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VIII
Il dottor Lambertini, d'estate, faceva le visite a cavallo d'un muletto. Le vie della sua cittaduzza, ripide o mal selciate, non gli avrebbero consentito l'uso della carrozza, anche quando i molti clienti gli avessero permesso questo lusso. Il muletto oramai, dopo una pratica di parecchi anni, conosceva le case dei clienti meglio dello stesso padrone, e il dottore, smontando, era sicuro di poterlo lasciare davanti le porte con la briglia al collo e le staffe penzoloni; non si sarebbe mosso, né avrebbe mai avuto il capriccio di buttarsi per terra, farsi una bella stropicciatina e rovinare sellino ed arnesi. Vispo e forte, trottava allegramente, tenendo alta la testa, inarcando il collo come un cavallo di razza; alla porta del cliente però restava piantato su le quattro zampe, cacciandosi di tanto in tanto le mosche con la coda tagliata a spazzola o con rapidi movimenti della testa. E se qualche ragazzo gli veniva attorno per palpargli la pancia, per lisciargli il groppone, per grattargli la fronte, o anche per stuzzicarlo e dargli noia, lo lasciava fare, da muletto prudente e dottorale, che non voleva procurare impicci al padrone con un calcio mal dato.
Solamente, quando questi indugiava troppo in qualche visita, intonava un raglio un po' stonatino, quasi intendesse dirgli: - Ehi, dottore? - E il dottore gli dava subito retta. Egli chiacchierava volentieri, e nei giorni che non aveva troppa gente da visitare, osservato il malato e scritta la ricetta, appiccava discorso con lui o con i suoi parenti, secondo l'occasione, e dimenticava facilmente la povera bestia che si annoiava giú nella via. Al raglio, il dottore scattava dalla seggiola, né c'era piú verso di trattenerlo. Se il muletto ragliava, voleva dire ch'egli l'aveva fatta proprio lunga; e scappava. N'era nata la leggenda che dottore e muletto fossero d'intesa, cioè che il dottore avesse addestrato l'animale a dargli l'avviso, quando egli cedeva alle lusinghe della chiacchiera allegra. Non era vero. Quel raglio, bisogna esser giusti, era stato una trovata del muletto, di cui il dottore profittava e di cui era gratissimo alla bestia intelligente. Egli anzi soleva raccontare una strana storiella intorno a quel raglio, ma forse voleva adulare un pochino il bravo compagno di visite.
Raccontava dunque che, le prime volte, aveva ricompensato quei ragli con qualche manata di fieno e di biada piú dell'ordinario, specialmente allorché essi erano stati davvero opportuni per rammentargli una visita che non si doveva trascurare. Dopo due o tre volte però, quel diavolo di muletto, compresa la vera ragione del soprappiú di fieno e di biada fattogli somministrare dal dottore, pensò di abusarne. I suoi ragli diventarono frequentissimi, si fecero sentire a proposito ed a sproposito; e il dottore ingenuamente confessava che a capire questa malizia egli ci aveva messo assai piú che non il muletto a capire le intenzioni di lui. Ne rise; e per non farsi canzonare da una bestia, sospese quella specie di mancia. Anche questa volta il muletto comprese subito; e da allora in poi i suoi ragli si fecero udire soltanto quando erano proprio necessari.
- Il muletto - aggiungeva il dottore ridendo - è stato piú generoso di me. Ma noi non dobbiamo imitare le bestie. Non ci mancherebbe altro! -
Ho detto che, al raglio, il dottor Lambertini scattava dalla seggiola e non c'era piú verso di trattenerlo. Ma un giorno, un tristo giorno, il muletto dovette essere meravigliato di vedere rimaner vani i suoi replicati appelli, uno piú forte dell'altro, uno piú stonatino dell'altro. Giacché (accenniamolo di passaggio, mentre la teorica dell'eredità è ancora di moda) se esso aveva ricevuto dall'asino progenitore moltissime delle belle virtú che ornano la razza, non aveva pure ereditato quella stupenda voce sonora, che un poeta mio amico suol chiamare: la glorificazione della primavera! Non già che il suo raglio fosse corto o roco, no; difettava, nelle note profonde e nelle acute, di quella pastosità, di quell'ampiezza, di quelle gradazioni maravigliose che rendono veramente insuperabile il raglio asinino. C'erano, insomma, discontinuità nella emissione, asprezze nei passaggi; l'ibridismo vi si manifestava con netta caratteristica.
