Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO II

DELITTO IDEALE

IX OH, QUEL SILENZIO!

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IX

 

OH, QUEL SILENZIO!

 

Al dottor Mariano Salluzzo

 

Perché non rispondeva mai? Perché - visto che le mie recriminazioni erano ingiuste - ella non si ribellava, con la parola, col gesto, con lo sguardo almeno? Taceva! E dal suo bianco volto non traspariva niente di quel che doveva certamente vibrare in fondo alla sua anima contristata.

Ora io capisco quanto sono stato crudele, e per ciò non so perdonarle neppur dopo morta. E se talvolta penso che forse ella mi ha compatito e mi ha perdonato, il profondo rancore contro di lei, mi rende quasi pazzo. La sua vendetta è terribile!

Ero geloso, , stupidamente geloso, irragionevolmente geloso; ma non doveva ella intendere che la mia gelosia proveniva da eccesso di amore? Lo ha compreso e per questo taceva? No, amico mio; lo avrei indovinato. Quella sua anima è rimasta un tetro mistero per me.

Me la veggo sempre dinanzi, bianca, esile, con gli occhi azzurri limpidi e luminosi che sembravano un lembo di cielo sorridente; con le labbra leggermente rosee, che conservarono fino all'ultimo la loro freschezza simile a quella di un fiore umido di rugiada; con la espressione di dolcissima grazia, che dava alla sua persona l'apparenza di una creazione di arte piú che di terrena realtà. Ed ho sempre nell'orecchio il suono della sua voce, le inflessioni della sua parola che si modulavano in deliziosa melodia, e mi commovevano e mi turbavano come una carezza spirituale anche nei momenti piú spietati delle mie gelose irruzioni; e all'idea che ella ha potuto sopportare rassegnatamente le torture che le ho inflitto per due anni, ora per ora, giorno per giorno, incessantemente, raddoppiando tanto piú la mia ferocia quanto piú la vedevo docile, rassegnata a quella tortura, e senza che io abbia mai potuto scoprire quali sentimenti si nascondessero sotto cosí incredibile docilità, sotto cosí inesplicabile rassegnazione, sento vacillarmi la ragione; e sento di odiar Gemma, ora che non è piú, per lo meno quanto l'ho amata ed adorata vivente.

Ti sembra forse possibile che una donna rimanga la stessa, di fronte a un'inattesa e quasi improvvisa mutazione dell'animo di colui che le avea promesso la felicità e le dava l'inferno? Non dirmi: «Perché no?» Tenti invano d'illudermi e di consolarmi. Non voglio essere consolato. La mia sciagura è ormai irreparabile.

Ella ha voluto andar via, senza darmi la sodisfazione di una risposta qualunque. Si è lasciata morire, impenetrabile al pari di quelle Sfingi che spalancano gli occhi privi di sguardo in faccia ai viaggiatori tra le arene che circondano le piramidi egiziane, e non interroganorispondono da mille e mille anni. Cosí lei.

Ho quasi perduto, a furia di pensarci su, la nozione del tempo. La interrogo da quattro anni, o da un'infinità di anni questa misteriosa Sfinge che mi è stata davanti prima viva e mi sta egualmente davanti morta, e che da morta non risponde alle mie insistenti interrogazioni, come non rispose mai, mai, da viva! In certi momenti non saprei dirlo.

Mi sembra che tutta la mia vita sia trascorsa in questo atteggiamento di continua interrogazione, in quest'ansiosa aspettativa di una risposta, in questa desolata disperazione di riceverla, un giorno! Ella ha voluto vendicarsi in questo modo, e non poteva trovarne un altro piú straziante e piú crudele.

Se fosse stata rassegnata davvero, negli ultimi istanti, quando mi fissava in viso gli azzurri occhi già velati dall'agonia, dicendomi con un fil di voce: «Non ti vedo piú! Una nebbia mi circonda!» in quegli ultimi momenti almeno ella avrebbe dovuto dirmi una parola rivelatrice, una sola parola... Niente!

