IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
LA SCIMMIA DEL PROFESSOR SCHITZ
- La scienza? È l'impotenza umana - protestò solennemente l'abate Venini.
- E la teologia? La follia umana dovrei dire - rispose con calma il dottor Maggioli - ma non lo dico per rispetto di me stesso e della teologia pure.
- E fate bene - soggiunse l'abate.
- Fareste però meglio voi, rispettando la scienza, di cui (scusate, alla mia età è permesso di essere sinceri), non avete un'idea a bastanza esatta.
- No, anzi io le fo tanto di cappello, quando essa non ha l'orgoglio di tentare l'assurdo.
- Che cosa è l'assurdo, secondo voi?
- L'assurdo!... L'assurdo!... Oh, bella! Lo capiscono tutti.
- Io, per esempio, non lo capisco. È il quattro e quattro fa sette? Ma siete voi proprio sicuro che quattro e quattro facciano otto? Spesso, apparentemente, sí; ma in certi casi...
- Eh, via! Ora si burla di noi, dottore - fece la baronessa Lanari.
- Parlo sul serio... Ma, per tornare al discorso che l'abate ha interrotto, i tentativi degli scienziati, qualunque ne sia il resultato, hanno sempre un gran valore. Talvolta si riducono a far scorgere agli studiosi che già stanno su una falsa via. Tornare addietro, per prendere un'altra strada non significa niente. Gli scienziati muoiono, ma la scienza ha la pelle dura: ha l'eternità davanti a sé. Quel che non è riuscita a fare oggi, l'oprerà domani, domani l'altro. I domani della scienza sono composti di secoli. Due anni fa...
- Volevo dirlo! - esclamò l'avvocato Rosaglia.
- Abbiate pazienza; ho la mania degli aneddoti, delle storielle; ma essi concludono assai piú di certi ragionamenti, sono anzi ragionamenti che hanno preso carne e ossa. Se, per esempio, uno scienziato vi esponesse, astrattamente, che si potrebbe procurare negli animali lo sviluppo intellettuale che sembra assoluto privilegio della razza umana, e ve ne spiegasse le ragioni teoretiche, voi avreste il diritto di stimare un po' fantastica tale affermazione. Ma se però venisse un altro scienziato, e vi mettesse sotto gli occhi...
- Io giudicherei, a priori, che costui è piú bestia di quella bestia da lui pretesa di umanizzare!
- E ragionereste... da teologo! Io invece direi: stiamo a vedere. E spalancherei bene gli occhi e me li strofinerei ripetutamente guardando. Per disgrazia, ci sono... dei teologi anche tra gli scienziati. E quando il professore Schitz, bravo tedesco, corto, grasso, con candida chioma spiovente dietro il collo e candida barba arruffata, presentò la sua memoria intorno all'esperimento da lui fatto di umanizzare, direbbe l'abate Venini, una scimmia, l'Accademia di Berlino rigettò la memoria come indegna della serietà di un gran consesso scientifico. C'è dei teologi dappertutto, cioè gente che non vuol vedersi guastare le uova nel paniere.
- È feroce questa sera, dottore!
- Oh, baronessa! Non mette conto d'inferocire per nessuna cosa di questo mondo: è il mio modo di pensare. Figuriamoci poi per una discussione, e qui, dove lei gentilmente ci permette di fare quattro chiacchiere alla buona, quando non interviene col suo spirito, con la sua grazia, e le altre signore pure.
- Si fa adulatore, per scusarsi. Zitto! E ci parli piuttosto...
- Della scimmia del professor Schitz?... Era un bel scimmione, da lui comprato ad Amsterdam per controllare gli studi del suo amico dottor Garner intorno al linguaggio di questi animali... Non aggiungo: nostri progenitori, per non far andar in collera l'abate e anche perché soltanto gli ignoranti si lasciano scappar di bocca tale stupidaggine, che i veri scienziati non si son mai sognati di dire. Io mi trovavo allora a Breslau...
- Si trova dappertutto, quando occorre - lo interruppe maliziosamente la baronessa.
