Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO III

COSCIENZE

V L'ANELLO SMARRITO

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V

 

L'ANELLO SMARRITO

 

La lite durava da anni.

Quel pero piantato sul ciglione e che spandeva i rami metà sul fondo del Liscari, metà su quello di don Tano il Sordo - non lo chiamavano altrimenti - non valeva neppure la trentesima parte dei quattrini che costavano le doppie querele, riprese ogni anno in settembre e non discussedecise mai. Il vecchio Liscari era testardo peggio di un mulo.

- Vi rovinate per quattro pere fradice!

- Non per le pere, ma pel mio diritto! La stessa risposta dava don Tano il Sordo agli amici che lo ammonivano:

- Lasciate andare! Per quattro pere fradice! -

Il bello era che ogni anno il pretore, recandosi sul posto coi periti, faceva cogliere dall'usciere quel centinaio di pere già mature, col pretesto di poi renderle a colui che avrebbe vinto la lite, e se le faceva portare a casa, certo ormai che nessuno dei due litiganti sarebbe andato a reclamarle. Infatti; appena le pere venivano tolte via dall'albero, i querelanti si acchetavano, non pensavano piú a spingere avanti la lite, e il pretore, per compassione di non fare andare a male la bella frutta se la mangiava in famiglia, un po' alla salute del Liscari un po' a quella di don Tano il Sordo. E l'anno appresso, daccapo.

- Questa volta dobbiamo finirla, signor pretore!

- Non domando di meglio.

- Cosí non può durare! - soggiungeva don Tano il Sordo, che era sordo solamente quando gli tornava comodo.

- Intanto faremo al solito; metteremo le frutta a infradiciare tra i reperti in cancelleria.

- Non me n'importa niente! - rispondeva il vecchio Liscari.

- E neppure a me! - replicava don Tano.

Lo sapevan bene dove invece andavano a infradiciare le loro magnifiche pere, ma non voleva dir nulla. Purché non se le godesse nessuno di loro due!

Ogni anno il pretore cambiava i periti, che non si trovavano mai di accordo. Il pero, secondo uno apparteneva al Liscari, secondo l'altro a don Tano il Sordo. E siccome non c'era da fare tutti gli anni una nuova scelta, cosí accadeva che il perito favorevole al Liscari due anni avanti, si trovava favorevole a don Tano il Sordo due anni dopo.

Il povero pretore non si raccapezzava; e non volendo far di sua testa e dare una sentenza purché fosse, lasciava correre; portava via le pere che di anno in anno riuscivano piú grosse, piú squisite; e visto che i due litiganti, tolta di mezzo la cagione della contesa, non si facevano vivi, ordinava al cancelliere di liquidare le spese.

Il vecchio Liscari pagava zitto zitto la sua metà, don Tano il Sordo, brontolando un po', l'altra metà, e fino al nuovo settembre non se ne ragionava piú.

La ruppe don Tano, che questa volta fece il sordo sul serio e fu piú mulo del Liscari; volle la sentenza, a ogni costo.

Sia che il pretore fosse seccato di vedersi sparire per cagione del sordaccio il beneficio di quella bella frutta a cui si era abituato - le cose gratis piacciono a tutti! - sia che si fosse convinto realmente del buon diritto del Liscari, il cui avvocato aveva sbraitato la difesa con grande sfoggio di fiori di eloquenza forense e di forti pugni sul tavolino, mentre l'avvocato di don Tano si era limitato ad esporre tranquillamente le ragioni del cliente, «ferendo - come si era espresso - nel tallone l'Achille degli argomenti del suo illustre avversario» sia infine perché habent sua sidera lites, e un pretore non è infallibile, neppur quando ha la maggior buona volontà di riuscire imparziale, fatto sta che don Tano il Sordo si sentí cascare tra capo e collo la sentenza che non si aspettava, cosí convinto egli era del suo buon diritto, ed ebbe la mortificazione di vedere il vecchio Liscari stropicciarsi le mani dalla contentezza, e di udirgli gridare in piena udienza un sonoro: - Grazie, signor pretore! -

Se non che il Liscari ebbe il torto di soggiungere, terminata l'udienza.

