Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO II

DELITTO IDEALE

XIV L'INESPLICABILE

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XIV

 

L'INESPLICABILE

 

A Giuseppe Dragonetto

 

- Vorrei spiegarmi meglio, caro dottore, ma non so. Piú ripenso al mio caso, piú tento di veder bene tra la nebbia che mi avvolge la mente, e piú sento sconvolgermi l'intelligenza. Sono già al confine della pazzia? Un altro passo e la mia ragione si smarrirà per sempre nella tenebra dell'incoscienza?... È terribile, dottore! No, non mi dite niente, state ad ascoltarmi; abbiate pazienza. Siccome il mio male è tutto qui, nella testa, e non ha sintomi fisici, voi non indovinereste nulla se io non parlassi. E per parlare, anzi per far lo sforzo di pensare e di parlare con qualche ordine, ho bisogno di non essere interrotto. Il mio cervello non funziona regolarmente; ha strane intermittenze. L'imbroglio consiste in questo: io non distinguo piú tra sogno e realtà, tra fatti fantasticati in momenti di strana esaltazione e fatti realmente avvenuti... Cosí, proprio cosí! Voi sorridete incredulo... M'inganno? Tanto meglio.

Intorno ad alcuni avvenimenti non ho nessun dubbio. Notiamo la data: nove mesi fa. Notiamo il luogo: Firenze. Ero arrivato la sera avanti. Due giorni prima, mi trovavo a Napoli, deciso di starvi fino alla metà di giugno. Nella stagione di primavera Napoli è un paradiso. Vi ero andato per godermi questo paradiso, e per nient'altro. Avevo passato mezza giornata nell'Acquario tra le meraviglie della vita sottomarina... Improvvisamente, quasi mi fosse stato suggerito all'orecchio da qualcuno, io pensai: «Va' a Firenze!... Va' a Firenze!» Mi stava davanti agli occhi una mirabile aiuola di attinie e di coralli che si agitavano, che palpitavano con le loro creste filamentose; e tra i coralli e le attinie, magnifici polipi, di cui ora non ricordo il nome, allungavano i tentacoli, si gonfiavano, si aprivano simili a viventi ventagli, si restringevano e quasi sparivano confondendosi con la vegetazione rosata. Altri piccoli molluschi, cavallini di mare, se non sbaglio, idre, meduse, salivano e scendevano nella limpidissima acqua dietro il grosso cristallo; paguri, che si eran formati una casa con grosse conchiglie, erravano qua e , ora lenti ora rapidi, sul suolo ghiaioso, movendo le gambe rimaste fuori dal guscio... E, di nuovo, quel suggerimento quella inattesa ispirazione: «Va' a Firenze

In quei giorni, io non vi avevo pensato neppur di sfuggita... Ma, ecco, ora ricordo bene. Mentre guardavo intentamente quel maraviglioso spettacolo acquatico, due signore si erano fermate un istante vicino a me. Fiorentine, si capiva dall'accento... Quale di esse aveva quella voce cosí melodiosa, da spingermi a guardarla? Ed ero rimasto deluso. La voce mi aveva fatto supporre una bellezza giovane e fresca... Invece!... Colei non era giovane, né bella. Può darsi che il suggerimento: «Va' a Firenze!» sia stato prodotto dalla malia di quel suono. Malia, ho detto benissimo; giacché non potei sottrarmi alla sua azione.

Quando uscii dall'Acquario, l'incantevole tratto di marina accanto era suffuso della tenera luce del tramonto; i viali della villa quasi deserti, e pieni di misteriose ombre e di frescura; e laggiú, il Vesuvio con un sottile pennacchio di fumo, tutto dorato dagli ultimi raggi del sole, e quasi sorgente dalle onde per ottica illusione... Guardai distrattamente il divino scenario che venivo ad ammirare ogni giorno insaziabilmente, scoprendolo rinnovato sempre dalla varietà della luce, secondo le ore della giornata... E tornai a pensare: «Va' a Firenze

Non vi sembra strana questa insistenza suggestiva? Oh, non sembrerebbe strana neppure a me, se poi non fosse accaduto quel che accadde!... Partii il giorno dopo, senza maravigliarmi della mia risoluzione, quasi la gita a Firenze fosse stata segnata nell'itinerario del mio viaggio. Soltanto arrivato colà, mi domandai stupito: «Che cosa son venuto a farvi? Ormai!...» e uscii dall'albergo e infilai la prima via che mi capitò davanti... Cinque minuti dopo, mi trovavo in piazza dell'Indipendenza...

Oh, questo non è sogno! Ricordo benissimo, ho coscienza della realtà... La bionda signora mi era passata accanto inondando l'aria del suo profumo, sotto l'ombrellino con strisce gialle e bianche ornato di larghe trine... La veste di leggerissima stoffa, con strisce gialle e bianche anch'essa ma piú strette, ne modellava elegantemente la persona svelta e sottile. Non avevo potuto osservarla in viso, cosí rapidamente mi aveva oltrepassato. Vedevo, sotto i riflessi dell'ombrellino, l'oro dei suoi copiosi capelli rialzati su la nuca, dai quali sfuggivano alcune ciocchettine che tremavano a ogni passo, come cosa viva.

