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Dopo dieci anni di matrimonio, vivevano come nei primi giorni della loro unione, in pace trista che ora neppur la figliuolina riusciva a rallegrare.
Il marito, diventato piú giallo per stravasi di bile, col volto scarno e gli occhi grigi, sbiaditi, di pesce morto, metteva paura fino agli assassini quando li fulminava in nome della legge dal suo banco di procuratore del re, agitando per aria le mani da scheletro, e la voce gli usciva a scatti, cavernosa, dal fondo dello stomaco, quasi qualcuno parlasse di là dentro invece di lui.
Giovane e bella, pallida sotto la tinta bruna, con gli sguardi smarriti e sognanti, con la indolenza che le rendeva faticoso anche il parlare, le rade volte che si mostrava in pubblico al braccio di lui, sua moglie pareva una convalescente scampata da lunga malattia, cosí sbalordita, cosí fiacca gli si strascinava accanto, guardando sempre davanti a sé, lontano, senza badare né ai luoghi, né alle persone.
In quelle passeggiate di qualche ora, la figlia, alta e magra, tutta suo padre, e che mostrava nell'aspetto di bimba stentata e freddolosa piú età che non avesse, camminava a fianco della mamma o del babbo, muovendo lentamente le gambine di ragno sotto il vestitino corto, con le braccia penzoloni e la bocca semiaperta, come una grullina; e nei primi giorni del loro arrivo in Palermo, la gente si voltava per guardarli tutti e tre, curiosa di sapere chi potevano essere quelle strane figure.
Poi la loro storia si seppe, e la compassione fu tutta in favore della signora.
Quell'uomo l'aveva sposata senza dote, innamoratissimo, pur sapendo di non essere riamato; ed ora la gelosia lo rodeva vivo vivo, quantunque sua moglie fosse una santa. Non ricevevano visite, non ne facevano; vivevano, laggiú, a Porta Sant'Antonino, come chiusi in un carcere, in quel palazzotto silenzioso dalla facciata scura e massiccia, che pareva fabbricato a posta per loro. Le vetrate dei terrazzini che davano su la via maestra non s'aprivano mai. In certe ore della giornata, dietro i cristalli, fra le tende bianche, si vedeva appena il profilo d'una testa di donna dai capelli neri, ma non si capiva se intenta a leggere o a lavorare; e, accanto, la bimba, seria e malinconica creaturina, appannava i cristalli col fiato, segnandovi col ditino qualche cosa che subito scancellava, per ricominciare da capo. Piú tardi, dietro quei cristalli sempre chiusi, i vicini dirimpetto, che spiavano curiosi e maligni, vedevano comparire per un momento la faccia itterica del marito sotto il berretto di velluto nero; e allora mamma e figliuola sparivano, quasi colui avesse avuto paura di vedersi mangiare dalla luce quella moglie ancora giovane e bella che i parenti gli aveano consegnata in mano, superbi della loro figliuola, vestita di bianco e coronata di fiori d'arancio, chiamata a salire cosí in alto.
Allora ella aveva appena sedici anni.
Regio procuratore presso il tribunale di Catanzaro, Lupi abitava al primo piano della stessa casa dove la famiglia di lei nascondeva, al piano superiore, la decente miseria del suo stato di decadenza.
Due o tre volte s'erano incontrati per le scale, mentr'ella andava fuori con la vecchia zia; e quella figura gialla, magra, dagli occhi sbiaditi e i capelli grigi, che le gettava addosso lo sguardo diaccio diaccio e si fermava a vederla scendere, le aveva dato una sensazione di ripugnanza, quasi di persona che volesse farle male. Per questo, arrivata all'ultimo gradino, s'era sempre voltata in su e s'era sempre urtata in quell'uomo affacciato alla ringhiera del pianerottolo, e che continuava a fissarla con la cattiva malia delle pupille smorte.
- Dev'essere un jettatore - aveva detto alla zia, facendo di soppiatto un gesto di scongiuro.
Qualche mese dopo, s'era accorta che quel jettatore stava a divorarsela con gli occhi dal terrazzino di fianco, allorché ella mettevasi a lavorare, canticchiando, su la terrazza. Vistagli ripetere quest'operazione parecchi giorni di seguito, e alla stessa ora, quantunque non gli avesse mostrato di essersene avvista, ella aveva smesso di recarsi lassú, indispettita:
- Quel jettatore mi perseguita! - Una volta però la zia le disse:
- È matto di te; ti vuole per moglie. Che fortuna, figliuola! Regio procuratore! -
Carmelina non aveva saputo che rispondere, sorridendo con sorriso sciocco, incredula:
- Ma che? Posso essere sua figlia... Non è possibile -.
Eppure era stato. E aveva detto di sí, vinta dalle insistenze e dalle lagrime della mamma e della vecchia zia, intronata dalle interminabili loro chiacchiere, e, un po' anche lusingata da quel cambiamento di fortuna che la sbalzava nell'agiatezza di un posto onorato.
La prima cattiva impressione, però, di persona che volesse farle male, era rimasta, malgrado tutto quel che il marito le prodigava per legarsela, per rendersela affezionata ed amante, com'egli non disperava di poterla stringere un giorno o l'altro fra le braccia. E quando se lo vedeva, cieco dalla passione, inginocchiato dinanzi, smanioso di baciarle i piedi ch'ella tirava indietro impaurita; e quando sentiva ricercarsi avidamente, con labbra scottanti, le carni rosee e fresche, quas'egli volesse inebbriarsi del loro profumo e del loro contatto, Carmelina s'irrigidiva, diventava di marmo, e chiudeva gli occhi, e serrava i pugni e i denti; oppure s'abbandonava, come corpo morto. Poteva fare diversamente? Gli apparteneva, per sempre, Signore!... Per sempre!