Adempito al mio obbligo di novelliere naturalista, riprendo il filo del racconto.
Quel giorno dunque, come dicevo, i ragli appellanti del muletto rimasero vani. Dopo un par d'ore di angosciosa aspettativa, vistosi prendere per le redini da una persona sconosciuta e che intendeva evidentemente condurlo via senza il padrone, ricalcitrò, s'impennò, fece un po' il testardo, da quel muletto che era; si buscò calci alla pancia, nerbate, strappate di cavezza che gl'insanguinarono il muso; e, sparato un paio di calci, capita la inutilità della resistenza, s'era lasciato ricondurre alla stalla, e si era messo filosoficamente a mangiare la biada, senza stillarsi il cervello intorno all'insolito caso che doveva esser capitato al padrone.
Infatti il caso era stato insolito davvero.
Convien premettere che in quel tempo, da due mesi, gli abitanti della cittaduzza nativa del dottor Lambertini erano agitati da grandissima curiosità. Una palazzina, disabitata da piú di mezzo secolo, aveva ricevuto inaspettatamente tre ospiti, un signore e una signora accompagnati da un servitore; e nessuno, neppure i piú braconi del paese, coloro che si sarebbero messi volentieri a uno sbaraglio per sapere i fatti altrui, avevano potuto penetrare il mistero di quella coppia che se ne stava tutta la giornata tappata in casa, che si affacciava ai terrazzini a sera tarda e quando non c'era lume di luna, e che s'avventurava per le vie piú remote, o per la campagna, soltanto di notte, a braccetto, parlando sottovoce, quasi avesse qualche gran delitto da nascondere...
La gente era meravigliata sopra tutto del mutismo della polizia, che pareva di non avvedersi di niente, o di non volersi occupare, per chi sa quali profonde ragioni, di quella stranissima apparizione. Il giudice, come dire oggi il pretore, nelle cui mani stavano allora in Sicilia anche i pieni poteri di polizia, interrogato destramente, aveva risposto con un'alzata di spalle assai significativa. Cosí fu tenuto per accertato che si trattava d'un relegato politico; la signora era sua moglie. Giovane? Bella? Fu messo in chiaro anche questo: giovanissima e bellissima. E un gran senso di compassione invase tutti i cuori a beneficio della coppia infelice; e i braconi divennero piú riguardosi, per non compromettersi, per non aver che fare con la polizia borbonica che non usava riguardi a nessuno. Il servitore, che sulle prime era stato assediato di domande e aveva dovuto stentare non poco per resistere a tutti i tranelli tesigli dagli sfaccendati a fine di cavargli il segreto di bocca, fu lasciato in pace, anzi evitato. Lo stesso dottor Lambertini, che era stato tra i piú curiosi e piú insistenti, e che parecchie volte l'aveva interrogato, con diversi pretesti, intorno alla spesa giornaliera, quando lo aveva visto aggirarsi pel mercato - il dottore fidava in una sua idea: dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei - fin il dottore si era rassegnato a rimanere al buio, quantunque ogni volta che passava, a cavallo del muletto, davanti il portone della palazzina, non mancasse mai di squadrarne la facciata e l'atrio, quasi avesse voluto penetrare con gli sguardi lo spessore delle mura del vecchio edificio, e osservare in che modo occupassero il loro tempo quei due personaggi mezzo fantastici, piovuti là non si sapeva né perché, né da dove.
