Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO I

LE APPASSIONATE

XI MOSTRUOSITÀ

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XI

 

MOSTRUOSITÀ

 

L'amava, come un bruto, quantunque la sapesse non solamente indegna d'affetto ma di compassione.

- L'amo! Non diceva altro. Quando suo padre gli sputava in faccia il suo disonore con inesorabile crudezza di vecchio, Giovanni chinava la testa, smorto come un cencio lavato, e sentiva soffocarsi da sdegno tremendo, ma non contro di lei.

- Sta' zitto! - gli rispose una volta. - Sta' zitto, o mi faccio saltar le cervella.

- Ammazzati! - replicò il vecchio. - Sarà meglio per te, per la tua casa, pel nostro nome onorato -.

Non s'ammazzava, e non già perché gliene mancasse il coraggio; alla guerra, da volontario, aveva visto piú volte la morte faccia a faccia e non aveva mai avuto paura:

- Non sapea staccarsi da lei! -

Neppure allora ch'ella gli diceva sfacciatamente sul viso: - Che vuoi da me? Io non ti voglio -.

Allora gli occhi gli s'inumidivano, le gambe gli si piegavano sotto; diventava vile al suono di quella voce che lo rimescolava tutto; al fuoco di quegli occhi azzurri, scintillanti di disprezzo per lui e che pure lo intenerivano; al cospetto di quella superba figura di donna dalla carne che fremeva voluttuosamente fra le pieghe del vestito di seta, dai capelli d'oro smaglianti, e dalle labbra porporine umide sempre di baci. Gli bastava vivere accanto a lei, sprofondandosi ogni giorno piú nell'abbiezione, fingendo di non vedere, roso dalla terribile smania di voler tutto vedere, quasi per toccare il fondo di quell'abisso che gl'inghiottiva il cuore, la ragione, ogni cosa, e lo riduceva un animale. E a ogni nuova infamia di lei, si sentiva piú debole, piú vile - e piangeva, per lei.

- Povera creatura! La perversione dell'organismo la spinge a rotolarsi nel fango. Ha forse coscienza del male che commette? Difatti il maggior male lo fa a se medesima. La sua salute è mezza rovinata. Quando quest'eccesso di nervosità sarà passato, la vedrò tornare a me, buona, affettuosa come nei primi mesi del nostro matrimonio... -

La sua felicità era durata appena pochi mesí! E da due anni egli non aveva piú avuto un giorno, un'ora tranquilla, correndo ansante, tremante, dietro la vertigine di sensi che trascinava sua moglie; da prima sbalordito, incredulo, indignato; poi istupidito dal dolore; finalmente rassegnato e avvilito, come un cane rognoso che il padrone non vuol piú in casa e che va a guaire dietro l'uscio, quantunque scacciato col bastone.

E c'era mancato poco non fosse stato proprio bastonato, il giorno che voleva impedirle di andar fuori per una visita che pareva le premesse troppo. L'aveva incontrata sull'uscio del salotto, piú bella del solito, col viso acceso, stretta nel semplicissimo vestito di faglia nera che ne modellava il corpo come una tunica di statua greca; col seno rigonfio, e le pupille scintillanti sotto il velo abbassato fino a metà della faccia. Al vederla cosí, contrariata dalla di lui presenza e pur risoluta di andar fuori, Giovanni s'era sentito mordere il cuore.

- Non andare! - le aveva detto con voce tremante.

Ella fece una spallata e si fermò davanti allo specchio per aggiustarsi il cappellino.

- Non andare!

- Perché? - rispose, voltando appena la testa.

- Perché... voglio cosí! -

A quel voglio che gli costava un grandissimo sforzo, ella era scoppiata in un risolino ironico, sdegnoso, e aveva preso in mano l'ombrellino.

- Virginia!!!

- Sei impazzito? - rispose, sentendogli alzare la voce. -

, si sentiva diventar pazzo al vederla andar via tranquillamente, quasi fosse stato nulla; e balzò a sbarrarle l'uscita col corpo che gli fremeva tutto, e gli occhi che non ci vedevano piú. Virginia si fermò, interdetta, e lo guardò fisso; poi, indietreggiando di un passo:

- Levati di ! - gli disse con voce repressa: - levati di ! -

Giovanni restava piantato , supplicando con lo sguardo, senza dir motto.

