Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO II

LE PAESANE

XIV FRA FORMICA

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XIV

 

FRA FORMICA

 

Il suo vero nome era fra Giuseppe, ma il padre guardiano lo aveva ribattezzato fra Formica, visto che da cercatore riempiva ogni anno e la cantina e la dispensa e il riposto del convento. Non che sei, si potevano mantenere fin venti frati, e anche trenta, con tutta quella grazia di Dio ch'egli portava dalla città e dalle campagne. Il nomignolo parve cosí ben trovato, che gli altri frati e la gente finirono col non chiamare fra Giuseppe altrimenti; ed egli sorrideva, per gloria del Patriarca san Francesco, quando i ragazzi gli correvano incontro gridando:

- Fra Formica, la polizzina! -

E dava ai ragazzi la polizzina stampata, da inghiottire, perché il Patriarca li santificasse; agli adulti una bella presa di quel suo tabacco che avrebbe risuscitato un morto; alle comari una figurina della Madonna o di santa Veronica Giuliani.

Alle signore poi regalava di tanto in tanto un piattino di ulive bianche, condite in insalata con gli odori, da far venire l'acquolina in bocca; e aveva per tutti il regalo di un sorriso, di una buona parola, d'un consiglio, d'una promessa di raccomandazione a Dio o alla Madonna dei Malati perché li risanasse subito, Madre misericordiosa.

In questo modo, quando fra Formica prendeva la discesa per tornare al convento, riportava sempre le bisacce di tela bianca cosí ricolme, da reggerle a stento; e arrivava laggiú rosso in viso, col sudore che gli gocciolava dalla fronte, ma lieto e contento, per gloria del Patriarca san Francesco! come ogni volta, vedendolo arrivare, esclamava fra Felice.

Il quale badava alla cucina e al refettorio; e badava anche - si lamentavano i frati - a papparsi i migliori bocconi e a bersi il miglior vino. Invece, fra Felice dava a intendere al guardiano che i migliori bocconi e il miglior vino li riserbava sempre per fra Formica.

- Se li merita, poverino! Bisogna star sempre in forze pel suo ufficio di cercatore, e avere gambe di ferro per salire e scendere le ripide vie e viuzze dei tre quartieri della città, o per fare a piedi la strada quando riconduce dalla campagna la mula cosí carica che cavalcarla sarebbe crudeltà, quantunque mula con schiena d'acciaio! -

 

Certamente fra Formica non si lasciava patire, né aveva bisogno di fra Felice, o di altri; il padrone d'ogni cosa era lui.

Poteva avere in mano quante volte voleva le chiavi della cantina e della dispensa, dov'erano allineati i coppi dell'olio, e le botti del vino; o pure la chiave del riposto dov'erano ammucchiate in un canto forme di cacio e di ricotta salata, e da un cerchio da botte, appeso alla volta, ciondolavano salami di maiale e di tonno, grosse pere di cacio-cavallo, e poponi nelle reticelle. Colà, torno torno, stavano ceste e panieri ricolmi di noci, di mandorle, di fichi secchi, di legumi; e, in alto, sul cornicionetto, arancie, mele, pere, melagrane, melacotogne, limoni, frutti d'ogni sorta; e, presso l'uscio, la cesta bislunga, di vimini e canna, dalla bocca stretta, sempre piena di gesucci, quantunque ogni famiglia di benefattori desse soltanto una pagnotta alla settimana con su il segno della santa croce di Gesú Cristo, e che per questo era chiamata gesuccio.

Infine, se fra Formica prendeva talvolta per sé il gesuccio di fior di farina della baronessa; se si tagliava un po' spesso qualche bella fetta di prosciutto, e vi beveva su un bicchiere, di quello del caratello riserbato per la visita del padre provinciale, era forse il finimondo? Non sfacchinava lui da mattina a sera, in città e in campagna? Specie in campagna, al sole di agosto che pareva fuoco vivo, col cordone passato fra le gambe per tener su la tonaca, andando da un'aia all'altra, via, via, dai Sette Feudi a Gallina, da Sacchina a Castelluccio, dal Faito alla Favarotta; abbronzandosi talmente la pelle, che il viso e le mani lo facevano rassomigliare a un serpe che mutava spoglia?...

