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A Bruna
- Tra i ricordi della mia fanciullezza - disse Forcelli - c'è una gentile figura...
- Vizioso fin da bambino! - lo interruppe Miozzi, ridendo.
- ...una gentile figura di vecchina - continuò Forcelli senza badargli - che mi torna alla memoria ogni volta che sento qualche spigliata melodia del secolo scorso. Era cugina di mio padre e viveva, sola sola, in una casetta piú vecchia di lei, dove tutto era vecchio come lei e d'onde tutto è sparito con lei, molti e molti anni fa. Si è salvata dal disastro - e non so come - soltanto una spinetta barcollante sui tre piedi, con la cassa tarlata anche allora, coi tasti ingialliti e sconnessi e col pedale rotto e accomodato alla meglio con spago. Ho voluto lasciarla tal quale, e la tengo in un canto del mio studio per ricordo di colei che mi ha fatto godere le piú dolci impressioni musicali di vita mia. Ho detto: piú dolci e non piú intense, caro maestro - egli soggiunse, rivolgendosi a colui che scoteva la testa protestando e quasi commiserandolo, da quel rabbioso wagnerista che era.
- Volevo ben dire! - rispose questi.
- Andavo spesso dalla cugina, come tutti la chiamavamo in famiglia, perché ella mostrava una grande predilezione per me. Ero il vivente ritratto del nonno, secondo lei; e infatti ella mi aveva imposto il soprannome di Nonnino. Confesso che abusavo volentieri di questo privilegio, permettendomi in casa sua tante e tali capestrerie, delle quali il babbo e la mamma non avrebbero tollerato le piú piccole e piú innocenti.
«Ah, Nonnino! Nonnino!» ella mi sgridava, minacciando con l'indice della mano destra. Ma subito rideva.
Ora, uno dei miei piú piacevoli divertimenti consisteva, in principio, appunto nel tempestare con le mani, quasi coi pugni, sui tasti di quella misera spinetta, che fremeva e strideva con tutte le corde di rame e sembrava chiedere aiuto contro lo strazio che le infliggevo.
La cugina accorreva da qualunque punto della casa, curva, strascicando le ciabatte, sgridandomi da lontano:
«Ah, Nonnino! Nonnino! No, no; la spinetta, no! Questa non si tocca».
E infatti non la toccai piú dal giorno, che la cugina, per indurmi a lasciare in pace il suo caro strumento, mi disse:
«Quando vuoi, suono io la spinetta e ti canto anche una bella canzonetta che potrai imparare a memoria».
«E a suonare m'insegnerai?»
«Non saprei insegnarti, Nonnino mio!»
Cosí mi contentai della canzonetta, accompagnata dall'argentino frinire di quelle corde, che oggi, a confronto del suono di un pianoforte, sembrerebbe ronzio di zanzara. Oh, non era una sonatrice e nemmeno un'abile cantante! Sapeva fare pochi accordi e replicava sempre quell'unica canzonetta allegra, spigliata, che assumeva nello stesso tempo un'espressione malinconica pel suono tremulo della voce. Anche gli accordi tremolavano, perché le dita della vecchierella avevano perduto ogni agilità. A me, canzonetta ed accordi sembravano cosa maravigliosa, e volevo riudirli piú di una volta, di seguito, quando andavo dalla cugina.
«Come si chiama questa canzonetta?» le domandai un giorno.
«Il matrimonio segreto».'
«E chi l'ha fatta?»
«Lo conosci?»
«No».
«Dunque, come l'hai appresa?»
«Me l'ha insegnata.... mia madre».
«Che vuol dire: matrimonio segreto?»
«Vuol dire che si sono maritati di nascosto».
«Perché?»
«I parenti forse non volevano».
«Ti sei maritata di nascosto tu?»
«Non mi sono maritata mai!»
«Perché?»
Oh, gli importuni e inevitabili perché dei bambini! La cugina, quella volta, tentò di sorridere: ma, accarezzandomi i capelli e balbettando: «Perché... Perché...» aveva le lagrime agli occhi.
Ella era morta da un pezzo quando, tornato dall'università, rividi in casa nostra la spinetta a lei cosí cara. Mi rivenne subito alla mente quella scena dimenticata, e fui commosso per l'intimo triste dramma che l'aria o la canzonetta (come ella diceva) di Cimarosa lasciava immaginare.
Io non ho visto rappresentare il Matrimonio segreto del gran musicista d'Aversa, o non ho mai voluto riudire da altra voce la canzonetta della quale ho dimenticato le parole e il motivo, pur conservando la indefinita sensazione dell'allegra e alata melodia, a cui la tremula voce della cugina comunicava anche un senso di dolce tristezza. Mi sarebbe parso di profanare qualche cosa di sacro, sovrapponendo all'infantile e delicata sensazione una sensazione recente che, forse, avrebbe potuto affievolirla o farla sparire.
E, per ciò, conservo nel mio studio la tarlata spinetta, di cui parecchie corde sono già rotte e attorcigliate e i tasti piú sconnessi di una volta, e il pedale guasto e accomodato con spago.
Spesso, fumando una sigaretta, sdraiato su una poltrona, mi compiaccio di fantasticare la misteriosa tragedia del cuore della vecchia cugina, e penso che la canzonetta di Cimarosa ha dovuto essere per lei un'ineffabile consolazione nella lunga tristezza della solitaria sua vita.