Fui tentato di seguirla, di raggiungerla, per la sola curiosità di conoscere se l'aspetto corrispondeva alla elegantissima linea della persona.

In quel punto, ella svoltava per via Enrico Poggi - via appartata, silenziosa, con case che paiono villini - e suonava a un portoncino. Si era voltata al rumore dei miei passi, un po' contrariata, mi parve, che qualcuno l'avesse seguita... Cosí potei accertarmi che ella era bellissima. Visione di un istante! All'aprirsi del portoncino avevo intravveduto un andito con busti in marmo, grandi vasi con piante e, in fondo, una vetrata con vetri colorati... Il portoncino si era richiuso. Tornai addietro lentamente, conturbato dalla rapida visione, quasi qualche parte di me fosse penetrata , dietro a colei, ed io ne sentissi la mancanza. Giacché subito provai la viva sensazione di rivedere con l'imaginazione quell'andito e d'inoltrarmi dietro a l'incognita per le stanze, oltre la vetrata con vetri a colori.

Quel giorno no, ma qualche settimana dopo, sono io davvero entrato colà? Dev'essere stato cosí, perché altrimenti come avrei ora quasi davanti agli occhi quel salottino parato di damasco azzurro, col gran ritratto di lei, in piedi, appeso alla parete di faccia; quella lampada di Murano con grandi foglie rosee che si accartocciavano attorno ai bracci e si arrampicavano al fusto capricciosamente; e il tavolinetto ingombro di ninnoli; e le poltroncine di un azzurro piú pallido del damasco delle pareti?

Come mai potrei ricordarmi precisamente la nostra conversazione, di quattro o cinque giorni dopo?... Mi sembra di riudirla... Eppure in certi momenti dubito della mia memoria... Può mai essere che io abbia sognato quel colloquio o che lo abbia fantasticato a occhi aperti e con tale intensità da crederlo, poi, realmente avvenuto?... In che modo dunque io rivedo la signora vestita diversamente, con ampia vestaglia color crema, tutta spumante di pizzi rari, con le sottili dita delle bianchissime mani cariche di anelli, con quella grossa perla pendente da una stella di diamanti attaccata su la parte sinistra del petto, quasi sotto la spalla?... In che modo ho negli orecchi il suono esotico della sua voce che dava alle parole della nostra lingua un fascino nuovo? E, finalmente, se non fosse stato vero, in che modo nel dialogo trovo accennati fatti che non ricordo e che pure debbono essere avvenuti?

«Vi ho subito riconosciuto» ella diceva.

«Perché lo avete taciuto

«Perché non mi interessava di farvelo sapere, in quella casa, davanti alla persona che vi presentava a me».

«E vi è dispiaciuto

«No. È inutile dispiacersi di quel che non si può evitare. Io mi rassegno facilmente; filosoficamente direi, se non fosse un po' troppo per una donna».

«Avreste voluto evitarmi potendo?»

«Certamente. Gli uomini come voi sono una sciagura nella vita di una donna».

«Perché?»

«Perché presto affermano di amarla, illusi forse, o vanitosi d'ispirare un sentimento che lusingherebbe il loro amor proprio. Voi avete su la punta della lingua una dichiarazione che soltanto le convenienze di un primo colloquio v'impediscono di farmi».

«Indovinate, in parte. Non le convenienze però, ma il timore di non esser creduto mi impedisce di parlare».

«Attendete per ciò, è vero? occasione piú opportuna».

«Ormai è impossibile».

«Voi forse ignorate che ho marito».

«No; vi chiamano signora, non signorina».

«Capisco; il marito non vi sembra un ostacolo».

«Non è mai tale, quando l'amore vuole».

«Per certe donne, ».

«E per voi?»

«Io... io credo che l'individuo non ha altra norma di vita all'infuori di quella che la sua felicità richiede; e che di questa felicità è giudice inappellabile egli solo».

Parlava lentamente e non perché l'esprimersi in italiano le richiedesse uno sforzo. Sembrava che ogni parola da lei pronunziata avesse un riposto significato e che ella volesse darmi tempo d'intenderlo bene, prima di risponderle. Ebbi fretta di mostrarle che avevo interpretato in favor mio la sentenza. M'interruppe:

«Siete fatuo, come tutti gli uomini».

È chiaro? È preciso? La presentazione, in quella casa da lei accennata, io non la ricordo affatto; ma la conversazione è fissata qui, parola per parola, col suono della voce, con l'accento, con l'atteggiamento di tutta la persona, coi fieri gesti della mano destra, dove uno stranissimo anello in forma di serpente si attorcigliava, flessibile, al dito medio simulando cinque o sei anelli, con la testa schiacciata che si piegava di lato alla radice dell'ugna. Tanti particolari non può averli inventati la mia fantasia... Eppure io non sono certo che questa visita sia proprio avvenuta. Di quando in quando, un dubbio mi attraversava la mente: che quell'anello io lo abbia veduto, per caso, in un'altra mano, e che quelle parole io le abbia udite da un'altra bocca, in altra occasione... o le abbia lette in qualche romanzo...