- Lo so, non t'è facile amarmi - egli le diceva, un po' impermalito per la resistenza della giovine ai suoi abbracci d'uomo maturo. - Ma io, anima mia, non ti chieggo un affetto volgare, da schiava...
- Vedi? - rispondeva. - Non ti riesce di darmi del tu! Non importa. Sei la mia vita, il mio sole! Quando avrai capito che nessuno al mondo potrebbe amarti quanto t'amo io... -
Carmelina avrebbe voluto almeno ingannarlo, per non parere cattiva, per non straziare di piú quell'uomo che l'adorava come la Madonna ed era geloso fin dell'aria. Non ci era stato verso però, per quanti sforzi avesse fatti!...
Il giorno che Lupi, dopo un anno e mezzo, dovette lasciare Catanzaro, gli occhi di Carmelina si velarono di lagrime, come nello staccarsi dai parenti, guardando forse per l'ultima volta dallo sportello della carrozza le care montagne attorno, che era solita guardare dalla terrazza, allorché canticchiava lassú libera, al sole, nella squallidezza della casa che le aveva addormentato in seno ogni vano desiderio ed ogni giovanile illusione intorno all'avvenire.
Questa vita modesta ma dolce le era spesso tornata in mente, rimpianta, nella nuova residenza di Taranto, dov'ella si sentiva come sperduta per l'isolamento in cui la manteneva la sospettosa passione del marito. Oramai però cominciava ad adattarsi, spossata da languori indefinibili, mezza assopita dal torbido silenzio che la circondava in quell'abitazione dalle stanze piccole e basse, tra quei mobili vecchi, del tempo di Murat, che stuonavano stranamente con le pareti imbiancate di fresco. Tra i riflessi bianchi di quelle stanze, suo marito pareva piú smorto quando tornava a casa dal tribunale e le si sedeva di faccia o a lato, e la prendeva per le mani commosso come al primo giorno che le aveva rivolto la parola.
Ah, egli era sempre lo stesso!
E, dopo due anni, continuava ancora a volerla seduta su le ginocchia come una bimba, e tornava a balbettarle parole mozze, da innamorato che si confonde e non sa parlare, intanto che le baciucchiava le palme delle mani, il braccio, il collo, dicendole:
Carmelina non si sentiva piú irrigidire, non serrava i pugni e i denti, non s'abbandonava piú come corpo morto. Era rassegnata, quasi indifferente, dominata da quel fascino maligno che doveva aver maturato rapidamente la sua bella giovinezza e assonnato nervi e sangue.
Soltanto non riusciva a dargli del tu, com'egli avrebbe voluto. Il tu le moriva su le labbra:
- Che posso farci? -
E suo marito, che l'andava scrutando tutti i giorni e tutte le ore, con gli sguardi inquisitori di procuratore del re, in cui neppure la passione accendeva un lampo, s'inquietava ora per questa indolenza di lei, peggio che non avesse mai fatto per la vivace ripugnanza:
- Che hai dunque? A che pensi?
- Perché mi dite cosí? - ripeteva Carmelina. - Perché mi dite cosí? -
E gli alzava in faccia le grandi pupille stupite. Sentiva un accento di minaccia immeritato, e ne aveva paura.
No, no! Egli non la minacciava, tradito dalla brutta voce cavernosa, dalla faccia giallastra, emaciata per la gelosia che lo disfaceva. Avrebbe voluto vederla anzi allegra, sorridente, felice; e se le fosse sfuggito finalmente uno di quei gridi che soltanto la giovinezza e l'amore son capaci di trovare, oh, gliel'avrebbe pagato con tutto il sangue delle proprie vene! Né gli sarebbe parso pagato abbastanza.
- Che hai insomma?... Mai un desiderio!... Mai un capriccio!...
- Voi mi prevenite sempre. Che mi manca? -
La mattina in cui lo sconcerto delle viscere, agitate a un tratto e insolitamente, le rivelò quel che già era accaduto, Carmelina si scosse indignata contro di sé, quasi la sua volontà fosse stata complice, quasi da quel momento si vedesse già caduta in pieno possesso di lui, e si sentisse tiranneggiata nel piú intimo del proprio organismo. E non gli disse nulla; prima, sperando d'essersi ingannata; poi, sperando che la natura avrebbe avuto pietà di lei e l'avrebbe fatta abortire. Era offesa, violata da quel mistero di vita che le germogliava nel seno:
- Non basta quel ch'io soffro? Dovrà soffrire anche questa creatura che verrebbe a intristirsi con me nella desolazione della mia vita? -
E di essa già risentiva tutto il gran peso, come nei primi giorni. E quella sensazione di repugnanza, di persona che volesse farle male, le si rinnovava forte alla presenza del marito; il quale intanto l'adorava piú che mai e la sopraffaceva con sottomissioni da fanciullo, con delicatezze da donna
- Oh! Oh!... Perché non me l'hai detto subito? -
Quell'unica volta i suoi occhi grigi e smorti si erano animati d'un lampo di gioia, aveano sorriso imbambolati dalle lagrime, mentr'ella ricadeva sfinita nella tristezza indolente, da cui non la destarono neppure i vagiti della gracile creaturina che, nascendo, ne aveva messa in grave pericolo la vita.
Cosí l'allattò, cosí la vide crescere, quasi non fosse stata pure sangue suo. Non si sentiva madre, come non s'era potuta sentir moglie, come non si sentiva piú giovane, né donna, né nulla!