- Levati di ! - ella ripeté.

Brandiva l'ombrellino, mordendosi il labbro inferiore, spirante minaccia. E Giovanni s'era fatto da parte e l'aveva lasciata passare, intimidito come un fanciullo, dando in uno scoppio di pianto, peggio d'un fanciullo, avvilito dalla coscienza della propria fiacchezza e pentito di quella resistenza servita soltanto a irritare sua moglie di piú.

 

Oh, ella sapeva di poter tutto su quell'uomo! Quando con arti da sirena gli buttava l'elemosina d'una parola dolce, o gli permetteva di prendersi qualche bacio su le labbra ancora calde d'altri baci, Giovanni dimenticava subito ogni cosa e le perdonava, ammaliato dai bagliori azzurri di quegli occhi, dalle carezze di quelle mani bianche e delicate che, senza tremare, gli passavano le dita tra i capelli, quasi mani di sposa immacolata.

- È un'infamia! La trista donna l'ha stregato! - diceva la mamma di lui. E i suoi pregiudizi da provinciale l'avevano fin spinta a fargli benedire di nascosto i vestiti dal parroco, per distruggere la malia: e neppur l'acqua santa era giovata! La povera donna malediva l'ora e il momento che ella e il suo vecchio s'erano risoluti a venire in Milano per agevolare la carriera del loro unico figlio. Soprattutto, non riusciva a darsi pace di aver favorito quel matrimonio, mentre suo marito non voleva saperne affatto d'una nuora cosí bella, cosí superba e che non gli pareva punto adatta al mite carattere del suo Giovanni. Per ciò, ora, ella se ne stava zitta quando suo marito buttava in faccia al figlio tutte le infamie della nuora; e si era sentita morire quella volta che il vecchio gli aveva detto: - Ammazzati! - ritto sulla persona, coi bianchi capelli che gli si sollevavano irti sul capo, tremendo come un giudice che pronunzi una sentenza. Da quel giorno, quel misero figliuolo era tornato in casa dei genitori due o tre volte soltanto, quando poteva essere sicurissimo di non trovarvi il padre. La voce compassionevole della povera vecchia gli addolciva il cuore. Ella gli dava un po' di ragione, non gli diceva: - Ammazzati! - non aveva parole dure per la disgraziata che, infine, portava il nome di lui.

- Credi, mamma, è una malattia come un'altra - le ripeteva sinceramente. - Un giorno dovrà guarire; guarirà! - E al vederlo cosí calmo, cosí rassegnato nel suo infinito dolore, ella non osava palesargli che giorno e notte pregava Iddio perché togliesse da questo mondo quella malefica donna che lo rendeva tanto infelice. Era sempre il suo bimbo quell'uomo di trentacinque anni, quel raro ingegno di architetto, cosí ben voluto da tutti per la squisita bontà del carattere. E nei momenti piú tristi, ella si stringeva fortemente al seno la cara testa un po' brizzolata e l'andava accarezzando, come faceva - anni addietro! - ogni volta che il babbo lo sgridava per qualche scapataggine da scolare.

Anzi ora la sua tenerezza materna era maggiore. Oh! Non ne dubitava piú: la megera glielo aveva stregato.

 

Quella sciagurata sguazzava intanto nel fango a testa alta, sorridente, senza curarsi di nulla. Dalla fiacchezza del marito si sentiva dispensata fin dall'obbligo di mentire. I suoi amanti non si contavano piú; non sceglieva, accettava quanti gliene capitavano tra' piedi. Tormentata da voglie e da capricci stranissimi, quando si sentiva o stanca o sazia, tornava, per contrasto, al marito. E allora erano settimane d'idillio, che lo rendevano felice, pover'uomo!

- Non l'avevo detto che sarebbe guarita? -

E faceva progetti di viaggi, di villeggiature, liete fantasie da innamorato, per sottrarla all'aria cittadina che doveva averle prodotto quello sconquassamento di nervi.

- Andremo a Nizza.

- No, in un posto solitario, su la riviera ligure - ella rispondeva con voce strascicante.

- Su la riviera ligure; sarà meglio -.