Perché?... Perché non so spiegarmi il ricordo, nettissimo, precisissimo, di una passeggiata solitaria pel Viale dei Colli dove io la rividi alcuni giorni dopo, sempre come una sconosciuta il cui fascino mi attirava, ma senza che ancora sentissi un forte desiderio di avvicinarla, anzi provando un istintivo movimento di resistenza contro quel fascino. Non era sola quel giorno; ed io, seguitala un po', indovinando da alcune mosse che le tre signore parlavano di me, mi ero fermato, indispettito di riuscire, a quel che sembrava, importuno; e avevo interrotto la salita. Se fossi stato presentato a lei, se avessi avuto davvero quella conversazione con lei in casa sua, perché non l'avevo almeno salutata?

Non confondo date. Tra il primo e il secondo incontro ci fu un intervallo di due o tre giorni... Ma ogni volta che mi metto a ripensare il passato, la conversazione e l'incontro hanno lo stesso valore di realtà... Sono tutti e due veri? Tutti e due falsi?...

Niente mi tratteneva in Firenze. Vi ero venuto per subitaneo e quasi inesplicabile capriccio: e non entravo in nessuna chiesa, non visitavo gallerie o musei, non mi fermavo davanti ai monumenti. Erravo per le vie con aria sbadata. Se non che, di tratto in tratto, mi accorgevo che tra le persone dei passanti ne ricercavo una, colei, che piú non avevo riveduta da una settimana.

Ne ero invasato. Mi aggiravo per piazza dell'Indipendenza, attraversavo spesso la via Enrico Poggi smanioso di imbattermi in lei... E mi sembra che mi domandassi spesso: «Perché non ritorni a casa sua?...»

Dunque c'ero stato; non potrei rammentarmi di questo, se non ci fossi stato davvero.

Capisco quel che volete dirmi: la nostra memoria è labile! o tale confusione vi sembra spiegabilissima con qualche complicazione nervosa sopravvenuta... Ma io non sono stato malato. I miei nervi hanno conservato sempre un equilibrio perfetto, prima e dopo... Cioè fino a pochi mesi fa, fino al giorno in cui mi sono accorto che avveniva nella mia mente una confusione tra fatti soltanto pensati, immaginati, e fatti realmente accaduti. E, sul principio, l'esitazione, l'incertezza di giudizio erano rapide, mi lasciavano tranquillo... Poi, a poco a poco... Ora non riesco piú a fare distinzione alcuna. E l'idea, il sospetto che io abbia davvero potuto commettere... È orribile, dottore!... Lasciatemi continuare.

Ho il ricordo di un'altra conversazione con lei, su una terrazza, o nello studio di un pittore in via san Paolo... - Un po' di incertezza anche qui, ma intorno al luogo. È naturale; l'immagine di lei scancella ogni altro particolare. Potevo vedere qualche cosa all'infuori di lei?... Ed è ricordo di conversazione futile, quale tra persone che si trovano insieme la prima volta... O ella finse di non avermi conosciuto prima, ed io fui costretto a secondarla per non infliggerle una smentita?

«Preferite la pittura o la musica

«Tutt'e due - risposi. - Certi quadri, come questo che abbiamo visto ora ora... (O, dissi: come questo che abbiamo sotto gli occhi?... Non importa... Si parlava di un quadro che era un'armoniosa festa di colori, di una processione fiorentina del quattrocento? , , mi pare appunto di questo...) Certi quadri sono anche una musica per gli occhi. Le due arti si confondono insieme talvolta. La pastorale del Beethoven non fa l'impressione di un paesaggio dipinto

«Con un po' di buona volontà, ».

E sorrise. Questa volta portava un abito di colore azzurro cinereo, con sprone sul petto di seta chiara, lameggiata di oro, e collare della stessa stoffa; e sotto il cappellino di tulle nero con ricami gialli, i capelli arruffati su la fronte spiccavano con toni dorati piú ardenti, e gli occhi sembravano piú azzurri, piú limpidi, sorridenti come cieli di primavera.

Com'è dunque che io potei dirle il giorno dopo - il giorno dopo, perché da prima riparlammo del quadro veduto insieme - com'è che potei dirle:

«Voi siete di ghiaccio. Avete nel cuore le nevi della vostra Russia. Perché mi fate soffrire? Perché non mi dite una parola di speranza

«Perché certe parole non si dicono mai; s'indovinano».

Ebbi un sussulto, e le presi la mano inanellata. Non me la concedette, ma non la ritirò... Questa indifferenza m'impedí di baciargliela. Guardai il serpentello col dorso punteggiato di rubini.

