Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
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TOMO II

LE PAESANE

II LO SCIANCATO

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II

 

LO SCIANCATO

 

Da bimbo, nel saltare un muricciolo, s'era rotta una gamba, e il dottore gliel'aveva rimessa cosí male che gli era rimasta quasi due dita piú corta dell'altra. Dal giorno che l'avevano visto arrancare un po' contorto dal lato destro, non l'avevano piú chiamato col suo nome; e, dopo, se uno avesse domandato di Neli Frisinga, tutti gli avrebbero risposto che non lo conoscevano e non l'avevano neppur sentito nominare in Mineo. Bisognava dire: lo Sciancato. Quasi non ce ne fossero stati altri! E sugli scalini del Collegio o su quelli dello Spirito Santo si vedeva tutti i giorni lo zi' Carmine, il tavernaio, che si godeva il sole con le grucce fra le gambe rattrappite, ed era sciancato dieci volte piú di lui.

Ma Neli non se la prendeva. Però se gli dicevano che non era il primo banditore della città, allora, , si arrabbiava.

- Volete scommettere che dalla piazza del Mercato mi faccio sentire fino alla Pusterla e alla Tagliata? Scommetto un quartuccio di vino. Appunto, ho la gola asciutta; mi farebbe comodo -.

Lungo, magro, aggrinzito, giallo da parere che avesse sempre addosso l'itterizia, con lo stomaco sfondato, d'onde lo cavava quel vocione? Se lo sapeva lui! Ma quando, addossato allo spigolo del portone del Collegio, urlava quel che gli veniva suggerito da don Leandro, il servente comunale, per gli incanti che si facevano in segreteria, lo sentivano fino i sordi. Nella sua arte egli aveva acquistato oramai una maestria da sbalordire. Pareva bandisse in musica, con quelle pause e quelle alzate di voce in cadenza e quelle monotonie di uso e quei finali che schiantavano secchi secchi:

- E son tre voooci! -

Per questo mestiere, dovevano andare a baciargli la mano. E se il Pantano o il Macchinista cominciavano a bandire da qualche bottega d'erbaiuolo i cavoli fiori di Palagonia o i sedani di Lenzacucco o le lattughe dello Zuffondato, egli si metteva a sorridere di compassione, e scrollava la testa:

- Non è per invidia, signore Iddio! Si deve campar tutti a questo mondo... Ma questa non è maniera di bandire -.

E, sottovoce, rifaceva il bando come andava fatto, per amore dell'arte. Se poi il Macchinista continuava a squarciarsi la gola, pari a un lupo coi dolori di pancia, egli si rizzava, indispettito, dagli scalini del Collegio dov'era il suo posto da mattina a sera, e scappava via arrancando piú del solito:

- Va! Ci patisco -.

O pure si metteva a bandire per conto proprio le acciughe di mastro Nofrio, o il vino dello Scatà, o i pomidoro del su' Jeli, o le cipolle della Mula, per far tacere quei guastamestieri che di bandire non ne capivano un'acca e non volevano apprendere.

- Già, in nome di Dio, bisogna nascer banditore dal ventre della propria mamma! -

- Tu allora dovresti essere un galantuomo - gli diceva qualcuno.

Ed egli rispondeva:

- Io almeno lo so con certezza di chi son figlio, quantunque figlio di Dio; mentre tant'altri non possono dire chi gli abbia fatto un braccio o una gamba. State zitti! -

Per questa sua origine civile lo Sciancato assumeva una certa aria seria e dignitosa fra quei facchini, macellai, bottegai e uomini di campagna che andavano a sedersi insieme con lui su gli scalini del Collegio e facevano crocchio, ragionando del piú e del meno: della pioggia che non veniva, del carro nuovo del Lavecchia che presto si sarebbe mangiato alla taverna carro, mulo e sella con sonaglini e banderuola; d'ogni cosa insomma.

