IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
All'egregio Direttore della «Gazzetta Provinciale»
Io mi chiamo Alfredo Rocca non «Rocco», come si ostina a scrivere il suo corrispondente o a stampare il suo proto, giacché non so chi dei due sia il maligno che si compiace di alterare il mio cognome con tanto accanimento da un mese in qua.
Riguardo ai fatti, scusi, la colpa è un po' sua. Pur d'avere una colonna di materiale per la «Gazzetta», ella non bada se si calunni o no un galantuomo sciorinando in pubblico circostanze di vita intima che dovrebbero essere religiosamente rispettate.
Lei mi dirà: «Oggidí si fruga impunemente nelle famiglie degli imperatori, dei re, dei principi, mettendo in piazza scandali di ogni genere; figuriamoci se non sia permesso di ficcare lo sguardo indiscreto nella casa di un semplice individuo che non ha nessun titolo, neppur quello di cavaliere!»
«Sta bene! Cioè, sta male, malissimo» dovrei rispondere; ma lasciamo andare!
Quegli alti personaggi seggono troppo in vista; le indiscrezioni vengono giustificate dalla loro posizione sociale; ed essi possono infischiarsi di quel che si dice o non si dice dagli sfaccendati che spendono il tempo a chiacchierare intorno ai fatti altrui, non sapendo in qual modo impiegarlo altrimenti.
Io, che non sono neppur cavaliere, vorrei però godere il beneficio della mia nullità, vivere tranquillo, ignorato!... Nossignore. Ecco un imbecille di corrispondente che, non avendo un re, un principe, una principessa sotto mano, afferra un galantuomo e lo dà in pascolo ai lettori di una gazzetta, felicissimo di farli ridere alle spalle del malcapitato. Le sembra giusto? Le sembra onesto? Eppure lei si è fatto complice di quest'infamia, pubblicando: Ci scrivono da Brusca! Ma, prima, ella avrebbe dovuto domandarsi: «È vero o non è vero quel che mi scrivono da Brusca?» Nossignore. Panfete! Ella consegna al proto lo scritto e se ne lava le mani. Non so precisamente se se le sia lavate, accorgendosi di aver toccato una cosa sporca; forse, no. Mettiamo pure che se le sia lavate, come Pilato. Io non sono per questo meno martoriato del Cristo. Mi son visto legato alla colonna e flagellato; ed io, zitto! Mi son visto esposto al pubblico, col cencio rosso su le spalle, con la corona di spine in testa e col ludibrio di una canna invece di scettro: «Ecce homo». Ed io, zitto! Mi son sentito conficcare i chiodi nelle mani e nei piedi, steso sul duro legno della croce; ed io, zitto! Sempre zitto!
Ma ora che ricevo il finale colpo di lancia al costato, egregio signor direttore, io, che non sono proprio il Cristo, perdo la pazienza, mi ribello e vengo a protestare sul mio stesso Calvario, per continuare la similitudine, su la sua «Gazzetta». Mi permetta dunque di dare a quell'imbecille di corrispondente la lezion che merita. Non la comunico in carta bollata, per mezzo di usciere, confidando nella cortesia e nella bontà di lei. In ogni caso, sarò sempre in tempo; resti avvisato.
Di che si mescola il suo corrispondente? Mettiamo pure, semplice ipotesi, che mia moglie - in un momento di debolezza femminile - abbia commesso il fallo che le si addebita! Giudice naturale, inappellabile, dovrei essere io, suo marito... Marito da cinque anni, non da tre come il suo corrispondente si è incaponito a sbagliare; ma, de minimis non curat prætor! Cinque anni di felicità domestica, rallegrati da due figli, un maschio e una femmina, e da un disgraziatissimo aborto, mi danno il diritto - seguito la ipotesi - di giudicare a modo mio quel che può essere accaduto nel santuario della mia famiglia. C'è stata profanazione? Sia. Ma se io non volessi accorgermene? È precisamente come se non ci fosse stata. E quando non me ne accorgo o fingo di non accorgermene io, gli estranei dovrebbero riflettere: «Giacché lui... etc.!» Ragionamento che non fa una grinza.
«Ma la suocera...!» scrive il corrispondente. Ah! Lei non conosce che terribile animale sia mia suocera. Pur d'infamare me, costei non guarda se infama peggio sua figlia. Lo so, essa pretende che io abbia spinto al mal passo quella buona creatura coi miei vizi, coi miei maltrattamenti, con la mia inqualificabile trascuranza. Mettiamo anche - per semplice ipotesi - che ciò sia vero. Sarebbe una scusa per una moglie onesta? Un'attenuante forse; e concedo troppo. E una mamma che conosce il suo dovere non cercherebbe simili attenuanti, quando si tratta della propria figlia; negherebbe, negherebbe arditamente, assolutamente. Le attenuanti, come mi insegna lei che è avvocato, sono una conferma bell'e buona! Da questo giudichi mia suocera!