«È un simbolodomandai.

«Forse. Un'ammonizione, certamente: abbi prudenza!» Che fascino nella voce e nello sguardo!

«Lasciatevi adorareesclamai.

«Non posso vietarlo».

«Che sarò per voi?»

«Chi lo sa

«Ci siamo incontrati invano

«Può darsi».

«Per me, no!»

«Si dicono tante cose senza aver coscienza di dire una falsità

Tremavo, intimidito dal suo sguardo glaciale, con un senso di ribellione e di furore in fondo al petto. Cosí devono tremare i leoni e le tigri sotto il fascino della domatrice che li percuote con lo scudiscio e li fa rannicchiare in un angolo della gabbia di ferro.

«Sentite! - esclamai. - Mi avete attratto da lontano, per via di una forza misteriosa. Non pensavo affatto di venire qui. Un impulso improvviso mi suggerí: "Va' a Firenze!" E sono venuto e vi ho veduta lo stesso giorno del mio arrivo, quasi fossi accorso apposta per voi. Sono rimasto qui unicamente per voi... Rompete l'incanto; liberatemi! Siete una maga

L'amavo e la odiavo. Mi sentivo in piena balia di costei, e n'ero felice e avevo paura...

Ma è vero che io abbia avuto quest'altra conversazione con lei?... In certi momenti mi sembra che io sia soltanto rimasto lunghe ore nella camera del mio albergo a fantasticare questi incontri, queste conversazioni, compiacendomi di creare le avventure di un romanzo possibile, dopo che il portoncino di via Enrico Poggi si era chiuso dietro a lei, ed ella era sparita e non avevo potuto rivederla. Non è incredibile? Eppure è cosí. Ma il resto? Sono dunque vissuto nove mesi in continuo sogno, in continua allucinazione?... Se sapeste quel che provo qui alla fronte, e alla tempia! Una stretta, fiere trafitture!... Non sono già pazzo, dottore?... Ditemelo... No; me lo direte all'ultimo, e tenterete di guarirmi... O mi ammazzerò... Non può durare a questo modo!

Non dovrei dubitare; è assurdo. Si possono fantasticare alcuni fatti, intensamente, secondo il desiderio dell'istante, pensando: «Oh, se avvenisse cosí e cosí!» e credere per un momento che il desiderio vivissimo si fosse mutato in realtà... Crederlo a lungo però, agire in conseguenza dell'avvenimento fantasticato e goderne e soffrirne e sentirne cosí sconvolta la vita, quasi tra esso e la realtà non ci fosse stato intervallocontraddizione... è anche piú assurdo!

Non posso sospettare che io non l'abbia riveduta alle Cascine, in carrozza, con un bell'uomo che le parlava calorosamente, gesticolando, ridendo... Che cosa le raccontava? Ella stava ad ascoltarlo quasi sdraiata, con la faccia rivolta verso di lui, stupita di quel che udiva; si scorgeva dagli occhi intenti e dai lievi accenni del capo. Si fermarono un minuto davanti al monumento del principe indiano; e fu cosí che io potei osservarla bene e notare che il pallore del mio volto e il fosco lampeggiare dei miei sguardi avevano attirato la sua attenzione. Perché anche questa volta ella finse di non riconoscermi? Perché anche questa volta io secondai la sua finzione? La vidi sparire allo svolto del viale; avevo la morte nel cuore. Chi era colui? Il marito o un amante? Dissi subito, risoluto: «Dovrà confessarmelo».

Se io non mi fossi riconosciuto in diritto di domandarglielo, se io non avessi avuto la certezza che avrei potuto domandarglielo, avrei mai pensato: «Dovrà confessarmelo»?

Intanto perché spesso mi nasce il dubbio se io sia andato quello stesso giorno in via Enrico Poggi? Ci sono andato, questo è certo; ma ho proprio suonato il campanello del portoncino? Sono stato ricevuto da lei? O la mia immaginazione ha creato il dialogo, che pure rammento parola per parola, tanto da riudire oggi la mia voce e quella di lei con le piú minute particolarità di accento e di gesti? Si può giungere a questo estremo d'illusione?

Appena mi vide entrare ella fece una mossa di sorpresa... Non ero piú capace di contenermi; quella sua mossa però m'impose di forzarmi ad essere calmo.

«Mi permetterete un'indiscrezione» dissi.

«Chi era colui?... Ho indovinato».

«Non siete maga per nulla. , chi era colui?»

«Un mio concittadino, di Pietroburgo».

«Nient'altro?»

«In ogni caso, è un segreto che mi riguarda».

«Non vedete dunque che io fremo... di gelosia

«Avete torto. Soltanto il possesso di una donna può giustificare in qualche modo la gelosia. Bisogna essere barbari per essere gelosi. La creatura umana non può appartenere a nessuno: è libera. Esser gelosi significa esser padroni assoluti di un cuore, di un'anima. È bestiale... scusate la cruda parola».

