Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
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TOMO II

LE PAESANE

XV LA CONVERSIONE DI DON ILARIO

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XV

 

LA CONVERSIONE DI DON ILARIO

 

Viveva tutta la settimana in campagna, da contadino, maneggiando la zappa e l'aratro con mani pelose e incallite, mangiando cicoria, cavoli, amareddi, fave novelle e carciofi, o pure, secondo le stagioni, minestre di cicerca o insalate di lattuga, preparate da quella sua sporcacciona della Salara (mucchio di cenci che cascavano da ogni parte) alla quale egli faceva fare i viaggi al mulino o in paese con l'asina, tutte le volte che occorreva, come a un garzone qualunque. E la sera del sabato, i contadini lo incontravano per la salita di Femina morta con le gambacce che gli spenzolavano dai due lati del basto dell'asina; e dietro, a piedi, la Salara sudicia e cenciosa strascinava gli stivaloni vecchi del padrone, tenendo la mantellina di panno ripiegata sul braccio, e pareva una megera con quei capellacci spettinati su la fronte e sul collo, quasi non avesse mai avuto un pettine da ravviarseli, mai!

Però, se qualche contadino passava via senza salutarlo con un «voscenza benedica», don Ilario gli dava subito la voce:

- O che? Non ci riconosciamo piú? -

E attaccava discorso intorno alle messi, al raccolto, alla potatura delle vigne. E voleva sapere i fatti altrui: se il tale aveva venduto la vacca; se il tal altro maritava la figliuola; se la moglie del tal di tale aveva apparecchiato davvero la testa al marito come quella d'un toro della contea di Modica, secondo dicevano le cattive lingue.

La Salara, che allenava trottando a fianco dell'asina, metteva bocca anche lei nei discorsi con parolacce da bandito, asciugandosi il sudore col rovescio della mano. E vantava i seminati del padrone, alti cosí da nascondere un uomo a cavallo; o le vigne, che pareva avessero la tigna, tanto eran cariche di uva; o gli ulivi, che quell'anno piegavano i rami fino a terra ed erano uno spettacolo, per grazia di Dio.

- E dobbiamo metterci in grazia di Dio tutti, ora che vengono i padri missionari - rispose una volta massaro Antonio il rosariante, colui che dirigeva il rosario alla prima messa in San Pietro, e parlava come un predicatore, serio, impettito, quasi sapesse il latino sapendo storpiare le litanie.

La Salara si morse il labbro, e non rispose. Giunta a casa, legata l'asina alla mangiatoia e deposta la bisaccia, portata su dalla stalla piena di carciofi e di baccelli di fave, si piantò ritta davanti a don Ilario, cacciandosi indietro i cernecchi arruffati che le cascavano sugli occhi:

- Avete inteso? Che farete ora? Verranno i missionari e dovete andare a rinchiudervi nel convento dei cappuccini per gli esercizi spirituali. Che farete? -

 

Don Ilario se la prendeva contro re Ferdinando II, che mandava i missionari a santificare per forza la gente.

- Ognuno deve pensare da sé a saldare i propri conti con Domineddio, e quando gli pare e piace! Che ve ne importa, maestà, di chi vuole dannarsi anima e corpo? Se invece pensaste a togliere il dazio sul macinato, che fa bestemmiare la povera gente, non sarebbe assai meglio di questi esercizi spirituali? Parlava al re quasi lo avesse di faccia, ma senza alzare la voce, per paura che gli sbirri, udendolo, non lo denunziassero per quarantottista, mentre egli intendeva farsi i fatti propri e vivere in pace specialmente col re, che poteva per fargli tagliar la testa, Dio ne scampi!

Se rispettava il re, se gli volea anche bene perché con gli sbirri e i compagni d'arme garentiva la vita e la roba di tutti, non sapeva però perdonargli quell'idea degli esercizi spirituali, per l'imbarazzo in cui lo metteva di fronte alla Salara, che pretendeva di essere sposata:

- Non abbiamo un figliuolo di dieci anni? Dovrà rimanere sempre mulo questa povera creatura, sangue vostro? Avete cuore? Avete coscienza? O vi fa piú paura vostro fratello, che non Domineddio?... Vostro fratello pensa alla roba, e non gli importa che noi viviamo in peccato mortale! -

Don Ilario non aveva mai detto alla Salara che il fratello anzi gli predicava sempre di prendere moglie, per levarsi di torno quel mucchio di lordura. Egli approvava il consiglio in cor suo, ma non aveva il coraggio di metterlo in atto.

Infine, costei lo serviva precisamente come una moglie; anche meglio, perché lavorava piú d'un uomo e gli risparmiava la spesa d'un garzone per la campagna. In quanto a sposarla, no! Che il bambino restasse mulo, non gli facea né caldofreddo. Ce n'erano tant'altri al mondo in quella condizione; potea starci anche lui. La roba, com'era giusto, spettava ai parenti; glielo avea detto e ridetto al fratello. Ma, cielo di Dio, egli non voleva persuadersene!

