Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Rassegnazione
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RASSEGNAZIONE

XIV.

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XIV.

 

Ero come in attesa di un portento. In certi momenti mi paragonavo, sorridendo, a quei maghi maravigliosi operatori di prodigi, che, avendo asservito tutte le più arcane forze della natura, le costringono alla creazione da loro ideata e voluta, e per ciò superiore alle ordinarie produzioni, le quali risentono inevitabilmente gli influssi delle circostanze e del caso. La loro opera non è diversa dalle creazioni naturali; si serve degli elementi esistenti, ma li combina con piena libertà, evitando gli impedimenti e i contrasti del cieco intervento di altre forze.

Così credevo di aver potuto fare io, ed ero in vivissima impazienza di vederne il risultato. Ne avevo parlato spesso nelle mie lettere al Bissi, e mi ero indispettito delle sue obbiezioni. Egli mi aveva risposto:

«Solo e vero mago è l'artista. Soltanto del nostro pensiero abbiamo padronanza assoluta, e per questo, se sappiamo, possiamo fare il portento dell'opera d'arte. Non c'è altra creazione umana possibile, ed è superiore, infinitamente superiore, a qualunque più elevata creazione della. Natura».

- E l'artista chi lo crea? - gli avevo risposto.

La nostra discussione epistolare era stata interrotta dalla malattia di sua madre.

Una mattina me lo vidi inaspettatamente dinanzi, vestito a lutto.

- Oh, povero amico! - esclamai, abbracciandolo.

- È un dolore ineffabile! - rispose. - C'è stato un istante in cui mi parve che tutto l'universo perisse assieme con me. Non avevo mai immaginato niente di simile; mi sembrava di dover ammattire. Il lavoro mi ha salvato.... Ne ho quasi rimorso.

- Perchè?

- Ho potuto fare una cosa orrenda. Stenterai a credermi. Tornato dal cimitero dove avevo assistito, senza piangere, quasi inebetito, al seppellimento della mia morta adorata, mi son chiuso nella cameretta accanto a quella in cui mia madre era spirata due giorni avanti.... ho ripreso il mio romanzo abbandonato da parecchie settimane, come se niente di terribile fosse accaduto nella mia vita.... ed ho scritto, ho scritto, notte e giorno per dieci giorni di sèguito, dormendo qualche ora seduto nella poltrona, con la testa su le braccia appoggiate al tavolino, sostentandomi con caffè e latte e pochi biscotti, domando così lo sconvolgimento fisico dell'organismo che pareva dovesse annientarmi l'intelletto. È stata, forse, azione istintiva, per proteggerlo, per salvarlo.... Una mostruosità! Quando ripenso a questo, mi faccio orrore!...

- Ed hai finito il romanzo? - gli domandai per non insistere sul triste tema.

- Sì.

- Ne sei contento?

- Molto; a te posso dirlo senza falsa modestia. E riflettendo che, probabilmente, non sarei riuscito a farlo quale ora è, se non fossi stato sotto la terribile stretta di quel dolore senza nome, mi sento preso da un impeto di indignazione contro la Natura che ha bisogno di servirsi di tali mezzi per produrre certi fenomeni intellettuali. È una gran profanatrice la Natura!

- Tu intanto devi essere felicissimo di aver già fatto quel che hai voluto.

- Sì, è vero. Ho l'assentimento della mia coscienza. Ma corrisponderà l'opera mia alla coscienza degli altri? Ti confesso che questo mi pensiero fino ad un certo punto. Tanto peggio per me, se essa arriva in ritardo; tanto meglio, se precorre l'avvenire. Lo saprò tra non molto, appena avrò trovato un editore, e, dopo l'editore, un pubblico che voglia leggerla. L'importante era che io giungessi a produrla quale l'ho maturata nell'immaginazione e nel cuore; che nell'arduo passaggio dalla concezione all'attuazione la mia opera d'arte non perdesse per via le eccelse qualità di vita, di luce, di colore, di euritmia lungamente vagheggiate e laboriosamente proseguite con l'intenso concorso della forma che allo spirito dell'artista ansie e dolori di cui pochissimi possono formarsi esatta idea. Ormai io sento lo sfinimento, la lassitudine che seguono al lavoro compiuto; e guardo l'opera mia con la stessa tenerezza, con la stessa compiacenza con cui una mamma deve certamente guardare la creaturina che poche ore avanti le ha straziato le viscere per venire alla luce.

