Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO III

COSCIENZE

X L'ABATE «CASTAGNA»

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X

 

L'ABATE «CASTAGNA»

 

Questo nomignolo egli lo portava, credo, sin dalla nascita. Aveva avuto fretta, a quel che pare, di venire alla luce qualche mese prima del tempo ordinario, e la levatrice, involtolo per precauzione nella bambagia, e buttatogli addosso alla lesta uno spruzzo d'acqua benedetta pel timore che non gli morisse tra le mani senz'essere battezzato, presentandolo alla mamma, aveva detto:

- È una castagna! Se campa sarà miracolo! -

Vedendolo cosí piccino, tutti avevano tante volte ripetuto il motto della levatrice: «È proprio una castagna!» che il nomignolo gli si era talmente appiccato da far dimenticare il suo nome di famiglia: Fiorito. Oh, era fiorito male il poverino! Quel corpicino magro, stentato, conteneva però un'anima tutta dolcezza e bontà. I suoi parenti ne avevano fatto un agrimensore, ma nessun suo concittadino si era avvalso di lui, anche perché lo sapevano incapace del minimo imbroglio nelle operazioni di misura e di stima dei terreni. Per fortuna, egli possedeva tanto da vivere discretamente nel suo paesetto, assieme con la sorella, monaca di casa, dopo la morte dei genitori. Badava da sé ai suoi affari di campagna, e i mezzadri se lo tenevano caro perché potevano rubarlo impunemente al tempo delle raccolte del grano e delle olive. Era sempre mal'annata per loro; e don Lucio Fiorito, che non aveva occhi per vedere e non sapeva sospettare di nulla, li confortava a fare la volontà di Dio e a sperare nell'avvenire! I mezzadri, si asciugavano le finte lagrime, si rassegnavano alla volontà di Dio, e continuavano a rubarlo allegramente.

Suor Celeste brontolava qualche volta:

- È malannata per noi soltanto?

- Che vuoi farci? È cosí! -

E la buona donna andava in chiesa a pregare il Signore, la Madonna e tutti i santi del paradiso perché pensassero un po' alle campagne sue e del fratello che sembravano colpite dalla maledizione.

- Apri gli occhi; i contadini sono ladri! - gli raccomandava suor Celeste quando don Lucio si preparava a partire per assistere alla semina, o alla bacchiatura delle olive, o alla mietitura del grano o alle operazioni per cavar l'olio nello strettoio del cavaliere Costa, in campagna. Inutile raccomandazione! La moglie del mezzadro lo teneva a bada con le chiacchiere, e il grano volava via dall'aia, e l'olio spariva dal tinello, con la complicità dei lavoranti dello strettoio.

- Perché non prende moglie voscenza? -

Quella furba si era accorta che questo argomento lo interessava; e appena don Lucio smontava dalla cavalcatura davanti a la casetta del fondo, lo tratteneva in disparte, ripetendogli la insidiosa domanda, facendogli dei progetti, ricevendone le confidenze.

- Eh, ! Ci pensava da un pezzo. Ma non aveva coraggio di fare una richiesta!

- Voscenza? Ma basta che apre bocca!

- Credete che qualcuna mi voglia?

- La tale, per esempio; la tal'altra e con buona dote! -

Ne nominava parecchie, insistendo specialmente sulla figlia dell'avvocato Rizzo, che aveva un fondo a limite di quello di lui. Sarebbe stata una fortuna anche per colei che ormai si avvicinava alla trentina.

- Se voscenza mi permette...

- Fate! -

E quella furbaccia lo aveva lusingato quasi un anno.

- La signorina, tanto piacere. Ma il padre... Però... però...

- Gliene farò parlare da un amico.

- Bravo! Si decida presto! -

Quando don Lucio seppe che la signorina si era messa a ridere irrefrenabilmente della richiesta, perché a lei le «castagne» non piacevano affatto, ebbe una stretta al cuore e gli vennero le lagrime agli occhi. Gli era parso che gli fosse crollato il mondo addosso. Aveva fatto, durante quell'anno tanti castelli in aria, chiuso nella sua timidezza, consapevole della sua miseria esteriore con quel corpicciolo magro e stentato, per cui non aveva mai osato levar il pensiero verso una donna! E si era sfogato con la sorella.

- C'è tante femmine a questo mondo! Sciocco! Perché non me ne hai parlato prima? E suor Celeste, per amor del fratello, si era messa a cercare lei, confidandosi col suo confessore, con le sue amiche beghine che passavano insieme con lei tutte le giornate in chiesa a recitar paternostri e avemmarie...

Ah! quel nomignolo di «Castagna» era la sua jettatura.