Già, se lei la vedesse, se la sentisse strillare e sbraitare, costei non parla; strilla, sbraita ad ogni occasione, in ogni circostanza, sgranando gli occhiacci, agitando mani che sembrano granfie, Dio ne scampi! - lei esclamerebbe: «È una diavolessa!» Io, piú remittente di lei, la chiamo: strega. E mi basta. E il suo corrispondente ha la faccia tosta di scrivere: «quella gentile e affettuosa signora!» Egli mentisce, sapendo di mentire, come suol dirsi!
«Ma c'è il... terzo incomodo, l'amico intimo!» scrive il corrispondente. Se sia incomodo o no, dovrei saperlo io. Incomodo non è e non è mai stato, altrimenti lo avrei preso per le spalle e lo avrei messo fuori dell'uscio da un pezzo. Siamo amici d'infanzia, indivisibili. Io ho preso moglie, lui no. Che vuol farci? È rimasto scapolo impenitente, per le sue strambe idee intorno al matrimonio e alle donne, idee che non sono riuscite a convincermi in tant'anni, pur sentendogliele ripetere ogni giorno. L'amicizia, la vera amicizia è fatta di tolleranza reciproca. Io l'ho lasciato pensare e agire a verso suo; e quando gli annunciai la mia risoluzione: «Prendo moglie!» il mio carissimo amico non fiatò per tentare di dissuadermi. Mi rispose soltanto: «Prendiamola pure!» Intendeva di dire: «Prendila, e fa' il comodo tuo!» Ma il suo corrispondente scorge in queste parole una malignità anticipata, una cattiva premeditazione.
«Datemi due righi di un galantuomo e ve lo faccio impiccare!» diceva... diceva... chi? Voltaire? Insomma, qualcuno che conosceva bene i suoi polli, cioè la gente. E cosí mi si vorrebbe spingere ad impiccare il mio amico per due innocenti parole che proverebbero piuttosto la nostra grande intimità, se non fossero un semplicissimo modo di dire: «Prendiamo!»
Chi l'ha presa infatti? Io, al municipio; io, in chiesa. Colui era là, da testimone; ma il «sí», il famoso «sí» l'ho pronunciato io. Lui non ha aperto bocca. Per ciò quel «prendiamo» non significa niente.
Doveva egli attendere cinque anni per finalmente giustificarlo? Sono cose che possono passare soltanto per la testa bislacca d'un imbecille come il suo corrispondente o di una strega come mia suocera di lui ispiratrice!
Penso: «Che cosa avrebbero detto, se per caso avessero saputo...?»
Apprenda che mia moglie è stata un anno e mezzo, diciamo cosí, indecisa, prima di allietare la nostra casa con la procreazione di un bambino. Io n'ero addolorato; no, non è la parola; n'ero estremamente mortificato. Si prende moglie appunto per la gran sodisfazione di poter esclamare: «Ecco qua!» Ed era già un anno e mezzo che questa esclamazione mi rimaneva in gola, quasi a soffocarmi. Mi compatisca. Veramente bisogna esser mariti per comprendere certi sentimenti, e lei, tuttora scapolo, non potrà figurarsi la mia gioia quando ebbi la certezza che mia moglie si era, tutt'a un tratto... decisa.
Ebbene, allora io dissi al mio caro amico: «Terrai a battesimo il bambino o la bambina, quel che sarà!» Rispose con un gesto di rifiuto. Creda, me lo ebbi a male e volli una bella spiegazione. Dovetti insistere per ottenerla.
«Ma, sciocco - egli mi disse - come non capisci che, con la nostra intimità, mi parrebbe di tenere a battesimo il mio proprio figliuolo? La chiesa lo vieta». E gli diedi piena ragione. «Scrupoli di coscienza!... Rimorsi!...» avrebbero certamente comentato quella strega di mia suocera e il suo pappagallo della «Gazzetta».
Non dubiti, vedrà, lo diranno ora. Ed ecco con che fragile materiale vengon rizzati certi edifizi che proiettano la fosca ombra della calunnia su la reputazione di un galantuomo! Ed ecco con quali miserabili induzioni si sconvolge la pace d'una famiglia, e si tenta di spezzare i solidi anelli della forte catena di un'amicizia d'infanzia rimasta intatta durante le varie vicende di lunga serie di anni!
Eh! Non sono piú giovane, signor direttore; e neppur lui, il mio intimo amico. Stiamo per volger le spalle alla quarantina. Io, se lei mi conoscesse di persona, le sembrerei un po' piú vecchio. L'apparenza inganna; invece, il mio amico, che sembra meglio conservato, ha tre mesi e mezzo piú di me. Ma ogni volta che gli dico: «Non puoi levarteli d'addosso neppur col rasoio!» si arrabbia, sul serio, tanto che mia moglie, giorni fa, dovette intervenire, in mia difesa... Oh, un altro equivoco! Mia moglie lo ha sempre trattato con deferenza, sí, ma insieme, con un che di rigidezza, secondo me, alquanto inopportuna, e che avrebbe dovuto essere sufficiente per tagliar corto a tutte le calunnie messe in giro dalla strega e dal suo pappagallo. (Non voglio piú chiamarli altrimenti, lei deve permettermelo). Sicuro, un altro equivoco. Se essi lo sapessero!... Lo apprenderanno da me.
