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IX.
Il giorno dopo dissi a mia madre:
- Consigliami; che cosa vuoi che faccia? Ti obbedirò ciecamente.
- Tròvamela. L'istinto materno ti guiderà bene nella scelta.
- Oh, no! Cercala. Il cuore ti suggerirà assai meglio di me. Se mi sembrasse che tu stèssi per cadere in qualche inganno, ti avvertirci.
Fui spaurito dal consiglio e più dal modo indicatomi di metterlo in pratica. Mi sembrò di trovarmi, nell'oscurità di una notte senza luna e senza stelle, al confine di una immensa regione ignota, e che una voce mi ordinasse: - Procedi! Indovina la via! La felicità è laggiù, laggiù in qualche parte. Raggiungila, a tuo rischio e pericolo!
Risorsero, vigorosissime, tutte le mie prevenzioni contro la donna. Solevo chiamarla la gran nemica, l'avversaria, per esprimere quel che reputavo esistere in essa di malefico, di diabolico.
La donna! La sensazione, la immaginazione, il sentimento tutto al più, ma ristretto, egoistico, quasi non umano! Hegel e i positivisti si erano trovati di concerto per infiltrarmi nella mente tale convinzione. Che poteva esservi di comune tra questa creatura inferiore, anello intermedio fra gli antropoidi e l'uomo, e me che volevo essere l'uomo superiore, l'uomo perfetto, vivente soltanto di pensiero, e che rifà il mondo con la riflessione, penetrandone il processo; o almeno, l'artista che crea un mondo più nobile, più perfetto di quello materiale, non soggetto al caso, e per ciò immutabile, immortale mentre ogni cosa cangia e gli muore attorno, nella Natura?
Così mi ero reso - e le circostanze della mia debole costituzione e della mal ferma salute nella fanciullezza e nei prim'anni della giovinezza vi avevano molto contribuito - così mi ero reso una creatura refrattaria alle attrattive femminili, fino a far dubitare della mia virilità gli amici, che qualche volta mi avevano espresso brutalmente il loro pensiero.
Io avevo risposto con orgoglio:
Il vecchio prete hegeliano che, idealmente, era gran spregiatore della donna, e la escludeva dall'arte, dalla religione, dalla scienza, cioè dalla filosofia, concedendole, appena, di poter essere una comtiana, una darwiniana, una positivista, e di praticare la farmacia, la umile medicina curatrice, la chirurgia, il notariato, l'avvocatura e le arti minute quasi meccaniche, il vecchio prete però mi aveva ammonito:
- Bada! Non confondere! Lo spirito da un lato, in alto; la carne, dall'altro, in basso. Sono distinti, ma non scissi, non ognuno per sè. E come la mente si ritempra nell'Idealismo Assoluto, il corpo dee ritemprarsi nella realtà materiale. Ci vuole la sensazione, il sentimento, la fantasia.... cioè la donna. Sissignore! Eh! Eh! La donna! Beato te, che non hai ancora vent'anni! Tutto sta nel modo e nella misura. Platone si ritemprava in Acherneasse; Aristotile in Herpyllis; Dante, non in Beatrice.... non dargli retta.... ma nella cognata, sembra, e in parecchie altre; e il canonico Petrarca, non in Laura, ma.... più non ricordo in chi mai.... Senza la Fornarina, Raffaello avrebbe forse potuto dipingere la Trasfigurazione? Io, vedi, sarei riuscito qualche cosa, se non vi fossero stati di mezzo la zimarra ed il tricorno.... Me ne sono accorto troppo tardi! La tonsura svirilizza; e se questo vocabolo non c'è, lo invento io. Quei della Crusca non lo accetteranno, per non far torto a loro stessi. Mettiamolo in circolazione noi altri, e forse attecchirà.... Ah, la donna e il tabacco nella pipa corta, di radica!
In quel momento il vecchio prete hegeliano mi era parso un lurido scimmione. Si esprimeva a modo suo, come sempre; ma oggi riconoscevo che diceva la verità.
Oh! Potevo confessare a mia madre quel che io pensavo della donna?
Ella aveva parlato nobilmente: «Crearsi una famiglia, mettere al mondo creature destinate a far progredire la società è azione grande e bella quanto l'arte e la scienza!» Quest'azione bella e grande avrei però voluto compirla in maniera da non dover rinunziare interamente alle mie aspirazioni. Tornavo, di tratto in tratto, a lusingarmi. Mi sarei afferrato ai rasoi, pur di riuscire ad essere un uomo.
Allora la parola «superuomo» non era stata coniata; ma anche allora l'avrei creduta superflua, giacchè dicendo: uomo, io intendevo significare l'individuo della specie che ha raggiunto la maggiore eccellenza, che ha incarnato più largamente un certo ideale, una certa perfezione; quello soltanto, per me, era uomo; gli altri, prove e riprove sbagliate e corrotte. Non ero modesto, ma ingenuo! Non mi accorgevo che rappresentavo anch'io una prova sbagliata e delle peggiori.
Non potevo perciò andare incontro al matrimonio spensieratamente o per calcolo. Intanto mi inorgoglivo di potermi accostare ad esso vergine di animo e di corpo. Era già un'eccellenza questa rara condizione.
