Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
Lettura del testo

TOMO I

LE APPASSIONATE

X IL PICCOLO ARCHIVIO

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

X

 

IL PICCOLO ARCHIVIO

 

- Oh, che gentile pensiero avete avuto! - esclamò Ludovico, vedendola entrare.

- Siete proprio malato? - rispose Maria, fermata, esitante, sull'uscio.

- Quasi, se una storta a un piede può dirsi malattia. Scusate tutta questa confusione... Non posso muovermi. Sedete qui, vicino a me. Se avessi potuto immaginare!... Per occuparmi, m'ero messo a riordinare il mio piccolo archivio...

- Del cuore!!

- Come avete fatto per indovinarlo subito?

- Si vede. Fiori secchi, lettere ingiallite, pezzettini di nastri, gingilli... Dovrei mostrarmi gelosa, farvi una scena...

- Il passato non può darvi ombra. E poi, per diventar gelosa, bisogna prima di tutto...

- Intanto il vostro piccolo archivio vi fa dimenticare d'essere cortese. Non m'avete ancora baciato, secondo il solito, la mano.

- Ve le bacio tutte e due.

- Non m'avete neppure domandato se sto bene.

- Siete la salute in persona!...

- Pare; ma vengo dal dentista. Ho passato una nottataccia. Devo essere orribile. Ho evitato di guardarmi nello specchio, per non farmi paura.

- Siete raggiante...

- «Di pallor», come si canta nel Ballo in maschera

- E il dentista...?

- Oh, no! Salendo le sue scale, mi son sentita guarire tutt'a un tratto; e son tornata via senza entrare. Portentoso quel professore!... Allora dissi: «Facciamo un'opera di carità cristiana, visitiamo un malato!» Il mio cuore ha questi slanci, qualche volta.

- Non vi fate piú cattiva che non siete. Siete cattiva abbastanza.

- Mi ringraziate cosí?

- Di che dovrei ringraziarvi? Avete detto: «È malato, è inoffensivo, andiamo dunque nell'antro...».

- Del leone? Diventate vano, sapete!

- ...e facciamolo arrabbiare, facciamolo ruggire; sarà un bel divertimento. L'antro è cosí solitario che non c'è nessun pericolo di compromettersi; ed io mi sento tanto forte da tenere il leone a distanza, anche se avesse il suo piú fiero accesso di febbre.

- È poi vero che i leoni abbiano la febbre?

- Dicono. Ma chi gli ha tastato il polso?... E siete venuta. Su dunque; fatemi arrabbiare, fatemi ruggire. Di nuovo quel dente?

- , torna a molestarmi.

- Dente benedetto, se gli debbo l'incredibile fortuna d'una vostra prima visita!

- Prima ed ultima.

- Perché?

- Parto per Napoli.

- Lo dite in un modo!...

- Il ministro ha avuto l'idea di traslocare colà mio marito.

- In questo caso, il ministro propone, e la donna dispone.

- Non ho nessuna ragione per non andare.

- E me?

- Voi non siete una ragione. Ci amiamo forse? Di tanto in tanto, avete il capriccio o l'amabilità di ripetermelo; io ho sempre il buon senso di non credervi punto. Voi siete cosí scettico, cosí blasé, da non avervi a male, se non vi credo; ed io sono cosí buona da continuare a darvi la replica nella puerile commediola che vi piace di rappresentare. La cosa non può avere gravi conseguenze né per voi, né per me. La vita, per noi venuti qui da poco tempo, è tanto noiosa, che fin questa sciocchezza giova a distrarci. Perché dovremmo privarcene? Ora che lascio Roma, cercherete un altro svago, magari piú concreto; non penerete molto a trovarlo. Io, io... oh, io potrò farne anche a meno! So l'arte di annoiarmi, da un pezzo.

- Vi guardo a bocca aperta.

- Potete chiuderla. Ho detto.

- È impossibile che siate venuta qui unicamente per spiattellarmi sul viso certe cose somiglianti a impertinenze. Vi assicuro che un'impertinenza non cessa d'esser tale uscendo dalla piú bella bocca della cristianità, quale io giudico la vostra. Dunque quelle parole hanno un senso nascosto. Sarò sincero; anche con tutt'e due i piedi in ottimo stato, non avrei mai tanto talento di ermeneutica da poter tentare la interpretazione del grazioso indovinello da voi recitato con l'aria veramente incantevole d'un'attrice consumata. Siate compiacente, aiutatemi. Voi vorreste andare a Napoli.