I frati però capirono presto che, con quella buona pasta di padre Isaia, il vero guardiano era proprio fra Formica che disponeva di ogni cosa, a cominciare dal pranzo giornaliero, giú giú, fino alle spese per le feste della Madonna dei Malati, di santa Veronica Giuliani e di san Vito. A loro toccava soltanto levarsi a mezzanotte, a mattutino, dir messa, predicar novene, confessare, assistere i moribondi, e accompagnare i morti senza nessun merito, quasi questi servigi non fruttassero poi le elemosine che fra Formica andava raccogliendo! E quando videro, all'ultimo, che il padre guardiano aveva dispensato fra Formica anche dall'obbligo del coro a mezzanotte, perché si trovasse fresco di forze la mattina per le fatiche della cerca; e si accorsero di tant'altre cosettine - che non potevano piacere a padri da messa con tanto di barba bianca, come loro, di fronte a quel fratello dalla barbetta castagna e che non sapeva neppur scarabocchiare la propria firma - i frati, da prima, cominciarono a brontolare a quattr'occhi col guardiano che li ascoltava lisciandosi la barba lunga due palmi, a testa bassa, senza rispondere sillaba; poi fecero giungere al provinciale ricorsi anonimi, dove si diceva omnia maledicta di fra Formica e del guardiano che, per dabbenaggine, gli teneva il sacco, e non si accorgeva dello scandalo di certe visite a certa massaia, dalla quale fra Formica non andava per l'elemosina soltanto!

 

- Infamità! - disse fra Formica al provinciale quando questi, mandato a chiamarlo insieme col guardiano, fece a tutti e due una gran lavata di capo.

Padre Isaia aveva ascoltato il predicozzo a testa china, lisciandosi la lunga barba con le mani scarne, non sapendo che rispondere, stupito della malignità di quegli indegni servi di Dio, che celebravano la santa messa tutti i giorni e nascondevano tant'odio in fondo al cuore; ma fra Formica, no.

- Infamità! - aveva replicato. - E giacché mi dan carico delle visite alla massaia fatte di giorno, a vista di tutti, dirò a vostra paternità che padre Bernardo confessa troppo a lungo la penitente che sa lui; e le visite va a fargliele di notte, uscendo fuori del convento, vestito da contadino... L'ho visto io, con questi occhi che saranno mangiati dai vermi! -

Il provinciale, stizzito, non lo lasciò finire, e gli diè l'ubbidienza di andar difilato in Licodia, per gastigo; e al padre guardiano disse:

- Lisciatevi pure la barba, ma tenete piú aperti gli occhi! -

Cosí padre Bernardo, padre Giovanni, padre Antonino e gli altri la vinsero su fra Formica e sul guardiano; e cominciarono a mestare un po' loro, d'accordo con fra Felice, che divenne cercatore. Ma fu una vittoria al rovescio.

Quell'anno la cantina e la dispensa non si riempirono, come quando fra Formica andava attorno pei palmenti e per gli strettoie di ulive, in nome del Patriarca san Francesco; e il riposto parve uno squallore, con quattro magre formettine di cacio e quattro noci vuote, e un salame rancido che appestava!... E i ragazzi non correvano incontro allo sgarbato di fra Felice per la santa polizzina; e i contadini non volevano saperne del tabacco di lui, che bruciava le narici; né le signore gradivano le insalate di ulive bianche, vedendo le mani che le avevano condite...

Anche le feste della Madonna e di santa Veronica Giuliani riuscirono freddine; e i frati osservanti d'Itria cominciavano a profittare del discredito dei cappuccini per accaparrarsi le elemosine dei fedeli e le grazie dei benefattori... Per ciò i poveri, che accorrevano in frotte al convento al tempo che fra Formica distribuiva i resti del pranzo e qualcos'altro; le signore, le popolane e, sopratutti, i galantuomini che quando c'era fra Formica, di tanto in tanto, si divertivano a fare uno spuntino prelibato nel refettorio del convento, tutti tutti, in coro, reclamarono fra Formica dal provinciale, allorché venne a visitare il convento; e levarono a cielo il fraticello, dando addosso ai padri da messa.

Il provinciale, uomo pratico, non se lo fece dire due volte. E accadde che lo stesso giorno, alla stess'ora in cui padre Bernardo andava via da Mineo, e doveva cercar di trovare a Ramacca qualche altra penitente da assolvere, fra Formica arrivava da Licodia, tondo e roseo, accompagnato fino alla porta del convento da una folla di gente che gli gridava: - Bravo fra Formica! Ben tornato fra Formica! Viva fra Formica! -

Padre Bernardo, giallo in viso, ma sforzandosi di sorridere, gli disse:

- Siamo come le secchie, fra Formica; voi salite, io scendo giú -.