«E impossessarsi violentemente di un cuore, di un'anima, maltrattarli, torturarli come lo chiamate

«Io rispetto il diritto degli altri quanto il mio. Ho fatto forse qualche cosa per sedurvi? Due mesi fa ignoravo fin la vostra esistenza».

«Voi sapete già quel che ha operato la vostra bellezza».

«Me lo avete detto voi; non ho obbligo di credervi, perché non ho la possibilità di accertarmi se dite la verità o se mentite per raggiungere uno scopo qualsiasi».

«Che cosa debbo fare per essere creduto

«Niente. Non c'è modo di arrivare alla certezza».

«Siete cosí scettica

«Cosí ragionevole intendete dire».

«Mi avete messo l'inferno nell'anima

«Ci sono degli esorcismi, affermano i popi, per debellare l'inferno».

La vedevo in nuovo aspetto. Sul bellissimo viso tremolava un'espressione di crudeltà, di maligna ferocia, di spietata raffinatezza nel godere del tormento altrui. I ceruli occhi limpidissimi sembravano intorbidati da improvviso rimescolamento fangoso. Ai lati delle rosee labbra apparivano due pieghettine lievi ma rigide che davano alla fisonomia il carattere ripugnante di una maschera.

Rimasi a guardarla, interdetto. La trasfigurazione durò un baleno. Sorrise, mi stese una mano e soggiunse:

«Siete un bambino

Non avevo forza di risponderle.

«Voglio essere credutoesclamai.

«Voglio la lunarispose, contraffacendo il mio accento.

«Che cosa debbo fare?»

«Continuate ad amarmi! È assai lusinghiero per una donna».

«Oh, Kitty

Era la prima volta che la chiamavo per nome, e mi parve di rivelarle cosí l'immenso amor mio, come non avevo saputo mai fare fino a quel giorno. Sorrise nuovamente; ma tosto che feci atto di voler baciarle le mani, si rizzò in piedi, severa. Mi par di vederla qui, davanti a me, con le mani vietanti, col gesto di congedamento...

Dovrei dubitare? No, no!... Per qual ragione avrei inventato questo significativo dialogo? Non una ma cento volte l'ho ripensato, senza mutarvi neppure una sillaba; e non una ma cento volte alla convinzione della realtà del fatto son seguiti sempre quel senso di perplessità, di incertezza, quella sensazione ineffabilmente dolorosa che mi stringe la fronte con un cerchio di ferro, che mi conficca due chiodi qui alle tempia...

Credete voi alla malia? Io . Credo che l'uomo possa acquistare, per via d'iniziazione, un quasi illimitato potere su la natura e sui suoi simili; benefico e malefico; malefico piú spesso, sventuratamente... Avete letto il recente romanzo dell'Huysmans, Au de . Non è un romanzo come gli altri; è storia antica e contemporanea nello stesso punto... Oh! La mia fede nella magia non proviene soltanto da quel libro. I giornali francesi, mesi fa, hanno parlato a lungo dell'atroce vendetta di uno di questi maghi contro un infelice che era incorso nell'ira di colui, prete, a quel che dicevano... Fate tacere per un momento i vostri pregiudizi scientifici, riflettete intorno al mio caso. Io ero a Napoli, tranquillo, spensierato... e mi sento consigliare, mi sento anzi ordinare, non è eccessiva la parola: «Va' a Firenze!» Quella spiegazione che mi davo poco fa, la malia della melodiosa voce udita per caso nell'Acquario, è insufficiente. Mi si è presentata discorrendo, ed ho voluto manifestarvela, perché debbo dirvi tutto quel che può aiutarvi nella diagnosi del mio male... Ma la vera spiegazione è ; ne ho avuto coscienza sin dal giorno in cui dissi a Kitty: «Rompete l'incanto! Liberatemi!» Il mistero però non si schiarisce. Perché ella ha scelto me per sua vittima? Me ignoto a lei, lontano, che non posso averle fatto niente di male?... Glien'ho fatto poi... sono stato inesorabile, se è vero che... Giudicherete... Procediamo intanto ordinatamente, finché mi riesce.

In poco piú di tre mesi, la mia passione era giunta al parossismo. La resistenza che colei mi opponeva, le scarse concessioni che si degnava di farmi, seguite subito da altre e piú vive resistenze, mi tenevano in uno stato di eccitazione di cui non può farsi nessuna idea chi non ha amato a quel modo. E la gelosia era sopravvenuta a metter legna al fuoco che mi divampava nel cuore, terribile! Ella aveva detto: «In ogni caso, è un segreto che mi appartiene». Dunque avevo indovinato! Qual altro genere di segreti poteva mai esistere tra lei e quel giovane veduto in carrozza con lei alle Cascine? Avevo farneticato una settimana: cercarlo, domandargli impertinentemente: «Siete suo amanteInsultarlo, sfidarlo... E avevo insistito presso Kitty... Mi aveva risposto ridendo.