Figuratevi dunque la sua immensa soddisfazione la mattina che egli vide arrivarsi in casa il servitore tante volte inutilmente tentato, il quale veniva in nome del padrone per pregarlo di una visita d'urgenza, di grandissima urgenza.
Il dottor Lambertini, senz'abito, con le maniche della camicia rimboccate sopra i gomiti, il petto aperto, la cintura rilasciata attorno il bel pancione rotondo, seduto nel vano del terrazzino dello studio, all'ombra d'una stuoia, con le gambe allargate e i piedi nuotanti nelle pianelle, si faceva vento beatamente.
- Il signore è ammalato? - si affrettò a domandare.
- Non lo so.
- O la signora?
- Non lo so. Il padrone mi ha detto: «Conducilo con te, subito subito».
- Eccomi; il tempo di vestirmi e di far sellare il muletto.
- Lo sello io, se lei vuole -.
Mai il dottor Lambertini s'era vestito con tanta fretta; mai il muletto era stato spronato con tanta sollecitudine; mai il dottore era sceso di sella piú sveltamente; né piú lestamente aveva mai salito le scale d'un cliente in pericolo di vita. Pareva ringiovanito, pareva che l'adipe non gli pesasse piú e che la mole del pancione non gli premesse piú sui polmoni ad accorciargli il fiato.
S'era trovato faccia a faccia con un bel giovane alto, dalla tinta olivastra, dalla barba e dai capelli neri, che gli stese le mani balbettando qualcosa inintelligibile e lo trascinò attraverso una fila di stanze buie, balbettando allo stesso modo interrottamente, quasi singhiozzante...
Al dottore pareva di sognare. La rapida traversata per quegli stanzoni antichi che, nella penombra, mandavano forte odore di rinchiuso e dove aveva potuto appena intravedere gli scarsi mobili, i quadri polverosi alle pareti, i grandi specchi appannati dalle cornici dorate tutte frastagli e cartocci, nel correre dietro quel forsennato che lo trascinava per mano; e poi la vista di quella camera con le imposte ermeticamente chiuse, illuminata quasi fosse stato notte, col letto in un canto fra le ampie cortine e un corpo di donna stesovi su, rigido e smorto, gli avevano intorbidata talmente la intelligenza, che per qualche secondo rimase là, spalancando gli occhi smarriti, senza poter pronunziare una sola sillaba.
- Salvatela, dottore!... Salvatela!... -
Ora udiva distintamente queste parole dello sconosciuto, e avrebbe voluto rispondergli, interrogarlo; ma la lingua inaridita gli si era appiccicata al palato, e le gambe gli tremavano sotto, intanto che si passava una mano su la fronte e su le tempie per schiarirsi la mente. Si lasciò cadere su la seggiola da piè del letto, e stese macchinalmente il braccio per tastare il polso dell'ammalata. Questo atto abituale bastò a richiamarlo subito all'esercizio della sua professione, a rimetterlo pienamente in calma, quantunque provasse tuttavia grande stupore alla presenza di quello sconosciuto delirante d'angoscia e che non riusciva a dirgli altro all'infuori di: - Salvatela, dottore!... Salvatela!...
- Non abbia paura. È cosa da niente -.
Gli parve opportuno confortarlo cosí, quantunque ignorasse la natura del male che stendeva lí come morta la bella signora.
Il polso era fievolissimo, la temperatura del corpo glaciale. Una straordinaria tensione dei muscoli lo rendeva immobile, allungato. I denti serrati, le labbra contorte, gli occhi spalancati e senza sguardo, il pallore cadaverico davano a tutta la persona un'espressione terribile.
- Scusi - disse finalmente il dottore; - che le è accaduto? -
Colui guardava ansiosamente ora la donna ora il dottore, torcendosi le mani, agitando le labbra a una risposta che non poteva venir fuori.