E il giú era Ramacca, dove i frati cappuccini non potevano scialarsela come a Mineo, perché di fra Formica non se ne trova uno a ogni piè sospinto; fra Formica lo sapeva meglio degli altri, e cominciava un po' a insuperbirsene.

 

A Licodia egli aveva inteso buccinare che il governo ruminava di mandar via i frati per beccarsi le rendite dei conventi e ogni cosa. Fra Girolamo da Vizzini, furbo e sornione, un giorno gli aveva detto in un orecchio:

- Prima che vi gettino sul lastrico, pensate un po' a fare il fra Formica per voi. Io già penso ai fatti miei -.

Fra Formica, che non aveva inteso a sordo, pensava ora anche lui ai fatti propri, da che era tornato a nuotare nel ben di Dio e a spadroneggiare nel convento meglio di prima.

Padre Isaia, a ogni cattiva notizia recata dai giornali, andava a buttarsi a piè della Madonna e del Patriarca san Francesco, perché pensassero loro a difendere la religione e a salvare i frati. Fra Formica gli faceva osservare che Dio non aveva detto per nulla: - Aiutati, che ti aiuto! -

- Bisogna aiutarsi con le mani e coi piedi; trafugare il bello e il buono presso persone sicure, che lo prenderebbe in deposito, finché durerà la tempesta. La religione trionferà certamente; intanto... -

Cosí fra Formica portava tutto dalla sua massaia, d'accordo col povero buon padre Isaia. Il quale aveva perduto la testa dal piangere notte e giorno, dal digiunare e darsi la disciplina a sangue in penitenza dei peccati propri e di quelli degli altri frati, peccatori come lui.

E mentre il povero padre Isaia dimagriva, dimagriva e quasi non si reggeva piú in piedi, fra Formica diventava piú tondo e piú roseo. Coi devoti però prendeva aria compunta, porgendo la scatola:

- Tra poco, di questo tabacco non potrò darvene piú! La selva nel convento, dove è stato coltivato, sarà venduta all'incanto -.

I contadini e i galantuomini fiutavano quelle prese religiosamente, gustandole meglio all'idea che fra poco non le avrebbero avute piú; e davano doppia elemosina a fra Formica pel triduo da farsi al Patriarca san Francesco, alla Madonna e a tutti i santi protettori dell'ordine, perché scampassero almeno soltanto i cappuccini dalle granfie del governo scomunicato. Che poteva cavarci il governo dai poveri cappuccini che vivevano di limosina?

 

Lo sapeva fra Formica se c'era qualcosa da cavare, lui che già si era preparato la buona provvista e aveva messo da parte anche un bel gruzzoletto presso la massaia, dove ora andava frequentemente. I fedeli cominciarono a sparlarne, dicendo che fra Formica era tornato un altro da Licodia. Egli li lasciava dire. Era precisamente quel fra Formica d'una volta; soltanto, come gli avea suggerito fra Girolamo da Vizzini, faceva il fra Formica un po' per sé. Non era giusto, san Francesco benedetto?

Che non fosse giusto, il buon padre Isaia lo capí troppo tardi; e lo disse con le lagrime agli occhi a tutti gli altri, il giorno che dovettero lasciare il convento e svestire la tonaca. Fra Formica fece faccia tosta e orecchio da mercante; volle la sua parte di quel po' che rimaneva, quasi non avesse preso nulla di nascosto, e non avesse venduto lui un par di calici e di patene; e non avesse portato via lui buona metà degli oggetti d'oro della Madonna, e camici, e pianete, e candelieri di argento... e la mula... Era forse lui il guardiano? Doveva rendere conto lui?...

- Ah, fra Formica, fra Formica! Vi siete accaparrato l'inferno! - gli disse ingenuamente padre Isaia, che portava via dal convento soltanto la tonaca e il mantello.

Fra Formica, al contrario, credette d'essersi accaparrato il paradiso nella cameretta della massaia dov'era andato ad abitare... per carità, voleva dare a intendere; ma nessuno gli prestava fede. E continuò, per un pezzo, a far da fra Formica in un altro modo, prestando a usura il sangue dei poveri rubato al convento. Rigido e inesorabile nell'esigere gl'interessi e le valute del frumento e dell'orzo, scorticava la misera gente, quasi non avesse fatto altro in vita sua e non fosse vissuto di carità, né avesse mai vestito l'abito di san Francesco.

