a vicenda pezzettini di fritto o di arrosto, se colui si fermava a guardarli piú balordamente incantato.
- Intanto non mangia proprio niente.
- Mangio poco. E non è il miglior modo per ingrassare.
- Ah!... Tu lo vuoi? - disse a un tratto Renato, che non ne poteva piú di quell'imbecille. E, alzatosi da sedere, diede un bel bacio a Luigia che non ebbe tempo di schermirsi.
Per istrada, nell'oscurità della notte, mentre il tranvai a vapore si allontanava gettando rapidi spruzzi di luce rossastra su le siepi e su i campi, essi ridevano ancora del viso sbalordito di quel povero imbecille allorché avea visto quel bacio. Poi, nella intimità del ritorno a piedi, stringendo il braccio di Renato con abbandono, incoraggiata dal buio, ella era tornata a scusarsi.
- Non ci faccio una bella figura, lo capisco. Ma..., infine, non ho voluto mostrarmi piú virtuosa che non sono. Però voi uomini non potete capirlo. È altra cosa per voi... -
Renato la lasciava dire, accarezzandole una manina. L'accento sbiaditamente veneziano dava un fascino deliziosissimo a quella facile parola che risuonava nell'oscurità, fra il lieve stropiccio dei piedi sulle foglie secche del viale, e andava a perdersi nel gran silenzio della campagna cosí pieno di vaghi rumori. Renato la lasciava dire, non ancora ben persuaso; anzi acceso e smanioso del possesso di quella magrolina assai piú ora, che non quando l'aveva adocchiata al terrazzino del secondo piano della casa accanto, raccolta nella veste da camera di tela cruda, larga e ondeggiante, col braccio che usciva ignudo dalla manica rovesciata, poggiato col gomito su la ringhiera; braccio magro, coperto da peluria che dava un tono quasi bronzino alla pelle bruna. La lasciava dire non ancora ben persuaso, ma nello stesso tempo, per raffinatezza di scapolo, contento di quella resistenza cosí inattesa e cosí franca. Era piccante! Ah, la bella bruttina, come aveva già cominciato a chiamarla, diventava qualcosa di ghiotto fra la trivialità dei soliti incontri! E per ciò, quasi senza accorgersene, quando furono vicini a casa tornò a insistere, scherzando:
- Chiedo soltanto il favore di dar un'occhiatina al suo nidicino del secondo piano...
- È impossibile. Non vuol persuadersene?
- Soltanto un'occhiatina, per figurarmela nel suo vero ambiente quando la sento canticchiare con vocina di falsetto... Non vuol permettere neppur questo? Allora venga a bere un bicchierino di Kümmel o di Chartreuse a casa mia, qui, a due passi... Non è un gran sacrifizio.
- Impossibile!... -
Ella lo supplicava con gli occhi improvvisamente gonfi di lagrime, stringendogli forte la mano, alla luce del lampione sotto cui s'erano fermati:
- Non mi offendo di quest'insistenza. È cosa naturalissima. Il torto è mio -.
Renato la interruppe: - Buona notte.
- È in collera?
- Niente affatto -.
Il tono brusco della voce però lo smentiva.
Il fascino di quella svelta personcina, dai grandi occhi neri nel viso magro, era stato piú forte della stizza. E cosí egli s'era lasciato riprendere, indolentemente. Promise, da gentiluomo, che non ne avrebbe piú riparlato, ed ebbe l'onestà di confessarle che una relazione seria, com'ella desiderava, non era possibile.
- Ci vedremo frequentemente, da camerati, da giovinotti... Eh? -
Ella non rispose né sí, né no, esitante
Invece, Renato era tutto contento quando la vedeva entrare improvvisamente in quella camera di scapolo ch'ella irraggiava dei suoi sorrisi, faceva echeggiare delle sue risatine somiglianti a gorgheggi, e che riempiva e agitava con gentile irrequietezza di ragazza nervosa.
Intanto ch'egli preparava la solita tazza di caffè, Luigia andava da un tavolino all'altro rovistando libri, disegni, svolgendo grosse pagine di album.
- Tutte queste belle donnine sono state sue amanti? -
Renato non rispondeva, affettando discrezione.
- Tanto a me può dirlo. Non ho nessuna ragione di essere gelosa. Come sono belle! Ah, l'esser bella dev'essere una grande soddisfazione! Se io fossi bella, come questa qui per esempio, farei disperare parecchia gente, parecchia!
- No: ma la bellezza è una forza -.
Renato le assicurò ch'ella aveva qualcosa di meglio della bellezza, quel che di attraente, di simpatico che spesso la bellezza non ha.
- So benissimo che sono brutta, ma so pure che non sono antipatica... Questo cappello alla Rubens, con questa gran piuma, mi dà un'aria bizzarra... Sciocca! Lo dico da me!...
E scoppiò a ridere voltando le spalle, con una smorfietta, allo specchio davanti a cui si era fermata per provarsi il cappello.
- Capelli pochi e cortini. Che disperazione! E cosí ribelli! Non c'è pettine che riesca a domarli. Già, mi ci confondo poco. Ho ben altro da fare!... Che delizia questa camera cosí grande e cosí piena di luce. La mia è un bugigattolo da aggirarvisi appena. Mi è cara però; è piena di ricordi!