- Non son io che voglio andarci, è il ministro che manda colà mio marito. La moglie, lo sapete, deve seguire il marito; è testuale.

- Voi vorreste andare a Napoli. Perché?

- Giacché volete saperlo, corro dietro a una avventura... romanticissíma. Amo, e mi credo amata. Tegolo sulla testa, fulmine a ciel sereno! Il famoso coup de foudre!...?... Inglese; biondo, bello, fatale, come lord Byron che non ho avuto l'onore di conoscere. Abbiamo flirtato... Si dice?

- Se vi fa comodo. Mi prendete forse per l'Accademia della Crusca?

- Abbiamo flirtato una settimana per le gallerie e per le chiese, fingendo di ammirare Raffaello e il Correggio, la Cappella Sistina e San Paolo, dandoci degli appuntamenti, senz'aver l'aria di darceli - un incanto! - e trovandoci insieme il giorno dopo, esatti fino a un minuto. Egli deve avermi scambiata per una principessa; niente di male: qui sono tutte principesse. Io gli ho fatto supporre che lo credo un principe del sangue, viaggiante in incognito. Se poi sarà un fabbricante di tele da vele, di rasoi o di saponetti di glicerina, non importa. E siccome mi ha detto che... la sua famiglia starà sei mesi a Napoli... perché una sorella di lui è mezza tisica, cosí...

- Tutto questo, scusate, mi conferma nella mia vecchia opinione che le donne, in generale, non abbiano molta fantasia, e le donne di spirito, in particolare, per gastigo della loro malignità, ne manchino affatto.

- Con voi non si può ragionare.

- Sragioniamo; sarà meglio. Malato, con un piede all'altro mondo, nel mondo della bambagia e delle fasciature, sono dispostissimo a dire la verità, e nient'altro che la verità. Non vi sembra che se cominciassimo ad amarci sul serio o, piuttosto, a persuaderci che ci amiamo sul serio, sarebbe una bella cosa?

- Domandatelo a mio marito.

- Scommetto che s'egli sapesse che stiamo ripetendoci da un anno questa storia che non ci vogliamo bene, che non possiamo amarci, voi perché non mi credete, io perché non ho ricevuto da voi nessun segno che possa permettermi la piú piccola illusione...

- Che cosa ci avete perduto?

- Il ranno e il sapone

- Parlate da lavandaio. Oh! Il mio lord non si permetterebbe mai simili espressioni.

- Non m'interrompete. Credete, dunque, che se vostro marito conoscesse la nostra suprema stupidaggine, non proverebbe un sentimento di profondo disprezzo per voi e per me?

- Mio marito è uomo di buon senso, uomo positivo. Egli suol dire che le peggiori sciocchezze sono le inutili. Amandoci sul serio, ne commetteremmo una di questo genere. A che scopo? Volete che v'enumeri i vantaggi della nostra condizione? Facendo le viste d'amarci, abbiamo tutti i benefizi dell'amore...

- Tutti? Oh no! Lasciatemi protestare.

-... senza nessuno degl'inconvenienti che l'amore per davvero ci getterebbe fra' piedi. Mi avete scritto bellissime lettere; le pubblicherò, dopo la vostra morte, e vi faranno onore; non v'adulo. Io v'ho risposto con altre... passabili, di una discreta ortografia. Non le veggo fra queste.

- Gli archivi ricevono unicamente le pratiche espletate.

- Sta bene; grazie. E in questo modo siamo scampati dal pericolo d'innamorarci, voi chi sa di quale strega; io chi sa di qual figuro. I veri innamorati scelgono sempre il peggio.

- Perché non sono il peggio? Eppure mi credevo abbastanza mostruoso, in tutti i sensi, da potere far perdere la testa alla donna piú savia!

- Ve lo ripeto: diventate vano... Le due e mezzo! Ho appena un quarto d'ora da concedervi. Se credete che sia venuta qui senza commozione...

