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I
I MICROBI DEL SIGNOR SFERLAZZO
- Il soggetto è troppo grave da poter essere accennato in conversazione - disse il dottor Maggioli. - E poi, io sono oramai un po' fuori dal mondo scientifico; sto a guardare, sto a sentire quel che fanno e dicono gli altri, e non ho piú voce in capitolo. La mia opinione sarebbe di nessun valore. Quando diventiamo vecchi, non ci si atrofizzano soltanto i muscoli e le ossa, ma anche il cervello. Certe idee nuove non possiamo piú assimilarcele, non riesciamo ad intenderle; e resistiamo financo all'evidenza dei fatti. In ogni modo, a proposito di microbi, ho una storiella da raccontare.
Il cavalier Carmine Sferlazzo (il suo deputato lo aveva fatto crocifiggere con la corona d'Italia perché attivissimo elettore) non era un'aquila, oh, no! ma era certamente una brava persona.
Egli aveva letto su pei giornali molte chiacchiere intorno a questi maledetti invisibili animalini che ora si trovano dappertutto e dei quali, anni fa, nessuno sapeva niente; ma da uomo prudentissimo, che non dà retta alle fandonie dei «fogli», non se n'era dato gran pensiero. Si trattava però della salute, della vita anche; ed egli, che voleva star bene e restare quaggiú il piú lungamente possibile, aveva pensato che era meglio avere netta la coscienza; per ciò era andato a consultare il suo medico ordinario.
«Dunque, questi microbi? Bisogna dar retta ai giornali?»
«Siete come i contadini anche voi?» aveva risposto il dottore.
«Illuminatemi, spiegatemi tutto. Sono venuto appunto per questo».
Altro che illuminarlo! Colui lo aveva atterrito a dirittura. Milioni! Nell'acqua, nelle erbe, nei panni, fuori e dentro di noi, tra i denti, tra le ugne, negli intestini, nell'aria che respiriamo! «Fin in paradiso!» aveva conchiuso quello scomunicato che non credeva a niente piú in là dalla punta del suo naso.
Il cavaliere, all'ultimo, aveva scrollato il capo, diffidente, convinto anzi che quegli avesse esagerato a posta, per fargli paura.
Ma un giorno l'infame dottore, trovatolo per via, lo aveva preso sotto braccio, e lo aveva condotto nel suo studio. «Volete vedere i microbi?»
«Dove sono?»
«Qui».
E gli aveva messo sotto gli occhi un tubetto di vetro, con in fondo un dito di gelatina. Postolo a sedere davanti a un tavolino su cui era preparato il microscopio, lo aveva poi iniziato nei misteri dell'invisibile.
«Eh? Vedete come guizzano? Come si agitano quelle virgolette nere? Sono ingrandite trentamila volte!»
«E che razza di virgole sono?»
Il cavaliere diè un balzo. Voleva ammazzarlo dunque? O, per lo meno, farlo ammalare per cavarsi il bel gusto di guarirlo?
«Questi scherzi non si fanno, dottore!»
Doveva essere cosí, se il dottore maneggiava la gelatina impunemente; ma egli non si senti tranquillo, neppure dopo che quegli lo ebbe spruzzato da capo a piedi con la soluzione di bicloruro di mercurio con cui gli aveva fatto lavare e si era lavato le mani pure lui.
Quella notte il poveretto non chiuse occhio.
«Ragioniamo! - diceva a se stesso - Questi dottori, questi scienziati sono, su per giú, una manica di ciarlatani. Ce le danno a bere grosse, sicuri che noi ignoranti non possiamo smentirli. Quell'altro professore, ieri, non voleva darmi a intendere che è stata misurata, fino a un millimetro, la distanza dalla terra al sole? Hanno mandato gli ingegneri a misurarla col compasso? Fandonie! Ciarlatanate! E la luce delle stelle che mette dieci, dodici, venti mila anni ad arrivare quaggiú! Hanno forse avuto sott'occhio il passaporto di essa, vistato dai sindaci di là? Fandonie! Ciarlatanate! Ma almeno queste sono innocue. Con la storia dei microbi però... Eh, via! I medici fanno il proprio interesse. Ora, quando non capiscono niente di una malattia, ci spiattellano in faccia: microbi! E si tolgono ogni responsabilità. Spetta a noi cautelarci, guardarci!... E prima? Il mondo esiste da secoli... La gente, una volta, campava duecento, quattrocento anni. Dov'erano allora i microbi? Domineddio li ha creati a posta oggi, per far il comodo dei medici? Fandonie! Ciarlatanate!... Ma poi... chi sa? Le ho vedute, proprio con questi occhi, quelle brutte "virgole" del tifo! Le chiamano virgole! E fanno fare punto fermo e daccapo, per tutta l'eternità! Belle virgole!»
