Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO III

COSCIENZE

XVIII IL CASO DI EMILIO ROXA

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XVIII

 

IL CASO DI EMILIO ROXA

 

- Voi direte... Eh, via, caro professore! Lo so che non direte niente perché vi siete prefisso di lasciarmi parlare senza interrompermi neppure una volta. Ma io non sono cosí stupido da non capire quel che vorreste dirmi... Mi è bastato, or ora, la quasi impercettibile mossettina delle vostre sopracciglia per rivelarmi che il fatto vi sembra assai strano... È vero? o no? Sembra anzi stranissimo a me.

Eppure dev'essere ordinario, dati tal temperamento, tal carattere. Noi sogliamo stimare non naturale quel che non saremmo capaci di fare e che pure vediamo fare dagli altri. Siamo buffi! Dovremmo esser foggiati con lo stampo, alla stessa maniera, per pensare ed agire tutti a un modo. Invece, in questo mondo, non c'è, per esempio, un naso che rassomigli perfettamente a un altro.

Avete osservato il naso di Emilio Roxa? È maraviglioso? Sono anni ed anni che io studio i nasi per un lavoro di psicologia positiva non ancora tentato da nessuno. E non mi era mai capitato d'incapparmi in un naso piú espressivo, piú significativo! Emilio Roxa è tutto . Come scende dignitoso, severo, direi, pensoso, quel suo naso, tra gli occhi piccoli e sbiaditi! E come si libra su gli scarsi baffi e le labbra tumide con un che di scettico e d'irridente, con qualcosa che non s'intende bene se sia commiserazione od orgoglio! Ha leggere ondulazioni di linee, e delicati rigonfi alle narici; ha una stupenda modellatura nella punta non rotondaacuta; problemi che possono occupare tutta la vita di uno studioso, di un curioso come me, e non lasciarsi interamente penetrare.

Giacché non è possibile dire a un uomo, sia pure amico: «Mettete a mia disposizione il vostro naso, da mattina a sera, perché io lo studi comodamente». Per disgrazia della scienza e degli scienziati, i nasi non si possono asportare e tenere nel laboratorio. Già, se si potesse, non gioverebbe. Un naso ha valore , nel viso, nell'insieme delle fattezze, nelle proporzioni, nell'armonia con gli occhi, col taglio delle labbra, col mento e anche col colore dei capelli e la foggia dei baffi e della barba...

Intendo: la psicologia positiva vi sembra un giocherello con cui si divertono tutti coloro che non sono scienziati e vogliono darsene l'aria. È inutile discutere intorno a questo; voi siete metafisico impenitente; avete orrore dei fatti che vi danno torto, o che non confermano le vostre fantasticherie, i vostri apriorismi. Per me e per tutta la innumerevole schiera che vuol restare aggrappata alla realtà, un naso come quello di Emilio Roxa ha piú pregio, piú valore della Somma di San Tommaso d'Aquino e del vostro incomprensibile Hegel!

E dire che in tanti anni d'intimità con Emilio non ci avevo punto badato!

Quella mattina dunque...

È cosí: certe cose ci stanno sotto gli occhi e non ci ispirano nessun interesse. Le guardiamo e quasi non le vediamo, tanto ci lasciano indifferenti. Poi, tutt'a un tratto!... Che cosa avviene? Ci si schiarisce la vista? Le forme parlano piú forte? Tutt'a un tratto, noi vediamo quel che avremmo dovuto vedere da tanto tempo, e sbarriamo gli occhi e spalanchiamo la bocca, stupiti della nostra incredibile cecità.

Quella mattina dunque...

«Emilio Roxa a quest'ora

«Attende da un pezzo; non ho voluto svegliarla».

«Mi vesto subito. Prepara il caffè».

E prima che la donna uscisse di camera, saltai giú dal letto. Pensavo:

«Un duello? Peggio, una catastrofe

Fui pronto, alla meglio, in pochi minuti.

«Ebbene?» domandai, tendendogli affettuosamente le mani.

«Scusa la mia importunità - egli disse. - Ti sapevo mattiniero».

«Infatti... Ma iersera sono andato a letto molto tardi. Mi dispiace che quella sciocca della donna...»

«Ha fatto benissimo».

Lo guardavo per leggergli anticipatamente negli occhi quel che era venuto a dirmi in un'ora cosí insolita, alle sette e mezzo. Il suo viso però era calmo e nessuna viva commozione gli alterava la voce.

«Ebbene?» replicai.

«Ebbene? - egli rispose, tornando a sedersi. - Tu hai, se non m'inganno, qualcosa da farmi sapere e che non trovi modo di dirmi».

«Io?»