- Possibile!... Quale?

- Quella di fare una cosa che non avrei dovuto, col pericolo...

- Quasi in questo punto di città non si fosse piú sicuri che nella campagna romana!

- Se poi credete che io sia rimasta qui un quarto d'ora senza provare il rimorso...

- Di che mai?

- D'aver interrotto il riordinamento del vostro piccolo archivio del cuore. Oh! Mi vi siete rivelato sotto un aspetto inatteso. La vostra meravigliosa sentimentalità - chi poteva supporlo? - mi sbalordisce, mi turba. Avete pianto, riprendendo in mano quei fiori secchi? Le vostre mani hanno tremato, riaprendo le lettere ingiallite delle vostre signore di tempo fa? Diciamo signore, cosí, in blocco. Non sono proprio sicura che qualche bella cameriera non si sia introdotta fra esse, in un momento di vostra distrazione. E farete dei versi su questo soggetto? Siete capace di tutto. Ne avete fatti per me, una sola volta, sei mesi addietro. Allora forse pensavate che, per farsi credere innamorato davvero, bisognava mostrarsi completamente ridicolo. Ora, con la storta a un piede e il piccolo archivio del cuore disperso sul tavolino, siete sublime a dirittura. Dovreste farvi fotografare cosí.

- Invece di muovervi il riso, tutto questo dovrebbe provarvi che ogni scettico ha il suo quarto d'ora di fede, come ogni credente il suo quarto d'ora di scetticismo; dovrebbe provarvi che quando un uomo del mio carattere arriva fino al punto di rimescolare con triste compiacenza le poche ceneri del suo passato, vuol dire che egli non ha nulla nel presente da eccitargli l'immaginazione, da fargli battere il cuore; e che il presente gli appare cosí squallido, cosí doloroso da spingerlo a voltarsi addietro, verso l'ideale; perché, se non lo sapete, l'ideale è dietro o davanti di noi; e noi non facciamo altro, in tutta la vita, che rimpiangerlo o corrergli appresso, senza chiapparlo mai.

- Continuate. Mi sento intenerire; preparo il fazzoletto.

- Voi tentate di far la brava...

- No; tento di restar seria, per non darvi una mortificazione... Altri otto minuti. Vorreste intanto farmi il piacere di guidarmi attraverso il vostro piccolo archivio del cuore? Dev'essere interessantissimo.

- Siete in vena di ridere... Ma, badate: parlo con tutta la serietà possibile! Non vi ho mai detto con tanta sincerità, con tanta profonda commozione come in questo momento...

- Ricominciate?

- Giacché siete in vena di ridere, ridete pure a spese delle mie illusioni giovanili, delle ardenti passioni dei miei vent'anni, dei miei amori fragili e passeggieri... che non sono stati i peggiori.

- Alla buon'ora! -

Ludovico rovistò fra le carte e gli oggetti sparsi sul tavolino e, scelti alcuni fiori secchi legati con un rozzo filo bianco, risprese in tono scherzoso:

- Fiori di campo. Mazzolino preistorico; 1866, data approssimativa. Allora amavo il rustico, l'ideale dell'ideale, la figlia del mio fattore. Tutte le belle mani di contesse, di marchese, di principesse, di semplici signore, strette e baciate dopo, non mi sono parse belle quanto quelle mani grassotte, gonfie pei geloni, e che facevano la calza. Purità, il tuo nome è Sedici Anni! Ogni volta che sento il profumo del fieno...

- Vi vien la voglia di mettervi all'erba?'

- Signora, rispettate almeno l'innocenza! - E rifrugato, continuò: - Età della pietra: lettera di quattro pagine, geroglifici primitivi. Non ne capisco piú niente, tranne che la sartina finiva con abbraccarmi e darmi mille bachi.?

- Che non fecero il bozzolo?

- Altro! Il mio primo rimorso. Se scriverò la mia vita...

- Leggerò allora questo capitolo, e procurerò di rabbrividire. Su, su, entriamo finalmente nei tempi moderni.

- La mia prima signora!

- Autentica?

