Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO III

COSCIENZE

XIII UN CRONISTA

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XIII

 

UN CRONISTA

 

La vita di don Rosario Impallomeni era regolata meglio di un cronometro. In tutte le stagioni, con qualunque tempo, piovesse, nevicasse, tirasse tramontana o libeccio, egli usciva di casa all'alba e andava alla piazza del Mercato, quasi dovesse sorvegliare lui l'arrivo degli ortolani che portavano gli erbaggi, e i pesciaiuoli che avevano camminato tutta la nottata perché il pesce giungesse fresco dal Beviere di Lentini; o intromettersi negli affari dei «giornalieri» che attendevano, seduti su gli scalini della chiesola della Mercede, le proposte dei massai e dei proprietari pei lavori di campagna.

Infatti, d'inverno, imbacuccato nel pesante ferraiuolo foderato di flanella verde; d'estate, in giacchetta di tela cruda e in berretto da casa, egli si aggirava per la piazza, fermandosi qua e , riprendendo ad andare attorno, ritornando sui suoi passi, zitto, serio, rispondendo appena ai saluti delle persone che lo conoscevano, dei bottegai soprattutti che, al vederlo apparire dalla cantonata, esclamavano sotto voce;

- Ecco quella Mal'ombra! -

Perché poi lo chiamassero cosí non lo sapevano neppur loro. Don Rosario Impallomeni non dava noia a nessuno, se pure non si voleva qualificare come importuna la sua grandissima curiosità.

Appena gli ortolani, scaricate le enormi ceste dei cavoli, dei sedani, delle melanzane, delle zucchine, degli agli, delle cipolle, delle lattughe, dei ravanelli, andavano via cacciandosi davanti gli asini con le ceste vuote, don Rosario cominciava il suo giro per le botteghe, interrogando:

- Quanti carichi, compare Maso?

- Dieci, don Rosario, per servirla.

- Quanti carichi, zi' Caterino?

- Dodici, don Rosario, ai suoi comandi.

- Quanti carichi, comare Peppa?

- Cinque! Che vuole, voscenza? Io sono poveretta -.

E cosí coi contadini.

- Oggi, quanto a giornata?

- Mezza lira, e colazione e vino -.

 

Che obbligo aveva? Nessuno. Solamente, da che aveva avuto l'uso della ragione, don Rosario si era imposto il dovere di notare ogni giorno nei suoi quaderni la quantità degli erbaggi, e del pesce che arrivava in paese, il valore delle mercedi dei contadini, e il prezzo delle derrate - frumento, olio, mandorle, vino; specie di statistica alla grossa, messa insieme per sua gran sodisfazione, e che qualche volta riusciva utile anche a coloro che lo deridevano per questa mania.

Dopo scritti gli appunti, don Rosario entrava nel caffè di Pizzo-’nterra per raggranellare i «si dice», le notiziole, le malignità, gli scandali del paese, i fatti particolari di questo e di quello; giacché il caffè di Pizzo-’nterra era il convegno mattutino di tutti gli sfaccendati, che vi andavano a prendere due soldi di acqua affumicata con infuso di cicoria, un bicchierino di acquavite o altri simili intrugli, e intanto si sfogavano con un po' di maldicenza mattutina quasi per alleggerirsi lo stomaco.

- Che abbiamo di nuovo, signori miei?

- Chi non campa muore - gli rispondeva qualche burlone.

- E l'affare del Rospo com'è finito?

- Corna e legnate, chi le ha avute se le tiene.

- Oh! Come mai? -

E si faceva raccontare il fatto per filo e per segno.

- Mettiamolo a libro, don Rosario! - gli diceva Pizzo-’nterra, ridendo.

Egli «metteva a libro» tutto, anche gli avvenimenti piú insignificanti: le messe solenni pei santi, con nome e cognome del celebrante, del diacono e del suddiacono; i tridui e le novene col nome del predicatore e del devoto che li aveva ordinati per ricevere qualche grazia; risse, ferimenti, furti, arresti, pettegolezzi di ogni genere, pur di riempire con la sua grossa calligrafia quei quaderni, che poi rilegava da sé in volumi, e riponeva, per ordine di mesi e di anni, negli scaffali della sua camera dove non permetteva che entrasse nessuno.