E cosí don Ilario viveva tra due fuochi. Per questo preferiva di starsene piú in campagna che in città. In campagna almeno la Salara badava a lavorare, a preparare quei due bocconi del desinare e della cena, e non lo tormentava per farsi sposare, ripetendogli la solita storia:

- La mia bella giovinezza non ve la siete goduta voi? A sedici anni - l'avete già dimenticato? - ero un bottoncino di rosa! Se mi son ridotta in questo stato, mi vi son ridotta per voi. Ed ecco la ricompensa! Adesso che vengono i padri missionari, perché non ci mettiamo in grazia di Dio, come ha detto il rosariante? -

Quella domenica mattina, don Ilario infilò l'abito a coda, di trent'anni addietro, a cui pel poco uso luceva ancora il pelo, si calcò in testa la gran tuba, compagna dell'abito, e presa la mazza dal pomo d'argento, andò via zitto e imbroncito, per veder di sapere in piazza o nel casino se i padri missionari arrivavano davvero e se c'era modo di evitare quegli otto giorni di reclusione nel convento dei cappuccini, che gli pesavano anticipatamente.

La Salara lo vide tornare a casa piú imbroncito. I missionari arrivavano appunto in quei giorni, e la commissione l'aveva già notato nella lista dei galantuomi per la contribuzione.

- Un tumulo di frumento e ventiquattro tarí in denaro!... Per soli otto giorni! Io, con la stessa spesa, mangio sei mesi! -

Intanto bisognava dire alla Salara che andasse via di casa, per non dare scandalo. Poi, quando i padri sarebbero partiti...

- E se i ladri vi spogliano la casa? -

Don Ilario non ci aveva badato; e per ciò a tavola non mangiò quasi niente, pensando ai ladri, fra il borbottio della Salara che, tornando con le pietanze dalla cucina, gli faceva la predica:

- Scomunicato! Uomo senza coscienza! Perché non ci mettiamo in grazia di Dio? -

Egli aveva già paura di quei padri missionari mandati a posta dal re. Gli avessero anche ordinato di sposar la Salara, lui non avrebbe potuto rispondere di no. Avevano braccio forte dal giudice, dal sottintendente, dall'intendente e dal viceré Satriano, e potevano farlo mettere in prigione, e anche sparire dal mondo, senza che nessuno rifiatasse!

Non pensava piú ad altro in campagna, giorno e notte; non aveva piú neppur voglia di lavorare. E un sabato sera era tornato solo in città, lasciando a Rapicavoli la Salara, caso i padri arrivassero e lui dovesse andare a rinchiudersi come un frate in una cella di convento.

I padri missionari arrivarono appunto quella notte. Don Ilario, saltato dal letto come si trovava, s'era affacciato alla finestra per vederli passare al lume delle torce a vento, con la gran croce nera inalberata avanti, a due a due, in fila, cantando lamentosamente:

 

- Vieni, vieni, o piccaturi,

ti chiama lu Signuri! -

 

La gente che li seguiva faceva sul selciato un rumore da mandra in disordine.

Quella gran croce nera, con le braccia aperte, che procedeva lenta e solenne; quei visi magri e barbuti, illuminati sotto il cappuccio dai foschi bagliori delle torce; quella pietosa giaculatoria:

 

- Vieni, vieni, o piccaturi,

ti chiama lu Signuri! -

 

che pareva scaturisse dalle viscere della terra, d'onde i dannati o le anime del purgatorio mandavano grida d'ammonimento ai peccatori vissuti tant'anni, come lui, in peccato mortale - canto che diventava piú lugubre di mano in mano che si allontanava, perdendosi per le oscure viuzze del paesetto - gli avevano prodotto nell'animo tale impressione di terrore, che il cuore gli batteva violentemente, e la pelle gli si era accapponata, quasi l'aria frizzasse.

 

Il vecchio peccatore aveva ceduto; si era lasciato invadere dalla terribilità di quella voce che lo chiamava per la salvazione eterna «Vieni, vieni, o piccaturigravida di minacce contro il peccatore ostinato.