Cosí don Lucio, dopo una dozzina di tentativi andati a male, aveva fatto come certe donne che si danno a Dio visto che il mondo non le vuole. A quarant'anni, era entrato in seminario e si era fatto prete. Era rimasto timido e ingenuo sotto la veste talare e il tricorno. Gli sembrava che ora fosse suo dovere ricondurre tutte le pecorelle smarrite all'ovile del Signore, e si rendeva noioso, importuno. Sicuro, la grazia dell'anima era una bella cosa; ma la gente doveva pensare anche al corpo e non poteva star dietro a lui a recitar rosari, a udir messe e prediche, a far novene e tridui a questo e a quel santo!... Fin il prevosto gli raccomandava un po' di prudenza nello zelo.

- Il mondo vuol esser preso pel suo verso. Pensate a guadagnarvi il paradiso per voi. Il troppo storpia! -

E l'abate «Castagna», come ormai tutti lo chiamavano, ne rimase mortificato, e scandalizzato. E si rassegnò a far penitenza e digiuni per sé e pei peccatori tutti, senza piú seccar la gente a praticare quel che operava lui.

I mezzadri lo rubavano peggio di prima, quantunque ogni volta ch'egli andava in campagna gli baciassero la mano sacerdotale con aria compunta. Mortagli la vecchia mula che lo aveva portato colà per tanti anni, gli avevano appioppato un asino di cui essi non sapevano che farsi, tanto era cattivo. Oh, d'aspetto, bell'asino alto, robusto, di magnifico pelame, da scambiarsi con uno di quei famosi di Pantelleria, ma cosí testardo, cosí capriccioso, cosí maligno tiratore di calci e morsicature che il povero abate, cavalcandolo, si raccomandava l'anima a Dio.

- Voscenza l'ha viziato! - gli diceva la mezzadra. E lui le credeva, in buona fede. Come mai avea potuto viziarlo, se gli avea sempre lasciato fare quel che voleva? Pareva che il triste animale si divertisse a dargli fastidio, e con tale malizia, Signore benedetto!

Per un po' di strada trottava tranquillo, con le orecchie ritte, la testa alta quasi orgoglioso di portare addosso un buon servo di Dio. Ma al primo ciuffo di erba che incontrava lungo lo stradone eccolo fermo a brucare, quasi non avesse la pancia già piena di orzo e di paglia! Invano il povero abate lo tirava per la briglia, gli batteva i fianchi coi tacchi degli stivali, giacché non usava sproni; l'asino faceva il comodo suo. E finito quel delizioso pasto, si metteva a ragliare, a ragliare, a far la giravolta, a caracollare, ad andare avanti e indietro prima di avviarsi verso il fondo di cui ben conosceva la strada. Arrivato però al punto dove la viottola biforcava, l'asino prendeva a sinistra invece che a destra, ostinatamente impegnando una lotta con l'abate che tirava invano la briglia. Salti, ragli, giravolte, sgambetti, fino a che qualche contadino che passava, presolo pel morso, non lo metteva su la giusta strada.

- Questo, domine, non è animale per voi -.

Glielo ripetettero tante volte, che all'ultimo l'abate «Castagna» si decise a disfarsene. Accompagnato dal mezzadro, lo condusse alla fiera di Belverde e , tra la calca della gente e delle centinaia di bestie, attese che si presentasse un compratore. L'asino attirava gli occhi. Si sarebbe detto che volesse invitar le persone ad acquistarlo, cosí altero teneva il collo, cosí ritte le orecchie, cosí impazientemente agitava la coda. Il mezzadro, tra parecchi fermatisi a osservare l'animale, ne tesseva l'elogio:

- Forte come un mulo, vivace come un cavallo. Infaticabile, e poi cosí manso da potersi affidare a un bambino! -

Lo tastava, gli passava la mano su la schiena quasi a fargli maggiormente rilucere il pelo, lo faceva spasseggiare su e giú per far risaltare le belle gambe asciutte, gli tirava in su le labbra perché ne osservassero la dentatura e si convincessero dell'età, quattr'anni appena.

L'abate, con gli occhiali verdi e l'ombrello rosso aperto per ripararsi il sole, stava , tenendo abbassati gli occhi e stringendo le labbra. Sembrava mortificato di tutti quegli elogi alla sua bestia e prestava attento orecchio alla discussione impegnata intorno al prezzo con uno che finalmente si era deciso a concludere il negozio.

- Dieci once! In parola di onore è regalato!

- Facciamo otto, compare!

- Né la vostra né la mia parola: - disse il mezzadro - otto once e quindici tarí! Ecco il padrone; potete contargli il danaro -.

L'abate «Castagna» alzò gli occhi, aperse le labbra a un dolce sorriso e fece atto di voler parlare

- Ah! - esclamò il compratore. - Neppure un grano di piú!

- Sta bene, sta bene. Debbo però avvertirvi...

- Niente! - replicò l'altro.

- Lasciatemi dire. Per scrupolo di coscienza debbo però avvertirvi...

- Voscenza intaschi il danaro. Oramai il contratto è concluso, come davanti a notaio, con questi testimoni - disse il mezzadro.

- Va bene - replicò l'abate. E preso pel petto della giacca il compratore lo tirò in disparte.

