Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Rassegnazione
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RASSEGNAZIONE

XI.

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XI.

 

Andai via come un fanciullo a cui fosse stato regalato un giocattolo desiderato ardentemente da gran tempo. È così: nello sviluppo dei nostri sentimenti, noi dobbiamo attraversare, non fosse che per pochi istanti, tutte le fasi dell'evoluzione ordinaria; neppure in questo caso la Natura fa salti. Saremo fanciulli anche a sessant'anni, se non siamo stati tali al tempo opportuno. La maturità della mia intelligenza non m'impediva perciò di comportarmi come colui che si trova nel punto di iniziarsi alle prime prove del sentimento. Mi sentivo riafferrato dalla timidezza di una volta. Era certamente una timidezza più elevata, mista con trepidazioni, con esitanze, con scoramenti di altra natura; ma, in sostanza, era tutt'una con quella che mi aveva fatto rimanere confuso e smarrito anche davanti agli allettamenti dei giuochi infantili nella villa paterna.

Già mi stupivo di aver potuto prendere una risoluzione, e osato di chiedere quel ritratto. Lo stringevo col braccio, quasi per accertarmi che lo portassi con me nella tasca interna del vestito e nello stesso tempo avrei voluto non averlo , perchè l'idea che la mia chimera, come aveva detto l'amico Lenzi, stesse già per divenire una realtà cominciava a infondermi una strana sensazione di freddo e di paura.

Intanto affrettavo il passo verso casa mia. Volevo interporre tra questi sentimenti e me un valido fatto in cui la mia volontà avesse preso parte e pel quale mi dovessi poi sentire indissolubilmente legato.

Fui lieto di trovare nel salotto di mia madre anche il signor Bardi. Amico fedele, quasi rappresentante di mio padre, dal quale era stato creduto degno di affidargli i suoi complicatissimi affari, aveva pienamente corrisposto alla fiducia da lui accordatagli e confermata da mia madre e da me. La mamma, accòrtasi subito, dal mio aspetto, che avevo una gran notizia da comunicarle, m'interrogò con un lieve movimento del capo.

- Eccola! - dissi.

E mi sentii esaurito da questo sforzo di energia. Non occorreva darle altre spiegazioni.

Ella osservò attentamente il ritratto, sorrise e lo porse ai signor Bardi che, inforcati gli occhiali, tendeva il collo curiosamente. L'osservò con attenzione anche lui, ma non comprese di che cosa si trattasse.

- Chi è? - domandò.

Lasciai che rispondesse mia madre:

- La mia futura nuora!

- Ah! Dunque ci siamo? - egli fece, strizzando un occhio.

- L'accetti già! - esclamai, rivolto alla mamma.

- Io non la conosco, - ella riprese, - so come e perchè tu l'abbia trovata e scelta tra tante. Ma giacchè finalmente ti sei deciso, significa che essa corrisponde a tutti i tuoi desiderii, ed io la benedico sin da questo istante come se già fosse mia figlia. Che Dio vi faccia felici!

La povera mamma, estremamente commossa, aveva ripreso dalle mani del signor Bardi il ritratto e tornava a guardarlo con viva compiacenza:

- Ha viso buono e attraente, occhi e labbra bellissimi.

- Non mi chiedi il suo nome?

- Chi è quel poeta che ha detto: La rosa, con qualunque nome, sarebbe sempre un bel fiore?

- Shakespeare, - risposi. - Questa si chiama Fausta Lenzi.

- Ed è una bella e fresca rosa davvero! - soggiunse il signor Bardi.

- Dio vi faccia felici! - replicò la mamma. - Sorella del tuo amico?

- Unica sorella.

- Perchè non me ne hai parlato prima?

- Perchè io stesso non sapevo.... fino a qualche ora fa....

- O perchè l'amore ama il mistero....

- No.... veramente, signor Bardi....

Mia madre, udendomi così parlare e vedendo il mio imbarazzo, era diventata tutt'a un tratto pensosa.

- Tu ormai sei un uomo, - disse, - tu sai tante cose; non puoi aver fatto una scelta irriflessiva.

- Sì, mamma, - mi affrettai a rispondere per confortarla.

Ma mi tremava la voce, e mi rimordeva il cuore di ingannarla in parte:

- Poi ti dirò tutto; mi approverai.

Volevo impegnarmi per una sincera confessione.

- Non intendo di sapere altro, - ella riprese. - Neppur le mamme debbono essere indiscrete. Fausta!... Bel nome, e di buon augurio.

