Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
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TOMO II

DELITTO IDEALE

IV FORZE OCCULTE

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IV

 

FORZE OCCULTE

 

A Guelfo Civinini

 

D'accordo, Aldo Sàmara e la sua fidanzata avevano rinunziato al loro viaggio di nozze. Elvia era stata lietissima di veder accettata la sua proposta. Le repugnava quell'andare a disperdere per gli alberghi, sotto gli sguardi importuni dei camerieri e dei viaggiatori, le prime dolci impressioni della loro vita di sposi.

Aldo Sàmara, che per una strana serie di circostanze non aveva fin allora potuto effettuare il suo sogno di visitare Venezia, si era proposto di associare il ricordo della fantastica città con quello del giorno in cui avrebbe raggiunto il piú elevato scopo della sua esistenza; e per ciò aveva mostrato un po' di esitazione nell'acconsentire a una proposta che gli sembrava raffermasse quella specie di fatalità dalla quale gli era stata piú volte impedita la sua partenza per Venezia quasi sul punto di chiudere le valige o di avviarsi per la stazione.

- Ti dispiace? - aveva detto Elvia.

- Oh, no, se fa piacere a te!

- Venezia è sempre , non ce la porta via nessuno - avea soggiunto Elvia sorridendo. - Potremo andarvi dopo.

- Non sarà la stessa cosa.

- Sarà forse meglio. Saremo meno assorti, meno distratti nell'ammirarne le bellezze.

- Hai ragione... Hai sempre ragione!... Però...

- Sentiamo!

- Può darsi che sia un pregiudizio alimentato dall'uso, o un'impressione mia personale, ma la luna di miele passata in città non mi sembra piú luna di miele. Non potremo segregarci in casa, chiudere l'uscio di essa ai parenti, agli amici, alle tue amiche soprattutti. Quel primo mese del nostro matrimonio in che cosa differirà poi dagli altri, quando la vertigine della vita sociale, degli affari specialmente, riprenderà te e me, per quanto noi si abbia l'intenzione di menare vita modesta, come la nostra condizione richiede?

- E perché mai dovrebbe differire? - replicò Elvia.

- Hai ragione... Hai sempre ragione!... Però...

- Un altro però?

- Ricordi? Un giorno, in una delle nostre passeggiate in gran comitiva per la campagna, lo scorso autunno, tu mi facesti osservare quella villa mezza nascosta tra gli alberi, in cima a una collinetta, e mi dicesti sottovoce: «Colà!» Il lampo degli occhi e il sorriso finirono di esprimere l'intimo significato di quella parola. Vi ho ripensato parecchie volte, e un giorno - mi pare di avertelo raccontato - ho commesso la fanciullaggine di andare a visitare la villa turrita che, vista dallo stradone sembrava un edifizio medioevale.

- Non me n'hai detto mai nulla.

- Probabilmente perché mi pareva di aver commesso una fanciullaggine. È una villetta dei primi anni di questo secolo. I mezzadri abitano al pianterreno. I padroni non vanno mai a villeggiarvi e neppure a visitarla di tanto in tanto. «Perché?» domandai. «Chi lo sarispose la mezzadra. «E sarebbero disposti ad affittarla?» «Certamente. Abbiamo le chiavi noi, per dar aria alle stanze. Vuol vederle?» Sono cinque al primo piano e due al piano superiore, in quella che vorrebbe essere una torretta merlata; stanze ariose, pulite, con discreta mobilia un po' invecchiata, di trent'anni addietro o poco piú. E un silenzio, una pace! Vista maravigliosa dal lato di levante, con tutti i colli laziali torno torno; da ponente, Roma con la cupola di San Pietro troneggiante nell'azzurro... In una settimana, quella villetta potrebbe esser pronta a riceverci - concluse Aldo insinuante.

- , - rispose Elvia. - È una bella idea -.

