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Le due ville - una intonacata di rosso alla pompeiana, l'altra ancora rustica, coi buchi per l'impalcatura che le crivellavano la facciata e servivan di nido ai piccioni domestici - erano situate proprio dirimpetto, a mezzo chilometro di distanza. Quella, in cima al colle folta di mandorli e di ulivi, quasi mostruoso fiore rosso, mezzo nascosto tra il fogliame verde cupo; questa, in pianura, nel centro del gran quadrato della vigna, dove i larghi viali fiancheggiati da alberetti si tagliavano in croce.
E tutte e due, l'una appostata sul colle, l'altra quasi sdraiata nella pianura, tacevano come sonnacchiose per nove mesi dell'anno, fino ai primi di settembre. Allora, una mattina, svegliavansi a un tratto rumorose, formicolanti di gente. Dai terrazzini spalancati e dall'alto delle terrazze, i nuovi arrivati sventolavano i fazzoletti, per darsi il saluto. Poi, quasi ogni giorno, dal colle e dalla pianura, risuonavano prolungati gridi d'invito, messi fuori alla contadina, con le mani attorno alla bocca, perché la voce vibrasse meglio:
- Oh... ooh... Venitee!... Si va al fiumee!
E, da lí a poco, vedevansi muovere in mezzo alla vigna gli ombrellini bianchi, gialli, rossi dei signori Morello e delle loro tre figliuole; o pure arrivavano di lassú gli Artale, presi a braccetto, da quegli innamorati ch'erano tuttavia, dopo quattro anni di matrimonio; la signora Luisa, bruna, con aria indolente e un po' sentimentale; il signor Carlo, bel giovane, fumando sotto il gran cappello di paglia e sorridente alla moglie.
- Come fate per essere innamorati, anche dopo quattro anni? -
La signora Morello li accoglieva spesso con questo saluto.
- Come potremmo far di meglio? - rispondeva il signor Carlo.
- Un figliuolo, che Dio vi benedica!
- Ah, per questo c'è sempre tempo! -
Sembrava che i giovani sposi non avessero fretta davvero; quel figliuolo che, dopo quattro anni, non si decideva ancora a venire, li tormentava però tutti e due come una spina nel cuore; specie lui, che non vedeva l'ora di far saltare sulle ginocchia un bel marmocchio da continuare il casato.
E nel settembre, ogni volta che le due famiglie giungevano in campagna per la villeggiatura, la signora Morello, amante degli scherzi, si metteva a canzonarli:
- Pensateci, cari. In campagna riesce meglio -.
Se ci pensavano!
E quell'anno ci pensavano un po' piú alla vista della piccola China, la nipotina dei Morello venuta a villeggiare con le zie.
- E come è buona! -
La signora Luisa se la divorava dai baci, non la lasciava un momento. E la bambina sorrideva a tutte quelle carezze, con strano sorriso di donnina seria. Alta, gracilina, col visino affilato, i capelli biondi tirati indietro e spioventi su le spalle, se ne stava ora sulle ginocchia della signora, ora tra quelle del signor Carlo che le diceva sovente:
- Vuoi rimanere con noi? -
Ella non rispondeva, ma gli levava in viso i begli e pensosi occhi cerulei, stringendosi leggermente nelle spalle, per significare a quel modo che non dipendeva da lei. Furono presto intimi, dopo un paio di giorni.
China andava a passare intiere giornate lassú; e, quando tornava dalla zia, non era cosí allegra e cosí vispa, come quando correva sotto gli alberi inseguendo lo zio - lo chiamava cosí - lanciandogli sassolini, se quegli le facea scappar di mano un grillo prigioniero o una farfalla.
- Voialtri la viziate - diceva la signora Morello, vedendole venire le lagrime agli occhi ogni volta che non le permetteva di tornar lassú insieme con gli Artale.
- Ma che viziare! È cosí savia! -
Una mattina il signor Carlo, sdraiato sull'erba all'ombra di un ulivo, mentre leggeva un romanzo se la vide comparire dinanzi tutta rossa e scalmanata. Arrivava di corsa, con quel gran sole, senza ombrellino!...