- Autenticissima. Aveva un solo difetto: si metteva sempre a piangere, dopo. Non sapeva persuadersi, diceva, con che cuore poteva tradire un marito che l'adorava!... Cosa molto lusinghiera per me, ma che, ripetuta, mi seccava. E il suo tradimento...

- Vi tradí?

- Per veder di capire, con un altro, in che modo ella poteva tradire il marito che l'adorava!... Fui cosí bestia, cara amica, da provocare il mio rivale e buscarmi un bel colpo di punta al braccio, guaribile in dieci giorni. Questa è la lettera di congedo. Monumentale. «Ti amo troppo... Non ci vedremo piú!... Lasciami ai miei rimorsi! Clelia.» È il nome della sua cameriera: si firmava cosí per cautela.

- E quel porte-bonheur?

- Modernissimo, tutto quel che ci può essere di piú moderno. L'epistolario, in tre volumi, fu restituito all'autrice, meno queste pagine interessanti e questo gingillo che ha aderito al mio polso sette mesi, notte e giorno, testimone irrefragabile d'una passione degna di miglior sorte. Giacché questa volta fui io che presi la rivincita su la volubilità femminile, tradii per tradire. Il cattivo esempio della mia prima signora mi aveva cosí pervertito, che restai sordo ai pianti, alle imprecazioni, alle lettere di questa natura: «Mostro! Quel ch'io soffro, non lo saprete mai!» Infatti, non l'ho piú rivista... Era bella, proprio. E affettuosissima: troppo. L'ho rimpianta, ma non lo ha saputo mai.

- Pari e patta.

- Nastro contemporaneo. Una marchesa, vero genio epistolare: già voi altre donne siete tutte tante Sévigné inedite. Queste lettere, salvate a stento dal terribile naufragio della nostra passione, potrebbero, in mancanza di altre, farne fede. «M'hai lasciata or ora. Stanca delle divine ebbrezze...» Voi non amate il realismo; salto qualche frase. «Non posso far a meno di scriverti, di comunicarti le sensazioni che mi conturbano ancora...» Salto, salto... «Ho aperto la finestra. Che silenzio! Che calma! Gli alberi del giardino...» Descrizione, credetemi, che il Fogazzaro non sdegnerebbe per sua. «Gli alberi fremono d'amore sotto i pallidi raggi della luna. I fiori, mezzi addormentati, si bisbigliano, da un'aiuola all'altra, le loro confidenze... Un cane abbaia in lontananza...» Due pagine!... «In questo momento tu, forse, dormi. Oh, se sognassi di me!» Glielo confessai il giorno dopo: a mezzogiorno dormivo ancora, ma senza sognare. Quando amo in una certa maniera, dormo come un ghiro... Andate via?

- Sono edificata a bastanza!... Voi avete tre o quattro mie lettere, insignificanti. Passatele pure agli archivi... Credo che non farete cosí facilmente ridere con esse un'altra signora.

- Ah!... Voi dunque supponete...?

- Non suppongo nulla; giudico. Siete mostruoso davvero. Stavo per lasciarmi ingannare anch'io da codesta vernice di scetticismo che, forse, poteva nascondere un cuore buono e gentile... Mi avete fatto male, molto male!... Lo scetticismo è una malattia di cui si può guarire; ma il cinismo...

- Sono cinico?... Io?...

- Se c'è una parola che significhi qualcosa di peggio, suggeritemela; ve la dirò.

- Finalmente!... Oh, finalmente, son riuscito a strapparvi la maschera! Ho rappresentato cosí bene la mia parte...

- La risorsa è da uomo di spirito. Però voi avete detto che sono persona di spirito anch'io, e, per conseguenza, maliziosa.

- Vedete? Non mi difendo. Voglio darvi tutto il tempo di giudicarmi con calma e con imparzialità.

- Addio!

- Neppure a rivederci?

- Ci rivedremo senza dircelo.

- Sentite, Maria. Non mi fate il torto di dare importanza a uno scherzo, fatto piuttosto per mettermi all'unisono del vostro buon umore... di testa. Da un anno ci diamo la maggior pena del mondo per mostrarci l'una all'altro proprio il rovescio di quel che siamo. È stato un continuo scambio di assalti, di motti, di frasi, nelle quali le parole non avevano per nessuno dei due il significato ordinario. Ogni puntura era una delizia; ogni morsettino una felicità... Non lo negate...