Si voltò e rivoltò sul letto tutta la nottata, ripetendosi a ogni po': «Ragioniamo!» Che voleva ragionare? All'alba non ragionava piú, con lo spavento delle terribili «virgole» addosso.
E che accadeva? Neppure a farlo a posta! Da là a un mese, egli si ammalava di tifo!
«Ah, dottore! Siate galantuomo ora; guaritemi, se non volete che io vi maledica morendo!»
E invece di rispondergli: «Sí, vi guarirò, farò il mio dovere!» il medico lo aveva sgridato con stizza:
«Non dite sciocchezze!»
Febbre a quaranta gradi; delirio, durante il quale il povero cavaliere si sentiva rodere le carni dalle «virgole» nere osservate sotto le lenti del microscopio; coma, abattimento, e tutti i malanni che il tifo porta con sé Nei brevi lucidi intervalli concessigli dalla febbre e dal delirio, egli si recitava deprofundis e requiem, e dava occhiatacce di odio al dottore, che intanto aveva la sfacciataggine di assicurargli:
«Siamo fuori di pericolo!»
Infatti, il cavaliere ne era uscito quasi per miracolo, ma diventato proprio un altro. Quei microbi a cui fin allora non aveva voluto credere, ora, dopo l'esperienza, diceva, li vedeva dappertutto; e la sua vita diveniva un continuo tormento. In casa sua, dove prima entrava appena qualche romanzo francese, del Montépin, del Mérouvele e simili, prestatogli da questo o quell'amico, ora si accumulavano giornali, opuscoli, fascicoli di riviste mediche, opere in piú volumi, con figure, intorno ai diabolici microbi, dai quali egli voleva guardarsi e difendersi finché fosse stato possibile.
Ogni suo atto era regolato scientificamente, con minuzia da sbalordire; il puzzo dell'acido fenico, del sublimato corrosivo, di altri disinfettanti prendeva alla gola chi aveva la disgrazia di dover andare a trovar il cavaliere in casa, per qualche affare. Agli amici non piú strette di mano, non piú baci di addio o di ben arrivato; non si sapeva mai quel che costoro potevano portar addosso, senza loro colpa! E che scene con la sua «amica», alla quale una sera aveva annunziato:
«Da oggi in poi, niente baci, niente carezze! Niente! Non voglio infettarti di microbi, né esserne infettato! Ah, tu non sai! È terribile».
Quell'ignorantaccia intanto supponeva che fosse un pretesto per distaccarsi da lei a poco a poco, per abbandonarla! E per ciò non voleva sentir parlare di acido fenico, di sublimato, di disinfettanti di nessuna sorta.
Oh, meglio quando egli non sapeva nulla! E la chiamavano scienza questa che, invece di guarire la gente, la faceva morire di paura!
Mangiando un boccone, bevendo un dito di vino, o di acqua bollita e ribollita, insipida da far nausea, il poveretto si domandava spesso: «Ci sono? Non ci sono?»
E il minimo dolorino di pancia, la minima accapacciatura lo tenevano in ambascia mortale. Eppure vedeva che la gente se n'infischiava della scienza e dei microbi; mangiava a crepapelle, si ubbriacava, faceva stravizi di ogni genere, e campava allegra, e moriva... quando doveva morire; giacché una volta o l'altra, con una scusa o con un'altra, bisognava fare, pur troppo, quella bestialità! Ma subito si riprendeva:
«Non è una bella ragione! Se gli altri vogliono ammazzarsi, padronissimi! Io ora so; io ora debbo premunirmi!» Si premuniva, si, ma dimagrava, diveniva giallo come una carota, a furia di privazioni, a furia di regime scientifico. Egli, che, prima, avrebbe digerito anche il ferro, era già ridotto a non poter digerire piú, chi sa per quale razza di microbi acchiappati non ostante le cautele! Ah, Signor Iddio! Ed erano questi i benefici della scienza? Perché non lasciare in pace la umanità, visto che i microbi erano invincibili, onnipossenti, eserciti, miriadi, da starne due, tre milioni rannicchiati nello spazio di un foro fatto con la punta di uno spillo?