- La famiglia è eccellente - intervenne il signor Bardi. - Ho inteso parlare della signora Lenzi come di persona caritatevolissima e in segreto; il miglior modo di fare il bene. L'avvocato - lo conosco un po'.... gli ho procurato qualche cliente - l'avvocato è giovane e vuol godersi la vita.... Brava persona però anche lui. Colto, intelligentissimo, sa mettersi avanti e farsi valere.... Dario lo conosce meglio di me.... Dicono che commetta.... delle pazzie, no.... ma qualche scapataggine.... Dio mio! se non le fa ora che è in tempo. Bisogna che la gioventù si sfoghi. Non sapevo che avesse una sorella. Qui ella troverà una mamma migliore della sua.... Uguale alla sua - si corresse; - non voglio offendere la vostra modestia, signora Maria. Bravo, Dario! La tua bella risoluzione mi fa davvero gran piacere. Avevamo qui ragionato più volte intorno a questo argomento. Anzi io - ma ora è inutile dirlo - fantasticavo un progetto, e mi ero riserbato di farne parola a cose finite, cioè quando i nostri affari.... - nostri? Eh, sì, li curo più che se fossero miei - sarebbero stati compiutamente in assetto, cioè, tra poco. Arrivo troppo tardi. Tanto meglio. Certe cose è bene sbrigarsele da ; gli intermediari non hanno sempre la mano felice. Bravo! Mi rallegro di tutto cuore. E vi lascio, perchè in circostanze come questa si fa sempre la parte del terzo incomodo. Mi rallegro anche con voi, cara signora!

E il signor Bardi scappò quasi, per lasciarci soli nella dolce intimità di quel solenne momento.

Avrei voluto trattenerlo per sfuggire una immediata spiegazione con mia madre.

- Non so se ho fatto bene o male, - dissi impetuosamente, per liberarmi dal peso che mi sentivo sul cuore. - Sappiamo noi forse, con precisione, se facciamo bene o male, nel momento che prendiamo una decisione qualunque? Seguiamo o un impulso del cuore, o le conseguenze di un ragionamento che ci sembra giusto e convincente. Non biasimarmi, mamma! Ecco com'è stato.

E le narrai minutamente ogni cosa.

Mia madre mi aveva ascoltato grave, intenta, ora fissandomi in viso, ora rivolgendo gli sguardi al ritratto che teneva, posato in grembo, con una mano.

- Hai fatto bene, - mi disse all'ultimo. - E poi hai tempo ancora di riflettere, di maturare la tua risoluzione e deciderti.

- No, mamma; non voglio più riflettere. È deciso.

Sorrise maravigliata.

- Godo di scoprire in te uno scatto di giovinezza! - ella esclamò.

Era uno scatto insolito; aveva ragione.

Mia madre portava ancora il lutto, quantunque fossero trascorsi più di due anni dal giorno della morte del babbo. I capelli ondulati, abbondanti, pettinati con semplicità in due bande che le coprivano le orecchie contornandole il viso, e già in via di brizzolarsi di grigio, davano, assieme col vestito nero, alla sua svelta ma robusta persona un'aria imponente. Si era rizzata dal canapè pronunziando le ultime parole, e mi avea teso le braccia. La tenni stretta al petto con forza baciandole la fronte, mentre anche lei mi stringeva a e mi baciava, bagnandomi la faccia con lacrime di tenerezza e di gioia.

- Grazie, mamma! - le dissi.

Il ritratto di Fausta era rimasto tra i nostri petti quasi per partecipare a quell'amplesso. Stava per cadere sul tappeto nel disgiungerci; ma fui pronto ad afferrarlo.

- Portiamolo con noi al camposanto. Andiamo a dare la dolce notizia anche a Lui che ti voleva tanto bene.

Mai mia madre non mi era parsa così nobile e veneranda come nel momento in cui delicatamente mi rimproverava di aver quasi dimenticato Colui che, se fosse stato ancora in vita, avrebbe certamente gioito del mio futuro matrimonio, non ostante le sue idee intorno a questo soggetto.

Un'ineffabile tenerezza m'invase. Gittai di nuovo le braccia al collo di mia madre, mormorandole con effusione:

- Andiamo, andiamo sùbito!

Mi è rimasto indelebilmente impresso nella memoria lo strano spettacolo del cielo di quella sera di settembre. Un gran velario di nuvole, formato da larghe scaglie, simili a scaglie sovrapposte le une alle altre, di un'immensa corazza che il sole in tramonto incendiava fantasticamente con barbagli di oro agli orli, con splendore da rubini nel centro. Il marmo del monumento si colorava in roseo pei riflessi di quelle scaglie fiammanti che si facevano gradatamente più rosse, di mano in mano che il sole declinava verso le montagne dell'orizzonte lontano; e quel roseo comunicava un fremito di vita al busto, somigliantissimo, quasi vi facesse circolare dentro, per inatteso miracolo, il sangue.