- Zio, zio, buon giorno! E Zitto. Non sanno nulla che son venuta fin qui.
- Sola?
- Ora conosco la via; non ho paura -.
Il signor Artale voleva sgridarla; ma la bambina era cosí bella in quell'atteggiamento supplichevole, che egli non n'ebbe il coraggio.
- Siedi qui... O meglio, andiamo su, in casa.
- No, no, zio! Seguita a leggere -.
Egli cavò di tasca un altro sigaro, lo accese, e sdraiatosi di nuovo sull'erba, col capo appoggiato al tronco dell'olivo, prima di riprendere la lettura le disse:
- E tu? Ti annoierai.
Gli si era seduta accanto, sgualcendo una manata di erbette strappate allora allora: e mentr'egli continuava a tener dietro alla balorda strampaleria di quel romanzo, la bambina, diventata seria, col visino che aveva già ripreso il color bianco naturale quasi smorto, lo guardava attentamente, insistentemente, come in ammirazione.
Di tratto in tratto, il signor Artale levava gli occhi dal libro; e, incontrandosi con quegli occhi cerulei fissati su lui e che non parevano di bambina di nove anni, le diceva:
- No, zio -.
Ed egli si stupiva un po' di quella vocina turbata. Quel giorno China volle restare lassú:
- Almeno una settimana!... A voi le zie non diranno di no -.
Infatti non dissero di no. Ma la bambina non fu piú allegra come prima.
- Che hai? - le domandava la signora Artale.
- Niente. Perché?
- Non ti diverti. Stai seria seria.
- No, zia, t'inganni. Sto tanto volentieri quassú! -
I tratti del suo visino ovale tornavano ad animarsi soltanto allorché il signor Carlo le diceva:
- Andiamo a fare una giratina, intanto che la zia fa preparar la tavola -.
Ella gli saltava al collo, gli dava un bacio, e poi lo prendeva pel braccio, con una carezza, accostandosi al viso la mano di lui e tenendovela stretta stretta.
- Come si chiamano questi fiori gialli? - gli domandò una volta.
- E questi altri?
- Bacia piede, se non sbaglio.
-... Mi vuoi bene, zio? - disse dopo un momento di silenzio.
- Certamente.
- E... alla zia vuoi bene molto?
- È mia moglie.
-... Piú di me?
- Dimmi: se fossi tua figlia, mi vorresti bene piú assai?
- Chi lo sa? Forse allora tu saresti cattiva.
- No, non voglio essere tua figlia.
- Perché?
- Perché!...
La sera, chiese d'andar a letto di buon'ora:
- Com'è gracile questa bambina! - diceva la signora Artale al marito, raggiuntolo sulla terrazza per godersi il fresco insieme con lui.
- È cosí nervosa, cosí impressionabile! - egli rispose. - Poco fa si è messa quasi a piangere perché non ho voluto lasciarmi baciare due volte di seguito.
- Potevi contentarla, poverina.
- Ella trema tutta quando bacia.
- Non mi è parso.
- L'ho notato io, da qualche giorno.
- Perché è troppo sensibile. Questa bambina soffrirà molto quando sarà grande.
- Certe volte ha un visino, un visino!... Forse pensa troppo alla sua povera mamma. Se fosse nostra, Carlo!... Io già mi sono cosí presto abituata a vederla qui con noi, che quando non ci sarà piú mi parrà di avere un vuoto nel cuore.
- E com'è intelligente! Hai visto che bella letterina ha scritto al suo babbo? Non sembrava di lei; con un solo errorino di ortografia. È troppo sviluppata per la sua età... Morrà presto...
- Non farle cattivi prognostici... Carlo, se fosse nostra!
- Rimasero lí fino a notte avanzata, al lume di luna ed egli la baciava di tanto in tanto per consolarla che quella bambina non fosse di loro.
- Ne faremo una piú bella - soggiunse. -
E volle ridere; ma non gli riuscí.
