Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO II

IL DECAMERONCINO

IX GIORNATA NONA L'ERÒSMETRO

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IX

 

GIORNATA NONA

 

L'ERÒSMETRO

 

La mia opinione intorno all'amore? Ah, signorina! - disse il dottor Maggioli. - Lei sa che ho compito ieri l'altro ottant'anni... colgo questa occasione per ringraziarla del simbolico acquerello regalatomi quel giorno... Un mazzo di semprevivi - spiegò, rivolgendosi alle persone che lo circondavano - disegnato e dipinto con gran bravura d'artista... Mi sono sperduto tra le parentesi - soggiunse ridendo. E riprese:- Volevo dire che, a ottant'anni, difficilmente si può avere intorno all'amore un'opinione che non sia il riflesso di un ricordo lontano e quasi scancellato dal tempo. Poi, se nella vita dell'uomo, secondo il giudizio di un'illustre donna, l'amore è soltanto un episodio, nella mia esso è stato appena un'apparizione fugace. Ho dovuto pensare a cose piú urgenti quando correva per me il gaio tempo di amare; e, dopo, ho avuto il buon senso di rinunziarvi per non riuscire ridicolo. Se però non posso dirle la mia personale opinione, le riferirò quella di un mio intimo amico che ha avuto la fortuna, beato lui! di contraddire alla sentenza della signora De Staël, e fare della sua vita un lungo poema di amore, con parecchi e deliziosissimi episodi! Ebbene, costui, già maturo e sul punto di scrivere, diciamo cosí, le ultime ottave del suo poema, mi confessava un giorno che l'amore è uno dei tanti dommi a cui va applicato, forse piú ragionevolmente che ai religiosi, il famoso motto di quel padre della chiesa: credo quia absurdum.

- Oh! Oh! - lo interruppe la signorina Villotti.

- Non protesti, cara signorina! - continuò il dottore. - C'è amore e amore; ed io sarei molto imbarazzato se dovessi spiegarle questa sottile differenza. Senza dubbio, il mio amico intendeva parlare dell'amore quale lo abbiamo ridotto noi, gente civile e... raffinata, come oggi sogliamo poco modestamente qualificarci. La domanda da lei fattami riguarda, è vero? questo sentimento, sublimato, o sofisticato, lungo i secoli con intenso lavorio, in guisa che non si sa piú che cosa esso sia precisamente. L'amico mio era giunto alla conclusione che nell'amore odierno non c'è piú nulla, proprio nulla, che sia spontaneo, sincero, naturale; e per ciò egli lo chiamava brutalmente: amore-margarina. Sembra amore e non è, come la margarina sembra burro e non è.

- Il suo amico era matto!

- No, baronessa, - replicò il dottore, rivolgendosi alla interruttrice; - era invece uno scienziato.

- Oh! Gli scienziati non sono... uomini! - esclamò la baronessa Lanari, provocando uno scoppio di risa nel salotto e ridendo anche lei.

- Ammettiamo, per farle piacere, che siano un po' diversi dagli altri. Ma il mio amico era scienziato per caso, nelle ore perdute (ed è stato il suo gran torto) quando gli intrighi galanti glielo permettevano; quasi quasi direi che è divenuto tale appunto per questi. Aveva ingegno meraviglioso; immaginazione divinatrice, la piú preziosa e rara facoltà di uno scienziato. E questa, assieme con la sua grande curiosità e col virile orgoglio di non essere ingannato da una donna, lo spinse alla ricerca di un mezzo materiale per misurare i gradi e la qualità dell'amore, simile a quello con cui il Mosso, per esempio, è riuscito a misurare la trasformazione dell'attività psichica in calore ed in moto.

- Costui non ha amato mai, se ha potuto riflettere! - lo interruppe la baronessa.

- Ha amato, a modo suo, e con straordinaria intensità. «Stavo per perdere la testa, - mi disse un giorno - anzi l'avevo perduta a dirittura, se ho potuto commettere la immensa sciocchezza d'inventare l'eròsmetro. Dal giorno in cui ebbi la soddisfazione di veder agire il mio strumento con precisione mirabile, io ho avuto la stupida soddisfazione di sapere in che modo e fino a quanto amavo ed ero amato; ma non ho piú goduto dell'amore, mai piú! Il mistero era sparito. Maya, la divina illusione, dileguatasi sdegnosamente nella piú alta profondità dei cieli...». Parlava cosí, per immagini, da poeta.

- E che cosa era quel suo...?