E andò in processione, coronato di spine che lo pungevano davvero, flagellandosi forte le spalle con la rozza disciplina di corda. E tosto che si vide nella chiesetta mezza buia, dove una lampada agonizzava a piè del Crocifisso, davanti la Madonna dei sette dolori; e tosto che sentí le prime parole di padre Francesco da Montemaggiore apparso sul pulpito, come un fantasma, pallido, scarno, con la lunga barba grigia cadente sul petto, - parlava in nome del Gran Padre della misericordia che prima di scagliare i fulmini della sua divina giustizia, tentava, per l'ultima volta, salvare quei figliuoli peccatori da cui veniva crocifisso cento volte il giorno con bestemmie, con usure, con ruberie, con fornicazioni, quasi lui non esistesse lassú! - don Ilario scoppiò in singhiozzi, ginocchioni in un angolo della chiesa; e cominciò a picchiarsi il petto, sinceramente, facendo proponimento di mutar vita. Don Pepè Rizzo, piú peccatore di lui ma cuore indurito, gli diceva intanto sotto voce:

- La Salara vi fa le corna col vaccaro! -

Che gliene importava delle cose di questa terra, che gliene importava piú? Ora pensava a salvarsi, a guadagnarsi il paradiso con la penitenza. E per ciò ascoltava, attento, concentrato, a bocca aperta, la predica di padre Mariano da Caltagirone che, facendo tremare i vetri delle finestre col vocione, rappresentava al vivo la morte del peccatore e i diavoli che aspettavano l'anima al varco per attanagliarla, infilzarla coi forconi e portarla via tra le fiamme e il fumo ammorbante, a rimpinzarla di pece liquida e di fuoco eterno! Pareva li avesse visti coi propri occhi, e tornasse di laggiú allora allora, col puzzo dell'inferno nella tonaca.

Quello scomunicato di don Pepè Rizzo però non mancava mai di sederglisi allato per insinuargli, fra le istruzioni e le meditazioni:

- La Salara, vi fa le corna col vaccaro!

- Zitto! Che me ne importa? -

Verso la fine degli esercizi spirituali, don Ilario aveva già bell'e deciso d'andare a rinchiudersi in una grotta, su le brune colline di Rapicavoli, fra gli spacchi della roccia. avrebbe continuato a far penitenza fino alla morte, come sant'Antonio e gli altri eremiti di cui avevano parlato tante volte padre Francesco, padre Mariano e gli altri missionari, raccontando i miracoli operati da Domineddio per quei suoi santi servi nel deserto. Il deserto di don Ilario sarebbe stato lassú, presso Rapicavoli.

La grotta era fuori mano; nella grotta allato, gemeva dalle pareti l'acqua d'una fonte, e sarebbe servita a dissetarlo; pel nutrimento, avrebbe provvisto il Signore.

A sant'Antonio abate non avea mandato ogni giorno un corvo con la pagnottina al becco? Il Padre della misericordia avrebbe certamente ripetuto il miracolo per lui, visto che voleva far penitenza di tutti i peccati picchiandosi giorno e notte il petto con un sasso, piangendo lagrime di sangue!

La Salara lo attendeva in campagna, e si era preparata un bel discorso per intenerirlo. A questo scopo aveva condotto anche il ragazzo, che da tre giorni metteva a sacco le piante dei carciofi e delle fave, e correva come un frugolo dietro le farfalle, tra i seminati, pestandoli senza pietà, quantunque la mamma lo sgridasse e lo inseguisse per scapaccionarlo:

- Fermo, diavolino! Arriva tuo padre! -

Ma don Ilario non si era fatto vivo, neppure tre giorni dopo che gli esercizi spirituali dei galantuomini erano terminati; né si sapeva niente di lui. Era sparito di casa senza dir motto a nessuno; e la gente lo diceva andato via a farsi frate, impazzito dagli scrupoli.

Mentre la Salara, piú sporca e piú cenciosa, si abbrustoliva al sole, con gli occhi alla strada, sperando di vederlo spuntare da un momento all'altro, e temendo di veder spuntare invece il fratello di don Ilario, per cacciarla via lei e il suo mulo - colui non lo chiamava altrimento - don Ilario, con un vecchio giubbone d'albagio, legato ai fianchi a guisa di tonaca da una corda di ampelodesmo, scalzo, recitando rosari e litanie, dormendo qualche ora, a riprese, rompendosi le costole sul nudo masso, faceva penitenza nella grotta di Rapicavoli, e attendeva l'arrivo del corvo che il Signore doveva spedirgli con la pagnottina al becco, come a sant'Antonio eremita.

Per precauzione però egli aveva portato con sé una mezza dozzina di pagnottelle e un po' di cacio fresco, da servirgli nei primi giorni, caso mai il corvo del Signore fosse tardato a venire. Al quinto giorno, pagnottelle e cacio eran terminati; e don Ilario, pieno di fede, dopo il tramonto, s'era disteso per terra, coi crampi allo stomaco, rasegnato alla volontà di Dio, prendendo quei crampi in gastigo dei propri peccati; e non gli era riuscito di dormire neppure un minuto.

E, insieme coi crampi, eran sopraggiunte le tentazioni. Si vedeva la Salara dinanzi gli occhi; e non quella lurida e stracciata, ma la giovane di vent'anni addietro, bianca e rossa, fresca al pari di una rosa, come quando era venuta in campagna pel raccolto delle ulive, e lui l'aveva sedotta, lusingandola con mille promesse, non mantenute neppure dopo averne avuto un figliuolo.