- La signora era sofferente da un pezzo? - risprese il dottore.
- No... È stato, - balbettò lo sconosciuto - è stato tutt'a un tratto... a una cattiva notizia - soggiunse con qualche sforzo.
Questi, che s'era completamente rimesso dall'improvviso sbalordimento e intendeva trar profitto dell'occasione per penetrare il mistero di quei due, avventurò qualche domanda, premettendo sempre uno «Scusi» dimesso e insinuante; ma non ne ricavò nessuna risposta precisa; pareva che colui non si raccapezzasse o non intendesse.
Allora il dottore si decise a scrivere un paio di ricette.
- Mandi subito qualcuno; attenderò.
- Grazie! -
Intanto il dottore si metteva a strofinare ora l'una ora l'altra mano della signora per richiamarvi il calore.
- Va bene - esclamò, vedendo che le vesti e il busto erano slacciati.
E chinò l'orecchio sul petto della malata, per ascoltarle il cuore. Ritmo lento, quasi impercettibile!... - Forse gli ultimi guizzi d'una vitalità prossima a mancare?
Parve che lo sconosciuto gli avesse letto questa interrogazione negli occhi, con impeto cosí disperato gli si buttò ai piedi, con le mani cacciate convulsamente fra i capelli irti:
- Oh Dio!... Dottore, salvatela!... La vita di lei e la mia sono nelle vostre mani!... Salvateci! -
Il povero dottore era commosso; ma, pur troppo, non vedeva chiaro in quella crisi nervosa, che poteva mutarsi da un momento all'altro in trista catastrofe. E il suo imbarazzo aumentò quando scorse che il male resisteva ostinatamente ai rimedi portati con incredibile sollecituine dal servitore. Il polso rimaneva ancora fievole; la temperatura glaciale; la rigidezza di tutto il corpo allo stesso grado. Invano egli introduceva fra i denti serrati della malata la punta del cucchiaio per farle inghiottire qualche goccia della pozione rianimante; invano le metteva sotto il naso la boccetta dell'etere che doveva servire a riscuoterla; invano le bagnava la fronte e le tempie con acqua fresca mista ad aceto. Sudava freddo anche lui, tornava a smarrirsi, e accennava a quel disperato di star zitto, di frenarsi. Tentava intanto di richiamarsi alla mente qualcosa che gli era balenato appena messo il piede in quella stanza e che gli era subito sfuggito...
- Ah, ecco!... Aria! Aria!... -
Lo sconosciuto esitò un istante, quasi avesse paura dell'aria e della luce; poi spinse indietro il dottore che s'accingeva ad aprire l'imposta e la spalancò egli stesso...
- Salvatela!... Salvatela! - tornò a balbettare.
Il dottore era rimasto meravigliato di quel gesto di diffidenza con cui dallo sconosciuto gli era stato impedito di aprire le imposte.
- Perché? - si domandava mentalmente.
A questo punto, salí dall'atrio il raglio del muletto; e al dottore sembrò un avvertimento di persona amica che voleva metterlo in guardia contro un pericolo imminente. Scattò, per abitudine, dalla seggiola, e diede alcuni schiarimenti su quel che occorreva fare: insistere, insistere con quei rimedi.
- Tornerò verso sera - aggiunse, affettando la tranquillità che non aveva.
- Oh, no! Voi non uscirete di qui, dottore, prima ch'ella sia salva. Oh no, no! -
E il tono della voce, l'espressione degli occhi, il gesto parvero al dottore poco rassicuranti.
- Ma io, caro signore, ho altri malati - egli disse quasi supplichevole...