- Qui, su questa gradinata, si legge la vita anche a Cristo, sia lodato e ringraziato; e Domineddio per ciò - sentenziava lo Sciancato - ci concia per le feste! Al giorno d'oggi non si fa che sparlare del prossimo e bestemmiare i santi e la Madonna. Quei che puzzano di lattime sono peggio dei vecchi.

- Fai il predicatore, Sciancato?

- Dico la verità, chi vuol sentirla.

- L'altro giorno intanto tu ti lavavi la bocca di don Domenico, per via della casa. Quel galantuomo te la pagherebbe un terzo di piú e anche il doppio del prezzo. Perché non gliela dai? -

Toccandogli il tasto della casa, lo Sciancato diventava piú giallo del solito e gli s'inaridivano subito le labbra.

- Perché? Perché cosí mi piace. Venisse il re in persona, e non potrebbe dirmi: «Esci di ». Se don Domenico ha la pancia grossa e piena zeppa di quattrini, a me non mi fa né caldofreddo. Un tozzo di pane me lo so guadagnare. Benefattori, in tutti i casi, ce n'è sempre a questo mondo; ed io, quando capita, non ho punto vergogna di stendere la mano. Ma da quelle quattro mura uscirò soltanto coi piedi avanti, quando vorrà il Signore; i giorni dell'uomo sono in mano di Dio...

- Ecco, ora non la finisce piú! -

Don Domenico gli avrebbe rotto anche l'altra gamba e lo avrebbe pagato per nuovo, se non fosse stato il timore della giustizia, e se sua moglie non lo avesse piú volte afferrato per una falda del vestito, quando veniva l'ingegnere a prender le misure, e lo Sciancato, seduto sullo scalino dell'uscio, con quel visaccio di marcia e quel piedaccio storto, zufolava quasi per provocarlo.

- Almeno io non ho gli occhi uno a Cristo e l'altro a Maria! - brontolava sottovoce. - Se sono zoppo, egli è guercio; pari e patta. -

E mentre l'ingegnere misurava da una cantonata all'altra, egli continuava a zufolare, serio e accigliato, o acchiappava mosche sui ginocchi.

L'ingegnere con la mano in alto indicava ogni cosa, come sarebbe stato quando don Domenico avrebbe fabbricato: qui i terrazzini, la cantonata maestra, che doveva esser piantata dov'era la cantonata della casetta dello Sciancato; ma questi, vedendogli fare l'accenno col dito, brontolava un motto sconcio da bambini:

 

- Strappalo e piantalo;

Piantalo bene.

In bocca ti viene!

 

- O che siamo di carnevale? - gli domandò Pupo d'inferno che passava di con la cassetta di mercerie al collo e sapeva la cosa.

- Andiamo via, se no faccio qualche bestialità! - disse don Domenico che masticava bile da due ore.

E d'allora in poi l'ingegnere non venne piú, perché era inutile; senza la casa dello Sciancato non si poteva murare neppure un sasso.

- Finalmente don Domenico l'ha capita! -

Lo Sciancato continuò a bandire, nella piazza e per le vie, tutti gl'incanti e tutte le gabelle; il vino vecchio e il vino nuovo; il pesce vivo vivo, a una lira; il cotone di Biancavilla arrivato quella mattina e bianco come spuma; l'argentiere di Sortino, che aveva tante belle galanterie, sotto il Monastero Vecchio, andassero a vedere; e il napolitano ch'era nella locanda del grammichelese e aveva mussoline e lanette, oh che bellezza!

La sera tornava a casa rifinito; e mangiati quattro bocconi di pane e un'acciuga, o un po' d'aringa coll'olio, e bevuto due soldi di vino, vera grazia di Dio, se n'andava a letto.

Gli pareva di essere un principe in quella cameretta affumicata, su quel pagliericcio bucherellato e quella graticciata che scricchiolava appena egli faceva un movimento.

- Qui son vissuto e qui voglio morire. Don Domenico può darsi pace; non la spunta. Ho la testa dura, da quel mulo che sono -.