Era scoraggiato; non li combatteva piú con fede, dopo di aver letto che, ammazzati i microbi di una specie, si faceva un favore a quelli di un'altra; la quale cosí prendeva rigoglio, si moltiplicava piú rapidamente. E l'infelice impallidiva leggendo giornali, riviste mediche, che poi - si lamentava - parlavano turco per non farsi capire e far disperare un galantuomo che voleva istruirsi.
Lotta a corpo a corpo! Ma che lotta, con un nemico invisibile, con cui non si sapeva precisamente mai chi aveva vinto o chi era rimasto sconfitto?
Si rassegnava a vivere solo, come un cane, lontano da tutti.
«Eh, cavaliere? Non vi si vede piú! Che avete? Non state bene?... Dio, come siete ridotto!»
«Beato voi, che siete un ignorante!» rispondeva l'infelice.
«Ah!... La solita storia dei microbi!»
Ma una mattina, che è che non è, ecco il cavaliere, vispo e gaio, che va in piazza a far la spesa, senza piú badare a niente. Una catasta di roba! Erbaggi, frutta, pesce, carne, salami, pasta, burro, conserva, mostarda: una catasta! E un barile di vino rosso, di quello! Era ammattito all'incontrario?
«Insomma, che è accaduto, cavaliere?»
«Ah, la scienza! La scienza! È come la spada di... di quel tale, che feriva e sanava nello stesso punto! Gli scienziati, ecco la rovina della scienza!... Microbi? Sissignori! Ma, Dio benedetto, aspettate un po', studiate bene prima di scompigliare il mondo con certe scoperte! Finalmente c'è stato chi ha messo a posto ogni cosa!... Farò un viaggio per andate a baciargli la mano, quella mano che ha scritto l'opuscolo La funzione dei microbi nell'organismo umano!»
Lo guardavano sbalorditi, pensando:
«Senti come parla quel bestione del cavaliere! È proprio ammattito all'incontrario!»
Ma egli continuò per settimane a predicare il nuovo vangelo, la vera Buona Novella dei microbi. E prendeva indigestioni per nutrirli, per amicarseli tutti quelle care «virgole»... e «punti» - diventava faceto - che gli stavano annidati addosso, tra i denti, tra l'orlo delle ugne, negl'intestini, nel sangue, nelle ossa; convinto ormai che l'uomo non fosse altro che un vasto «microbaio» a cui bisognava dar nutrimento, se si voleva star bene.
Vedevano? Egli era ritornato grasso, roseo, forte: gli si era fin stirata la pelle vaiolata della faccia, ora che badava lui a dar da mangiare scientificamente ai microbi; i quali, poverini, non chiedevano niente di meglio che di vivere in pace, ben nutriti, quasi accarezzati!
«Questo, pei microbi della mucosa! Questo, pei microbi del sangue! Questo, pei microbi dei nervi! Questo, pei microbi dei muscoli! Questo pei microbi delle ossa! Sissignori, anche per quelli delle ossa». E piú essi divoravano, piú egli stava bene! Se li sentiva rimescolare addosso, dentro, nelle piú intime fibre del corpo; ma ora li conosceva perfettamente quei cari amici! Amici, sí, sí! Lavoravano per lui, combattevano per lui, distruggendo i nemici che lo assalivano di fuori. Se non si trovavano in forza, come potevano resistere? E certi imbecilli di scienziati avevano proclamato la crociata: «Morte ai microbi!» Imbecilli! Viva i microbi! si doveva gridare.
E il giorno che un capo ameno gli disse: «Ebbene, insegnatemi il vostro metodo di dar il pasto a coteste feroci bestioline!» il cavaliere lo invitò a pranzo, e gli spiegò tutto «Questo, pei microbi della mucosa! Questo...»
Intanto divorava come un lupo affamato, e beveva, beveva, perché bisognava anche dar da bere a quei carissimi «amici!» All'ultimo, si levò in piedi, alzando il bicchiere ricolmo per fare un bel brindisi. Ma barcollava, il braccio non gli stava fermo, e la lingua gl'impastava le parole in bocca. «Viva i microbi! - balbettò. - Viva i microbi!» E ruzzolò sotto la tavola.