«Ah, non ridete, per carità!» le avevo detto supplicandola a mani giunte.

Si era fatta seria tutt'a un tratto:

«Io non metto la mia libertà alla mercè di nessuno! Con qual diritto pretendete di strapparmi una confessione, ammesso che ne abbia una da farvi?»

«Vi amo

«Non è una ragione per me».

«Mi avete detto: "Continuate ad amarmi!"»

«Visto che vi fa piacere

«Che cosa sono dunque per voi?»

«Uno che dice di amarmi».

«Nient'altro?»

«Anche questo è un segreto che mi appartiene. Può arrivare un giorno, un momento che stimerò opportuno di rivelarvelo».

«Come siete crudele

«Sincera piuttosto».

E mentre ella pronunziava queste brevi risposte, mi fissava con gli occhi cerulei, limpidissimi, che però mi turbavano profondamente quasi rafforzassero l'opera della sua malia. Quel giorno sembrava proprio una maga, con quella scura vestaglia trasparente su fodera di seta gialla e con pizzi neri che le coprivano le mani e facevano risaltare gli anelli delle dita e i braccialetti ai polsi, di foggia stranissima, quasi rami attorti, di simboliche piante - immaginavo - con foglioline di smeraldi.

Non erano state incoraggianti, subdolamente incoraggianti le sue parole?... Allora io le domandai:

«Lo avete riveduto

«È stato qui mezz'ora fa».

«Volete farmi la grazia di promettermi...»

«Che non lo rivedrò piú?... E se lo amassi

Mi avesse detto effettivamente lo amo, non avrei potuto sentirmi trafiggere con maggiore strazio. Impallidii, mi parve di morire! Ebbe pietà di me in quel punto? Mentí per confortarmi?

«Non l'amo, no!... Siete contento

Scattai con tale impeto ch'ella non fece in tempo per impedirmi di prenderle una mano e di coprirgliela di baci. Dio mio! Com'era fredda quella mano! Infatti pareva esangue, tanto era bianca, senza traccia di vene sotto la pelle fina e lucente. Ho vivissimo il ricordo di questa sensazione di cosa ghiaccia... Non è un'aberrazione della mia fantasia... Eppure sono arrivato a dubitare anche di essa. Perché? Ecco: rammento di averla incontrata un giorno nei giardini di Pitti con le sue due amiche dell'altra volta. Mi passò davanti senza guardarmi, e levava appunto in alto una mano per indicare non so che cosa; ed io, vedendo quella mano cosí bianca che pareva esangue, pensai cosí: «Dev'essere fredda come il ghiaccio!...» Se l'avessi realmente baciata, avrei pensato: «È fredda come il ghiaccio!» Avrei ricordato la impressione ricevuta...

Ah, se poteste sentire che male mi produce questo cerchio qui! Se poteste sentire come mi si conficcano piú addentro i chiodi delle tempie!... Vorrei non poter pensare! Soltanto non pensando avrei un po' di requie!... Ma ci accostiamo alla fine. Sopporterò questa tortura; voi troverete un rimedio per addormentarmi il pensiero... C'è un rimedio? Ah!... Benissimo!

Vivevo di odio, di gelosia, di amore sfrenato... Avrei voluto fuggire lontano, ma non potevo. Restavo per lunghissime ore nella camera del mio albergo; mi aggiravo per Piazza dell'Indipendenza passavo e ripassavo davanti al fatale portoncino di via Enrico Poggi senza osare di stendere la mano al campanello, quasi quel portoncino non fosse mai stato aperto per lasciarmi entrare, e con l'angoscia che forse non si sarebbe aperto mai, mai per me! Non è strano che mi torturassi per questo, se ormai bastava che stendessi la mano al campanello per venire introdotto nel salottino azzurro, varcando l'andito coi busti, coi vasi di spetriste e di cactus, e in fondo, la vetrata medievale con vetri a colori?

Passavo e ripassavo, sconvolto dal sospetto:

«In questo momento forse egli è !... Forse la stringe tra le braccia! Forse ella si abbandona a lui, follemente! O, forse lo fa soffrire al pari di me, assaporando il maligno godimento della sua potenza di nuocere...!»

Suonai violentemente. Il campanello ondulò a lungo per l'andito, mentre io mi pentivo di essermi annunziato a quel modo; e il ritardo del servitore che doveva venir ad aprire mi faceva imaginare che ella avesse ordinato di fingere che nessuno era in casa. Invece ella mi accolse con aria lieta.

«Oh!... E venite qui cosí fosco

«L'unico mezzo di farmi accorrere raggiante di felicità, voi lo sapete, è in mano vostra».

«Non posso adoperarlo. Una fatalità mi perseguita...»

«Siete voi, voi, la terribile fatalità

«È vero! E non so piú attristarmene, né commovermene. Contro l'ineluttabile non si combatte».

La sua fisonomia aveva mutato espressione; la qual cosa mi faceva pensare che l'aria lieta con cui ella mi aveva accolto non fosse stata sincera.