E girava per le aie a cavallo della stessa mula rubata al convento, per riscuotere senza dar prese di tabacco, senza che gl'importasse niente se ora, avvicinandosi alle aie, sentiva arrivarsi all'orecchio:

- Ecco quel ladro di fra Formica! -

 

Il bello fu quando alla sua massaia saltò il ticchio di sposare un contadino; il quale una sera di dicembre gli fece trovare l'uscio chiuso. E siccome fra Formica picchiava e strillava fra le risate della gente, cosí colui s'affacciò alla finestra e gli disse:

- Fra Formica, avete sbagliato uscio; il convento non è qui. E se strillate ancora, scendo giú a spolverarvi la tonaca che non avete. Fra maiale, avete capito? -

Questa volta fra Formica andò a dormire, davvero per carità, presso un parente che lo accolse male, come si meritava, e gli spiattellò sul muso: - Ben vi stia! -

- Come? Dunque non c'è giustizia! - andava dicendo fra Formica, visto che la giustizia non poteva giovargli, perché egli non aveva né testimoni, né carte, né nulla.

E incontrando per via padre Bernardo, tornato da Ramacca e canonico - ora veniva chiamato col nome di battesimo, don Francesco - Fra Formica gli si accostava, mortificato; e tutti e due si mettevano a ragionare dei bei tempi, quasi si fossero voluti sempre bene.

- Ah, quel povero convento! Il comune lo lascia rovinare -.

Fra Formica andava tutti i giorni a passeggiare verso il Rabbato per guardare quei tetti che sprofondavano, quelle finestre senza imposte, e la selva, la sua cara selva che aveva prodotto il tabacco prelibato, già mutata in camposanto; indegnità! E pensava con orrore che doveva esser sepolto , come un cane, fuori sacrato!

Fra Formica vivacchiava facendo il sagrestano. Cattivo mestiere anch'esso da che nessuno piú pagava la decima, e i battesimi e gli sponsali si facevano sbrici sbrici, quasi fosse rincarita fin l'acqua santa!

Perciò si dava un po' di pena per la festa del Cuor di Gesú; e cercava di sopraffare le benedettine del Monastero vecchio che celebravano quella festa da anni e raccoglievano grandi elemosine. E cosí si ridestò in lui il fra Formica che la disgrazia con la massaia pareva avesse ammortito. Infatti correva di qua e di , dando alle devote uova da far covare, per poi ritrarne polli da vendere; sgambettando per strettoi di olive e palmenti, in gloria del Cuor di Gesú; regalando abitini e figurine, promettendo miracoli e indulgenze, purché i fedeli, il giorno della festa del Sacro Cuore, recassero il cero alla chiesa della parrocchia, e non a quella delle monache.

- Le monache - diceva - sono di san Benedetto; non c'entrano col Sacro Cuore...

- E voi siete di san Francesco e non ci entrate neppure! - gli rispondevano i partigiani delle monache, mandandolo via senza dargli un soldo.

, lui era del Patriarca San Francesco!

E piú invecchiava e piú il frate d'un tempo gli rifioriva dentro. E la notte sognava sempre la propria celletta, la selva piantata di tabacco, la cantina, il riposto... e padre Isaia, dalla barba lunga due palmi, che gli ripeteva: - Ah, fra Formica, fra Formica! Vi siete accaparrato l'inferno! -

Per questo non gli parve vero di poter rindossare la tonaca, di lasciarsi crescere di nuovo la barba e tornare a tentar il cuore dei benefattori, con la idea fissa di riscattare il convento, e di chiudervisi a far penitenza dei peccati, non essendo piú in caso di restituire il mal tolto...

E si sentí morire dalla contentezza, il giorno che il sindaco gli disse:

- Ho pensato a voi per custode del camposanto... Potete prendervi una, due celle del convento... -

 

Erano anni, secoli! che non rivedeva quelle mura. Che rovina! La chiesa, piena di ragnateli, non si riconosceva affatto; dai corridoi, freddi e desolati, aveano strappato fino i mattoni; le celle, senza usci e senza imposte, spalancate al vento e alla pioggia, parevano tante spelonche... E il refettorio!... E la cucina!... E la cantina!...