- Sí, qualcosa dev'essersi rattrappito dentro di me; il cuore, certamente! -
All'opposto, suo marito cominciava a provare un'irritazione per questa resistenza passiva:
- Neanche la maternità la lega a me! -
E si mise a sorvegliarla piú inquieto, provocandola con qualche parola un po' dura, adombrandosi di tutto, senza nasconderglielo come aveva fatto fino allora.
- Che motivo avete? - ella rispondeva tranquillamente.
- Sei ingrata. Donna senza cuore! -
A questi rimproveri amari, restava muta e impassibile, non volendo ch'egli si mettesse in collera e gridasse dinanzi alla figliuola e alla persona di servizio. Spesso però il suo silenzio faceva peggio.
Da qualche tempo in qua, stando in casa, egli si chiudeva nella stanza da studio, fra libri legali e processi. E non la scienza l'occupava, non i processi ammonticchiati sul tavolino dentro le polverose copertine rosse e azzurre, legati in fascio. Sprofondato nella poltrona coi gomiti appuntati su un libro aperto a caso, la testa fra le mani scarne, pensava a colei che non lo amava, a colei ch'egli amava sempre piú, disperatamente, per quegli occhi neri e grandi, per quella fresca carnagione bruna che il lieve pallore rendeva piú bella, per quel corpo delicato e perfetto, e che non vibrava, mai!, sotto la furia dei suoi baci, tra le strette di quei suoi abbracci da cui sarebbe stata animata fino una statua!...
- Ah! Chi sa quali fantasmi le passano per la testa? Chi sa quali visioni agitano quel cuore che il seno piccolo e bianco nasconde ai miei sguardi? Come sono infelice! Come sono infelice!... -
E a un tratto appariva nella stanza dov'ella lavorava straccamente camicine per la bimba, dando un punto a ogni quarto d'ora; appariva sull'uscio com'un fantasma, per sorprendere, chi sa?, qualche indizio in quegli occhi sognanti, su quelle labbra chiuse e contratte che non avevano piú sorriso da che egli l'aveva sposata.
Carmelina non alzava palpebra, indovinando senza farglielo capire. La bimba, seduta per terra sopra un tappetino dove arruffava con grande attenzione i ritagli di trine e di mussolina raccolti fra le magre gambine aperte, levava il visetto sparuto per guardare suo padre accostatosi a farle una carezza, serio, taciturno.
- Il babbo! - balbettava, vedendolo andar via, rivolta alla mamma. E la stanza ricadeva nel silenzio, bianca, inondata di luce.
Una volta egli parlò apertamente:
- Mi rode una gelosia pazza!... La colpa è tutta tua!
- Perché?
- Perché soltanto in apparenza m'appartieni, per effetto della legge e del sacramento, non per legami di cuore!...
- Quel che non hai fatto finora: amarmi!
- Non vi amo forse? Non vi rispetto? Di che potete lamentarvi? Come s'ama? Non lo so.
- Non riesco mai a contentarvi!... Signore!... Quanto sono disgraziata! -
Vedendola piangere, s'era sentito rimescolare; e l'aveva presa tra le braccia, tremante, confuso, ripetendole:
- No, non voglio che tu pianga! Non piangere! -
E Carmelina aveva dovuto farsi forza per non irritarlo. Quel giorno egli provava uno dei soliti accessi di tenerezza che lo assalivano di tanto in tanto e lo lasciavano maggiormente triste e sconsolato; specie di febbre d'amore, che lo estenuava come febbre vera. Allora sembrava un altro. La sua voce diventava quasi dolce e il suo pallore si coloriva di leggiera tinta d'incarnato.
- T'amo troppo. Oh, come t'amo! Io non so esprimermi. Bisogna compatirmi. Mi mancano le parole... -
E l'andava accarezzando, ammirandola da capo a piedi, rapito.
- Me n'accorgo, in certi momenti riesco increscioso; incresco fino a me stesso! T'amo troppo. Ti vorrei tutta mia, tutta, tutta! E vorrei poter leggere qui, dietro questa fronte, dietro questa fronte piú splendida del cielo.
- Non vi nascondo nulla. Che potrei mai pensare da nasconderlo a voi? -
Infatti, nel languore delle lunghe giornate di solitudine non pensava proprio a nulla, oppressa da grave stanchezza e da strana sonnolenza, quasi gli occhi diacci di suo marito, che le stavano sempre addosso, le buttassero, prima ch'egli uscisse di casa, una malia da tenerla legata.
Massime ora che si sentiva piú sola dopo che i suoi parenti erano tutti morti, lontano, in quella casa di Catanzaro dove la sua giovinezza avea cantato e sorriso al cospetto delle montagne attorno, scure di verde o bianche di neve, sempre belle al gran sole.
Non le era rimasta nell'anima altr'eco del mondo. Ripensando, vedeva soltanto quei colori di campagne e di cielo; sentiva soltanto quel susurro di voci paesane, che le ronzava negli orecchi dolce e sommesso: e allora il suo povero cuore dava un debole segno di vita, s'agitava per un istante nell'allegria dei ricordi.
S'agitava anche, ma per compassione, quando le veniva dinanzi la bimba che cresceva stenta, pianticina senza umore, aduggita. Per lei, nelle belle giornate, osava qualche volta chiedere al marito di condurle un po' fuori. E quegli le conduceva lungo la spiaggia sabbiosa, nei posti piú solitari, per strade di campagna fuori di mano.