- Io non fiato. Solamente vi avverto di risparmiarvi la pena di tanta eloquenza. Ora che fingete di parlarmi in serietà...

- Fingo!

- Vi credo assai meno di quando fingevate per chiasso. Oh gli uomini! Addio!

- E non potersi muovere per trattenervi!

- Piove. Non ce ne siamo accorti. Siete venuto ad abitare in un deserto. Non si trova mai una carrozza da queste parti. Mandate il servitore a cercarmene una.

- Potreste aspettare che spiova. Vedete? La Provvidenza manda la pioggia unicamente per prolungarmi il piacere di vedervi qui, di sentirvi parlare, e... di rappacificarci, forse... Sedete intanto.

- Guardo se spioverà presto.

- Sedete. Oramai lo so: noi ci amiamo!

- Davvero?

- , noi ci amiamo. Ed è un peccato saperlo con certezza. Pensavo a questo vedendovi andar via... Ne avremo per due, tre settimane, per un mese al piú, e poi... Invece abbiamo durato quasi un anno nell'amarci inconsapevolmente. Ed è stato deliziosissimo.

- Se non siete un mostro, siete talmente pervertito...

- Siamo cosí tutti, chi piú chi meno, a questi lumi di luna di raffinatezza nevrotica. Il naturale, lo spontaneo, il primitivo non ci basta piú. È troppo semplice per la nostra esperienza e per la nostra malizia... Via!... Amiamoci!... Siamo sinceri almeno un momento. E cosí, se dovrete proprio partire, partirete fra due o tre settimane, fra un mese; qualche giorno prima che il nostro amore finisca. Faremo come coloro che si levano da tavola con un po' d'appetito. È igienico, dicono.

- Sciocchezze ne avete detto sempre; mai però tante e tante di seguito, quante da che sto qui!

- Dovreste esserne lieta. Una donna che ispira delle sciocchezze, è una donna veramente amata.

- Povere donne!

- Maria!...

- Avevo un triste presentimento, venendo qui. Non m'ingannavo. Perché non sono tornata addietro? Mi sarebbe rimasta l'illusione. Ho creduto a una lusinga del cuore, e ne sono punita. Meglio per me. Errore evitato, rimorso risparmiato. Ne avevo già uno: quello d'esser sul punto d'ingannare una brava persona che m'ama seriamente.

- I mariti non amano; tutt'al piú, vogliono bene.

- È preferibile.

- Ma è un'altra cosa.

- No, non vi credo, non voglio credervi. Sareste proprio perverso, se tutto ciò che dite fosse davvero quel che pensate, e di cui siete convinto.

- Non posso alzarmi, altrimenti mi butterei ai vostri piedi, per farvi la mia dichiarazione in regola... Siete cosí formaliste voi donne! Allora, probabilmente...

- No; non parlate cosí. Mi fate dispiacere ora.

- Che volete? Mi veggo in una certa situazione con questa storta, inchiodato su la seggiola...!

- Soffrite molto?

- Non me ne sono accorto da che voi siete in casa mia.

- Se prometteste di non scherzare piú sopra un argomento tanto serio...

- Ve lo prometto.

- Chi sa? Potrei venire qualch'altra volta...

- Non v'augurate, spero, che la mia storta duri eterna!

- Intendetevela col vostro dottore.

- Grazie.

- A rivederci... Ma buttate via tutti questi ingombri!... Ci tenete molto, insomma?

- Tanto!... Come terrei a conservare le vostre poche lettere, se un'altra mi chiedesse quel che voi chiedete...

- Oh no, no a rivederci!... Che tristezza!... Addio. Addio -.

Egli la seguí ansiosamente con lo sguardo, sperando non sarebbe davvero andata via. E quando la vide sparire, rimase ancora un momento con gli occhi rivolti verso l'uscio. Poi, riprendendo la occupazione interrotta:

- Tornerà - disse. - La credevo piú forte. Francamente, era meglio prima. Ed ecco un'altra pratica che s'avvia per l'archivio. La vita è cosí!

 

Mineo, agosto 1884.

 

 

 



«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License