- Muoiano!... Perisca il mondo intero, se costei...! -
Non finí la frase; cominciò a darsi pugni in testa, a urlare, a piangere, ripetendo:
- Moiano, muoiano!... Perisca il mondo intero...! -
Il povero dottore, che stava per fare un passo verso di colui, si sentí ricacciare bruscamente su la seggiola. Poi lo vide chinarsi amorosamente verso il volto pallido, dagli occhi aperti e fissi, chiamando: - Dora! Dora!... Dora! - e voltarsi, angosciato, verso di lui:
- Non mi ode!... Salvatela, salvatela!... Ditemi che la salverete! Ah dottore!... -
Il muletto tornò a ragliare, prolungatamente, insistentemente. Questa volta il suo raglio aveva l'evidentissima intonazione del rimprovero. Il padrone se n'era dunque scordato?
E, con l'abitudine della familiarità tra padrone e muletto, il dottore gli rispondeva, nel suo interno, quasi l'animale potesse udirlo:
- Che vuoi che faccia, caro mio? Sono alle mani d'un pazzo! -
I suoi sguardi intanto erano fissati sulla povera signora che rimaneva immobile sul letto, smorta, con gli occhi aperti, vitrei, le membra tese e irrigidite dall'assalto nervoso. La crisi durava da quattr'ore, e pareva volesse prolungarsi indefinitamente e andar a finire molto male...
- Per tutti! - rifletteva con profonda angoscia il dottore, che non sapeva piú a qual santo votarsi per far intendere un po' di ragione a quel furibondo, che si agitava, piangeva, si strappava i capelli, supplicava, invocava Dio e i santi, qualche volta anche il diavolo, con deplorabile confusione; e che lo spingeva poco garbatamente su la seggiola a ogni tentativo di alzarsi per scappar via...
- Ma scusi - gli diceva dolcemente; - lei pretende un miracolo!... Bisogna che la crisi faccia il corso. Se ne persuada: non c'è pericolo. Nervi!... Le donne, si sa... La scienza è impotente. Se poi lei volesse un consulto... Certamente, un consulto sarebbe opportuno, anche per mio sgravio di coscienza; quattro occhi veggono meglio di due -.
Questa del consulto gli era parsa una bellissima idea; e vi picchiava e ripicchiava su, abbozzando un sorriso, scuotendo il capo in segno di grande approvazione, modulando la voce in toni insinuanti, persuasivi. Era come dire al muro.
- Salvatela!... Salvatela! - ripeteva quel trambasciato, smaniando piú di prima, abbandonandosi ad atti piú disperati e piú strani...
- Ahaa! Ahaa! Ihii! Ihii! Ahaa! Ahaa!... -
Non la finiva piú; pareva stesse per perdere la pazienza anch'esso. Ora che le imposte erano aperte, la sua voce montava fin lassú chiara, sonora; riempiva la camera.
- Scusi!... C'è quel povero animale! - disse il dottore pietosamente.
Quegli, che aveva udito il raglio, si scosse, chiamò il servitore, diede ordini che il dottore non capí, e poi venne a piantarglisi davanti, col viso contratto, con gli occhi che gli schizzavano fuori dell'orbita...
- Non m'ingannate, dottore! Non m'ingannate per pietà!... Vivrà?... Vivrà?... Guardi: se Dora... -
E, o per farsi intender meglio, o perché gli mancasse la forza di continuare, si precipitò verso un mobile, ne aprí rapidamente il cassetto e ne trasse un par di pistole dalle canne lucenti, che brandí mostrandole; poi fece atto di farsi saltare le cervella.
Se non che il gesto fu cosí furioso, cosí imbrogliato, che il dottore capí anche: - Ma prima farò saltare le cervella pure a lei!...
Allibí, si sentí svenire. L'atto di contrizione in articulo mortis, gli salí alle labbra per istinto. E i suoi occhi si volsero, già mezzo appannati dal terrore, verso la donna giacente...
- Oh Dio! Oh Dio!... È finita! - pensò il dottore, vedendo quell'aspetto che pareva decomporsi nel supremo sfacelo della morte.
