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XIII
LA EVOCATRICE
A Cordelia
- Andiamo! Voi credete agli spiriti, come le donnicciole?
- Che maraviglia? Ci credono tanti grandi scienziati, il Crookes, il Wallace, ecc.
- Scienziati falliti! Scienziati per modo di dire!
- Siete temerario, caro amico - riprese il dottor Maggioli - giudicando cosí alla lesta lo scopritore della materia radiante e l'emulo del Darwin. In quanto a me, sono modesto come si conviene a chi non si è occupato di questo genere di studi venuti in voga quando l'età non mi consentiva piú di sperimentare. Non ho detto, intanto, che credo agli spiriti; ma mi stimerei presuntuoso, se osassi di affermare che non posso crederci affatto. Non ho nessuna ragione per esprimere un giudizio di questa sorta. Ho settant'anni, e tra poco mi sarà dato conoscere de visu come stanno le cose dell'altro mondo. Ne ho una grande curiosità, ve lo confesso.
- Forse mi sono spiegato male. Insomma io dichiaro di non avere nessun solido argomento per affermare o negare scientificamente l'esistenza degli spiriti quantunque, l'unica volta che mi son lasciato indurre a tentar di vederli, la prova sia riuscita negativa.
- Io però, da quella prova mal riuscita, non mi stimo autorizzato a dire che il Crookes, il Wallace e tanti altri sperimentatori di buona fede si siano ingannati o siano stati ingannati.
- Ma la scienza...
- La scienza la fanno gli scienziati a furia di sbagliare. Quella di ieri non è piú quella di oggi; e quella di domani sarà un'altra cosa. Risolto un problema, se ne presentano nuovi e piú complicati e piú astrusi. Certe volte gli scienziati si seccano di vederseli affacciare davanti, e chiudono gli occhi e si turano gli orecchi per vivere un po' in pace, e non guardare né udire. Ma non per ciò i nuovi problemi dileguano. Allora qualche scienziato, piú curioso o piú ardito degli altri, socchiude gli occhi e osserva, timidamente dapprima, per non scandalizzare i colleghi; poi l'amore della verità ne può piú dell'orgoglio personale; e cosí la scienza fa un altro passo, e l'assurdo di oggi diviene la conquista assodata del giorno dopo.
- Lo sappiamo, dottore! Ma riguardo agli spiriti, non si tratta di fatti che possono cadere sotto gli occhi, da osservarsi col microscopio, da analizzare col crogiuolo. Fantasie di menti deboli, allucinazioni di sensi malati, credenze di femminucce, resti di tradizioni primitive, quando l'uomo ancora selvaggio si dava una spiegazione superficiale dei fenomeni della natura e credeva l'ombra un duplicato della sua persona... Se la scienza dovesse tener conto di tali sciocchezze, starebbe fresca!
- Di tutto deve tener conto. Per ciò io, che sono scienziato cosí cosí per aver studiato e praticato la piú materiale tra le scienze, la medicina, non arrossisco di far sapere che ho tentato anche di «vedere» gli spiriti il giorno che un amico venne a dirmi: «Vuoi vederli? Io ho avuto paura e ho interrotto a mezzo l'esperimento». Quel mio amico, uomo serio, coltissimo, un po' artista, un po' filosofo nel miglior senso di questa parola, intelligenza aperta ai quattro venti del pensiero, s'interessava dei grandi problemi contemporanei, politici, economici, religiosi, scientifici, leggendo tutto, approfondendo tutto con ardore indomabile. Non aveva altro da fare; il suo largo patrimonio gli permetteva questo lusso intellettuale senza fargli trascurare il resto. Ultimamente dunque aveva preso, com'egli diceva, il dirizzone degli studi spiritici, e si era formato la convinzione che gli spiriti sono una realtà come un'altra, d'ordine superiore, se si voleva, ma da non poterne piú dubitare. E siccome io gli rispondevo: «Bisogna attendere ancora!» egli si spanzientiva delle mie esitanze in faccia a tante e tante prove, quante forse - soggiungeva - non ne hanno parecchi fatti ormai entrati nel dominio della storia e tenuti per certi da tutti. Io veramente non negavo i fenomeni, i fatti; dubitavo della spiegazione di essi. Alla mia età non s'intraprendono neppur con la mente esplorazioni in regioni ignote, e si diffida sempre un po' delle relazioni dei viaggiatori che le hanno visitate la prima volta.
Il giorno però ch'egli venne a dirmi: «Vuoi vedere gli spiriti? Io ho avuto paura e ho interrotto a mezzo l'esperimento» mi lasciai vincere dalla curiosità. Perché non aver fiducia in un uomo come lui?
«Che cosa bisogna fare per vederli?» gli domandai dopo qualche istante di riflessione.
«Venire domani a casa mia. Io avviserò la evocatrice».
«No. La persona di cui ti parlo non cade in trance, cioè: non si addormenta, non entra in catalessi; evoca, con potere misterioso, in pieno giorno, semplicemente, per via di certi suoi scongiuri».
«È una maga, a quel che pare».
«È una povera donna, secca, pallida, malaticcia, vestita sciattamente, che vive, credo, di elemosina...»