Pareva che la bimba provasse le medesime sensazioni della mamma, abbagliamento, stupore della violenta intensità della luce e della freschezza dell'aria pregna di salse emanazioni marine. Non correva, non saltellava, non si sentiva tentata dalle erbe e dai fiori che spiegavano la pompa del rigoglio e la festa dei colori pei campi; si teneva stretta alla mano della mamma, guardava con gli occhietti sbalorditi, senza godimento, senza voglie, e presto diceva:
Come avrebbe voluto dirgli Carmelina, se non avesse avuto paura di destar sospetti.
Nella casa di Palermo la solitudine era piú grande. Mettendo per la prima volta il piede in quelle stanze vaste, dalle volte che si sprofondavano nell'ombra, dagli usci dipinti a grandi fiorami sormontati da paesaggi anneriti dal tempo, dal pavimento di mattoni di Valenza che agghiacciava le piante dei piedi, dalle pareti sbiadite e ornate di specchi in immense cornici dorate che si accartocciavano baroccamente, Carmelina s'era sentita mancare il respiro.
- Tutta questa decrepitezza, tenuta ritta, non si sa come, l'ha cercata a posta, per farmi invecchiare piú presto? -
Vi s'era però facilmente abituata, e non v'invecchiava piú che altrove.
Gli anni, la vita inerte le avevano anzi un po' arrotondato il corpo; e la pelle bruna, sbiadita all'ombra, dava gran risalto a gli occhi neri e ai capelli nerissimi. Guardandosi nei grandi specchi lievemente appannati, che la riflettevano intiera, quasi dentro una nebbia sottile, se ne maravigliava:
- No, non sono invecchiata! -
E un baleno di civetteria femminile le passava sul volto.
Il tempo e l'abitudine mutavano la sua tristezza in tale sentimento di riposo e di pace, ch'ella non avrebbe voluto mutare stato. La lassezza da convalescente, la indolenza che le rendeva faticoso fin il parlare, prendevano per lei le stesse attrattive voluttuose della soave pigrizia del corpo e dello spirito, che la teneva raccolta, scalducciata, e le mettevano ne le grandi pupille la strana aria di sognante che impressionava le persone.
Per questo il frastuono della vita cittadina da cui era assediata coi gridi dei rivenditori ambulanti, coi rumori delle carrozze che scotevano i vetri delle finestre echeggiando cupamente per le volte, e col sordo affaccendamento di lavoro che si ripercoteva indistinto là dentro, serviva soltanto a renderle maggiormente caro l'isolamento e la muta severità delle vecchie cose dalle quali era circondata.
Fin suo marito non le dava piú la solita sensazione di ripugnanza o di persona che volesse farle male. E stava ad ascoltarlo intenta quand'egli le raccontava il processo discusso alle Assise nella giornata, quasi volesse appellarsi a lei contro i giurati che s'erano lasciati infinocchiare dalle sonore ciance avvocatesche.
In quelle sere la bimba non voleva andare a letto per ascoltare anch'essa le storie dei ladri e degli assassini; e guardava a bocca aperta ora il babbo che parlava, smorto smorto, nell'ombra della ventola, con le mani sui bracciuoli della poltrona illuminate dalla luce viva, e le lunghe gambe nascoste sotto la coperta rossa del tavolino; ora la mamma che taceva, o esclamava di tanto in tanto: - Povera gente! -
Cosí le stagnava la vita, senza che l'umor tetro del marito vi producesse piú neppure un lieve increspamento a fior d'acqua; e cosí durò fino al giorno in cui la bimba cadde ammalata, e per le stanze mute s'intese frequente il rumore cadenzato dei tacchi del dottore, che, vista la gravità della cosa, veniva a visitarla tre o quattro volte al giorno.
Le tristi occupazioni d'infermiera le furono di sollievo. Le medicine da somministrare d'ora in ora, esattamente; i piccoli servigi che la costringevano a muoversi da una stanza all'altra; il dover ragionare e venire a patti con la malata per indurla a star cheta sotto le coperte, o a prendere un cucchiaio di medicamento in ricambio dei bei regali di nastri, di oggetti d'oro, di ninnoli di porcellana che voleva schierati sul guanciale o ficcati dentro il letto; la stessa ansiosa aspettativa del resultato della malattia, tutto concorse a produrle una specie di risveglio di sensi.
Da la finestra che il dottore voleva aperta finché il sole era alto, irrompeva nel palazzetto addormentato un giocondo tumulto di vita; voci che chiamavano e rispondevano; scoppi di risa, canti allegri di operaie che lavoravano all'aria aperta nella via di fianco, godendosi il dolce tepore del sole di aprile. E quel canarino che trillava a la finestra della casa accanto!... E quel merlo che fischiava piú in là... E gli squilli argentini di quell'incudine, piú in là ancora, sotto i colpi di martello!... Che festa!
Non si saziava di guardare fuori, seduta al capezzale della bimba, tenendo strette fra le mani le manine febbricitanti; non si saziava di guardare, quasi quelle donne che sciorinavano la biancheria sui terrazzini della casa di faccia, lassú, distante; quasi quella monaca casalinga, che, piú in qua, innaffiava i vasi di fiori e si soffiava il naso col fazzoletto turchino; quasi quei due, marito e moglie certamente, che s'abbracciavano in mezzo alla stanza credendo di non essere veduti, fossero uno spettacolo per lei. Un'altra mattina, invece di biancheria, lassú sciorinavano dei tappeti. Quella giovane in veste grigia da camera dai grandi ricami rossi che si vedeva distintamente, e che faceva luccicare al sole l'oro della sua folta capigliatura, pettinandosi sul terrazzino, servendosi dei vetri dell'imposta per specchiera, doveva essere molto bella. Andava e veniva, forse per cambiare il pettine, forse per prendere delle forcine... Parlava con qualcuno che non si vedeva... Era allegra, rideva... Doveva esser felice!...