Dunque, giorni fa, io, che talvolta divento un po' seccante, (lo confesso!) per ridere, si capisce, ripetevo al mio amico: «Neppur col rasoio!» Chi sa che diamine d'impressione gli producono queste parole! È inesplicabile che un uomo serio come lui, un uomo che ha letto tanti romanzi ed altri libri, e che divora almeno cinque o sei giornali la mattina e altrettanti la sera (io n'ho d'avanzo del «Messaggero») è inesplicabile, dico, che un uomo serio come lui possa prender cappello per quelle insignificantissime sillabe: «Neppur col rasoio!» Ma è un fatto; egli prende diabolicamente cappello; e allora gli scappano di bocca...
Insomma, giorni fa, mia moglie fu talmente colpita da questa stranezza che dovette intervenire in mio favore, lanciandogli in viso sdegnosamente e replicatamente: «Sei uno stupido!» E siccome io non seppi frenare un movimento di sorpresa e di maraviglia a quell'insolito «sei», mia moglie si corresse subito e si scusò con l'amico: «Mi sembrava, perdoni, di parlare con lui!» Lui ero io! Che risate!... E piú di tutti ridevo io che avevo visto l'amico far certa faccia all'esplosione di mia moglie. Non se l'aspettava... Che risate!
Ma veniamo al fatto, al gran fatto, cagione dell'ultima sbrodolatura del corrisp... no, del pappagallo di quella strega di mia suocera. Badi, signor direttore; mi stampi questa rettifica senza cangiarvi una virgola. Rispondo io di tutto, caso mai, carcere e multa; non abbia timore. C'è Alfredo Rocca qui presente e scrivente che assume ogni responsabilità... Veniamo dunque al gran fatto! Sí, è vero, ho gridato, ho chiamato gente! E molte persone sono accorse, credendo che si trattasse di ladri o d'incendio. Ma, premetta che ci si vedeva poco a quell'ora, e che in casa non avevano ancora pensato ad accendere i lumi. Premetta anche che la donna di servizio era scesa giú e avea lasciato l'uscio aperto. Non ne fa mai una diritta quella cretina!
Io tornavo a casa col penultimo numero della «Gazzetta» in tasca. Se volessi darle a intendere che non ero agitato, mentirei. La lettura di quel; Ci scrivono da Brusca (quarto o quinto Ci scrivono?) mi aveva indignato... Infilo l'uscio aperto... Inciampo, nell'anticamera, allo scuro, in quell'ammasso di carnaccia floscia che è mia suocera... Urli! Strida! Quasi io lo avessi fatto a posta!... E allora, uno strillo di là, in salotto!...
Si metta un po' nei miei panni, signor direttore! Tornavo a casa con la fantasia sconvolta, perché certe accuse, appunto perché calunniose e stimate tali, fanno maggior effetto sur un galantuomo. Si metta un po' nei miei panni... Un forte strillo di là, nel salotto, e un gran rimescolio di seggiole, di tavolini!... Che avrebbe creduto lei, dopo aver trovato aperto il proprio uscio tenuto abitualmente chiuso?
Un quarto d'ora dopo, tutto era spiegato! Mia moglie e il mio amico - arrivato allora allora in cerca di me - oh! cose da bambini - stavano combinando di farmi un po' di paura appena sarei entrato, al buio, in salotto... - Oh! cose da bambini! - Ma, per mia suocera, tutto è stato un bieco tranello ordito da me, da lunga mano... Perché? Per disonorarmi da me stesso? Per vendicarmi?... E poi?... Se non mi son vendicato di nulla, vuol dire che non avevo da vendicarmi di nulla! È chiaro?
Il corrispondente... mi è scappato! Volevo chiamarlo unicamente pappagallo della strega; ma sono sempre in tempo: il pappagallo della strega e la strega possono essere ben contenti dell'opera loro!
Io sono felice di essermela tolta, in questa occasione, di fra' piedi! Sono felice di veder già resi piú solidi i nodi della mia amicizia d'infanzia, e di veder sparita - mi faceva rabbia - quella rigidezza inopportuna con cui mia moglie trattava il mio amico.
«A dispetto dei calunniatori - gli ho detto - datevi del tu, fraternamente!»
E già se lo danno, a tutto pasto!
Dopo questa lezione - La capirà? Ne dubito! - il pappagallo della strega non aprirà piú becco. In quanto ad essa, strilli, sbraiti pure!
Mi dispiace solamente che io sia stato tirato pei capelli a far questa rettifica che mette le cose a posto, e a ingombrare per forza parecchio spazio della «Gazzetta». È la prima volta che mi capita, e spero che sia anche l'ultima. Pel giornalismo, non me la sento; ci vogliono degli imbecilli come colui che le ha scritto da Brusca. Lei, oh! lei è un'altra cosa; lei è giornalista per... forse non lo sa nemmeno lei perché. È qualcosa di meglio: avvocato!
Con ringraziamenti ed ossequi dev.