- Pur troppo, la mia vita è stata un continuo errare di qua e di là, ma non per ciò un divertimento, gliel'assicuro. Mi trovavo a Breslau, e avevo ammirato piú volte il magnifico scimmione in casa del professore, che abitava una villetta fuori della città in un delizioso tratto di campagna.
Una sera trovai il professore lietissimo di avere aggiunto due altre parole, o, per dir meglio, due altri suoni o gridi a quelli accertati dal dottor Garner.
«Io già posso fare una brevissima conversazione, sempre la stessa, col mio animale, e intenderlo ed essere inteso da lui». E si stropicciava le mani dalla sodisfazione. «Ma questo è poco, molto poco - soggiunse. - Mi è venuta un'idea. Bisogna però maturarla. Con voi posso parlare senza reticenze; so che non vi stupite di niente».
Lo ringraziai del complimento e mostrai di attendere la confidenza.
«Mi son domandato piú volte - egli riprese dopo di aver riacceso la sua grossa pipa - perché le facoltà iniziali delle bestie non oltrepassino mai, neppure nella domesticità, il limite, che può variare fino a un certo punto, da cui vien segnata la distinzione delle diverse razze animali. I cani, i gatti, fin gli asini ammaestrati non provano niente. Si è visto che non trasmettono per eredità quel po' che hanno appreso a fare a furia di frustate e di fame. Atti imitativi e null'altro. Eppure essi hanno nervi, materia bianca e grigia nel cranio, e, probabilmente, un po' di quel che noi chiamiamo anima pur di dargli un nome e non sappiamo ancora che cosa sia. I cani, per esempio, possiedono affettività e intelligenza con cui ragionano talvolta cosí bene da farci maravigliare. Vi sono uomini che non arrivano a raggiungere lo sviluppo intellettuale di alcuni di essi, ma noi conosciamo la ragione di tali anormalità patologiche nel maggior numero dei casi. Siamo proprio sicuri che per gli animali si tratti di casi normali? Io comincio a credere di no. E voglio tentare di risolvere quest'arduo problema».
«Tentare non nuoce» risposi allo sguardo interrogativo del professore che mi fissava sorridente del mio imbarazzo.
«Capisco: vi sembra follia; ma io rifletto che tanti altri tentativi sono stati reputati pure follia, e poi...».
«Ho conosciuto - soggiunsi sornionamente - una vecchia signora, della riviera ligure, la quale pretendeva che un suo gatto era malato, ella diceva, d'una trasformazione maravigliosa: stava per divenire scimmia! Magro, spelato da fare schifo, sembrava davvero piú scimmia che gatto... Ma morí... gatto, prima che l'attesa trasformazione fosse avvenuta».
«Ah! - riprese il vecchio professore, ridendo. - Io non penso di trasformare una scimmia in uomo. Penso che se si potesse sviluppare il volume del suo cervello, parecchie facoltà ancora iniziali si svilupperebbero egualmente. C'è la difficoltà della scatola cranica, che tiene prigioniero il cervello, e non ne consente l'aumento del volume. Non è, forse, difficoltà insuperabile. Tolto l'ostacolo, il cervello si dilaterà, e aumentando di volume e di circonvoluzioni... Non vi pare?»
Io non ho mai tentato niente per conto mio, ma mi sono interessato sempre, con passione, dei tentativi degli altri. Pochi giorni dopo, trovai lo scimmione con una specie di cuffia che copriva una fasciatura attorno al capo. Era buffo! Se ne stava rannicchiato nell'angolo della terrazza dove il professore lo teneva incatenato e sembrava avvilito per la cuffia, la fasciatura e la camicetta di forza che gli impediva di portar le braccia al capo e levar via l'impiastro applicatogli per rammollire la scatola cranica. Rifiutava fin di mangiare. Quando il professore gli parlava il suo linguaggio - io non potevo trattenermi dal ridere sentendogli emettere certi strani suoni gutturali che significavano: «Via! Mangia! Via! Bevi!» - lo scimmione lo guardava aggrottando le sopracciglia, arrotando i denti, e masticava rabbiosamente i biscotti e le frutta che s'induceva, dopo un pezzo, ad accettare.