- Ah, Signore!... Che cosa avviene dentro di me? -
Si sentiva quasi destare da profondissimo sonno. Il sole che inondava la camera le metteva vivi formicolii per tutta la persona; gli sbuffi d'odor di zagara che il vento trasportava da lontano, dai giardini di aranci della Conca d'oro, le turbavano la testa. E se ne stava tutta la giornata rifugiata là, come in un angolo di paradiso, senza piú impensierirsi della malattia della bimba; paga di stringerne fra le mani le manine arse dalla febbre; bevendosi tutta quell'aria, assorbendosi tutta quella luce, inebbriandosi di quei rumori e di quegli odori. E quando, sul tardi, all'abbassarsi del sole, bisognava chiudere l'imposta, e compariva nella cameretta la faccia gialla e scarna del marito ritornato dal tribunale, ella provava una stretta al cuore, e ricadeva nella torpida inerzia che durava da anni ed anni.
Poi quei turbamenti, quelle vertigini le diedero insonnie tormentose, le stesse insonnie di suo marito. Fingeva però di dormire, rannicchiata nel proprio cantuccio di letto, quasi raffrenando il respiro; e la mattina, saltava giú che non era neppure l'alba, con la scusa della bimba, ma veramente per riprendere la seggiola del capezzale e veder ripetere l'incantesimo del giorno avanti.
Poi, quando la bimba cominciò a star meglio, ella che non s'era mai affacciata a un terrazzino - per indolenza, perché l'eccessivo movimento della vita cittadina le dava noia - si sentí attratta a quella finestra e vi restò a lungo, coi gomiti appuntati sul davanzale, la faccia sorretta dalle mani, girando attorno i grandi occhi desti, scoprendo cose che non aveva veduto e avrebbe dovuto vedere: quel campanile, quella terrazza dove una cagna allattava dei cagnolini bianchi e neri, quel comignolo, quei rami verdi d'una pianta di limone che sorpassavano un tetto nuovo. E stava là lunghe ore al sole, come una lucertola, voltandosi di tanto in tanto verso il lettino della convalescente e sorridendole con insolito sorriso delle labbra e degli occhi; stava là stordita, meravigliata di sentirsi tuttavia capace d'avere quelle sensazioni; talora sconvolta da turbamenti improvvisi ch'ella non sapeva spiegarsi, da brividi che le correvano su su per la schiena e la scotevano tutta; e cosí assorbita, e cosí sopraffatta, da non pensare a tirarsi indietro per evitare la insistente curiosità di quel signore mezzo nascosto fra le cortine, il quale tornava ogni giorno a guardarla, coll'indiscreto cannocchiale da teatro, dal terrazzino a mancina.
Gli aveva rivolto appena un'occhiata il primo giorno soltanto; e quella figura alta e bruna, dai capelli un po' radi nel centro del capo, dai grandi mustacchi castagni che si curvavano in su, le si era stampata talmente nelle pupille, che continuava a vederla durante la insonnia, con quel cannocchiale appuntato, con quei polsini bianchi e lustri dai piccoli bottoni d'oro fuor delle maniche del vestito... E se ne stizziva
- Chi è? Che cosa vuole? -
Che volesse colui, ella lo capí a un tratto una mattina, da certe mosse di occhi...
- Mamma, che hai?
- Niente, figliolina, niente! -
Intanto si era ritirata dalla finestra con brusco movimento, smorta in viso. La bimba si stupiva che le labbra che la baciavano fossero diacce e tremanti.
- Mamma, che hai?
- Niente, figliolina! -
E affondava la faccia nei guanciali, accanto alla testina della bimba, dolorosamente.
Per parecchi giorni di seguito non s'affacciò alla finestra e tenne i vetri socchiusi, quasi avesse avuto paura delle lusinghe dell'aria tiepida di quelle giornate primaverili, delle seduzioni di quel sole smagliante che irrompeva nella camera insidioso, a traverso i vetri; indignata della propria debolezza contro quel fantasma che la premeva da qualunque parte ella si volgesse... alto, bruno, dai capelli un po' radi, dai grandi mustacchi rovesciati in su, dai polsini bianchi e lustri con piccoli bottoni d'oro, dalle mani affilate che tenevano il cannocchiale fissato addosso a lei, insistentemente...
Ed ora che sapeva che cosa egli volesse, la sua alterigia d'onesta s'inalberava, protestava, quantunque il suo amor proprio si sentisse un po' solleticato; protestava, anche con quella strana pietà pel marito, quantunque se lo vedesse dinanzi piú giallo, piú magro, piú innamorato e piú geloso ancora, quas'egli presentisse il tranello teso al cuore di sua moglie...
- Oh, no, no! - ella pensava; - sarebbe un'infamia!... Ma già, forse, si tratta d'un castello in aria della mia fantasia riscaldata. Perché costui mi ha guardata tre, quattro volte... Sciocca!
Resisteva però alla smania per cui avrebbe voluto affacciarsi alla finestra a fine di persuadersi che s'era ingannata, e mettersi il cuore in pace.
- Ha paura dell'aria? - le disse il vecchio dottore. - Apra questa finestra, cosí!... L'aria è balsamo di vita -. E l'aperse egli medesimo.
Stiede un pezzetto sulla seggiola del capezzale, irrequieta, lottante, quasi la finestra fosse stata un abisso che le dava la vertigine; poi s'affacciò, rigida, deliberata di non guardare, coi gomiti appuntati sul davanzale, la faccia tra le palme... E appena s'accorse di quell'uomo ch'era là ad attenderla... forse, il cuore cominciò a sussultarle, le orecchie le zufolarono, gli oggetti attorno le barcollarono sotto gli occhi intorbidati...