Un brivido diaccio gli guizzò per le vene da capo a piedi; e chiuse gli occhi per non vedere le maledette pistole dalle canne luccicanti, che quel pazzo furioso teneva sempre impugnate, attendendo. A un tratto, non vide né sentí piú nulla.
Quanto tempo fosse rimasto lí come morto, egli non seppe mai dirlo; forse pochi istanti, forse qualche minuto... Un secolo! egli credette rinvenendo, atterrito di sentirsi scuotere forte e chiamare ad alta voce:
Quella voce però era tremante sí, ma di gioia; come erano anche convulse di festosa impazienza le mani che lo scuotevano...
Spalancò gli occhi, che gli si riempirono subito di lagrime, mentre il cuore gli sbalzava violentemente nel petto, e il sangue gli tumultuava nelle vene, cosí caldo ed allegro che gli faceva male.
La bella signora, seduta sul letto, sorretta dai guanciali, con gesto di persona non ancora ben desta dal sonno, si passava le mani bianche e affilate sui capelli e sulla faccia: sorrideva dolcemente, e con languida voce diceva al giovine che stava ginocchioni davanti la sponda del letto:
- Sentivo, vedevo tutto, e non potevo fare il minimo movimento. Lo spavento di questo signore...
- È il dottore! - la interruppe colui, stendendo una mano riconoscente al pover'uomo, che non osava ancora credere a se stesso.
- Il suo spavento, la tua terribile minaccia... Feci uno sforzo... e, improvvisamente, mi sentii slegare. Quanto ho sofferto!
- Oh, bene, benissimo! Me ne rallegro. Tanto meglio. Benissimo!... -
Il dottore si era levato in piedi, e si tastava per persuadersi che non sognava o delirava, ripetendo: - Tanto meglio... benissimo! - con in corpo una gran fretta di scappar via, prima che sopravvenisse qualche altro malaugurato incidente.
- Perdonate, dottore. Ero pazzo! - gli ripeteva lo sconosciuto. - Grazie, grazie!
- Grazie di che?... Non ho fatto niente -.
E cercava di svincolarsi dall'abbraccio di colui, che ora pareva ammattito in modo opposto, dalla troppa gioia.
- Bravo! Tanto meglio!... A rivederli... La signora si sente bene, è vero? È passata ogni cosa?
Pareva che anche la bella signora ridesse garbatamente della grande paura di lui.
- Quel povero animale! - riprese il dottore, come cercando un pretesto. - Bisogna che io vada via... I miei ammalati...
- Ah! il muletto! - esclamò il giovane, ricordandosi.
E chiamò il servitore, che rispose di averlo ricondotto a casa del dottore, da un pezzo.
- Non vuol dire, andrò a piedi -.
Ma ce ne volle, prima che lo lasciassero partire. Dovette quasi lottare per farli persuasi che non avrebbe mai accettato un compenso.
- Questo ricordo, almeno! - insistette lo sconosciuto, mostrando uno spillo elegantissimo tolto dalla propria cravatta, e che volle appuntargli alla cravatta con le sue stesse mani, fra le piú calde proteste di immensa riconoscenza, di eterna gratitudine...
- Noi partiremo domani l'altro, ma non dimenticheremo mai il nostro salvatore, mai, mai! -
- Dottore, la prego, non dica niente a nessuno di quanto ha veduto.
- Si figuri, anche pel segreto professionale! -
E, piú che scendere, ruzzolò le scale. Al portone trasse un gran respiro.
Nella via, trovò ancora la gente, che la lotta fra il muletto e il servitore aveva radunata. Gli raccontarono l'accaduto.
Il dottore, prima d'entrare in casa, volle visitarlo nella stalla. Gli si accostò, lo accarezzò, lo palpò: ma l'animale, mostrando di tenergli il broncio, non si voltò neppure, e continuò a masticar paglia, come se il padrone non parlasse con esso.
Muletto vendicativo! Da quel giorno in poi non ragliò piú mai.