 

Aldo Sàmara aveva voluto lasciare a quelle stanze la impronta caratteristica del tempo in cui erano state mobiliate; ed eccettuata la camera degli sposi, esse erano rimaste quali egli le aveva trovate nella sua prima visita, senza spostar nulla, anche perché i mezzadri avevano raccomandato, in nome dei padroni, di conservare, per quanto piú era possibile, la disposizione degli oggetti che vi si trovavano.

Non erano punto preziosi i tavolini, i canterali, i divani, le seggiole, le poltrone, le litografie e le incisioni in cornici di ebano, i quattro o cinque quadri a olio, di soggetto sacro, mediocrissime copie di originali del Guercino e di Carlo Dolci, i due specchi ridotti quasi inservibili dall'umido che ne avea macchiato e corroso l'argentatura.

Eppure Elvia ed Aldo si erano adattati subito a quell'aria di vecchiezza - di stanchezza, diceva Elvia - quantunque si sentissero stranamente trasportati in un ambiente affatto diverso da quello delle loro case sorridenti di tutta la gaia freschezza dell'ammobiliamento moderno.

Le prime due giornate eran passate come in sogno. I due giovani sposi avevano avuto appena tempo di dare un'occhiata al paesaggio e di fare qualche breve passeggiata all'aperto. Ma, il terzo giorno, nelle ore pomeridiane, una pioggerella fina, insistente, li aveva confinati in casa. Si erano un po' svagati leggendo alcuni capitoli di uno dei tanti romanzi nuovi comprati per quell'occasione, e le ombre della sera li avevano sorpresi dietro i vetri della finestra del salotto, silenziosi, intenti a guardare la pioggia che veniva giú piú fitta, velando e quasi sfumando la campagna attorno e i colli laziali lontani.

Aldo avea cinto col braccio la vita di Elvia, ed ella si era abbandonata carezzevolmente col capo su la spalla di lui. Tutt'a un tratto, ella trasalí.

- Che cosa è stato?

- Niente... Non so! -

Intanto spalancava gli occhi spauriti, voltandosi a guardare nella stanza già invasa dall'oscurità.

- Insomma?... - fece Aldo.

- Un brivido per tutta la persona, come se qualcuno mi avesse posato una mano diaccia su la spalla.

- Chi sa che cosa fantasticavi!

- Non pensavo niente, guardavo fuori.

- Facciamo accendere i lumi -.

Tutta la gran luce che due lumi diffusero poco dopo nel salotto non valse però a rassicurarla pienamente. Avevano ripreso la continuazione della lettura interrotta. Aldo leggeva ad alta voce, alzando, di tratto in tratto, gli occhi in viso a Elvia, che coi gomiti appoggiati sul piano del tavolino e col mento sul dorso delle mani congiunte, stava ad ascoltare. Evidentemente era un po' distratta. Due o tre volte, Aldo aveva notato che ella, pur restando immobile, girava le pupille attorno, con aria di diffidente paura; e credette opportuno di sgridarla con dolce severità.

- Non sei una bambina!... Eh via!... O ti senti male?

- Sarei proprio imbarazzata - rispose Elvia - se dovessi spiegarti quel che provo... Ora voglio dirtelo - soggiunse: - Ho provato qualcosa di simile sin dalla prima sera che arrivammo qui, nell'intervallo che tu, sceso a parlare col mezzadro, dovesti lasciarmi sola per qualche istante.

- Che cosa provasti?

- Un senso di freddo, come al contatto di persona disaggradevole... invisibile.

- Oh!...

- Sarà una ridicolaggine... che vuoi che ti dica?... Anche tu?... - esclamò Elvia, vedendo diventare serio serio il marito e prendere l'atteggiamento di chi sta in osservazione di qualcosa d'insolito.

Aldo tardò a rispondere.

- Anche tu? - ella replicò afferrandolo, atterrita, per una mano.