- Domani, oh, domani sarò piú forte!... -
Intanto, quantunque assolutamente risoluta di non dargli una occhiata, nel tirarsi indietro lo aveva guardato, di sfuggita, suo malgrado...
- Avrei dovuto mortificarlo, con una guardatura sdegnosa, da dargli una lezione! -
E quella sera suo marito la sentí tremare sotto i baci e tra gli abbracci, quasi ella cercasse d'evitarli.
- Sí, un po'...
- Che ti senti?
- Nulla, non saprei... Forse la stagione -.
In alcuni momenti, quand'era sola, tutt'a un tratto il cuore le diventava grosso grosso, gli occhi le si riempivano di lagrime, i singhiozzi le annodavano la gola... Quella volta, sentendosi soffocare, era corsa alla finestra, per prendere un po' d'aria, senza pensare a colui. E vedendo ch'egli la guardava sorridendo tristamente a fior di labbra, e le rimproverava la severità con lieve movimento degli occhi e del capo - Ah, Signore! - quella volta s'era sentita afferrare a tradimento, violentemente; gli aveva risposto con un sorriso, con tale sorriso!... e si era tirata subito indietro nascondendo la faccia tra le mani:
- Oh, Dio, mi par di morire! -
Si sentiva venir meno. E avrebbe voluto morire davvero nel punto in cui aveva ceduto, dandosi incondizionatamente, da non riprendersi piú.
Fu uno scatto, quasi avesse avuto tuttavia sedici anni, e si fosse sentita tale forza nei polsi da lottare col mondo intero! Sentiva bisogno di muoversi, di gesticolare, di ridere, di cantare, ella che fino a poche settimane addietro aveva passato le giornate sonnecchiante su una delle poltrone addormentate anch'esse negli angoli oscuri di quelle stanze fredde e silenziose. E s'aggirava da una stanza all'altra, leggera, saltellante, levando le mani giunte e gli occhi alle divinità mitologiche dipinte nel centro della volta, per ringraziare non sapeva chi di quella grazia vivificante che le era stata concessa! Debole, ingenua, rimasta quasi bambina sotto l'opprimente gelosia del marito, ella si svegliava in un subito gagliarda, esperta di tutte le astuzie, di tutte le malizie, di tutte le ipocrisie della donna abituata a ingannare:
- Ah, finalmente la mia povera vita ha uno scopo, finalmente so!... -
Non sapeva nulla; illusa che tutto si sarebbe limitato là, e che l'immagine di quell'uomo ch'ella teneva chiusa nell'intimo del cuore, come in un tabernacolo, per prostrarlesi dinanzi col pensiero in adorazione spirituale, non le avrebbe chiesto nient'altro...
E, alcuni giorni dopo, allorché quel «che» le balenò per la mente, la sua dignità di moglie si rivoltò inviperita: - Spezzerò piuttosto, calpesterò il mio cuore! No! no! -
E continuò a vedere quell'uomo fra un nimbo abbagliante; e, accostandoglisi con la delirante adorazione di donna che amava per la prima volta, le pareva d'elevarsi, materialmente, e non sentiva piú il terreno sotto i piedi.
Perciò fu atterrita e sentí crollarsi il mondo addosso la mattina in cui ricevette una lettera di lui - imprudente!... - che le chiedeva di poterla vedere da vicino, di parlarle; lettera breve, quasi imperiosa col suo carezzante tono di preghiera.
- Imprudente!... -
Per fortuna, in quel momento neppure la persona di servizio era in casa. E alla vecchia mendicante, che attendeva la carità e la risposta, restituí la lettera con sotto poche parole tracciate in fretta in fretta: «Impossibile! Se mi amate, non mi scrivete piú!»
Lo disse anche a quella donna, mettendole in mano un pugno di monete: - Non venite piú, buona donna. Se mio marito vi vedesse!... E lo ripeté a lui dalla finestra, coi gesti, supplicandolo trambasciata, piú e piú giorni di seguito.
- E insiste!... E non sa persuadersi!...
- Vuoi dunque che venga io?... Son deciso... sí, sí... E subito... Comincio a vestirmi.
- Ah! N'è capace. Bisogna impedirglielo, a ogni costo! -
La forza del terrore le offuscò il cervello, quasi non fosse peggio ancora quel ch'ella stava per fare. Non riusciva a infilarsi le maniche della mantelletta, a annodarsi i nastri del cappellino.
- Torno subito - disse alla serva che la guardava meravigliata. - Non dire alla bimba che vo fuori -.
Aveva negli occhi il bacio di ringraziamento scoccatole da colui al cenno che gli rispose: - Aspettatemi, vengo io. - E scendendo le scale, ripeteva mentalmente: - No, no!... -
Era andata per romperla, per dirgli ch'era impossibile, per persuaderlo con le preghiere, facendogli capire le difficoltà del proprio stato... E appena colui la ricevette su l'uscio, prendendola per una mano, sorridente, da persona abituata a simili avventure; e appena si vide in quell'elegante appartamentino da le imposte socchiuse in penombra tentatrice... gli cadde tra le braccia, senza dir motto, quasi vi fosse andata a posta e per nient'altro!
Da qualche mese il marito la osservava, chiuso nel suo silenzio d'itterico, intrigato da quel raggiare d'una seconda giovinezza che le scoppiava dal colorito del viso ridiventato piú fresco, da quel fosforeggiare di lampi mal rattenuti negli occhi...