«. Non t'illuda quel: "Se non m'inganno"; m'è scappato di bocca perché la nostra ipocrisia di linguaggio ci è divenuta cosí abituale, che non sappiamo dimenticarla fin nei momenti piú gravi. Riparo lo sbaglio: tu hai, da un pezzo, qualcosa da farmi sapere e che non trovi modo di dirmi. Mi è parso che ne soffri, e son venuto a posta per toglierti d'impaccio. Parla! Parla

Intanto, all'insistenza della parola non corrispondevano affatto l'espressione del viso e il tono della voce.

E allora, nel fissarlo per indovinarne le intenzioni, allora scopersi - non posso dire altrimenti - quel naso che pendeva severo, dignitoso, dalla fronte un po' calva e si librava, scettico e irridente, su gli scarsi baffi e le tumide labbra!... Per poco non credetti che Emilio Roxa si fosse adattato un naso finto, un naso di occasione, tanto mi sembrava irriconoscibile, assolutamente diverso dal suo di tutti i giorni. Non faccio lo spiritoso, caro professore, per provocare anche con una stupidaggine la vostra ilarità: dico cosa serissima. Rimasi a contemplarlo, muto, sbalordito; e siccome anche lui mi fissava, tranquillamente, per incoraggiarmi a parlare, pareva che stesse fermo davanti a me a fine di darmi tutta la comodità di rendermi conto di quella inattesa rivelazione e della sua grande importanza.

Giacché, se io avessi lasciato parlare Emilio senza guardarlo bene in viso, e se gli avessi risposto: «, è vero: ho qualcosa da dirti e che non trovo modo di dirti» e poi egli mi avesse fatto la confidenza che doveva illuminarmi intorno al suo caso di coscienza, come lo chiamava, io lo avrei giudicato pazzo a dirittura; pazzo inoffensivo (ce ne sono tanti!) di quelli che riescono a nascondere lo stato della loro mente anche alla penetrazione degli stessi alienisti; pazzi ragionanti, pazzi calcolatori, pazzi curiosi, pazzi pettegoli, insomma pazzi di ogni genere, che vivrebbero e morrebbero senza che nessuno si accorgesse della loro pazzia, se un bel giorno o un cattivo giorno, secondo le circostanze, improvvisamente non si rivelassero con uno scatto, con un'esagerazione...

Scusi: mi lascio trascinare dalla mia... pazzia, dice lei; non lo ha detto ma l'ha pensato... gliel'ho letto nel gesto di quello stropicciamento di mani. Ha ragione; stavo per lasciarmi trascinare dalla psicologia positiva che probabilmente è davvero la mia pazzia... Taglio corto.

«Io? - replicai. - Io?»

Ma, preso alla sprovvista, negavo con fiacchezza; ed era un pulito modo di confermare. Indugiavo cosí, per risolvere dentro di me, alla lesta, il problema: «Debbo, o no, parlare?» Ah! l'uomo è un animale che si attribuisce la ragione perché ha coscienza di non possederla! Come spiegare altrimenti la mia esitazione, se proprio da mesi e mesi, ogni volta che mi incontravo con Emilio Roxa, dovevo fare uno sforzo per non lasciarmi sfuggire di bocca quel che egli era venuto a domandarmi? Gli volevo bene; eravamo amici d'infanzia, compagni di studi e di scapataggini. Avevo molta stima piú del suo cuore che del suo ingegno, è vero, ma non potevo crederlo uno stupido e molto meno uno sciagurato senza dignità alcuna. Come mai dunque?...

L'uomo piú semplice è un essere complicatissimo... No, no, non ricasco nella psicologia positiva. Intendo dire che non è cosa facile indovinare le ragioni che possono spingere una creatura umana ad agire in un modo e non in un altro, e calcolarne la giustezza, l'opportunità, la necessità anche. Questo mi faceva ringoiare, ogni volta che ci trovavamo insieme - e accadeva quasi ogni giorno - quel che avrei voluto dire al mio amico. Mi ero immaginato, intanto, di esser riuscito a non farmi scorgere... E invece!

Egli attendeva, calmo, almeno in apparenza, e mi sembrava che quel suo naso, col lieve palpito delle narici, manifestasse un senso d'ironico compiacimento del mio imbarazzo. Emilio venne in mio aiuto. Fu generosità? O pure gli pareva mill'anni di sgravarsi il petto dal peso del suo segreto? Voi forse, con la vostra logica hegeliana, potreste aiutarmi a spiegarlo... Ma non dobbiamo discutere: no, no!

«Si tratta di mia moglie, è verodisse Roxa. Potevo mentire, per carità di amicizia? Sarebbe stato crudele.