E sghignazzava.

Questo non era peccato. Sereno di coscienza, non faceva male a nessuno. Se don Domenico fidava nella propria pancia, nei propri quattrini e nei propri occhi uno a Cristo e l'altro a Maria, egli fidava nella beata Vergine e nel patriarca san Giuseppe. Tutto quel che veniva fatto a lui, povero sciancato, Gesú Cristo lo scriveva nel libro di lassú, dove nulla si cancella!...

- Ecco, ora mi sfonda il tetto buttando spazzatura dal finestrino di cucina! Buttati tu, con la tua panciaccia, se hai coraggio! Tutte le sere cosí. I tegoli erano diventati una bozzima; e quando pioveva, gli pioveva in camera quasi fosse stato a cielo scoperto:

- Infamità! Ma i poveretti, si sa, non possono aver fatta giustizia; chi ha quattrini compera anche questa! -

E intanto che don Domenico, dal finestrino di cucina, continuava a buttare bucce di cocomeri, cocci e spazzatura, e pareva che un esercito di topi ballasse sul tetto; lo Sciancato, per fargli dispetto, si metteva a urlare le sardelle vive vive a una lira, e il cotone di Biancavilla bianco come spuma, e la gabella della tenuta di Calcagno...

- E son tre voooci!!

- Crepa! - rispondeva don Domenico.

 

Invece crepava lui dalla rabbia, e diceva omnia maledicta del codice perché non aveva un articolo a posta per quella circostanza.

- Glieli pagherei un terzo di piú del prezzo, e anche il doppio, quei quattro sassi che si reggono su con lo sputo. Ma la superbia se lo rode vivo quel pezzaccio di Sciancato!

- Volete ammalarvi? - gli diceva la moglie che s'era tolta la parrucca per andare a letto e si avvolgeva la testa in un fazzoletto rosso di cotone. - La fabbrica, se non la faremo noi, la farà il figliuolo che è a Napoli e sarà presto dottore.

- Quello non pensa che a sciupar quattrini, e non arriverà neppure a fare il maniscalco, ve lo dico io! E tornava allo Sciancato.

- Lo speziale mi ha detto: - Dovreste prenderlo con le buone. - Proveremo -.

Ma, dopo una certa tregua dal finestrino di cucina, il giorno che gli mandarono un piatto di maccheroni col sugo e un pezzo di carne di maiale, lo Sciancato rispose alla serva:

- Ringrazio della carità. Se però lo fanno per la casa, dite pure ai vostri padroni che è tempo perso. Non gli vo' mangiare questi maccheroni a tradimento.

- E intanto se li è mangiati! -

Don Domenico avrebbe voluto tirarglieli, filo per filo, fuor della gola. E ricominciò dal finestrino di cucina, peggio di prima. E lo Sciancato in risposta, gli urlava le cipolle della Mula e il vino nuovo dello Scatà.

 

Ma la notte che gli venne la febbre e sentiva spezzarsi il cranio, e quasi non capiva piú dove si trovasse, lo Sciancato si perdette di coraggio.

- Avete la testa dura! - gli disse comare Angela del saponaio, come la chiamavano, vedendolo seduto due giorni dopo su lo scalino dell'uscio, mezzo morto. - Su mettetevi al sole -.

E lo condusse per mano di faccia.

- Avete la testa dura! -

Egli accennò, col capo, che di quella cosa non ne voleva ragionare.

Comare Angela non ne parlò piú; e la mattina dopo tornò, per vedere se era vivo o morto; e gli rifece il letto, gli spazzò la casa.

- Solo solo, a questa maniera, potreste morire di stento come un cane, e nessuno se ne accorgerebbe. Dio non vuole. Dovreste averne scrupolo di coscienza. Occorre una donna in queste circostanze.

- Abronunzio! Libera nos domine! - rispose lo Sciancato, col capo fra le mani e i gomiti sui ginocchi, pensoso.