Don Ilario si segnava, mormorava orazioni, afferrava disperatamente la disciplina e picchiava sodo su le sue spalle di peccatore, per vincere le insidie del diavolo che gli presentava quella immagine di peccato mortale, riaccendendogli nel sangue desideri ch'egli credeva estinti per sempre. Ah! Il diavolo voleva cosí farlo ricadere nella colpa, per poi portarselo via su le corna tra le fiamme dell'inferno:

- No, tentazione maledetta! Agnusdei chitolli speccata mundi! -

Ma neppure quel latino aveva giovato.

- Che nottata eterna! -

Vedendo i primi chiarori dell'alba, don Ilario si era sentito rassicurare. Affacciatosi alla bocca della grotta, spiava il cielo bianchiccio e la vasta campagna sottoposta, tutta verde di seminati; e intanto si premeva lo stomaco con le braccia, per attutire gli stiracchiamenti e i crampi venuti a torturarlo piú insistenti e piú forti. La sua fede, in verità, non vacillava ancora al sesto giorno; ma egli già cominciava a pensare che il corvo messaggero di Dio doveva aver preso la via piú lunga per arrivare lassú fra le rocce...

Appunto, ecco il corvo che aliava in alto, gracchiando, facendo larghi giri, accostandosi, allontanandosi, abbassandosi quasi a fior di terra e risalendo ad ali spiegate, remigando lento per l'aria!... Non doveva essere quello spedito da Domineddio colla pagnottina al becco, se no non sarebbe rimasto cosí lontano, a tessere e ritessere circoli nell'azzurro del cielo, facendo straluccicare le penne al sole, gettando attorno per la campagna i suoi crà crà crà!...

Allora don Ilario rammentò le parole di padre Francesco: - Non fate come il corvo, che dice cras! cras! domani, domani! - E si fece animo. Quel corvo forse era mandato ad annunziargli l'invio del pane per domani. Le lagrime gli spuntarono dagli occhi, e una gran commozione gli rammollí le gambe:

- Signore misericordioso! -

Però stese una mano, strappò un cesto di acetosella e cominciò a masticarlo; poi ne strappò un altro, poi un altro; e andò a bere un sorso d'acqua alla fonte accosto.

- Gli antichi eremiti non facevano cosí? -

Gli parve anzi che l'acetosella avesse un sapore squisito, senza dubbio per grazia divina, perché un'altra volta egli non aveva finito di masticarla, tanto gli era parsa cattiva.

Riprese il rosario e le litanie, e recitò un centinaio di volte gli atti di fede, di speranza, di carità e di contrizione nel corso della giornata, fino a sera. Verso il tramonto, il corvo tornò ad aliare per la campagna, facendo larghi giri, gracchiando piú forte nel silenzio della sera, crà, crà, crà.

Ma la dimane, e il giorno appresso, non si fece neppur vedere. I crampi, acutissimi, insoffribili, spingevano don Ilario a rivoltolarsi per terra, con gran zufolio negli orecchi, con la vista intorbidata e la lingua arida, rastiante e incollata al palato.

Il Signore voleva dunque gastigarlo a quel modo, lasciandolo in balia delle tentazioni?... Ah, Madonna dei sette dolori! Ah san Giuseppe protettore!

A un tratto gli parve di sentirsi chiamare e vedere, su l'entrata della grotta, un'ombra apparire e sparire; certo il diavolo in persona! E si nascose la faccia tra le mani, invocando tutti i santi del paradiso:

- Gesú!... Maria!... Giuseppe!... -

 

La mattina dopo, alla voce della Salara che lo chiamava: - Don Ilario! don Ilario! - alle scosse delle mani che l'avevano afferrato per un braccio, egli aprí a stento gli occhi; e sentiva un subitaneo gran ristoro al buon profumo di quel piatto di maccheroni che la Salara gli aveva portato.

- Don Ilario!... don Ilario!... Pazzo da catena! Sareste morto di fame, se non vi avesse scoperto il vaccaro! -

- Quei maccheroni, - soleva dire don Ilario, tutte le volte che ne riparlava, - quei maccheroni me li avrà, forse, portati il diavolo sotto le sembianze della Salara; ma ci fu anche la volontà di Dio. Se il Signore avesse voluto farmi sciogliere dal legame con la Salara, avrebbe mandato il corvo, come fece con sant'Antonio eremita.

- E perciò tu sei ora un sant'Antonio al rovescio - conchiuse un giorno suo fratello. - Quegli, oltre al corvo, aveva il porco; tu invece hai la troia!-

 

Catania, 20 aprile 1888.

 

 

 



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