«Giacché... sai!... Ma io!...» Balbettavo, impappinato, disorientato della serenità con cui egli aveva pronunziato quelle parole.

«So, so - riprese. - Tu e tutti gli altri però non sapete niente... Né m'importa che gli altri credano di sapere. Che cosa sanno infine? Che mia moglie ha un amante... È avvenimento straordinario? Ah! Straordinario, secondo loro, è che io non mi accorga di un fatto cosí palese. Dunque tollero!... E se fosse cosí!... Non m'importa niente, ripeto, di quel che gli altri pensano e credono. In quanto a te, non posso avere uguale indifferenza, voglio conservarmi il tuo affetto, la tua stima. Ecco dunque quel che non imagineresti mai, neppure dalla lontana...»

Come riferirvi il suo racconto? Vorrei avere la virtú imitativa del mio collega Cavalli che sa rifare a maraviglia i nostri capi d'ufficio; la virtú imitativa del Torsi che rifà, nella sala del telegrafo pei giornalisti, i ministri, i sotto segretari, i deputati, cosí perfettamente da dover illudere, credo, fin le stesse persone imitate... Senza le inflessioni della voce, senza il calore dell'accento, senza i gesti, senza le rapide espressioni della fisonomia, che effetto può produrre una rivelazione come quella di Emilio Roxa, che mi turba ancora vivamente al solo ricordarla? Le parole sono cosa morta. «So, so!» Ma bisognava sentire e vedere quel che significavano, quel che facevano intendere queste due sillabe pronunciate come le pronunciò lui quella mattina! Mai due misere sillabe espressero cosí efficacemente il pianto, lo strazio, la rassegnazione, la prostrazione di un'anima, di un cuore, e l'avvilimento e l'orgoglio e il disprezzo e l'indignazione! - Troppa roba insieme e discorde? - Non avreste pensato cosí, se aveste avuto la fortuna di sentire la confessione del povero Roxa buttato come uno straccio su la poltrona, , davanti a me. Sorridete e maliziosamente! Ah! vi sembra che io mi sia lasciato ingannare. Secondo voi... - è inutile accennare di no - certi mariti trovano sempre scuse che paiono ragioni per giustificare i loro atti piú inesplicabili. Ma il caso di Emilio Roxa, invece, è chiarissimo; complicato ... Ragioniamo.

Aveva sposato, per amore; questo è innegabile. Proprio per amore, quantunque sua moglie fosse tutt'altro che bella. Magra, piccina, dirò anche insignificante, voi ed io non l'avremmo forse degnata della piú passeggera attenzione. Questo però non vuol dire che Emilio Roxa non abbia potuto scoprire o creder di scoprire in lei qualità tali... L'amore consiste appunto in cotesta virtú, diciamo, creativa; nel vedere quel che gli altri non vedono, nell'indovinare quel che gli altri non sospettano neppure; nel tirar fuori ex nihilo cose che acquistano esistenza soltanto per chi ama, e che diventano reali perché reale è quel che noi, sia pure per effetto di allucinazione, stimiamo reale; psicologia positiva che voi stesso, metafisico arrabbiato, non potrete negare.

Intanto passano due anni di matrimonio senza che un figlio o una figlia vengano a rallegrare la loro unione. Voi ed io avremmo pensato: «Tanto meglio!» Ma noi siamo corrotti dalla civiltà. Emilio Roxa, al contrario, è un barbaro, un primitivo, un uomo perfettamente naturale: vuole un figlio o una figlia. Stima che il matrimonio sarebbe un atto senza scopo se non dovesse produrre altri esseri e perpetuare la specie... Nei due anni di vana attesa che il lieto avvenimento si compisse, il desiderio diventava angosciosa fissazione. Egli pensava spesso alla grande gioia da lui provata parecchi anni addietro quando gli era nato un figlio da una relazione equivoca, e al profondo dolore prodottogli dalla morte di quel bambino... Dunque il difetto non stava in lui... Gli repugnava però di condurre sua moglie in un gabinetto di medico per accertarsi... Voi ed io, in simile circostanza, ci saremmo contentati di attendere... Lui no. Pensava che la scienza forse aveva mezzi di correggere le imperfezioni dell'organismo, di rimuovere ostacoli, di provocare attività addormentate. E un giorno... Accade spessissimo cosí. Si cerca una spiegazione che avvalori un nostro sospetto, e se ne trova un'altra precisamente opposta, che vi fa cascare dalle nuvole.

Qui Roxa si rizzò sul busto, si passò rapidamente le mani sul viso e ficcò le dita tra i capelli, quasi si sentisse assalito da commozione improvvisa e ne avesse stizza. Io che, mentre egli parlava, non avevo cessato un solo istante di tener d'occhio il suo naso rivelatore, scorgevo in un replicato arricciamento di esso la vivace espressione di quella stizza, e n'ero stupito.