- E le pere sono sempre a sua disposizione, signor pretore.

- Tenetevele, non so che farmene! - rispose quegli dando un'occhiataccia al vecchio imprudente.

Ma bastò questo perché don Tano che, se non era sordo addirittura, era però sospettoso e maligno, si figurasse che il vecchio Liscari avesse comprato la giustizia. E perciò non si trattenne dell'esclamare:

- C'è il tribunale che potrà stracciare questa sentenza.

- C'è la gran corte che potrà stracciare, in tutti i casi, la sentenza del tribunale! - rispose il vecchio, ridendo ironicamente.

- C'è pure la cassazione che porta il nome con sé! - replicò don Tano, crollando la testa minacciando.

- Eh via! Incomodare per un pero tribunale gran corte e cassazione! - entrò a dire il pretore che aveva l'acquolina in bocca al solo rammentare le deliziosissime pere.

- Scegliete un arbitro... uno dei giudici del tribunale, per esempio, che non può essere sospettato di parzialità; non conosce nessuno di voi due. Che ne dite?

- Per me! - fece il vecchio Liscari, sicuro della vittoria.

- Per me! - rispose, come l'eco, don Tano, pensando che questa volta non sarebbe stato tanto sciocco da lasciar manovrare il vecchio Liscari, visto che anche la giustizia era divenuta merce da vendere e comprare a questi lumi di luna.

Il pretore fu lietissimo di vedere accolta la sua proposta, e disse il nome del giudice di tribunale che, secondo lui, avrebbe assunto volentieri l'incarico di definire da arbitro la lite. Poi soggiunse:

- Quest'anno, dividerete le pere metà per uno.

- Ora il signor pretore può accettare, senza scrupoli la mia parte - disse il vecchio Liscari.

- E anche la mia -.

Il sordo non aveva voluto mostrarsi meno generoso. Il pretore non rispose né no; si strinse nelle spalle, rassegnato.

 

Avvenne un'altra interessante gara di cortesia all'arrivo del giudice di tribunale che aveva, con qualche difficoltà, accettato l'incarico. Quell'uomo alto, allampanato, con gli occhi mezzi spenti dietro gli occhiali a capestro, e le fedine grigie che sembrava gli stringessero il viso e gli allungassero il mento, non fece un'impressione rassicurante al vecchio Liscari quando costui scese dalla vettura corriera davanti alla posta. Egli aveva condotto con sé due periti. E siccome si trattava che arbitro e periti dovevano passare quasi tutta la giornata in campagna per studiare il caso in quistione, il Liscari si affrettò a proporre:

- Mi faranno l'onore di un po' di penitenza nella mia rustica casetta.

- A questo ho già pensato io - disse don Tano. - Non occorre che v'incomodiate.

- Per non far torto a nessuno dei due, colazione da lei e desinare da lei, o viceversa - decise il giudice rivolto ai due litiganti -.

E la sera li ricevette all'albergo, uno dopo l'altro, perché gli esponessero le loro ragioni.

Vistosi a quattr'occhi, il Liscari si era permesso di accennare, velatamente, alla sua vivissima gratitudine, se la sentenza arbitrale fosse riuscita una conferma della sentenza del pretore.

- Che intendete di dire? -

Il giudice si era inalberato dignitosamente, e non lo avea lasciato proseguire. Il vecchio cercando di scusarsi, si era impappinato, aveva fatto peggio, e per poco il giudice, indignato, non lo aveva messo alla porta.

Don Tano il Sordo venuto col suo bel disegno in testa ruminato da piú giorni, dalle prime parole del magistrato e piú dall'aria arcigna di esso, capí che il Liscari aveva tentato malaccortamente un colpo, e che non gli era riuscito, stando almeno alle apparenze. Si tenne su la sua, si dichiarò fiduciosissimo nell'imparzialità di colui che li avea onorati di accettare l'incarico del giudizio arbitrale; solamente aggiunse con molta umiltà:

-  Domani, per la colazione, il signor giudice dovrà rassegnarsi a mangiar male da me. Si rifarà col pranzo del mio avversario -.