- Eròsmetro? Un gingillo di oro, una specie di armilla che egli, con un gentile pretesto o con un altro, applicava al braccio delle donne da lui amate; giacché ne amava, contemporaneamente, parecchie, secondo una sua particolare teorica intorno alla diversa loro virtú suggestiva. A questo proposito soleva dire:

«Se la mia convinzione riuscisse a farsi strada nei cervelli femminili, il sentimento della gelosia sarebbe, di botto, annientato. Ognuna avrebbe la sicura coscienza di dare alla persona amata qualche cosa di speciale che nessun'altra possiede, e addio rivalità!... Ma i cervelli femminili sono vasi troppo piccoli da poter ricevere cosí grande verità; e la gelosia rimarrà eternamente fra i terribili flagelli di questo mondo».

L'eròsmetro, ahimè, gli tolse anche questa illusione! Gli era capitato quel che capita a tutti a detta del proverbio: «Tanto va la gatta al lardo, che vi lascia lo zampino». Proverbio falso, perché gatte che abbiano lasciato lo zampino nel lardo non se n'è mai viste finora; ma lasciamo andare.

Insomma, dopo di aver quasi continuamente scherzato con l'amore, c'era cascato e come! Quella nuova e insperata conquista era tale da indurlo fino a dubitare della stessa vittoria. Egli non lo dava a capire a nessuno, ma ne soffriva orribilmente. Amore o capriccio da parte di lei? Non sapeva distinguerlo, e voleva accertarsene.

Allora gli balenò nella mente l'idea dell'eròsmetro, non come cosa possibile ma come una di quelle fantasie che rallegrano il meraviglioso regno delle fiabe. A furia però di pensarci su e ripensarci... La fata odierna è la scienza; gli imbecilli siamo noi che non osiamo di chiederle quel che giudichiamo stoltamente impossibile. Tutti coloro che hanno, in qualche modo, osato sono stati appagati. Io non posso spiegare qui i principii positivi che servirono di base alla creazione di quel mirabile strumento, né descriverlo minutamente. Non rimpiangerò neppure che il mio amico lo abbia distrutto dopo averne fatto amara prova. È bene che certe illusioni sopravvivano per consolare questa nostra misera vita e a lusingarci di crederla meno brutta che non è.

Quando egli ebbe fatto parecchi esperimenti, fu atterrito dell'opera propria. L'impassibile rivelatore livellava tutti i pretesi gradi dell'amore, riduceva questo sentimento a cosí meschina realtà da disgustarne qualunque umana creatura. La donna piú bella e la piú deforme, la piú buona e la peggiore venivano poste allo stesso livello; tutta la poesia del sentimento era annullata, ridotta cosa soggettiva dell'amatore, pura opera dell'ingannatrice Maya...

Egli stesso non voleva crederlo, ma nel medesimo tempo non poteva dubitare. La donna che formava in quei giorni l'orgogliosa felicità della sua vita... No, egli non riusciva a persuadersi che potesse essere anche lei uguale a tutte le altre!... Ma se era?... Nonostante questo, esitò parecchi mesi prima di risolversi allo esperimento.

«La gelosia mi ha perduto! - egli diceva, raccontandomi il caso con le lagrime agli occhi. - Era avviticchiata al mio collo con le braccia ignude e mi baciava, ribaciata... Feci uno sforzo supremo. Trassi di tasca la fatale armilla, e, prima ch'ella potesse capire che cosa intendessi di fare, gliel'avevo adattata alla parte superiore di un braccio. Le parve un elegante gingillo imitato dall'antico, mio regalo; e lo guardò commossa, con un senso di vanità che le sfavillava negli occhi e nel sorriso. Io tremavo, quasi commettessi in quel punto il piú vigliacco e il piú tremendo dei sacrilegi. E mentalmente pregavo che lo strumento, almeno questa volta, s'ingannasse o mentisse.

"Che hai?" ella mi domandò, guardandomi con diffidenza.

E siccome io avevo gli occhi fissi su l'armilla, ella portò la mano al braccio, premé la mollettina e buttò via quell'oggetto con orrore istintivo. Mi affrettai a raccoglierlo. Ella guardò il segno bianco lasciatole dalla pressione sul braccio, e mi prese per le mani interrogandomi sbigottita. "Che è questo? Che mi hai fatto?"»

Egli fuggí via come un assassino. Volle però vedere quel che lo strumento aveva registrato. E soltanto allora... ma era troppo tardi! Maya, la divina illusione - com'egli si espresse - si era dileguata sdegnosamente nella piú alta profondità dei cieli!

- Infine, che cosa vide? Che scoperse? - domandò spazientita, la signorina Villotti.

- Niente! - rispose, con equivoco sorriso, il dottore.

- O dunque?...

- Ho voluto dirle, invece della mia, l'opinione di un altro intorno all'amore. E, se le piace, segua il consiglio del mio amico, faccia secondo il sapiente padre della chiesa da lui citato: creda nell'amore! Fermamente! È un'assurdità, ma non vuol dire... Credo quia absurdum!

 

 

 



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