-... Dolci?
- Tristissimi. Quante lagrime, quante sofferenze, quando riarsa e stroncata dalla febbre dovevo lavorare tutto il giorno, per settimane, per mesi, rompendomi la schiena, sostentandomi di solo pane!... Non voglio neppur rammentarmelo!...
- E ora?
- Ora? Vivucchio, lavorando sempre, orgogliosa di non essermi mai avvilita. Piuttosto un tonfo nel naviglio. C'è mancato poco, un mese fa! Qualche volta ci ripenso sul serio... Infine!...
Quegli occhioni neri prendevano un'espressione indefinibile, allorché ella parlava di morire. Ne ragionava tranquillamente, senza affettazione, come di cosa da dover accadere un giorno o l'altro, quando si è tanto disgraziati a questo mondo, quando non si ha neppure un cane che ci voglia bene o che ci sia legato da un legame qualunque!
Sua madre era morta. Suo padre... Un giorno (non poteva dimenticarlo, aveva appena sette anni) un'amica della mamma che la conduceva a spasso, le aveva additato un signore alto, bruno, bell'uomo, che entrava in un caffè. - Va', digli: babbo, dammi un bacio! - Ed era entrata in quel caffè e s'era accostata a quell'uomo veduto allora per la prima volta e gli aveva detto, tremando: - Babbo, dammi un bacio. - Quel signore, baciatala, accarezzatala e compratele delle chicche, le aveva detto: - Va' va'! - E non lo aveva piú riveduto. E non ne aveva piú saputo notizia!...
- Ma perché le racconto queste malinconie? Addio, addio... Scappo.
- Senza pagar nulla?... -
Renato se la fece sedere sui ginocchi, vincendone la riluttanza
- Voglio il mio obolo, il mio solito bacio...
E quando la Luigia non fu piú lí, egli rimase pensoso, sotto un'impressione che non sapeva spiegarsi, affatto nuova per lui. Era strano. Quel corpicino magro non lo turbava piú. La viva sensazione di quei baci era già diventata qualcosa di puro, di spirituale. Gli pareva quasi impossibile. E come lo metteva di buon umore ogni visita della bella bruttina! Sotto quell'apparente allegria però, chi sa quali e quanti dolori!
Infatti, in certi giorni, lo sforzo della poverina era troppo evidente. Quegli occhi avevano pianto; quel pallore, che il suo solito sorriso non riusciva a velare, raccontava miserie ch'ella nascondeva pudicamente e altieramente in fondo al cuore.
Renato la prendeva tra le braccia, con aria di scherzo: - Via, confessati all'amico, al camerata. Se ti occorresse, per caso, qualche sommettina.
- No, no, grazie; in verità, non mi occorre niente. Com'è buono! -
Intenerita, gli stringeva tutte e due le mani ripetendo: - No, no, grazie! - con voce turbata.
- Se mai, ecco, le prometto che ricorrerò a lei, piuttosto che ad altra persona. Ma spero che non avvenga. Ci mancherebbe solo questo! Pur troppo, io abuso della sua gentilezza, da vera sfacciata... No, no, grazie! Grazie! -
Renato non insistette per delicatezza. E da quel giorno in poi, la invitò a pranzo piú frequentemente.
Luigia, però, aveva capito subito; e due o tre volte aveva rifiutato, col pretesto di un precedente invito di un'amica. Ma egli, rimasto a spiarla, l'aveva vista rimanere in casa fino a sera tardi; e il lume s'era spento presto dietro i cristalli della cameretta al secondo piano. E quella sera Renato non aveva avuto voglia di desinare neppur lui, pensando alla poverina che forse era andata a letto senza aver messo niente dentro lo stomaco.
Si trovavano quasi tutte le sere, alle otto precise, all'angolo di via Larga, come due amanti. Ella gli andava incontro sorridente, infilandosi un guanto, frettolosa:
- L'ho fatto aspettar troppo? E, presisi a braccetto, passeggiavano per le vie fuori mano, lentamente, fermandosi davanti le vetrine. Ella gli raccontava minutamente le sue occupazioni della giornata; Renato la interrogava intorno al passato, in modo però da non sembrare indiscreto...
- Oh, non posso piú avere segreti per lei! - ella rispondeva.
Quella sera erano andati a rannicchiarsi in un angolo del caffè Gnocchi, presso il teatro Dal Verme, caffè mezzo deserto. E Luigia aveva parlato, per ore, squisitamente, con abilità di narratrice che lo stupiva, facendogli sfilare sotto gli occhi i ricordi della lieta fanciullezza e della triste gioventú, passata fra i riflessi verdastri della Laguna, quando sua madre viveva ancora...
- Bella mia madre! Non le somiglio affatto -.
E avea continuato, appoggiando l'espressiva testina bruna sul rosso della spalliera di velluto, accostandosi a Renato con piú intimità, quando venne il momento di parlare di... quell'altro.