Giovanni non tentava spiegarsi quell'improvviso cambiamento

- Misteri dell'organismo! -

E le andava dietro, da una stanza all'altra, zitto, dimesso, aiutandola a riporre questo o quello oggetto, come il giorno che eran partiti per il viaggio di nozze.

Con la veste da camera di cascimirra celeste ricamata in bianco, e i capelli che le cascavano in pioggia d'oro dietro le spalle, Virginia aveva qualcosa di verginale nell'aspetto, qualcosa d'immensamente dolce, allorché i suoi occhi si velavano di una sfumatura di tristezza. Giovanni se ne sentiva turbare fino al midollo delle ossa. Ah, quella gola e quel collo, staccantisi con toni lievemente dorati tra il biondo dei capelli e la candida spuma delle trine che guarnivano la scollatura della veste - gola, e collo da regina! Egli non si saziava di baciarli; li avrebbe anche morsi, se non avesse temuto di farle male e di romper cosí l'incanto del sogno da cui non voleva svegliarsi.

 

Queste tranquille giornate di preparativi, passate in casa dalla mattina alla sera, con lunghi riposi su per le soffici poltrone del salottino o alle finestre dell'appartamento che davano sulla via Principe Umberto, gli rimanevano impresse nella memoria proprio come un sogno quando l'incanto si rompeva, pur troppo!, come gli aveva prognosticato suo padre. Il vecchio non sapeva darsi pace. In che modo un uomo cosí intelligente, vero artista nella sua professione, lasciava calcarsi, senza lamento, dai fangosi stivaletti di una miserabile che la nostalgia della mota trascinava pei rigagnoli, frenata appena appena dalle ipocrisie sociali?

- Che posso farci? Ella si è impossessata assolutamente di me. Me la sento nel sangue, nelle fibre, nell'anima! Che posso farci?

E quando apprese che anche lei, finalmente, trovato un padrone, si era fermata nella sua corsa vertiginosa, e che il nuovo amante la dominava, alla sua volta, da tiranno, e la faceva piegare alla propria volontà quasi pezzetto di cera da modellarsi col calor delle dita, Giovanni si rallegrò dell'avvenimento come di beneficio immenso. Ed era grato a quel mostriciattolo scarno, nero, nano, dal naso spropositato, dalla testa pelata piú di una zucca e che non giungeva a mascherare la bruttezza con la raffinata eleganza dei vestiti, gli era grato della sosta prodotta nella vita sfrenata di Virginia. Fino a questo era arrivato!

 

Ella era felice di sentirsi interamente assorbita da quel mostriciattolo che già la trattava con pochi riguardi, troppo sicuro del fatto proprio. E quando la minacciava di piantarla, senza tante cerimonie, se ella resisteva un po' a qualche dispotico capriccio di lui, Virginia rompeva in pianto come non aveva mai fatto. Le avesse ordinato di leccargli le scarpe, e lei si sarebbe buttata carponi, a leccargli le scarpe, come una bestia domata; e sarebbe stata orgogliosa di quella viltà, tanto sentivasi ardere, la prima volta, da passione vera, di quelle che scoppiano come mine nelle profondità dell'organismo.

Per lui, per quel mostriciattolo, una mattina Giovanni se la vide comparire dinanzi bella e sfacciata come una cortigiana, con tutte le tenerezze ch'ella sapeva mettere nella voce, e tutte le seduzioni che le vibravano dalla persona, da quegli occhi azzurri, limpidissimi, da quelle labbra porporine che gli imprimevano un bollo infocato su le carni le poche volte che le toccavano. Da parecchi giorni, gli si mostrava insolitamente gentile e premurosa. Due o tre volte era andata a trovarlo nello studio, fra quei larghi tavolini ingombri di disegni, di matite, di regoli, di compassi, di pennelli, di vasetti d'inchiostro di China. S'era anche fermata a guardare il proprio ritratto incastrato nella magnifica cornice dorata, ritratto che era stato la disperazione del Cremona quando lo aveva dipinto, ed era riuscito un capolavoro, con la bionda figura che veniva innanzi sul fondo grigio e il sottile tralcio - poche foglie verdi e pochi fiori cerulei - che le si rizzava a lato elegantissimamente. Tutte e due volte era entrata con qualche esitanza, senza saper dire perché, quand'egli le aveva domandato se le bisognava qualcosa; e, dopo d'essersi aggirata con aria indolente fra quei tavolini, buttando stanche occhiate su i disegni, domandando rare spiegazioni, era andata via.