- Che intendete fare insomma?

- La volontà di Dio! -

Comare Angela continuava a ravviare la cameretta, e lo Sciancato la seguiva con gli occhi.

- E voi, è vero che maestro Paolo il saponaio v'ha piantata?

- S'è messo con Maricchia dello zi' Santo, colei che n'ha fatte piú della Chitella. A me non me n'importa niente. Sono nella disgrazia, la stella mi corse cosí! Quando stava con me però egli sembrava un signore con le camicie di bucato; non gli mancava un punto, né un bottone. M'ero lasciata lusingare da quel pendaglio di forca...

- È vero! È vero!

- Meritava che io facessi come Maricchia che se lo spolpa vivo vivo. Se lo vedeste! Non si riconosce. L'altro giorno, incontratolo nel piano di San Pietro, gli schiaffai sul muso: «Ben ti stia!»

Lo Sciancato stava a sentire, nicchiando a bassa voce per quel dolore alla schiena che lo portava alla sepoltura.

Comare Angela intanto, seduta presso la finestra, faceva la calza con mani che andavano leste come il vento.

Don Domenico, sul tardi, fumando tanto di pipa, l'aspettava dentro il portone; e appena la vedeva comparire, le andava incontro:

- Se tu fai questo miracolo!

- Mi par difficile. È piú duro del marmo - ella rispondeva.

La signora scendeva fino a metà di scala per sentire qualche buona notizia. A comare Angela non premeva affatto recare presto buone notizie. Tutti i giorni se ne tornava a casa ora coll'orgiolino ripieno d'olio, ora con un po' di farina per farsi un piatto di lasagne, ora con quattro manate di fave o una bottiglia di vino; ed era una cuccagna, assai meglio di quando ella aveva con sé quel forca del saponaio. Don Domenico le prometteva anche una mantellina nuova di panno fino:

- Ma prima devi fare il miracolo! -

 Tanto fiore di carità, da comare Angela, lo Sciancato non se l'aspettava davvero.

- Se questa volta debbo andarmene al camposanto, a ingrassare i sedani dei padri cappuccini, faccio testamento, e lascio la casa a voi, comare Angela, ma con la scomunica di non rivenderla a colui dagli occhi uno a Cristo e l'altro a Maria. Già, se muoio senza testamento, se la prende il corbaccio del re, che non c'entra.

- Vendetela e godetene voi! - gli rispose comare Angela, una volta ch'egli tornò a ripeterle la storia del testamento. - Io ci ho la mia e mi basta; vi è posto anche per altri...

- Allora... - disse lo Sciancato.

Ma non continuò, e si mise a ridere, impacciato, guardandosi le mani di cera gialla che parevano mani di morto, quantunque ora stesse assai meglio e andasse senza bastone a sedersi al sole, di faccia.

- Allora che cosa? -

Egli cambiava discorso:

- Ora che sto meglio, qui non ci verrete piú, comare Angela!

- Non occorre -.

Lo Sciancato rimase zitto. Rimuginava le parole di comare Angela, che erano santo evangelo.

Poteva morire di stenti, come un cane, e nessuno se ne sarebbe accorto! Finché era stato giovane, non ci avea badato. Dalla sua mamma, colei che gli aveva dato il latte, fino a comare Angela, nessuna donna poteva vantarsi d'aver messo un piede in casa di lui. Quel po' di veleno se lo era sempre cucinato da sé. Rattoppare i vestiti, spazzare le stanze, lavare la biancheria... aveva fatto ogni cosa da sé, meglio d'una donna. Ma ora questa malattia gli aveva rotto le ossa; si sentiva un rifinito...

- Allora che cosa? -

tornò a domandare comare Angela dopo un pezzetto.

- Giacché dite che in casa vostra c'è posto anche per altri...