Verso le dieci e mezzo, don Rosario andava ad assistere, dal coro, assieme coi canonici, alla messa cantata, e in sagrestia pescava altre notizie, altri pettegolezzi, e prendeva nota degli anniversari e dei quattrini che i canonici si dividevano secondo il lascito dei parrocchiani defunti. E, subito, si metteva attorno per gli studi notarili, lavorando lunghe ore a trascriversi le compre e vendite stipulate, i contratti matrimoniali, le permute, le cessioni, i testamenti, i mutui, tutto, quasi avesse avuto incarico dal governo di controllare gli atti pubblici.

Non aveva egli nient'altro da fare? Alle faccende di casa e di campagna pensava il fratello. Don Rosario gli lasciava mani libere, e quegli lo calcolava come una bocca di piú in famiglia. Appena, di tanto in tanto, osava domandargli

- Ma che ne farai di tutte quelle cartacce?

- Sciocco! Alla mia morte vi lascerò un tesoro. Vorranno sapere una data, un fatto? Ebbene, dieci, venti, trenta lire, secondo l'importanza; se no, no. E poi ti sembra niente il poter dire a certa gente: Il giorno tale, l'anno tale, nella tua famiglia avvenne questo e quest'altro; tuo padre ha rubato; tuo nonno è morto in galera!... Tua madre... cosí! Tua zia, tua sorella... cosí! E tapparle la bocca? Eh! Eh! Ti sembra niente? Io tengo in un pugno un paese intero, due generazioni! Tutto è registrato ... Hanno paura di me, cominciando dal sindaco fino all'ultimo mascalzone. Tutti! Ma tu sei sciocco non puoi capire -.

E lo lasciava , e andava a rinchiudersi in camera, nella «camera del disordine», come la chiamava suo fratello. Vestiti, biancheria, robe sporche, cappellacci vecchi, ciabatte, ogni cosa, ammonticchiati su le seggiole, per terra, negli angoli. Soltanto i volumi rilegati facevano bella mostra negli scaffali di abete rustico che occupavano due pareti. La sera, prima di andare a letto, egli li passava in rassegna, piantato in mezzo alla stanza a gambe larghe, con le mani dietro la schiena, con gli occhi rilucenti di sodisfazione, quasi ogni volta, stando cosí a contemplarli, rileggesse tutte le miserie, tutte le porcherie, tutti gli imbrogli della gente colà annotati!... E quella bestia di suo fratello non capiva che tesoro egli avrebbe lasciato alla famiglia dopo la sua morte!... E gli imbecilli lo burlavano: - Che cosa dicono i registri, don Rosario? - Che cosa dicono? Non ridereste se sapeste quel che dicono!

Spesso, durante la notte, si svegliava di soprassalto. Aveva sentito rumore o gli era parso? Temeva, da qualche tempo in qua, che i ladri venissero ad assaltarlo, a portargli via il gran tesoro dei manoscritti per incarico di qualcuno a cui piú scottava di sapere quel che stava consacrato colà. E per ciò teneva appoggiato all'angolo del corsello un vecchio soffione del '48, caricato a palla. Svegliandosi, stendeva istintivamente la mano ad esso per assicurarsi che era al suo posto. E quando capitava, in piazza, nel caffè di Pizzo-’nterra, nelle sagrestie, dovunque, parlava misteriosamente, strizzando un occhio, della terribile arma pronta , per difesa dei manoscritti; era bene che i malintenzionati sapessero che bella accoglienza li attendeva!