«Eravate... sola

«Sola... coi miei pensieri, come dicono i personaggi di certi drammi».

Voleva riapparir gaia... E anche questo mi mise in sospetto. Guardavo attorno, se mai scoprissi nel salotto un indizio di disordine, nelle seggiole, nelle poltrone, non potuto riparare per la fretta... Niente!

«Che cercate con quegli occhi gelosi? Il vostro preteso rivale?» E, dopo una breve pausa, soggiunse: «Si è ucciso ieri; per me, ha lasciato scritto. Che pazzia!... Voi non ne commettereste una simile...»

«Forse!...» risposi cupamente.

E la lasciai. Mi era parsa coperta dal sangue del misero che si era ucciso per lei. E non aveva nell'accento nessun fremito di compassione! Non una lagrima negli occhi azzurri limpidi, impassibili! Che terribile creatura era ella dunque? Aveva bisogno di sangue umano per le sue orrende incantagioni?

«Forse!» mi era sfuggito.

Ma sentivo che mi spingeva furiosamente verso l'abisso, verso la morte. Chi sa di quanti altri disastri era colpevole!... Ed io non volevo morire! Amarla, possederla volevo, sentirla tremare sotto la forza della mia volontà, domarla... annullarla, volevo!

Annullarla! Per parecchi giorni fui sotto l'ossessione di questa idea! Vendicare gli altri e me, impedirle di esercitare sopra nuove innocenti creature la sua malefica influenza! Nello stesso tempo, mi sembrava di compire un gran sacrilegio attentando soltanto col pensiero alla sua perfetta bellezza. Chi ero io da pretendere di essere riamato da lei? Non era anche troppo ch'ella mi avesse permesso di continuare ad amarla e di ripeterglielo quante volte mi fosse piaciuto? «Può arrivare un giorno, un momento!...» Non significava: «Sperate

Cercai nei giornali la notizia di quel suicidio; nessuno ne faceva cenno. Aveva ella mentito?... Riflettei che non mi aveva detto che colui si fosse ammazzato a Firenze o in qualche altra città italiana. Era tornato, probabilmente a Pietroburgo, lusingandosi di sfuggire al letale potere di lei... Ma inutilmente! Ella aveva reciso il filo di quella vita come una inesorabile parca, da lontano!... Neppure io avrei potuto evitarla, se tardavo ancora, se non mi decidevo... E mi decisi, una notte, dopo lungo dibattermi tra le smanie dell'insonnia e della passione che piú non distinguevo se fosse amore o odio, o l'uno e l'altro insieme. E mi immersi subito in un sonno cosí profondo da impensierire le persone dell'albergo. Quando risolsero di accertarsi se stavo male, erano le due pomeridiane.

Mi sentivo calmo, e non me ne maravigliavo. Il mio primo pensiero, appena scosso dalla voce del cameriere, era stato: «Annullarla

Certamente il mio spirito aveva continuato durante il sonno l'intenso lavorio della giornata precedente, e aveva maturato e rafforzato la mia decisione.

Io non so qual uso voi farete della rivelazione che sto per farvi. Se la vostra professione di dottore v'impone dei doveri, adempiteli senza esitare. Ho preveduto questo caso. Qualunque cosa sia per accadere, non potrà mai raggiungere quel che dovrei continuare a soffrire tacendo...

Notate: ho la visione netta, evidentissima della terribile scena, come se fosse accaduta poche ore fa. Ciò non ostante... Oh! È spaventevole, dottore!

Aveva ella qualche tristo presentimento? Non si sedette accanto a me al solito posto, ma dietro al tavolino con la scusa di accendere una sigaretta. Io rifiutai quella che mi era stata offerta, sottilissima, troppo profumata pel mio gusto. «Non dite nulla? Che guardate? Questo spillone

«Sembra un pugnaletto».

«È un ornamento femminile di certe regioni del Caucaso

«D'argento

«Di acciaio, e ben temprato».

Tirò due o tre boccate di fumo, socchiudendo gli occhi deliziata, poi soggiunse:

«Vi do una notizia che vi farà gran piacere».

«Finalmente!»

«Non quella che voi imaginate. Parto». Balzai in piedi, sbarrando gli occhi.

«Non è verobalbettai.

«Poiché ve lo dico

«E io?...»

Ogni possibilità mi era passata per la mente all'infuori di questa ch'ella partisse, che si sottraesse cosí alla mia vendetta!... Credetti che me lo annunziasse quasi ad irrisione, per sfida, mentre io non avrei potuto mai levarmi di addosso il funesto dominio del suo filtro, del suo misterioso potere, che forse avrebbe operato piú terribilmente da lontano... Infatti, se ella mi avesse detto in quel momento, invece di: «Parto!» «Domani non spunterà piú il sole, tutto rimarrà sepolto in tenebra eterna!...» anche credendole, ne sarei stato assai meno atterrito.

«E io? Io?...» replicai.