E a poco a poco, frammezzo a lunghe dolorosissime lotte, mi convincevo che non sarebbe stata impresa facile nè volgare creare un'opera d'arte in azione, realizzare un ideale di vita con mezzi e intenti forse non mai adoprati riflessivamente fin allora. Vi avrei potuto trovare alte soddisfazioni, gioie intense. Mi esaltavo o meglio mi sforzavo di esaltarmi per prendere una decisione; ma poi venivo riafferrato dalla paura dell'ignoto. E l'ignoto era Colei che avrei dovuto scegliere a compagna della mia impresa. Oggi ero libero di fare questo o quello; domani, non solamente non sarei stato più libero, ma anche alla mercè di un carattere, di un temperamento che forse non avrei potuto modificare nè domare. Donna, mistero! Dovevo abbandonarmi al caso? Quali precauzioni adottare per opporsi alla sua cieca opera?...
Ricordo benissimo; mi trovavo nel mio studio. Era una mattina verso la fine di aprile, quando i profumi di esso quasi si confondono coi tepori del maggio che sta per arrivare. Dalle quattro finestre spalancate alla dolce frescura e al sole irrompeva nella stanza ora un inno di lieta giovinezza, ora una solenne sinfonia di vita nuova; suoni, rumori indistinti, voci umane, canti di uccelli, bagliori di luce, festa di colori, trepidare di foglie recenti, che dava apparenza di cose animate agli alberelli di bambù davanti a le finestre, contro il sole.
Da mesi, io entravo nel mio studio con la stessa riluttanza con cui si penetra in un sepolcro che racchiude resti carissimi al nostro cuore.
Libri, quadri, statuette, ninnoli, tutto mi sembrava già in via di dissoluzione, emanante il nauseabondo odore delle cose imputridite; i libri specialmente, quei libri che più avevano contribuito a formare, ad alimentare il mio orgoglio, a ridurmi miseranda creatura invecchiata anzi tempo e che sentiva nelle vene il gelo e l'angoscia della morte.
E, tutt'a un tratto, un fremito m'invase, quasi i miei occhi lungamente chiusi o coperti da velo sentissero l'impressione della luce, vedessero vicino, lontano, con miracoloso potere. Una sfilata, una folla! Figure bionde, brune, con occhi azzurri, neri, con labbra porporine, schiuse a sorrisi accoglienti.... Le riconoscevo! Mi ero figurato che esse fossero passate, tempo fa, inavvertite o sdegnate davanti a me, che non avessero lasciato traccia alcuna.... E invece mi si erano fissate, vivacissime, nella memoria e nel cuore; e il cuore, felicissimo di ricordare, di rivederle, si sentiva commosso, palpitava, con rapido moto di gioia mista a un po' di rimorso.
E guardavo, guardavo la sfilata, la folla, ansioso, come chi cerca, come chi attende di ritrovare una persona diletta. E mi dicevo:
- Osserva bene! Non stancarti di ricercare! Sei vissuto fino a questo giorno non nella realtà, ma in un pallido riflesso di essa.... Tu credi di non avere mai amato, ed hai amato a traverso i lirici, a traverso i romanzieri, a traverso i drammaturgi, affascinato dai fantasmi da loro creati; fantasmi immortali, ma perciò insufficienti ai bisogni della vita che cangia e si trasforma, e si rinnova.... Sì, tu hai amato Sita, Elena, Nausica, Didone, Fedra, Giulietta, Desdemona e tante e tante altre ancora!... Vanamente però, solitariamente.... Con queste qui oh! non amerai solo: sarai riamato!... Tra le mille ce n'è una - osserva bene! cèrcala! Non stancarti di cercarla! - che sarà tua, che ti vorrà suo!... E con essa adempirai al tuo destino, farai opera grande, divina; perchè colui che agisce secondo le sue forze non fa mai opera bassa e vile; è venuto al mondo per tale scopo e non per altro. Quel che deve fare lui non può farlo nessun altro! Guarda! Cerca! Non stancarti!... Povera scienza la tua, che non ha saputo rivelarti la complessità, della vita! Pensare sì, ma anche agire, cioè amare, amare, amare!...
Come? Io sapevo tutto questo e ignoravo di saperlo? Perchè? In che maniera?... O si trattava di una nuova illusione che prendeva il posto dell'altra, che mi avrebbe ingannato come l'altra, che mi avrebbe fatto terribilmente soffrire e vanamente, come l'altra?
Distornavo gli occhi, diffidente, con indefinibile senso di paura.
Ma tornavo subito a guardare, simile a un fanciullo che si trova faccia a faccia con un oggetto non mai visto, di cui ignora il congegno e l'uso e che stende una mano per toccarlo e la ritira, torna a stenderla e finalmente lo tocca e lo prende in mano, maravigliato che non gli faccia male, ma non compiutamente rassicurato.
E poche ore dopo, quel sepolcro del mio studio, dove prima sentivo il nauseabondo odore delle cose imputridite, mi sembrò tramutato in una serra nella quale era stato necessario riporre tutti i delicati germi della mirifica fioritura improvvisamente scoppiata, e che non avrebbe potuto fiorire altrimenti. Ora potevo aprire, abbattere anche le pareti vetrate, esporre ogni cosa al diretto contatto della luce, all'aria libera; non c'era più timore che quella ricca bellezza ne soffrisse.
- Cèrcala tu! - mi aveva detto anche mia madre.