Ora, fra Formica ne conveniva:

- Pur troppo, i peccati dei frati hanno prodotto questa desolazione!... Ma il giorno della misericordia non dovrà arrivare? -

E stette una settimana spazzando, spolverando la chiesa, nettando gli altari, con un senso di tenerezza mista con paura, perché gli pareva che i quadri e le statue lo guardassero imbronciti; specie san Vito con quella testa altiera, incastrata nel collare alla spagnuola, quasi volesse aizzargli addosso i due cani incatenati da piè, che sembravano vivi. E ripulita la chiesa, non fu contento finché non vide a posto anche il quadro miracoloso della Madonna dei Malati dal bel faccione sereno e dai grandi occhi caprini sotto la corona d'argento sovrapposta alla tela del quadro.

Era stanco, rifinito dal troppo lavorare. Aveva voluto far tutto da sé, non permettendo che altri mettesse un dito nella «sua» chiesa, nei «suoi» altari, nelle «sue» cappelle. E la mattina in cui serví la prima messa che si celebrava all'altar maggiore da che i frati erano stati mandati via dal convento, egli si reggeva male sulle gambe, e quasi non aveva fiato per rispondere: - Et cum spiritu tuo! - a padre Bernardo officiante.

Poi la chiesa si vuotò di fedeli; padre Bernardo, rimasto canonico, svestiti i paramenti, era andato via anche lui; e fra Formica, pensoso, salí sul campanile a far squillare la campana dalla dolce voce argentina, dopo il lungo silenzio di tant'anni.

Fra Formica, tornato in sagrestia, si era messo a riporre nel cassettone i paramenti, recitando avemmarie; e ogni volta che il legno degli scaffali attorno dava uno schianto, egli trasaliva, pallido, con gli occhi sbarrati... Aveva un'idea fissa quella mattina, una forte smania di aprir l'usciolino allato alla cappella del Crocifisso, per visitare le nicchie dove gli scheletri dei frati, vestiti in tonaca, con le braccia in croce, uno accanto all'altro, aspettavano la tromba del giudizio universale. Fra Formica lottava, da ore ed ore, contro quella idea fissa, e non riusciva a scacciarla via...

- Infine, di chi ho paura? Non sono entrato tante volte in quella stanza, anni fa? Non ho messo, con queste stesse mani la tonaca allo scheletro di padre Mattia?... O dunque? -

 

Un'onda di luce penetrava nella chiesa, diffondendovi pace e letizia con tristezza...

Le dorature della grata del coro straluccicavano: si vedeva, a traverso di essa, il leggio alto, dietro i vetri della finestra; e pareva aspettasse i frati pel compieta, quantunque non vi fosse su aperto il gran libro corale d'una volta. E fra Formica si sentiva rivivere in quegli anni, quando il rumore degli zoccoli suonava sull'impiantito di legno del coro, e dopo un corto preludio di tossi e di espettorazioni, cominciava il nasale borbottio del Deus in adiutorium e dei salmi nella chiesa vuota come in quel momento. Spesso, sentendolo da lontano, al ritorno dalla cerca aveva detto:

- I frati pensano pel paradiso per me, come io ho pensato pel loro pane quotidiano! -

E oraelemosine, né frati, né niente! I soli frati in convento erano quelli chiusi dentro, ritti nelle nicchie, scheletriti, con le mani in croce, le occhiaie vuote, le mascelle sfondate e la dentiera bianca: fra Girolamo, padre Mattia, padre Francesco, fra Mansueto a cui era cascato giú il cranio e che pareva decapitato...

- Sono ancora ? Non li ha profanati nessuno?... - Si sentí attratto, anzi trascinato dinanzi l'usciolino della stanza mortuaria. Sudava freddo, barcollava; pure, stese la mano alla chiave, la fece girare nella toppa e spinse l'uscio con forza...

Al colpo d'aria che penetrò, improvvisamente nella stanza, lo scheletro di padre Mattia, ritto nella nicchia di faccia, si mosse, quasi avesse scrollato la testa di avorio e avesse riso con quei pochi denti della bocca sfondata..............

 

Udito il tonfo, due ragazzi che facevano il chiasso nella spianata, erano accorsi, curiosi di vedere che fosse accaduto... E avevano trovato fra Formica disteso lungo per terra, pallido, rantolante, con la testa spaccata contro lo spigolo di un gradino dell'altare del Crocifisso.

- San Francesco lo ha punito! - disse la gente, quando seppe il tristo caso.

Nessuno pensò che San Francesco poteva avergli anche perdonato!

 

Mineo, dicembre 1887.


 

 

 


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