Ho dimenticato di dire che il professore aveva una serva vecchia e brutta; brutta talmente da giustificare la sciocca opinione della provenienza dell'uomo dalla scimmia. Forse per questa bruttezza lo scimmione la stimava quasi della sua razza e si lasciava spulciare, lavare pazientemente da lei. La quale intanto non poteva soffrirlo e gli dava a malincuore tutte quelle cure soltanto per obbedire agli ordini del padrone. Da che gli avevano messo quell'impiastro e quella cuffia per reggerlo bene, lo scimmione si era mostrato straordinariamente irritato contro la vecchia che portava anch'essa la cuffia; forse sospettava che tutto ciò fosse un dispetto di colei. Avea cercato piú volte di morderla. E per questo il professore gli stava attorno lui, da mattina a sera, lieto che il rammollimento della scatola cranica progredisse piú rapidamente ch'egli non avesse preveduto. Infatti il cranio dello scimmione era già ridotto molle come quello di un neonato; e, dopo due soli mesi, aveva preso conformazione diversa: si era arrotondato, si era dilatato. E già si notava qualche modificazione anche nell'indole dell'animale che si lasciava volentieri mutare e rimutare l'impiastro, quasi ne riconoscesse il benefizio.
- Scommetto che morí scimmione - lo interruppe ironicamente l'abate Venini - come il gatto di quella vostra signora ligure, morí gatto non ostante...
- No, caro abate, - rispose il dottor Maggioli. - Lo scimmione morí... di amore, sentimentalmente; e, forse, compose dei versi come un trovatore o un poetino qualunque; ma li compose nel suo linguaggio e nessuno li capí!
- Dottore! Vuol darcela a ingoiare troppo grossa!
- Niente affatto, baronessa! Era avvenuto quel che il professore Schitz avea divinato. Poiché la scatola cranica non opponeva piú resistenza, la massa cerebrale avea potuto facilmente aumentare di volume, di circonvoluzioni, e le sensazioni da esse tramandate ai nervi, vi si trasformavano in sentimenti, in maniera primitiva, s'intende. E cosí il povero scimmione, dopo quattro o cinque mesi, libero dalla cuffia e dall'impiastro, si trovava trasformato (prego lor signori di non ridere quantunque la cosa sembri ridicola) in innamorato sentimentale... E di chi? Della vecchia serva! La guardava con occhiate cosí languide, le indirizzava certi gridi d'intonazione cosí raddolcita quando la vedeva andare per la terrazza ed innaffiar i fiori, a sciorinare la biancheria su le cordicelle tese da un capo all'altro; l'accarezzava cosí delicatamente ora ch'ella aveva ripreso a spulciarlo, da non potersi dubitare di quel che avveniva dentro il cervello del povero animale. I maschi delle scimmie - è notissimo - non sono molto riserbati nelle dimostrazioni dei loro istinti amorosi. E lo sapeva pure la vecchia serva del professore che spesso era scappata via facendosi il segno della santa croce, come davanti all'apparizione d'un demonio... Ma ora lo scimmione del professore Schitz era mutato. Appariva proprio un innamorato sentimentale; prendeva pose da rêveur, col dito d'una delle sue mani appoggiato alla guancia, con la testa inclinata tristamente da un lato. La vecchia, appunto perché bruttissima, era il suo ideale di bellezza: né poteva averne altro naturalmente, da quello scimmione che era.
«E ha avuto un nuovo grido, un nuovo suono, una nuova parola! - esclamava trionfalmente il professore. - È la sua dichiarazione di amore».
Dichiarazione che rimaneva inascoltata perché, dopo che il professore aveva detto alla vecchia: «Lo scimmione è innamorato di te!» la vecchia non voleva piú saperne di dargli le solite cure. E il poveretto languiva, languiva come un innamorato sentimentale qualunque. E un giorno...
«Mi pento di aver sperimentato su questo povero animale - ripeteva il professore Schitz, vedendolo morire di consunzione. - Pur troppo, aumento d'intelligenza apporta aumento di dolori! Se avessi potuto prevedere!»
E non seppe prevedere neppure quel che seguí. Un giorno - è certo - lo scimmione, disperato di non veder corrisposto il suo amore, fece come tutti gli innamorati violenti: si suicidò strozzandosi con la catena che lo teneva legato. Il professore Schitz ne fu inconsolabile -.