- Volevo spiegarmi - disse Aldo con qualche imbarazzo - che cosa può mai averti prodotto tale strana suggestione in questo salotto. La vecchia consolle? Lo specchio? Quei quadri anneriti e dai quali non si è potuto togliere la polvere resa aderente dal tempo e dall'umido? Il soffitto troppo alto? La tappezzeria nova delle pareti? I nervi di una giovine signora sono impressionabilissimi, la immaginazione troppo facile ad essere eccitata... -

Ma, cosí parlando, Aldo nascondeva a stento che aveva in quell'istante anche lui un'indefinibile sensazione di malessere, precisamente come pel contatto di persona disaggradevole, invisibile. Chiuse il libro, si alzò da sedere, e sforzandosi di sorridere, disse a Elvia:

- Non piove piú! -

E aperse la finestra. Il cielo era sereno. Le nuvole si addensavano sui monti in fondo all'orizzonte, e la luna inondava con la sua luce argentea la campagna, che esalava l'odore speciale dei terreni bagnati da pioggia recente. Richiusa l'imposta, egli prese Elvia sottobraccio, e la condusse nella sala da pranzo. La tavola era già apparecchiata per la cena.

- Com'è curiosa questa villa, di sera! - esclamò Nannina, la donna di servizio, portando in tavola.

- Perché dite cosí? - domandò Elvia.

- Mah!... - fece Nannina.

- Anche lei? - pensò Aldo.

Egli si era rammentato di un libro inglese letto anni addietro, col quale si pretendeva di dare una prova scientifica dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio. L'autore, o gli autori - erano due, se mal non ricordava - credevano di aver dimostrato che fin i piú impercettibili movimenti del nostro pensiero, non che gli atti e le parole, vengono registrati e fissati nell'universa materia cosmica come sur una lastra fotografica, anzi meglio che su una lastra fotografica. E da questa nozione rimastagli chiara nella mente, rannicchiato nel suo cantuccio di letto e fingendo di dormire, egli era venuto fantasticando, durante la nottata, una probabile spiegazione di quel fenomeno ormai innegabile perché avvertito contemporaneamente da tre persone. Le pareti di quella casa dovevano essere certamente sature di misteriosi fluidi, di pensieri e di atti registrati, e con tale forza da produrre terrificanti sensazioni rivelatrici. Gli erano rivenute alla memoria le notizie del mezzadro intorno all'abbandono in cui i padroni lasciavano quella villa da anni ed anni, senza mai venire a darvi una fuggevole occhiata. Ora gli sembrava di non aver notato allora certe esitanze nelle risposte del mezzadro e della sua moglie, e si proponeva di interrogarli quella mattina, prima che Elvia si alzasse da letto.

E durante la lunga nottata insonne non gli era anche parso di sentire una specie di formicolio dappertutto, nelle pareti, nella volta, dietro gli usci, nelle stanze accanto; un formicolio sordo sordo, che l'orecchio non percepiva ma che intanto non gli sembrava meno reale, quantunque percepito dai nervi di tutto il suo organismo quasi per immediato contatto?

Egli s'interessava molto, da un anno in qua, di certi fenomeni di cui soltanto da poco tempo alcuni scienziati osavano spregiudicatamente di occuparsi, e cominciava a sospettare di trovarsi di fronte a qualcuno di tali fenomeni; giacché non poteva credere di essersi lasciato vincere dalla nervosità di Elvia e della donna di servizio per suggestione di seconda mano.

- Hai dormito bene? - gli domandò Elvia vedendolo saltar giú dal letto.

- Ho fatto tutt'un sonno. E tu?

- Io non ho chiuso occhio. C'è mancato poco che non ti svegliassi.

- Perché?

- Non sgridarmi; avevo paura.

- Ancora? - egli esclamò, fingendo di mostrarsi un po' in collera per questa debolezza femminile. - Intanto che tu ti vesti - poi soggiunse - scendo a fumar un sigaro all'aria aperta. Ti mando Nannina -.