- Vuoi qualche cosa? - aveva insistito Giovanni, facendosele accosto, accompagnandola fino all'uscio.

- No - rispose. - Volevo... volevo soltanto vedere se eri solo -.

Gli avea lasciato però nella stanza il forte profumo femminile che lo inebbriava, che gli faceva girare la testa e non gli permetteva piú di lavorare. Poi, tre giorni dopo, era entrata risolutamente, sul punto che Giovanni usciva di casa per un affare importante.

- Senti! - gli disse, tenendolo per le mani, guardandolo negli occhi con sguardo da maga... - Non mi dirai di no!.... Giovanni si sentí rammollire le ossa e dové sedersi su la prima seggiola che gli capitò sotto mano; accennò di col capo e aspettò che parlasse. Allora ella gli si sedé sulle ginocchia.

- Senti! - riprese a dire... - Farai di me quel che vorrai... Non ti darò piú il minimo dispiacere... Sono stata una pazza... Perdonami: sei tanto buono!... Ma... ho bisogno di tremila franchi, oggi stesso, fra due ore... Non mi dirai di no!... La sarta... i fornitori... certe cambiali, capisci... -

Non le diceva di no, certo. La guardava, muto, sbalordito di quella richiesta alla quale sapeva di non poter soddisfare interamente cosí presto com'ella voleva. Ah! Se si lasciava sfuggire quell'occasione che gliela rigettava tra le braccia, non l'avrebbe mai piú riafferrata. Questa idea lo atterriva.

Ella era rimasta seduta su la poltrona osservandolo di traverso, trattenendo il respiro, mentre Giovanni rovistava in fondo alla cassetta di un mobile, nell'angolo piú scuro della stanza. E allorché lo vide ritornare contando i biglietti di banca gialli e rossi che teneva fra le mani, gli corse incontro e lo baciò in fronte. Giovanni voleva parlare, ma ella gli turò la bocca, carezzevolmente:

- Non scusarti se non mi dai di piú! -

E calcò i biglietti nella tasca del vestito, con gli occhi nuotanti in un'onda di soddisfazione straordinaria, le mani che le sbalzavano dall'agitazione, le gote fiammeggianti sotto i riflessi d'oro dei capelli, le labbra increspate dal convulso della vittoria.

 

Lungo la strada, Giovanni cacciava via, con un gesto vago, la importuna mosca della riflessione che veniva a ronzargli dentro il cervello per quelle tremila lire...

- È la prima volta che mi chiede denaro. E lo ha chiesto in un certo modo!... Chi sa?... Non è cattiva, no; non è cattiva. Forse, se avessi saputo ben guidarla...! Questa volta però i sintomi della guarigione sono proprio evidenti -.

E alzava la testa e apriva i polmoni, per respirar meglio l'aria ossigenata dei giardini pubblici che gli sorridevano d'attorno con le magnolie, i cedri del Libano, e le aiuole tutte fiorite.

- Come sarei stato felice, se avessi potuto prendere, per , le tremila lire e mettergliele in mano! -

Ma sapeva benissimo dove andare a trovare il resto; per ciò era tranquillo. Quegli azzurri occhi sereni, quelle tiepide labbra porporine, quel tesoro di capelli biondi gli facevano risplendere in cuore un sole assai piú bello di quello che stendeva i suoi strati d'oro sul verde dei prati e su la polvere bigia dei viali. Qualcosa gli cantava dentro, assai piú dolcemente dei calenzuoli e dei cardellini che cinguettavano tra le fronde degli ippocastani, tremolanti in quel brulichio di luce.

Aveva fretta, e intanto indugiava.

- Aspettino! Voglio godermela intera questa festa che mi folleggia dentro improvvisamente, quando meno me l'attendevo -.

E lungo il corso Venezia si fermava davanti le vetrine, guardava le stampe in mostra, i pesciolini dorati dell'acquarietto di un salumaio, e il via vai della gente, delle carrozze, degli omnibus, tutta la ressa della vita cittadina che non riusciva a reprimergli l'intimo tumulto.