- Sentite: è vero, l'asino è forte, infaticabile, ma quanto ad esser manso!... Sentite: per scrupolo di coscienza debbo avvertirvi che, invece, è caparbio, capriccioso, morditore, tiratore di calci, intrattabile... Se ora vi conviene...

- E quel pezzo d'imbroglione...! -

Dovettero mettersi in mezzo i testimoni per impedire che colui non si azzuffasse col mezzadro. E l'asino quasi volesse schernire il padrone, si diè a ragliare, tra le risate della gente.

Da che il Signore si era portata via in Paradiso suor Celeste, l'abate «Castagna» tra i mezzadri che lo spogliavano a man salva e i finti poveri che trovavano molto comodo il vivere alle sue spalle andando a lamentargli miserie in casa da mattina a sera, spesso spesso digiunava anche senza averne l'intenzione. Il prevosto, che era uomo di mondo e gli voleva un po' bene, alla sua maniera, lo ammoniva tutti i giorni, in sacrestia:

- Santo, , diventate pure santo; ma sciocco, neppure un santo dev'essere sciocco! I poveri, la carità, non dico di no; i poveri sono fratelli di Gesú Cristo... Ma bisogna distinguere. Io, prima di dare un grano di elemosina, ci penso su due volte, se chi la chiede se la merita, o no, davvero. Ci sono poveri che se la scialano meglio di voi e di me. E dico voi, cosí, per dire. Vi siete ridotto uno scheletro. E i vostri mezzadri sono grassi che scoppiano, e comprano buoi e fondi... Voi tenete gli occhi fissi al cielo... Abbassateli un po' e guardate attorno... Santo ; sciocco, no! Picchia oggi, picchia domani, l'anima ingenua dell'abate «Castagna» cominciò ad entrare in diffidenza di sé e degli altri.

- Consigliatemi voi, signor prevosto! -

Il prevosto lo squadrò da capo a piedi quasi volesse pesarlo e scrutarlo dentro; poi rimase un momento pensoso. Non era uomo di mondo per niente; correva voce che facesse anche lo strozzino; ma allora pensava di trar d'impiccio quel povero sciocco pur proponendogli un affare.

- Dovreste fare un vitalizio.

- Con chi, Dio mio?

- Con me, se non vi dispiace. Stima di beni, calcoli giusti; la casa, da abitarvi fino alla morte. Venite a trovarmi, piú tardi, dal notaio Stella; ne riparleremo con comodo. Il paradiso ve lo siete già guadagnato; ve lo sareste guadagnato anche con meno. Dovete mutar vita. Santo, ; ma sciocco, no! Datemi retta! -

Povero abate «Castagna»! non gli erano riusciti i matrimoni, non gli era riuscito bene neppure il darsi a Dio facendosi prete! Forse non gli sarebbe riuscito neppure il vitalizio, ora che intendeva mutar tenore di vita. Santo non osava credersi; gran peccatore anzi, egli si umiliava innanzi a Dio! Sciocco però era stato ed era! Se ne accorgeva forse troppo tardi!

E durante molte nottate, non potendo pigliar sonno, avea fantasticato di servirsi del vitalizio per quel po' che occorreva ai suoi ristretti bisogni, e accumulare il resto per fondare una buon'opera di carità, se il Signore gli dava la vita.

Lo ripeté al prevosto, firmato l'atto:

- Se il Signore mi darà vita! -

Il Prevosto, dentro di sé, aveva detto:

- Speriamo di no! -

Ma il Signore, per punirlo, allungò gli anni all'abate «Castagna», che rimase un bravo sacerdote, se non fu un santo, e non si macerò piú con digiuni e penitenze per divenirlo a ogni costo. Ingrassò anzi, diventò proprio una castagna, quasi per onorare il suo nomignolo, non ostante che il prevosto lo guardasse ogni giorno con certi occhiacci da buttargli un maleficio addosso!

E ogni sei mesi, quando l'abate gli si presentava per esigere la mezza rata del vitalizio, il prevosto lo guardava sbalordito, quasi non potesse credere ai suoi occhi e stentasse a riconoscere in quella vescica piena di sugna - com'egli diceva - il misero corpicciolo che lo aveva tratto in inganno.

- Sempre piú grasso! - e pareva ringhiasse.

- Per grazia di Dio! - rispondeva umilmente l'abate «Castagna».

- Mangiate troppo! Vi prenderà qualche accidente, Badate! Vi si è fin raccorcito il collo! Cattivo segno! Badate! -

Voleva impaurirlo, mettergli questa pulce nell'orecchio.

- Siamo qua! Quando il Signore ci chiama... -

E l'abate intascava cheto cheto i quattrini.

Parve che Domeneddio si divertisse a fare un dispetto a quello strozzino di prevosto! Chiamò prima lui, non si sa se in paradiso o all'inferno, e, otto giorni dopo, l'abate «Castagna» certamente in paradiso.

 

 

 



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