Non aveva potuto cavar nulla di bocca ai mezzadri. Quando essi avevano preso quella mezzadria, la villa stava chiusa e abbandonata da un pezzo.

- Giacché i padroni non se ne curano, perché non abitate le stanze superiori?

- Queste a terreno, capisce, sono piú comode per noi.

- E dite, prima di me e della mia signora, nessun altro ha preso in affitto la villa?

- , quattro anni addietro, due forestieri, un vecchio con la figlia, bellissima creatura, che volle andar via dopo una settimana.

- Perché?

- Lo dissero forse; ma chi li capiva? Scapparono quasi, brontolando, facendo certi gesti! Già quel vecchio doveva essere mezzo matto. Andava attorno da mattina a sera, raccogliendo erbacce, riportandone a casa mazzi, fasci interi. La figlia dipingeva -.

La giornata passò tranquilla. Elvia ed egli avevano quasi dimenticato le tristi impressioni della sera avanti, perché le stanze illuminate dal sole, assumevano durante il giorno aspetto gaio. Ma la sera, dopo il tramonto, sembrava si trasfigurassero; e non valeva l'accendere molti lumi. Qualcosa d'indefinibile, d'inesplicabile vibrava dalle pareti, dagli oggetti; si sarebbe detto anche dall'aria che vi circolava.

Elvia, per vergogna di apparire bambinescamente paurosa, non osava di manifestare ad Aldo l'opprimente sensazione che la invadeva; ed Aldo si guardava bene dal confessarle la repugnanza che gli ispirava, di sera, tutta la casa, in qualunque stanza essi si intrattenessero fino all'ora di cenare e di andare a letto. Elvia si stringeva a lui, voleva esser presa tra le braccia, quasi per trovarvi un rifugio; ed egli era contento di tenerla cosí, di accarezzarla, di baciarla, di mormorarle dolci parole a intervalli... Giacché, a mano a mano che la sera piú s'inoltrava, essi si sentivano costretti a restare silenziosi; e avevano ancora - pensavano - tante dolci cose da dirsi in quelle ore di raccoglimento, in mezzo alla gran pace della vasta campagna!

Aldo non poteva piú dubitare che si trattasse di sensazioni reali. Elvia era un organismo solido, ricco di salute, come lui. Egli, è vero, si era occupato di fenomeni anormali, ma solamente leggendo quel che ne scrivevano, pro e contro, scienziati d'alto valore. Non si era mai provato a osservare direttamente, quantunque spesso invitato da persone che volevano iniziarlo ai misteri del magnetismo e dello spiritismo. Elvia lo aveva qualche volta graziosamente punzecchiato per questi suoi studi, mostrandosi piuttosto incredula che no. Egli non poteva per ciò supporre che quel che essi e Nannina sentivano nella villa provenisse da eccessiva nervosità o da preconcetti capaci di alterare le ordinarie funzioni dei loro sensi.

 

Avevano trascorso la intera giornata vagando per la campagna. Fatto colazione in una vaccheria, si erano inoltrati per sentieri e sentieroli verso le colline, cogliendo bellissimi fiori selvatici, fermandosi, per riposarsi, nelle case dei contadini incontrate qua e , prendendo istantanee coi loro Kodak, fotografando ognuno un punto di vista diverso per sfida di vedere chi di loro due avrebbe saputo scegliere il paesaggio piú artistico; ed erano tornati tardi alla villa, un po' stanchi ma contentissimi della bella escursione, e leticando allegramente intorno ai resultati delle pellicole dei rispettivi Kodak. Peccato che bisognasse attendere il ritorno a Roma per svilupparle!

Intanto si erano seduti a tavola con grand'appetito, quantunque la cena non fosse ancora pronta.

- Hai sonno? - domandò Aldo, scorgendo che sua moglie stentava a tener aperte le palpebre.