 

Aveva salito con passo affrettato le scale di casa, tenendo stretto nel pugno l'involtino delle altre mille e cinquecento lire ch'era andato premurosamente a farsi prestare da un amico. Sentendo una voce d'uomo nel salottino, s'era fermato; poi, in punta di piedi, era andato ad appostarsi dietro l'uscio dell'altra stanza, da dove poteva ascoltare e vedere senz'essere scoperto. Il cuore gli sbalzava con ispasimo, mentre osservava dal buco della serratura, il mostriciattolo dell'amante raggirarsi pel salottino su e giú, con le mani in tasca e il naso enorme all'aria, intanto che Virginia gli parlava da una poltrona, seguendolo con gli occhi, beata; e quegli, per risposta, scrollava le spalle, faceva smorfie, non voleva crederle; e mandava fuori grugniti, sprezzante, da padrone che non si degna di rivolger la parola a una schiava. Gli occhi gli si annuvolarono, gli orecchi gli zufolarono...

In quel momento non pensò piú alla propria onta, no, ma all'avvilimento di lei in faccia a quel rospo ch'ella avrebbe dovuto schiacciare col tacco degli stivalini! E quando vide che colui, strappatigli di mano i biglietti di banca e contatili, glieli schiaffava in viso e alzava la mano per picchiarla, si sentí colpito lui sul volto, a traverso l'uscio. Dentro, una molla gli scattò. Il mostriciattolo non aveva avuto tempo di scappare all'urtone che aveva quasi fracassato i battenti. Con le mani fra' capelli, senza un grido, immobile, Virginia guardava atterrita i corpi, aggrovigliati come due serpenti, che si divincolavano sul tappeto in lotta feroce Il nano guaiva fra la morsa di quelle braccia di acciaio, sotto quei pugni che gli piombavano addosso come colpi di maglio e gl'illividivano e gl'insanguinavano la faccia.

- No, Giovanni! No, Giovanni! - balbettava Virginia con voce strozzata. - No, Giovanni!

Giovanni però non le dié retta finché non sentí quella carogna quasi sgonfiarsi come un otre e restare immobile sul pavimento.

 

Piú morta che viva, ella si lasciò prender per mano dal marito. Giovanni, diventato calmo a un tratto, vergognoso d'essersi lasciato trascinare a un atto insolito, già pareva un altro, con quelli sguardi concentrati, tutto sudicio, tutt'arruffato.

- Bada! - le disse, spingendola bruscamente in camera. - Se ricominci, ti tiro addosso come a una cagnaccia arrabbiata! Parola d'onore, ti tiro addosso come a una cagnaccia arrabbiata! -

Ah, questa volta egli diceva davvero!

Cosí avvenne in lei una trasformazione incredibile. Nei primi giorni si sentiva stordita; e guardava, indignata e diffidente, l'uomo da cui vedevasi soggiogata con tanta violenza e in un modo che ella non giungeva a spiegarsi. Dunque suo marito non era l'essere fiacco da lei creduto fin allora? E lo fissava, attratta da crescente ammirazione di donna che non sapeva piú rivoltarsi, con avidità nuova, con curiosità strana, alla quale si mescolava, di giorno in giorno, un sentimento indefinito... - Di gratitudine? Di affetto? - Non lo capiva bene; ma certamente qualcosa che la meravigliava e la deliziava, qualcosa che la faceva rimanere come tra sonno e veglia, con la dolcezza del sogno e la paurosa coscienza ch'esso dovesse subito finire...

Giovanni, invece, come piú si andava accorgendo del mutamento di lei, provava forte nausea, repugnanza invincibile per la creatura cosí perdutamente adorata quando prodigava il bel corpo agli innumerevoli amanti. La guardava appena, le rispondeva con soli monosillabi, lasciando ben scorgere dal suono della voce, dalla glaciale cortesia dei modi, la sorda irritazione prodottagli da quell'umile pentimento, infame profanazione dell'amore, com'egli lo qualificava ripensandoci su giorno e notte. Perché ora, , lo amava lei, colpita profondamente da quell'atto di forza brutale che aveva lasciato mezzo morto sul tappeto del salottino il vigliacco che stava per picchiarla! Si desolava, lei, del freddo contegno di suo marito, che pure le usava la carità di non farle scorgere intera la forte nausea, la insormontabile repugnanza! , gli si aggirava lei attorno, muta, con sguardi smarriti, dimessa come una serva, senza implorare pietà, mentre sentivasi rifiorir nel cuore qualcosa di nuovo, e tutto il passato le si andava dileguando via via dal corpo con le invisibili scaglie della pelle, che si rinnovava e diventava piú fina, piú trasparente, senza riflessi, d'un candore di marmo!