Il signor Artale girava inutilmente il pomo della serratura per entrare nella stanzetta dove trovavasi l'occorrente per scrivere: l'uscio era chiuso col paletto interno.
- Zio, apro subito - disse all'ultimo la bambina.
- O che facevi lí?
- Nulla... Volevo scrivere -.
Era rossa in viso e abbassava gli occhi.
- Allora finisci. Scrivi al babbo?
Egli non badò all'aria imbarazzata della bambina e richiuse l'uscio. Tornò da lí a poco; ma China non c'era piú. E sedutosi al tavolino, visto sulla cartella d'incerato un foglio scritto a caratteri grossi, vi buttò gli occhi, distrattamente.
- Oh Dio! - esclamò. E rilesse, stupito.
Ti voglio bene e ti ho dato il mio cuore perché tu sei bello. Ma tu non mi vuoi bene quanto alla zia. Io ti voglio bene con tutto il cuore e ti voglio per amante. Non dire niente alla zia. Ed ora che me ne vado mi sento morire perché ti voglio tanto bene. Dovresti voler bene a me sola che ti bacio e sono la tua fedele amante
China».
Il signor Artale non credeva ai propri occhi. Si era già alzato per chiamare sua moglie e far leggere quella lettera anche a lei, ma gli parve di commettere una cattiva azione.
- Povera bambina! Cosí precoce! -
E tornava a rileggere le ingenue parole: «ti voglio per amante... la tua fedele amante...»
- Chi le ha insegnato questo? -
Non rinveniva dalla sorpresa. Sentendo aprir l'uscio, nascose subito il foglio.
- Fa' presto, - veniva a dirgli la signora Luisa. - L'uomo ha fretta -.
Sceso giú con la lettera in mano per consegnarla al contadino, egli vide China che raccoglieva fiori di campo sotto i mandorli e ne aveva già fatto un bel mazzo. La bambina gli corse incontro, a testa alta, scuotendo i capelli sciolti, fissandolo in faccia, quasi per aver la risposta della sua lettera nel porgergli il mazzo.
- Portalo su - egli le disse severo.
La bambina impallidí, buttò via il mazzo e si addossò a un tronco di albero, piangendo.
- Cristo! - egli esclamò da sé. - China, vieni qui; non far la cattiva -.
Né si accorgeva che tornava a parlarle bruscamente.
Montò su, e disse alla moglie:
- Bisogna rimandare Chinuccia -.
La signora Luisa fece col capo un movimento interrogativo.
- Mi secca... Non siamo piú liberi! E poi, la viziamo davvero, come dice la signora Morello. Ora, guarda, è lí, a piangere perché non ho preso subito un suo mazzo di fiori di campo quando davo gli ordini al contadino...
La signora la trovò che non piangeva piú; masticava però la cocca del grembiulino, per rabbia.
- Sii buona: vieni a far colazione.
- No. Voglio andarmene dalle zie.
- Perché?
- Voglio andarmene! -
Il visino di China aveva già un'espressione cosí dura che la signora Artale stimò prudente non irritarla di piú. - Voglio andarmene... ora stesso!
- Sei cattiva. Lo zio non ti vorrà piú bene e neppur io, sai? -
La bambina fece una spallucciata sdegnosa, sprezzante. La signora Artale ne fu scossa. E dopo colazione, appena giunsero i signori Morello con le figliuole, gliel'accusò per gastigarla
- Oggi è stata cattiva; voleva andarsene via -.
- Allora resterà qui altri otto giorni - disse il signor Morello, senza togliersi la pipa di bocca.
China aveva tratto in disparte la zia Carmela, la minore delle signorine Morello, e le si raccomandava:
- Zietta, te ne prego, conducimi via con te!
- Non hai sentito il nonno? Resterai qui altri otto giorni. Perché tu fai la cattiva?
- No, no!... Voglio andarmene! -
Pestava co' piedi e aveva la vocina piena di pianto. - Dici almeno perché - soggiunse la signora Luisa irritata di quell'insistenza di bambina capricciosa. - Le zie possono immaginarsi che qui ti si maltratti.