«E col mestiere di fattucchiera», lo interruppi, ridendo.
«Niente affatto. Chiede soltanto cose strane che dice indispensabili all'evocazione: un po' di sale, un po' di olio, una candela benedetta, di quelle che si adoprano nella settimana santa».
«Uh!» feci, alzando le spalle.
«Probabilmente nemmeno il sale, l'olio e la candela benedetta sono necessari; forse servono per provocare l'azione fluidica del suo organismo; mezzi meccanici, piú che altro, da eccitare la sua fantasia».
«Tu spieghi tutto!»
«Ho detto probabilmente; e quando la vedrai operare, la mia ipotesi non ti parrà stramba».
«Com'è che tu hai avuto paura?»
«Ecco: eravamo nel mio studio, io e lei, con l'uscio aperto sul corridoio. Ella cominciò a brontolare le sue evocazioni inginocchiata dietro una tenda del balcone, con davanti l'orciolino di terracotta pieno di olio, la candela accesa e il piattino col sale. Di tratto in tratto, prendeva un pizzico di sale e lo buttava nell'orciolino. Mi ero situato in maniera da poter seguire, sbirciando da un lato della tenda, l'operazione. Ero tranquillo, in vivissima aspettativa, sí, ma anche un po' incredulo. Mi pareva impossibile che quella povera donna, quel fantasma di donna dovrei dire, possedesse cosí alto potere...»
«E allora...»
«Allora, tienlo a mente, di pieno giorno, all'improvviso, veggo il corridoio illuminarsi con luce piú splendida della solare e sento subito un fruscio di passi e di stoffa... Ho avuto paura!... Mi son messo a gridare: "No! No!... Basta!" coprendomi gli occhi con le mani. Tremavo come un bambino, sudavo freddo».
«Quella donna aveva contato su la tua immaginazione, l'aveva eccitata con lo strano apparecchio di quei riti...»
«T'inganni. Ho pensato cosí di primo acchito; ma poi, riflettendo bene... In due, saremo piú forti. Vuoi provare?»
«Proviamo!»
Il dottor Maggioli s'interruppe per guardare attorno, nel salotto, e interrogare le signore che erano state ad ascoltare con evidenti segni di abbrividimento.
- Non vuol farci dormire questa notte! - disse la baronessa Lanari.
- Appunto, volevo sapere da lei se debbo o no proseguire...
- Ormai! - fece la baronessa. - E poi ella ha detto che la prova è fallita...
- Non ricordo piú - rispose il dottore - chi abbia scritto: «Se venissero a riferirmi che un tale ha portato via il Colosseo, prima di rispondere: "È impossibile" andrei a vedere». Io la penso come costui; e gli scienziati, secondo me, dovrebbero comportarsi cosí. Fui puntuale, all'ora fissata; la donna arrivò poco dopo. Il severo studio del mio amico aveva due balconi, uno a levante, l'altro a mezzogiorno, e una larga ondata di sole lo invadeva in quel punto. «Ho avuto a stento il permesso» disse la evocatrice. «Da chi?» domandai. «Dai miei superiori - rispose semplicemente. - Questo signore è un incredulo - soggiunse rivolta al mio amico. - E gli spiriti non si mostrano volentieri a chi non crede». «Voglio credere - dissi. - Sono qui per questo». Costei - pensavo intanto - mette le mani avanti! E la osservai attentamente mentre si accingeva a disporre dietro la tenda del balcone l'orciolo con l'olio, la candela accesa e il piattino col sale. Nessun indizio di furberia su quel viso, ma una grande stanchezza, la stanchezza della miseria. «E chi vi ha insegnato?» le domandai. «Mia madre - rispose. - Stiano attenti. Gli spiriti non entreranno qui; attraverseranno il corridoio, passando davanti all'uscio». E si nascose dietro la tenda. Parlava con tale sicurezza, da spingermi a pensare: «Tu forse stai per vedere un prodigio!». Eravamo, il mio amico ed io, in piedi, in faccia all'uscio. A un tratto, il mio amico mi afferra una mano, e comincia a stringermela forte. Non mi distolsi dal guardare verso il corridoio, pur comprendendo che quegli aveva paura. Io mi sentivo tranquillissimo, senza diffidenza... Dieci minuti di intensa aspettazione... e la donna uscí fuori dalla tenda.
«No».
«Non li hai veduti?» esclamò il mio amico quasi balbettando. Era pallido come un morto.
«Sette - soggiunse. - Li ho contati; quattro donne e tre uomini... come fatti di nebbia, con lunghe tuniche bianche... Sono passati lentamente... Ti ho stretto forte la mano nel terribile momento. E quella gran luce?»
«Non ho visto nulla!»
«Non crede! - disse la donna. - Per vedere bisogna avere la grazia...»
Forse è cosí: bisogna avere la grazia, come ella si esprimeva, cioè una disposizione naturale, una facoltà speciale... Che ne sappiamo? E il mio amico è rimasto talmente convinto di non essere stato vittima di un'allucinazione, che è morto sospettando sempre della mia buona fede. Ha creduto che io abbia negato di aver visto per cocciutaggine di medico materialista. E non è vero -.