- Oh, no, no! Dio me ne liberi! -

Comare Angela si faceva il segno della santa croce:

- No. Non voglio ricominciare. Fareste come quell'altro... No, no! Io, io soltanto, so quante lagrime mi è costato quell'infamaccio! Sono cosí stupida, che se prendo affezione a uno... -

Egli s'era alzato dal sasso dove stava a sedere al sole e le si era fatto accosto, presso l'uscio; il cuore gli batteva forte. Era la prima volta che parlava di quelle cose con una donna, e si stupiva in quel momento, pensando che non gliene fosse mancato il coraggio.

- Fareste anche voi come maestro Paolo il saponaio - ripeteva comare Angela a testa bassa, dondolandosi.

- Potremmo pure metterci in grazia di Dio - egli conchiuse.

Fu con questo tradimento che don Domenico ebbe la casa dello Sciancato, e comare Angela del saponaio si guadagnò la mantellina nuova di panno fino.

- Non l'ho fatto per la mantellina - ella disse a don Domenico - ma per affezione alla sua famiglia. Il maggior sacrificio è vedermi dinanzi quello sgorbio giallo che mi fa rivoltare lo stomaco.

- Zitta! - rispose don Domenico, ridendo; - le sessant'onze della casa te le mangerai tu, fino all'ultimo grano. Buon pro ti facciano! -

 

- Ora che lo Sciancato sta con gli angioli del paradiso!... -

I macellai, i bottegai e gli sfaccendati di piazza del Mercato, seduti in crocchio sugli scalini del Collegio, si divertivano a canzonarlo:

- Ora che lo Sciancato sta cogli angioli del paradiso, non guarda piú in viso gli amici. È vero, Sciancato?

- vi prudono le corna! - egli rispondeva gravemente.

E quando bandiva le gabelle, o le tinche del Beviere, o i carciofi dell'Area del conte, aggiungevano:

- Senti! Lo Sciancato s'è formato una voce... una voce angelica davvero!

- vi prudono le corna!

Però, un giorno, le corna se le sentí prudere lui; maestro Paolo il saponaio era tornato al posto antico, ed egli fu costretto ad andare a rannicchiarsi, coi suoi quattro cenci, nel tugurio che don Domenico dovea lasciargli abitare, giusta il contratto, fino alla morte.

- Ben mi sta! Chi retta alle donne, s'impicca colle proprie mani. -

Non disse altro.

E continuò la solita vita, fino a che una mattina non vide i manovali sul tetto della sua casa; levavano via i tegoli, per poi buttarla giú.

Rimase; quasi gli avessero scoperchiato il cuore. E dimenticò di andare in piazza del Mercato, e stette tutta la giornata a guardare. Ogni colpo di piccone se lo sentiva intronare nel cervello; a ogni sasso che volava via, sentiva strapparsi un brandello di viscere, senza poter versare una stilla di pianto, quantunque avesse gli occhi gonfi di lagrime e le pupille appannate.

Dimenticò anche di mangiare; e il giorno dopo, quando i manovali buttaron giú le imposte della finestra infracidite dall'umido e rose dai tarli, gli parve di sentirsi afferrare pe' panni dal becchino e buttar giú nel carnaio dei Cappuccini; quel tonfo delle imposte su le macerie gli sembrò proprio il suo.

La gente, vedendolo guardare con tanto d'occhi spalancati, lo canzonava:

- Lo Sciancato si fabbrica il palazzo! -

Ma egli non rispondeva, e continuava a fissare quella distruzione, quell'incredibile sacrilegio, sotto la pioggia fina e fredda che cadeva lentamente.

 

La mattina dopo, trovatolo morto sullo sterro, nell'angolo dove una volta era il suo letto, alla vista di quel cadavere rattrappito, inzuppato d'acqua e intriso di mota, ma con viso di persona tranquillamente addormentata, i manovali ebbero paura.

- Il destino lo chiamava qui! - sentenziò il capomastro.

E un manovale aggiunse:

- È mal'augurio per don Domenico! -

 

Mineo, 28 maggio 1881.

 

 

 



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