- Elvia!... Elvia!... - egli gridò vedendole travolgere gli occhi fino al bianco.

Ella non rispondeva. Rigida, eretta sul busto, con gli occhi chiusi e le sopracciglia corrugate, sembrava guardasse attentamente e vedesse a occhi chiusi.

Aldo capí subito che si trattava d'un caso di catalessia spontanea e ne fu atterrito, non potendosi render conto della cagione da cui veniva prodotto, né delle conseguenze che avrebbero potuto seguirne. E continuava a chiamare, scotendola pel braccio: - Elvia! Elvia! - osservando ansiosamente gli atteggiamenti ch'ella prendeva quasi assistesse a uno spettacolo che la faceva inorridire.

Poi le labbra di lei si agitarono; suoni inarticolati le uscirono di bocca. In piedi, con le mani sporte in avanti, ella indietreggiava, voltando il capo da una parte come per evitar di vedere. Diè un grido, cadde tra le braccia di Aldo che furon pronte a riceverla... E riaperse gli occhi.

- Perché? - domandò, stupita.

- Ti sei lasciata sorprendere dal sonno - balbettò Aldo per non spaventarla. - Volevo metterti a giacere sul canapè -.

Elvia non si rammentava di niente. Che cosa avea visto? Aldo non glielo domandò. Ma egli era ormai certo che in quella villa era dovuto accadere qualche terribile tragedia rimasta ignorata. Le pareti vibravano terrore. Si sentiva sopraffare anche lui dalla misteriosa forza ogni giorno piú. Sarebbe soggiaciuto alla catalessi pure lui?

Con sua grande meraviglia, quella sera Elvia fu tranquillissima. Non mostrò di sentire nessuna impressione di paura durante la cenadopo. Fu anzi piú allegra del solito; se non che, tutt'a un tratto, nell'alzarsi da tavola domandò

- Dimmi: dove ho letto o dove ho veduto rappresentare...

- Che cosa?

- È strano! - ella esclamò dopo breve pausa. - Mi torna in mente una scena di non so piú qual dramma, di non so piú qual capitolo di romanzo... Come mai mi ritorna in mente cosí viva, cosí fresca, quasi l'avessi letta recentemente o veduta rappresentare?

- Quale scena?

- Mah!... È strano! Mi sfugge... Di quel marito che ordina alla moglie creduta colpevole: «Punisciti da te stessa!» E lei non vuol morire di veleno né di pugnale... E vorrebbe gridare, chiamare aiuto; e urta agli usci chiusi a chiave, e picchia alle imposte delle finestre inchiodate... e perde la parola e muor di terrore davanti all'inesorabile marito, che l'ha condotta in una villa lontana!... Dove ho letto questo? O dove l'ho veduto rappresentare?... È strano! È strano!

- Lascia andare! - la interruppe Aldo. - Dimmi piuttosto un'altra cosa: Non ti sei già annoiata di star qui?

- No. E tu? -

Quell'inatteso fenomeno di serenità mise in maggior sospetto Aldo Sàmara. Gli parve di vedere la sua Elvia in balía delle misteriose forze spadroneggianti nelle stanze superiori della villa abbandonata, e volle sottrarla e sottrar se stesso al loro occulto potere.

Tornati a Roma, egli soffrí per qualche tempo l'irragionevole ossessione di una malefica influenza che avrebbe nociuto a tutti e due; ma, dopo alcuni mesi di chiusa ansietà, ebbe a convincersi perfettamente che si era ingannato.

- Soltanto, accadde - due o tre volte, a lunghi intervalli - che Elvia ripetesse, come quella sera:

- Dimmi: Dove ho letto... O dove ho visto rappresentare?... È strano! È strano! -

Da allora in poi, Aldo Sàmara ha riletto piú volte il libro di quei due scienziati inglesi, e metterebbe la mano sul fuoco per attestare che essi hanno ragione.

 

 

 



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