- Fuggita con lui dalla casa della zia, andammo a Padova, poi a Milano... Sin dai primi mesi, egli fu costretto a lasciarmi sola, per via degli affari. Prima mi scriveva spesso; poi, a lunghi intervalli; poi non mi scriveva piú. Arrivava e partiva all'improvviso, facendomi anche soffrire... Mi bastava cosí poco, che anche di quel nulla sarei vissuta contenta. Una sera, in un ballo, apersi gli occhi!... C'era un'altra di mezzo. Il sangue mi diè un tuffo. Mi sentii impazzire, e le allungai uno schiaffo, in mezzo al ballo, all'improvviso. Fui eccessiva, si. Ma, dopo, non mi umiliai? Non gli chiesi perdono? Gli volevo bene a quell'uomo... Gli volevo bene davvero!
Eran tornati a casa silenziosi, affrettando il passo.
- Forse ho fatto male, raccontandole la mia brutta storia.
- Anzi, te ne sono gratissimo, proprio.
E per la prima volta, nel separarsi, gli tese le labbra col piú strano dei sorrisi di quel suo stranissimo viso di bella bruttina. Quel viso pareva livido sotto il pallore.
Una mattina Renato le annunziò:
- Vado via, per qualche tempo -.
Luigia era rimasta senza parola, interrogandolo con incredulo sguardo...
- Oh, dispiace anche a me, tanto! Ma ti scriverò spesso. Puoi esser sicura che, vicino o lontano, sarò sempre amico affezionato e sincero.
- Quando? - ella domandò dopo un momento di silenzio.
- Fra una settimana.
- Ah!
I suoi occhioni neri s'erano dilatati dall'allegrezza:
- Avevo creduto che partisse subito. Fra una settimana? Passerà presto anch'essa, pur troppo!... -
Renato, in quei pochi giorni, se la vide venire in casa piú frequentemente, meno allegra, sí, ma con cordialità piú aperta. Restava a lungo sdraiata sul canapè o su una poltrona, con la faccia appoggiata a una mano, un piedino accavalciato sull'altro, e gli occhi ombrati dalle ciocche arruffate su la larga e bella fronte, fissi su lui. E se Renato andava a sedersele accanto e le prendeva una mano e le passava il braccio attorno alla vita, ella tentava di svincolarsi, ma fiaccamente, e finiva col lasciarsi baciare senza resistenza.
- Prendo anticipazioni per tutto il tempo che rimarrò lontano - egli diceva.
- Non dubiti: le manderò, ogni volta, mille baci per lettera...
- Ne preferisco dieci ora -.
Nelle solite passeggiate serali, Luigia gli si attaccava al braccio con abbandono:
- Non so affatto persuadermi che domani l'altro non ci troveremo piú insieme... Si rammenterà di me?... Ho qualcosa qui, nel cuore, e non riesco a metterlo fuori; un peso, una specie di rimorso. Mentre lei è stato cosí buono, cosí affettuoso, cosí sinceramente amico con me, io invece mi son mostrata quasi ingrata, cattiva. Almeno debbo esserle sembrata tale. È vero?
- Perché dici cosí? Hai torto -.
Allora, nei punti piú deserti delle vie, ella si fermava, guardandosi attorno, e gli saltava al collo, stringendolo al seno forte forte:
- E dire che, forse, non ci rivedremo piú!... È il mio maggior tormento -.
Appena Renato comprese che cosa significava quella trasformazione di Luigia, sentí una commozione mista di pietà che lo fece impallidire. Ah! La povera creatura voleva sdebitarsi a quel modo. No; lui, invece, lui le doveva gratitudine per tante sensazioni blande, per tanti sentimenti miti, per tante ore deliziose che gli avevano fatto riposare il corpo e lo spirito con ristoro completo. No, povera creatura! Cosí era stato troppo delizioso, troppo bello! Perché guastarlo? E la guardava intenerito, mentre camminavano senza scambiare una parola, tornando da Gorla con quel plenilunio di giugno, ridente su la vasta campagna addormentata.
Era l'ultima sera che Renato restava in Milano. Perciò ella aveva voluto accompagnarlo su, rassegnata al proprio sacrifizio. Nel togliersi il cappellino tremava. Poi si era seduta sul canapè, passandosi nervosamente le mani su la faccia.
- Ci rivedremo un'altra volta?
- Perché no? Fra quattro mesi.
- Oh, in quattro mesi chi sa quante cose accadranno! Potrò anche morire -.
Si erano presi per mano; ma non si davano neppure un bacio, sorridendosi tristamente, con lunghi intervalli di silenzio.
- Che ore sono? - ella domandò.
Renato restava tuttavia seduto accanto a lei.
- Perché non si leva il soprabito?
- Vo' accompagnarti fino al portone di casa -.
Luigia stette un momento a fissarlo, sbarrando gli occhi, credendo di aver capito male; grosse lagrime le tremolavano irresolute sugli orli delle palpebre:
- È... per vendicarsi di me?
- No, no, cara! - disse Renato. - Tutt'altro! Tutt'altro! -
E le accarezzava il volto. Ella rideva e piangeva, e il petto le si allargava in un gran respiro di sollievo.