- Doveva credere a un inatteso mutamento? Il tempo, l'abitudine potevano produrre anche quel miracolo. Perché no? -
Invece, ora ritrovava in lei la stessa resistenza che nei primi giorni del loro matrimonio, quando la giovinezza e la novità del legame potevano in qualche modo scusarla; invece scopriva in lei rapidi movimenti d'impazienza, d'alterigia, quasi di ribellione!...
E lo ferirono peggio d'una pugnalata le parole che la bimba disse una sera alla mamma:
- Mamma, perché non canti come questa mattina? -
Egli non fece un gesto, né batté palpebra; ma vide l'occhiataccia lanciata dalla mamma a la bambina.
- Ah! Dunque cantava?... Dunque cantava? -
Tutta la nottata non ruminò altro. E il giorno dopo, mentre i testimoni facevano le loro deposizioni, mentre gli avvocati declamavano dinanzi ai giurati dando colpi di pugno sui tavolini, egli tendeva l'orecchio, col capo rovesciato sulla spalliera della sedia a bracciuoli, gli occhi chiusi, terribilmente pallido nella toga nera; tendeva l'orecchio per afferrare da lontano una nota di quell'insolito cantare di sua moglie nell'assenza di lui:
- Perché cantava, ella che non aveva cantato mai!... -
E, in casa, gli occhi grigi gli si scurivano, perduti dietro questa ricerca, quasi avesse voluto trovarne la traccia su pei vecchi mobili, o nell'aria di quelle stanze che doveano certamente saperne qualcosa.
Carmelina non gli badava, ingannata dall'apparenza, con la cieca temerità di chi non sa valutare il pericolo e con la fierezza di chi è deliberato, in ogni caso, a sfidarlo. Non voleva riflettere, non voleva ragionare. Il terrore dei primi giorni, quando le pareva che avrebbe visto sprofondarsi il pavimento sotto i piedi se la serva, inavvertitamente, avesse accennato al padrone che la signora era stata fuori; lo sbalordimento di quant'era accaduto quella mattina, senza che la sua volontà vi avesse concorso - anzi!... anzi!... - tutto era stato trascinato via dalla piena irrompente della passione che diveniva piú minacciosa di giorno in giorno.
Appena un mese dopo, ella garriva il suo amante:
- Come? Ora hai paura tu? E mi chiami imprudente?...
- Penso a le conseguenze; uno scandalo, forse un processo!... -
Ella alzava le spalle, irritata che colui riflettesse troppo, mentr'ella avrebbe affrontata anche la morte per venire a trovarlo un momento, per dargli un solo bacio. Invece sentiva domandarsi:
- E... lui, lui non sospetta ancora nulla?
- No -.
Un giorno, rimettendosi in furia il cappellino, ella gli disse:
- Che vita!... Vedersi soltanto per pochi minuti!... Se venissi a stare con te, nascosta in quella stanza in fondo dove nessuno potrebbe vedermi?
- E tua figlia?... - aveva risposto l'amante, fissandola per osservare l'effetto delle sue parole.
- Mia figlia?... È figlia di lui!... Ne avrò un'altra... tua, sai? -
E gli buttò le braccia al collo, senz'accorgersi che l'amante era diventato freddo freddo, e aveva aggrottato le sopracciglia, impensierito.
Però il sospetto di qualcosa d'indegno cominciò a turbarla, dopo che i pretesti per evitare le sue visite divennero piú frequenti. Ai rimproveri, egli rispondeva sorridendo con tranquillità d'uomo sazio e annoiato, negando fiaccamente, in maniera da far capire che negava per mera cortesia di persona bene educata...
Un giorno, sul tardi, pochi momenti prima che suo marito rientrasse in casa, ricomparve la vecchia mendicante, con un'altra lettera e per la carità. Anche quella volta la fortuna l'aveva aiutata. Sentendo picchiare all'uscio, era andata ad aprire; la serva trovavasi in cucina.
Quella lettera non potuta leggere, cacciata in fondo a la tasca del vestito col cuore abbuiato da terribili presentimenti, era stata una lunga tortura durante il pranzo, per tutta la serata, mentr'ella ricamava e suo marito leggeva un giornale, e la bimba, mezza stesa bocconi sul tavolino, coi capelli scuri che le cascavano dietro gli orecchi, ritagliava un vecchio figurino di mode sotto il lume, accompagnando al movimento delle forbici uguale movimento di labbra.
Aveva indugiato fino alla mattina del giorno dopo - fino a che suo marito non andò fuori di casa - masticando il tossico dell'incertezza, tastando di tanto in tanto la busta in fondo alla tasca, quasi avesse potuto, palpando, indovinarne il contenuto. Poi aveva letto febbrilmente, abbracciando con l'occhio due, tre righe in una volta... e s'era sentita lanciare nel vuoto da immensurabile altezza, giú, giú, giú, in quell'abisso che la lettera le spalancava sotto, abisso senza luce che se la inghiottiva vivente!
Colui aveva detto alla vecchia serva:
- Se venisse quella signora... starò fuori di casa fino a notte. Se volesse aspettare, metti alla finestra il solito segnale, finché non sarà andata via -.
E la vecchia aveva messo il segnale. La povera signora aspettava da piú di due ore, ostinandosi, quantunque la vecchia s'affacciasse di tratto in tratto sull'uscio per ripeterle:
- Non tornerà prima di notte; mi ha detto cosí.
- Sí, sí; aspetterò. Chi sa? Potrebbe tornare anche prima -.
E ricascava, abbandonata, nell'angolo di canapé dove s'era buttata arrivando.