«Che volete che ne sappia? Farete quel che vi piacerà... Mi dimenticherete, innanzi tutto».

«Fatemi prima dimenticare! Datemi qualche vostra magica bevanda di oblio

«Si dimentica cosí facilmente

«Non quando si ama come io vi amo! Neppure in questo momento mi credete? E mi vedete agonizzare

Parlavo a stento, ansavo; sentivo gorgogliarmi nel petto un rantolo di morte; gli occhi mi si erano annebbiati, un lentore mi invadeva. Dovetti appoggiarmi al tavolinetto per non cadere.

«Ho visto uno dei vostri grandi attori fare qualche cosa di simile. Siete inarrivabili voialtri italiani nella espressione di certi stati d'animo».

Era come dirmi: «CommedianteAfferrai lo spillone, lo brandii minacciosamente.

«Bravo! - esclamò - Ferite

E si rizzò e mi offerse il seno coperto di trine.

Ebbi la forza di sorridere, di rispondere con profonda dissimulazione

«Sapete bene che non posso!... Ah, Kitty

«Non mi amate fino al delitto? Misero amore, il vostro!» Mi provocava, mi aizzava... Era proprio sicura che non avrei potuto colpirla? Con una mano si tolse la sigaretta di bocca, esalò lentamente con voluttuosissimo godimento il fumo dalle labbra ristrette e dalle rosee narici, e aperse le braccia, ripetendo:

«Ferite

«, è vero - dissi -. Se vi amassi in modo estremo...» Mi accostai, scartai con una mano la trina, appuntai lo spillone in direzione del cuore...

«... farei... cosí

Lo spillone era penetrato senza nessuna resistenza fino alla capocchia...

Non diè un grido... Travolse gli occhi e mi si rovesciò addosso, con un lieve sussulto per tutto il corpo. Che cosa io abbia fatto dopo non so. Ricordo soltanto che passai la nottata presso San Domenico su la strada di Fiesole, seduto su un muricciolo, e che la luna inondava la campagna col suo pieno lume sereno, e che i grilli zirlavano? tra le erbe dei prati attorno e che un cane abbaiava, a intervalli, lontano.

Ricordo che, a giorno alto, tornai a Firenze e che dovetti mettermi a letto con la febbre... Volli leggere i giornali... E vidi con stupore che nessuno di essi parlava dell'assassinio della bella signora russa in via Enrico Poggi. Tre giorni dopo, non interamente guarito, mi levai da letto, e mi feci condurre colà da un fiacchere, senza dare indicazione precisa... La via era silenziosa, come al solito; tutti i portoncini chiusi; tutte le persiane delle finestre o chiuse o socchiuse... Nessun indizio che in quella via, in quella nota casa fosse avvenuta qualche cosa di straordinario.

Sapevo che gli assassini sentono una irresistibile attrazione verso i luoghi dov'essi hanno commesso un delitto, e pensavo: «È vero! È vero!» giacché un vivo impulso mi dominava, un'imperativo suggerimento mi diceva:

«Scendi dal legno!... Domanda a qualcuno... Saprai!» E il terrore che mi invadeva non era quello di ottenere la certezza del mio delitto, ma l'opposto.

Suonai replicatamente al portoncino. Nessuno venne ad aprirmi.

Una donna che usciva dalla casa accanto si fermò a guardarmi esitante, poi mi disse:

«Sa? Non c'è nessuno».

«Abitava qui... una signora...»

«È partita, da un pezzo. L'appartamento è sfitto».

«Da un pezzodomandai stupito.

«Eh! Da tre settimane, almeno».

Mi sentii dare un tuffo al sangue... E da quell'istante ho questo cerchio, qui, attorno alla fronte, e questi chiodi confitti nelle tempie...

Com'era possibile! Non l'avevo uccisa giorni addietro? Partita da tre settimane!... O dunque? In che modo io sono vissuto questi ultimi due mesi? In che modo tutto quel che vi ho narrato si è andato formando nella mia mente con la suprema evidenza della realtà? Io la ho vista... le ho parlato, ho udito la sua voce. È certo che ella abitava colà, in quel villino di via Enrico Poggi. È certo che io sono stato piú volte in quel salottino azzurro... Visitai la casa, col pretesto di prenderla in affitto... Non c'erano piú i mobili, niente; le nude pareti... E c'era tuttavia il suo profumo, il profumo acutissimo di quelle sue sigarette... Se non fossi stato colà altre volte, avrei potuto riconoscerlo?

Il guasto è qui, nel mio cervello... Dottore, liberatemi da questo cerchio alla fronte!... Strappatemi questi chiodi dalle tempie!... Non voglio impazzire!... È orribile!... Se non è morta, se ha potuto sopravvivere al colpo dello spillone conficcatole nel seno... è lei, la maga, che continua a tormentarmi!... Non crollate la testa... È lei!... Che male le ho fatto? L'amavo!... Oh! Immensamente!...

 

 


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