Fosse anche stata una parola di disprezzo, di odio, di maledizione, ne sarei stato sodisfatto; almeno avrei saputo qualche cosa, all'ultimo!... Ma no, ha voluto andarsene muta, chiusa, senza uno sguardo, né un gesto, né una sillaba che mi rivelasse il segreto del suo cuore, del suo spirito. Ella! Ella che, prima, quando l'amavo e non ero ancora geloso, mi sembrava trasparente come un cristallo, limpida come un purissimo diamante. Allora mi bastava guardarla negli occhi per scoprire le piú lievi sfumature di sentimento nei fondi penetrali del suo cuore, per afferrare i piú rapidi pensieri che le illuminavano come lampi la mente, dietro quell'ampia fronte che sotto i neri capelli ondulati sembrava di finissimo avorio!

E appena gli artigli del mostro dagli occhi verdi mi si conficcarono nel cuore, appena le prime mie ruvide mosse d'impazienza, di sospetto, di rimprovero le fecero intendere la divoratrice passione che cominciava ad invasarmi, ella mi apparve un'altra tutt'a un tratto. Il suo cuore si ottenebrò, ed io non potei piú leggervi nulla; la sua fronte diventò opaca, quasi la bella creatura vivente si fosse mutata in statua che non ha anima, ma soltanto linee e rilievo di bellezza, espressione esteriore che fa comprendere il concetto voluto significare dall'artista, ma che non penetra, non pervade il legno la creta o il marmo di cui essa è formata.

Se non che, invece, io sapevo che dentro quella statua c'erano e il cuore e l'anima e lo spirito; e intanto, tra essi e me si opponeva, insuperabile, quel silenzio che pareva mi tenesse chiusa in faccia una porta di bronzo a cui invano picchiavo; di cui le mie mani, battendo, quasi sentivano il diaccio; e che non risonava neppure, tanto era solida, fusa tutta d'un pezzo. L'immagine di questa bronzea porta, in certi momenti, si mutava nella mia alterata immaginazione in cosa reale.

E mentre il mio geloso furore provocato da un nonnulla (ora lo capisco) prorompeva in parole sconnesse, in urli, in gesticolazioni da mentecatto, e Gemma mi stava immobile davanti, senza mutar di colore, senza che nei bei occhi le si accendesse un baleno d'indignazione o di pietà, senza che le sue rosee labbra s'increspassero lievemente sotto il vituperio di accuse, di sospetti, di insulti che la investiva, io ero tentato di percuoterla al petto, dove mi sembrava fosse quella inespugnabile porta di bronzo... E non mi spauriva l'idea di commettere anche un delitto!

No, ella non ha avuto nessuna pietà di me! Se ne avesse avuta, si sarebbe difesa, avrebbe protestato, avrebbe pianto; avrebbe risposto alle accuse con altre accuse, ai sospetti con altri sospetti, agli insulti con altri insulti, a torto o a ragione, non voleva dir nulla... No, no, ti ripeto, non ha avuto nessuna pietà di me! Si è vendicata con quel terribile silenzio, con quell'orrida rassegnazione, e senza mostrare, neppur con un cenno, che si stimasse vittima innocente... della mia stolta gelosia!

Fece peggio! Mi nascose il suo male, si lasciò struggere a poco a poco; e soltanto pochi giorni prima della catastrofe, quando ogni sua energia era finalmente esaurita, soltanto allora mi annunziò con voce esile ma ferma:

- Dino, mi sento morire! -

Ed io, sciagurato, non lo credetti! E il giorno che non potei piú dubitare,... sai tu qual fu il pensiero che mi sconvolse, che mi riempí gli occhi di infocate lagrime di rabbia? «Ella mi sfugge! Ella mi sfugge! Ella se ne va senza dirmi il suo segreto!» Ed è stato cosí! Cosí! E tu dici: «Era una santa!» Una santa senza pietà? Senza carità? Oh no! Il perdono non è muto...

 

 

 



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