Roxa si accasciò nuovamente, piú abbattuto di prima. Povero Roxa! Non aveva neppur forza di proseguire. Avrebbe mai potuto imaginare che quella magra, quasi brutta e assolutamente insignificante, non ostante ch'egli si fosse lasciato indurre a sposarla e le volesse bene ancora dopo due anni di matrimonio e dopo la delusione dell'agognata genitura...? Avrebbe egli mai potuto imaginare che vi sarebbe stato al mondo un altr'uomo capace di farsene un'amante, come egli se n'era fatta una moglie? Avrebbe mai potuto imaginare che quella donna concepisse la maligna risoluzione di dimostrargli che l'ostacolo, no, non era in lei?...

Infelicissima idea, in verità, la viva insistenza di Emilio: «L'ostacolo è in te! L'ostacolo è in te!» Pur troppo la vanità (non la tentazione diabolica, com'egli supponeva) perde sovente un galantuomo! Eppure io non credo che la signora Roxa abbia avuto la perversa intenzione di una vendetta; credo piuttosto che ella abbia agito con animo sicuro, convinta dal marito che appunto l'«ostacolo» stesse in lei e che quindi non c'era da temere, in ogni caso, che ne venisse fuori la dimostrazione contraria.

Quell'altro era inquilino della stessa casa, uscio a uscio, scapolo e collega di Emilio nella quarta divisione al ministero della guerra. Passavano le serate insieme, distraendosi con interminabili partite di scopa, fumando, bevendo qualche bicchiere di vino, chiacchierando, facendo un po' di maldicenza... L'occasione, dicono, fa l'uomo ladro. Veramente il proverbio non mi sembra giusto, perché i veri ladri cercano l'occasione; ma lasciamo andare! Senza dubbio fu l'occasione che fece prevaricare la signora Roxa. E quando ella ebbe la sorpresa e la certezza...

A questo punto, caro professore, Emilio Roxa, oh! non raccontò piú, rappresentò la tragica scena. Io assistei a qualcosa di scespiriano interpretato dal Salvini dei migliori tempi! Scena indimenticabile, caro professore! Riveggo Emilio con quel viso di stupore animalesco, quasi la ragione gli si fosse annientata nel cervello, mentre mi ripeteva, imitandone fin la voce, le parole di sua moglie: «Sai, Emilio?... Credo... che il Signore ci ha fatto la grazia!» «Proprio, il Signore! Proprio, la grazia!» Le donne hanno a dirittura la privativa di certi mirabili eufemismi!

Che cosa poteva risponderle?... Avrebbe dovuto saltarle al collo, strozzarla per quella sfacciataggine!... E allora? Egli si sarebbe smentito da sé. E c'era inoltre il fatto - Emilio non aveva resistito alla vanità di ripeterglielo parecchie volte - c'era il fatto del bambino avuto, nella prima giovinezza, da una di quelle donne che non si sposano e della paternità del quale egli non poteva dubitare... - bambino bello come un angiolo e che pareva precisamente il suo ritratto ridotto in piccole proporzioni. - Poteva egli confessarle ora che, dopo una sciagurata malattia...? A quell'età si è imprudenti, non si bada a pericoli «Ma, dottore, è possibile? Non s'inganna?» «Ormai è un fatto accertato dalla scienza. ! !» Gli tornava in mente la consultazione di due anni avanti, e rivedeva la seria figura del dottore che insisteva: «! !...»

Ed ecco, caro professore, la terribile situazione presente!

Che dovrà fare il povero Emilio? Il figlio... di quell'altro... sta per nascere... Emilio non ha forzacoraggio di disdirsi, dopo aver quasi rinfacciato tante volte alla moglie: «L'ostacolo è in te!» né trova modo di far valere la sua dignità offesa. «La colpa è mia! ripete, la colpa è mia!» E, in verità... Per ciò egli lascia correre per ora. E con sua moglie finge di credere che il Signore, finalmente, gli abbia fatto la grazia; e non osa di chiudere in viso a quell'altro la porta di casa!

Io mi atterrisco pensando quel che può accadere da un momento all'altro: una strage, forse! Un suicidio, forse! - Forse niente di tutto questo, dite voi, caro professore. Indovino?

In certi momenti, riflettendo bene, quel naso mi rassicura. Non mi par naso da suicida o da assassino. Son sicuro che esso mi darà occasione di scrivere le piú belle e piú profonde pagine della mia Psicologia positiva del naso... A questo mondo, caro professore, c'è sempre qualcuno che guadagna con le disgrazie degli altri!

 

 

 



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