- Voglio andarmene! -
Fu irremovibile; e la spuntò. Né quel giorno, né dopo, le si poté cavar altro di bocca.
Se gli Artale scendevano alla villa dei Morello, ella andava a nascondersi. Bisognava proprio scovarla e trascinarla innanzi ad essi per forza.
- E tutto questo perché? Perché Carlo, distratto, non prese da lei un mazzo di fiori!... È troppo sensibile - aggiungeva la signora Artale compassionandola.
Il signor Carlo, imbarazzato, taceva. E una volta che la signora Morello volle forzar la bimba a baciarlo e a chiedergli scusa, egli rispose:
- Non la tormenti... È cosí nervosa -.
Aveva rimorso di farla soffrire.
Il peggio fu quando ella parve proprio cambiata, tanto stava seria, muta, imbroncita, facile a piangere per un nonnulla. Mangiava poco, dimagrava a vista d'occhio.
- Questa creaturina minaccia di ammalarsi - dicevano le zie. - Forse per ciò è cosí intrattabile -.
E la mattina che la zietta Carmela, nel vestirla, sentí scottarsi da quel viso pallido e da quelle manine scarne: - La bambina ha la febbre - corse a dire alla mamma.
Le furono tutte attorno.
- No.
- No.
- Insomma?
- Non ho niente -.
Ma scoppiò in pianto tutt'ad un tratto.
- Questa bambina ci darà qualche grave dispiacere - disse la signora Morello a suo marito.
- Domani la riporterò in città. Se si ammalasse qui, sarebbe peggio - egli rispose, vuotando la pipa, impensierito.
Quindici giorni dopo i Morello interruppero la villeggiatura, richiamati dal loro figliuolo, vedovo da un anno. La bambina stava male assai, ed egli - che pei nuovi appalti di lavori ferroviari dovea assentarsi frequentemente - non voleva lasciarla alle mani della donna di servizio.
Gli Artale rimasero soli lassú. Il signor Carlo non riusciva a levarsi dagli occhi quella bambina impallidita a un tratto e che gittava via il mazzo di fiori di campo; gli pareva d'averla colpita a morte lui, di propria mano, in quel punto.
- Chi sa come sta Chinuccia? - diceva alla moglie, appena desto.
- Poverina!... Tu lo prevedevi: non camperà molto; è troppo sviluppata per la sua età -.
Per delicatezza, egli non sapeva decidersi a raccontarle tutto. E fu subito di accordo, quando sua moglie disse:
- Che facciamo qui, soli soli?
La signora Artale, entrata la prima nella camera della malata, sentí empirsi gli occhi di lagrime vedendo quel corpicino disfatto e quasi irriconoscibile. Pure la bambina le sorrideva e lasciava baciarsi. Ma tosto ch'ella s'accorse del signor Carlo, si voltò, accigliata, verso il muro; né volle piú muoversi, finché non si persuase che era andato via.
- Che ti ha fatto quel bravo signor Artale, da trattarlo cosí? -
China non rispondeva né alla zietta né alle altre, arcigna, coi lineamenti quasi cattivi. Dopo parecchie di queste scene, il signor Artale notò che i Morello lo accoglievano freddamente.
- Che sospettavano? Doveva mostrar la lettera per incolparsi?... Com'era già donna quella bambina! Lo faceva apposta, perché capiva di metterlo male coi parenti -.
E fece cosí fino agli ultimi istanti, quando la febbre gastrica, che stava per portarla via, le lasciava appena un barlume di vita negli occhi, dove il colore ceruleo si era mutato in grigio torbido.
Avean dovuto accorrere di notte, egli e la moglie. E in quella triste circostanza la signora Morello lasciò scapparsi di bocca:
- Che le avevate fatto?... Vi odiava! -
Il signor Carlo la prese per una mano e la condusse nell'altra stanza. Intanto ch'egli parlava, la signora Morello sentiva montarsi al cuore tutta la sua grande severità di mamma e di nonna: e appena ebbe letto due volte la incredibile lettera della bambina:
- È bene che sia morta! - esclamò singhiozzando.