Il sordo sornione, invece, si era fatto apprestare non una colazione, ma un pranzo addirittura dal cuoco della marchesa Motta benignatasi di mettere a disposizione di lui cuoco e cucina. Il vecchio Liscari non si sarebbe mai immaginato questa botta da maestro!

Sul luogo, davanti al pero, il giudice per dimostrare la sua imparzialità, fece le viste quasi di non accorgersi della presenza dei due litiganti. Li pregò, anzi, con poco garbo, di tenersi da parte mentre egli e i due periti avrebbero fatte le loro osservazioni. I due avversari, allontanatisi e fermatisi un po' a guardarsi in cagnesco, col pretesto di badare l'uno alla colazione e l'altro al pranzo, andati alle rispettive case rustiche si erano affacciati alle finestre per sorvegliare e spiare le mosse del giudice e dei periti, e all'ultimo si erano maravigliati di vederli chinati a cercare qualche cosa per terra tra le erbe e i cespugli. Erano accorsi tutte e due spinti dalla stessa curiosità.

- Il signor giudice ha smarrito un anello - spiegò uno dei periti.

L'altro si ostinava a ripetere:

- Forse l'ha dimenticato a casa; io non gliel'ho visto al dito.

- L'avevo al dito un'ora fa; lo ricordo benissimo. Non mi dispiace tanto pel valore, quanto perché era un carissimo ricordo... Cerchiamo bene; si ritroverà, dovrà ritrovarsi -.

E il giudice, afflittissimo, tornava a rovistare tra i cespugli, ora sul ciglione ora sotto.

Si misero a frugare anche il vecchio Liscari e don Tano, augurandosi ognuno di essere il fortunato rinvenitore dell'anello smarrito, per farsene un merito...

- Non si sa mai: certe piccole circostanze - pensavano tutte e due - decidono talvolta grandi quistioni -.

Tutte le ricerche furono inutili. E quando essi smisero di rovistare e frugare, quel perito tornava a ripetere la sua fissazione;

- Vedrà: l'ha dimenticato all'albergo o a casa sua; io non gliel'ho visto al dito, potrei giurarlo.

 

La sentenza arbitrale stracciò quella del pretore e diè ragione a don Tano il Sordo.

- Siete contento? - gli disse il pretore - Ne sono contento anch'io, quantunque essa mi abbia dato torto. Un giudice di tribunale ha piú lumi che non un pretoruccio mio pari. Ora piú non sospetterete del magistrato... Non me ne lagno; ai litiganti che perdono è permesso qualunque sfogo... So quel che avete detto... Non me ne lagno, vi ripeto. E ora giacché siamo su questo discorso, voglio farvi una confidenza. Quel vecchio imbecille del Liscari o non s'era figurato di poter corrompere l'integrità dell'arbitro?... Ebbe la sfrontataggine, , ... E il giudice dovette contenersi per non fargli ruzzolare le scale! Persuadetevene, caro don Tano, la giustizia non si vende. Il magistrato alza la bilancia e dove il piatto trabocca... trabocca!

- Precisamente! - rispose don Tano, con un equivoco sorriso su le labbra. - Precisamente! Poteva confessare al pretore quel ch'egli aveva fatto? La sera di quel giorno, arrivato a casa, don Tano era stato illuminato di un lampo di genio. Aveva preso uno dei piú belli anelli, con diamante, da lui posseduti, e si era sfrontatamente presentato dal giudice, all'albergo.

- Ecco l'anello smarrito. L'ha ritrovato, fortunatamente, uno dei miei contadini.

- Grazie! - aveva risposto il giudice mettendoselo al dito. - Non mi dispiaceva tanto pel valore, quanto perché l'anello era un carissimo ricordo. Mille grazie, don Tano -.

E quel brav'uomo del pretore che voleva dargli a intendere: - Il magistrato alza la bilancia e dove il piatto trabocca trabocca! -

Secondo don Tano, tra i magistrati ce n'è sempre qualcuno che ha smarrito un anello; nessuno può piú levarglielo di testa.


 

 

 


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