 

Un giorno, un imbecille gli aveva fatto la burla di dirgli:

- Sapete? È morto don Pietro Lagreca, d'accidente, in campagna! -

E don Rosario era corso a casa per registrare il fatto, con tutti i particolari inventati per da colui. Due ore dopo però egli si incontrava faccia a faccia col Lagreca sano e pieno di vita, col naso piú rosso del solito e con le gambe che andavano una a destra e l'altra a sinistra quasi non stessero d'accordo.

- Come? Non siete morto? - gli scappò detto dallo stupore.

- Crepate voi, don pezzo d'asino! - gli rispose il Lagreca, facendogli le corna con tutte e due le mani. Fu una gran mortificazione per don Rosario. E da quel giorno in poi, non scrisse nei famosi quaderni nessun fatto se prima non lo avea verificato. E siccome sentiva orrore delle cancellature, egli aggiunse questa postilla al margine della falsa notizia: «Il morto è vivo ancora. Dio glielo perdoni!» E intendeva dir questo per quell'altro che lo aveva burlato. Oh! Il bello stile non era il suo forte, e neppure talvolta la grammatica. Ma di queste picciolezze don Rosario non si curava. Gli bastava che ogni tre mesi rilegasse un volume di scartafacci, oltre ai volumi degli atti notarili trascritti. Gli bastava la sodisfazione che parecchi venissero a consultarlo intorno a un fatto, a una data. Si faceva pregare un po' e poi dava, trascritta in un pezzettino di carta, la notizia richiesta, aggiungendo

- Alla mia morte, ogni notizia dovranno pagarla ai miei eredi.

- Grazie tante, don Rosario! -

Egli si ringalluzzava, sorrideva sornionamente, e quella sera, prima di andare a letto, guardava con maggior tenerezza il suo tesoro.

 

Una gran tristezza lo invadeva però, riflettendo che alla sua morte nessuno avrebbe pensato a continuare l'opera sua. Il figlio di suo fratello era ancora bambino. Pure egli qualche volta lo conduceva in camera per mostrargli i volumi negli scaffali e insinuargli l'idea di essere il suo vero successore; la sua parte di patrimonio era destinata a lui per incoraggiarlo, per abituarlo a quest'idea. Il bambino rispondeva: - , zio! -

E non sapeva a chi dar retta, perché suo padre, quando il bambino gli riferiva le parole dello zio, rispondeva stizzito: - Pensi a morire, che io farò una fiammata di tutte quelle cartacce! -

Da qualche anno, l'idea della morte contristava don Rosario. Non era poi tanto vecchio, a sessanta anni; e la sua vita, regolatissima, gli faceva sperare di campare almeno fino all'ottantina... Ma con la morte, non si sa mai! Da piú di mezzo secolo, egli non aveva cangiato abitudini. L'ultimo giorno di maggio, smetteva il gran ferraiuolo, si faceva tagliare i capelli e li pesava - il peso era per lui segno di vitalità - ogni primo di ottobre riprendeva il ferraiuolo. Non gli importava che talvolta nel giugno facesse freddo e nell'ottobre continuasse ancora il caldo dell'estate. Aveva fatto sempre cosí, e cosí persisteva a fare. Quell'anno intanto egli aveva avuto la brutta sorpresa di trovare diminuito il peso dei capelli tagliati.

- Cattivo segno, fratello mio! Cattivo segno! - aveva esclamato.

- Vuol dire che il barbiere ne ha tagliati meno degli altri anni.

- No, no! -

La risposta di suo fratello non lo convinceva. Cattivo segno! E per due notti di seguito, vegliò a compire l'indice delle materie degli ultimi due volumi. Voleva lasciare tutto in ordine. Con la morte non si sa mai! Invece...

 

Era l'ultimo giorno di maggio. Egli aveva riposto nell'armadio il pesante ferraiuolo, ed era uscito, verso le undici, fuori Porta Vecchia, per godersi la bella giornata e dare un'occhiata alla campagna. Che delizia! La pianura tutta verde di seminati, sorridente di fiori di lino, qua e rossa di papaveri; e le colline coperte di vigneti rigogliosi, di olivi in fioritura. Che benedizione di Dio! Quest'anno poteva segnare nei suoi scartafacci: «Gran buon'annata!» Non gli accadeva da un pezzo. E dava la voce ai contadini che passavano

- E, compare, siete contento?