Mia madre si era inginocchiata a pregare, posando prima, su le fronde della siepetta di bosso che circondava il monumento, il ritratto di Fausta.

Io l'avevo imitata, e le invidiavo quella forte fede che le permetteva di rivolgersi all'anima di mio padre con assoluta certezza di essere udita, e di ricevere un'interiore risposta da lui, valevole quanto quella che avrebbe potuto uscirgli dalle labbra se fosse stato ancora vivo. Le mie idee erano allora orgogliosamente diverse. Convinto che corpo e spirito di mio padre, disgregati dalla morte, si trovavano ormai confusi con gli infiniti elementi dell'Universo, io non riuscivo a concentrarmi in un'aspirazione, formulare una preghiera; per poco non mi vergognavo di sentire in quel momento la suggestione di quell'umile creatura che risolveva serenamente, con uno slancio, il più terribile problema da cui sia turbato il nostro intelletto. Se non potevo credere che qualche atomo dell'infinita sostanza conservasse tuttavia la coscienza individuale di Colui che era stato mio padre, ne sentivo un'eco, ne percepivo un riflesso nel mio cuore e nel mio spirito per la evidente continuità degli esseri tutti; e così, a modo mio, mi rallegravo di praticare un atto quasi simile alla preghiera di mia madre.

Ci avviammo ad uscire dal camposanto silenziosi, a capo chino.

Le innumerevoli scaglie delle nuvole erano già diventate cineree. Una gran pace aleggiava per quei viali deserti, tra quelle tombe biancheggianti. Il rumore dei nostri passi su la fina ghiaia produceva tale trista, indefinita sensazione che ci impediva di riprendere a parlare. Soltanto quando rientrammo in mezzo alla vita cittadina, trasportati celermente dalla carrozza che ci riconduceva a casa, mia madre esclamò:

- Ora mi sento più tranquilla pel tuo avvenire.

Non chiusi occhio quella notte. Da alcune parole della mamma avevo indovinato la ragione delle ansietà che la turbavano, quantunque cercasse di nascondermele. Roberto Lenzi ed io avevamo fiduciosamente combinato la cosa, senza punto pensare che il cuore o la volontà di Fausta potevano rovesciare a un tratto il nostro magnifico edifizio e spazzarlo via come fa il vento coi globi di fumo. E allora?

Verso le due dopo la mezzanotte mi ero levato da letto e avevo aperto la finestra; mi sembrava che nella camera mi mancasse l'aria. Il cielo era limpidissimo, trapunto qua e da poche stelle che tremolavano fiocamente, vinte dalla diffusa chiarità plenilunare. I tetti delle case erano bianchi dalla rugiada; i campanili e le cupole delle chiese si profilavano nel cielo quasi opalino con rigida nettezza.

Soltanto a grandi intervalli il vasto silenzio veniva interrotto dal rumore delle pesanti ruote di un carro, dai passi di un nottambulo, dallo strido di un uccello notturno che forse il lume della mia finestra aveva attirato da lontano.

- E allora? - m'interrogavo.

La risposta si sperdeva nel torpore che m'invadeva la mente, proprio come quella nebbia che vedevo inoltrarsi lieve, lenta, e che pareva scancellasse le sembianze delle cose, coinvolgendo dentro i suoi taciti veli biancastri la scura massa delle case, i campanili, le cupole, le cime degli alberi dei giardini attorno, spegnendo i fanali, di mano in mano che si accostava; prima, trasparente, simile a quei teli di garza scendenti dall'alto di uno scenario, e poi sempre più e più densa, tanto da coprire allo sguardo fin gli oggetti più vicini.

E quasi una mano invisibile agitasse di tanto in tanto quella vaporale inconsistenza che il chiaro del plenilunio rendeva opacamente luminosa, o un improvviso soffio di vento la diradasse per istanti, vedevo riapparire, slontanati dalla sfumata tenuità, cupole e campanili, angoli di case come galleggianti in quell'onda, che poco dopo tornava a riavvolgerli e a farli sparire.

- E allora?

La mia vita verrebbe sommersa, sarebbe presto sparita anche essa nel nulla, come le cose attorno, e non per qualche ora, ma per sempre?

Non mi ero accorto del tempo trascorso. La nebbia persisteva ancora fitta, immobile, quando potei distinguere a traverso di essa il luccicore dell'alba, quando l'aurora sopraggiunse più luminosa, tra i rumori della città che si destava.

E allorchè il sole, saettando i tiepidi raggi mattutini, cominciò a fugare la nebbia e a risuscitare attorno a me la realtà delle cose, mi parve che una risposta consolante mi risonasse dentro il cuore e che la gentile figura di Fausta mi sorridesse, lassù, nella limpida e dorata profondità del cielo, assentendo!

 

 

 


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