Si sentiva precipitare tuttavia giú, giú, giú, in fondo all'abisso senza luce; e non aveva altra sensazione. Quella vertigine della testa, del cuore, di tutta la persona, le impediva di pensare, d'accorgersi degli oggetti circostanti, di formarsi un'idea netta del tempo che passava, e dell'enorme pazzia ch'ella commetteva restando là. A intervalli, la nebbia fosca della sua mente veniva solcata da un chiarore; un quadretto dalla cornice dorata, un oggetto di porcellana con una punta di luce viva, un'impugnatura di fioretto appariva su la parete in un canto del salottino, e le spariva sotto gli occhi appena ella tentava fissarli.
Soltanto allorché sentí domandarsi: - Vuole che accenda il lume? - soltanto allora si riscosse, atterrita:
- Ditegli che ho aspettato finora e che... non tornerò piú!...
Soffocava. E andò via, ritta su la persona, come fantasma, mentre la vecchia le faceva lume. Cosí montò le scale di casa; e cosí, come fantasma, senza esitare, passò davanti al marito che le aperse e non ebbe la forza di dirle nulla, e richiuse lentamente l'uscio dietro il quale era stato ad attenderla da parecchie ore, bevendo le lagrime che gli irrigavano il viso sconvolto, in agguato per scannarla, com'era suo diritto, come si meritava questa sgualdrina, ora ch'egli sapeva tutto!...
- Oggi la signora ritarda... -
Rientrando, gli era parso d'aver capito male. Il suo istinto geloso s'era subito svegliato:
- Oggi?...
- Credevo che il signorino sapesse... - disse la serva, spaventata dal tono di quella domanda.
- So, so: le altre volte però è tornata sempre piú presto...
- Sempre.
- Tutti i giorni?...
- Nossignore; una, due volte la settimana.
- E... da quando?... Da quando?
- Ma, se il signorino lo sa...
- Rispondi! Da quando?
- Da quattro mesi, forse... Non ricordo bene... Oh, vergine santa!
- Da quattro mesi!... Da quattro mesi! Una, due volte la settimana!... -
Ogni esclamazione, era lampo di vivissima luce che gli rischiarava il cervello; era scoppio di fiamme avvolgentisi al corpo che intanto sudava diaccio...
- Da quattro mesí!... Due, tre volte la settimana!... - E i minuti passavano, e i quarti d'ora passavano, via via, sul quadrante dell'orologio a pendolo dov'egli teneva fissi gli occhi; e le ore squillavano pel salotto lentamente nell'attesa mortale, quasi annunziassero un'immensa catastrofe!...
- Meglio per lei, se il mondo finisse prima di rimettere il piede in casa, in questa casa insozzata dalla sua infame persona!... Ecco perché rifioriva!... Ecco perché cantava!... E la gelosia non mi ha servito a niente!... Balordo! Balordo! -
E i minuti passavano, eterni come quarti d'ora! E passavano, via via, gl'interminabili quarti d'ora che sembravano secoli!
La serva aveva sentito suonare con violenza...
- Prendi il tuo fagotto ed esci da questa casa, subito, subito, ruffiana!
- Vergine santa! Che dite mai, signorino!
E spintala con un urtone fuori dell'uscio, facendole sbalzare in terra il fagotto, aspettò. S'aggirava dietro l'uscio, simile a tigre pronta a slanciarsi, assetato del sangue della infame.
La bimba, accorsa con la serva, non avendo mai visto il babbo cosí infuriato, era andata a rincantucciarsi nel salotto, impaurita; e, poco dopo, s'era addormentata su la seggiola, con le gambette spenzolanti e la testina cascata sul petto.
Carmelina la guardò, ebete; e sbarazzatasi convulsamente dello scialle e del cappellino, si rovesciò su la poltrona. Gli orecchi le rintronavano d'un sinistro rumore di case crollanti.
- Dove sei stata? Dove sei stata?... -
Alla stretta di quelle mani piú fredde e piú forti dell'acciaio e che le stritolavano i polsi, ella cacciò un grido:
- Ammazzatemi!... Avete ragione!... Ammazzatemi! -
E fissava con avida angoscia qualcosa che gli aveva visto luccicare fra lo sparato del panciotto. Le tardava di morire. Per che doveva piú vivere?
Ma colui si strappava i capelli, ma colui le si rotolava ai piedi, mugolando il nome di lei. E quand'ella credette alfine che le si slanciava addosso per ucciderla, si sentí brancicare, amorosamente, su i capelli, su la faccia, per tutta la persona; e si sentí furiosamente baciare e ribaciare, fra singhiozzi e lagrime irrompenti, quas'egli avesse voluto riprendere quel che gli era stato rubato: la sua vita, il suo sole, la sua donna adorata!
- Come hai potuto, infame?... Come hai potuto?...
Alle incalzanti domande ripeteva sempre:
- Non lo so... -
Ma pensava a quello sguardo diaccio diaccio, di persona malefica, incontrato per le scale della sua casa, a Catanzaro.
A un tratto Lupi si rizzò in piedi:
La bimba, riscossa piú dall'urto del braccio che da la voce soffocata del babbo, spalancò gli occhi e saltò giú mal desta, lasciandosi trascinare.
In quel punto l'istinto della vita scattò nel seno della madre disgraziata, quasi voce che gridava aiuto dalle viscere sussultanti; e vedendo il marito che trascinava quell'altra creatura, dicendo con voce cavernosa: - Guarda; dovrai ricordartene; guarda! - gli si levò incontro, tendendo le braccia supplicanti.
- Per quest'innocente che ho nel seno!
La bimba vide luccicare una lama e poi sua madre ripiombare, stravolgendo gli occhi fino al bianco...
- Mamma! Mamma! - gridò senza comprendere niente in quel momento.