- Purché il Signore non ci castighi, come gli anni scorsi! -

Tutti gli rispondevano cosí, diffidenti, pensando che da parecchi anni le campagne promettevano bene e poi... Don Rosario si sdegnava di quella poca fede. La vista della campagna gli metteva in cuore vivissima gioia; gli sembrava di aspirare dall'aria tutta la bella forza di tanto rigoglio, di sentirsi rinvigorire.

Ed ecco quel mal'augurio del Lagreca, a cavallo della mula, che gli grida:

- Come? Ve ne state qui? A casa vostra c'è un incendio!

- Va bene! Va bene! - rispose, incredulo, sospettando che quello stortaccio volesse prendersi una rivincita. Quando colui però si fu allontanato dopo di avergli gridato - Accorrete! - don Rosario si sentí tremare le gambe sotto e battere violentemente il cuore. Se fosse vero? E si diè a correre come un matto.

Era vero! Era vero! Davanti alla sua casa, gran folla; carabinieri che tenevano indietro la gente; volenterosi che facevano catena per passarsi da una mano all'altra le secchie con l'acqua; manovali sul tetto, proprio sul tetto della sua camera, in mezzo ai vortici di fumo, che sfondavano la incannicciata e versavano acqua dentro...

Egli si precipitò addosso alle persone, facendosi largo, dando spintoni e pugni, urlando: - I manoscritti! I manoscritti! - e svenne su la soglia, tra le braccia del brigadiere che lo aveva afferrato per le spalle.

 

Il giorno dopo, don Rosario sembrava invecchiato di dieci anni. Piangeva come un bambino davanti a quel cumulo di fogli anneriti, di cui rimanevano appena pochi brani leggibili; il resto volava via appena le sue mani tremanti toccavano i pochi volumi non ridotti dall'acqua in nera poltiglia!

- Bestia! Ringrazia Iddio che non sia andata in fiamme tutta la casa! - gli diceva suo fratello per consolarlo. A lui che sarebbe importato di tutta la casa, purché si fosse salvato il suo tesoro? Che malignità avea commesso il fuoco rispettando lo scaffale dove si trovavano gli atti notarili trascritti, e consumando i venti volumi che gli costavano piú di trent'anni di fatica! Non sapeva consolarsene. E quasi odiava il fratello che tornava a ripetergli: - Bestia! Ringrazia Iddio! -

Don Rosario giurò a se stesso di voler essere piú forte del destino. Doveva fare un immenso sforzo di memoria, egli che aveva letto e riletto tante volte i suoi manoscritti, aiutarsi anche con le pagine mezze bruciate e rifare da cima a fondo il gran lavoro. Per piú settimane non uscí di camera, chino sui nuovi quaderni, lavorando intere giornate, dormendo soltanto qualche ora la notte, felice di vedersi rinascere sotto gli occhi, quasi la ricopiasse, la minuta cronaca del paese coi nomi, con le date, con tutti i particolari, assaporando una specie di vendetta contro la gente che si era rallegrata di veder sparire con quell'incendio la testimonianza dei loro brutti fatti, delle loro magagne, delle loro infamie...

- Bestia! Ti ammazzi cosí! - gli diceva suo fratello, che lo vedeva deperire, sfinito dalla fatica, dallo scarso sonno e dal poco cibo che prendeva. Don Rosario tentennava il capo, compatendolo, ostinato piú che mai, con la mente tesa per ricordare e ricostruire il tesoro distrutto.

E una mattina, lo trovarono freddo, stecchito, con la penna stretta tra le dita irrigidite e il capo rovesciato sul quaderno riempito a metà! La mezza pagina rimasta interrotta era piena di scarabocchi indecifrabili. Il gran cronista era morto, lasciando appena iniziato il nuovo compito che si era imposto!

 

 

 



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