Quando si trovavano da solo a solo nel salotto - egli a sedere, coi gomiti appoggiati su le ginocchia, la testa fra le mani, la fronte corrugata, guardandola di sottecchi di tanto in tanto; ella, in piedi, discosta, presso la finestra o accanto a un mobile, bella sempre, ma a testa bassa e col cuore in tumulto - Virginia provava una contentezza ineffabile nel vedersi , dinanzi al marito, in quell'attitudine di donna spregiata che la riscattava ai propri occhi da tutte le colpe passate; timida e pur speranzosa sempre di vederlo alzare un bel giorno da la seggiola per avvicinarsele e dirle, aprendole le braccia: - Ti ho perdonato! -

Giovanni però non si muoveva, non le diceva nulla. Una volta, avendo ella osato accostarglisi e posargli una mano su la spalla, era balzato con uno scatto.

- No, no! - le aveva detto. - È impossibile! -

E quella voce dura, e quella faccia buia, l'avevano trafitta peggio d'un pugnale. S'era sentita agonizzare. Non era giusto che fosse cosí? Si meritava peggiore gastigo!

 

Su tutta la casa si era aggravato un silenzio penoso. Ella non metteva piú un dito sul pianoforte. La gabbia dei canarini pendeva ancora nel vano d'una finestra, ma un ragno v'aveva tessuto dentro la sua tela che dava un aspetto desolato alla gentile prigione di fil di ferro. I fiori, le piante da salotto erano morte; le foglie cascavano per terra al minimo alito. Non riceveva piú nessuno, non metteva un piede fuori delle stanze addette alla famiglia; contenta di quella tetra pace succeduta al gran chiasso precedente; inebbriata di sacrifizio per meritarsi una parola benevola, un'occhiata pietosa. All'inverso, Giovanni sentiva rivoltarsi ogni giorno piú dal lezzo del passato che si sprigionava da quel corpo di donna maculato di baci e di carezze altrui. Gli pareva che esso già si disfacesse dalla cancrena di tutti i turpi abbracciamenti ai quali s'era abbandonato.

Soltanto il ritratto del Cremona, quella divina figura immortalata dall'arte, gli faceva battere il cuore come una volta. Era stato fatto nei primi mesi del loro matrimonio quando lo splendido fiore della bellezza di lei non era stato ancora inquinato; e tutta la pudica innocenza della vergine diventata appena donna s'era rifugiata su la meravigliosa tela dove il pittore aveva diffuso piú largamente la magica fosforescenza del suo pennello. Giovanni rimaneva ore ed ore in faccia a quel ritratto, che talvolta gli si muoveva sotto gli occhi quasi agitato da soffio vitale; e se, dopo, incontrava per le stanze lei che lo guardava con gli occhi ingranditi nel volto pallido, ella gli sembrava un'ombra, un fantasma dei giorni tristi; e le voltava le spalle.

Poi non piú nausea o repugnanza, fu odio a dirittura. Perché quella donna restava ? Perché aspettava d'esser scacciata via a colpi di granata, quasi immondezza? Perché non voleva morire, ma gli si teneva fitta alle costole simile a un cattivo destino? Dio! Dio!... Chi lo tratteneva dallo schiacciarla come un vile insetto, cosí? E una volta, avendola sorpresa piangente, diventò furibondo, cominciò a urlare:

- Ah!... Tu osi piangere? Ah!... Tu osi rimproverarmi, a questo modo, la mia immensa bontà?

Gli s'era inginocchiata ai piedi, credendo d'intenerirlo, e s'era sentita afferrare pel collo da due granfie di belva che tentavano strozzarla.

 

- Perché non me l'hai lasciata finire? - egli disse a suo padre sopraggiunto per caso. - Perché non me l'hai lasciata finire? -

Suo padre lo guardò stupito.

- Oh, mi sentivo piú felice... allora! - esclamò Giovanni. E scoppiò in singhiozzi.

 

Mineo, 24 luglio 1881.

 

 

 



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