- T'invidio!

- Forse hai ragione, forse hai torto. In questo momento io non so giudicare se la generazione di una creatura vivente, cioè di un'anima, di un cuore, d'un intelletto, non sia infinitamente superiore alla creazione di un'opera d'arte; o se quest'altra creatura spirituale che vive, che palpita anch'essa, e che è capace di produrre in migliaia d'intelligenze e di cuori ripercussioni immortali di pensieri e di affetti, non valga assai più, assai più del misero organismo formato di fibre, di nervi e di sangue che potrà essere un genio, un cretino, un delinquente senza che la nostra volontà c'entri per nulla.

- No! No! - esclamai.

- Scusa, - egli rispose, sinceramente mortificato. - Ti ho parlato di me e delle cose, che possono interessarti fino a un certo punto, ed ho trascurato di chiederti notizie....

Lo presi per le mani con slancio affettuoso.

- Non ancora.... Poche settimane, pochi giorni, forse, e il gran miracolo sarà compiuto. Lasciami dire così. È la convinzione, anzi la fede che mi regge, che mi conforta, che mi fa amare la vita. Chiamo Fausta; voglio presentarti a lei che ti vuol bene come al più caro dei miei amici. La gestazione ha un po' deformato le linee del suo giovane corpo; a me però sembra più bella ora; c'è qualcosa di augusto, di sacro nella maternità.

Ero orgoglioso di veder Bissi quasi timido davanti a Fausta.

- È un vecchio amico per me, - ella gli disse.

Si era fermata scorgendolo in lutto e mi interrogò con lo sguardo.

- Ha perduto la mamma, - spiegai.

- Povero signor Bissi!

Le tremava nella voce tale improvvisa commozione, che io, per impedirle di continuare, la interruppi:

- Sarà nostro ospite. È inutile che tu dica di no - soggiunsi al gesto negativo del mio amico. - Mando all'albergo a prendere la tua valigia.

Fausta lo fissava con gli occhi velati di lacrime. La rimproverai dolcemente. La sua sensibilità si era molto esaltata in quegli ultimi giorni; qualunque lieve impressione la turbava; e questo stato di debolezza nervosa m'impensieriva, quantunque comprendessi che fosse proveniente dalle condizioni del suo organismo, in via di prepararsi al supremo sforzo del prossimo parto. Ricordo le dolcissime ore passate in quella stanza dove Fausta e mia madre finivano di mettere in ordine il corredo del «principino imperiale» come io mi compiacevo di chiamare il nascituro; e Bissi ed io dimenticavamo di ragionare di arte, interessandoci a quelle piccole cose eleganti che si accumulavano sui tavolini e su le seggiole in gentile disposizione.

Fausta, di tanto in tanto, animava il nostro ammirativo silenzio con parole di scherzo rivolte al Bissi:

- Beati voialtri romanzieri che non fate nessuna fatica e nessuna spesa per abbigliare i vostri personaggi!

- Ah, se sapesse! - egli rispondeva, crollando il capo.

- Lo so che spessissimo li vestite male. Vi costerebbe tanto poco sollecitare intorno a questo la collaborazione di una donna. Ma voialtri artisti siete orgogliosi; stimate la donna un essere inferiore....

- Può darsi che abbiano ragione, - soggiungeva mia madre. - Però, però....

- Dica pure, signora Maria, - la incitava Bissi.

- I romanzi noi li facciamo e li facciamo fare nella vita. Non è poi gran cosa, se loro li scrivono.

- T'inganni, mamma! - intervenivo io.

Nessuno sapeva meglio di me quanta gran differenza corresse tra il viverli e lo scriverli. L'antica piaga del mio cuore si era riaperta in quei giorni, assistendo alla lettura di parecchi maravigliosi capitoli del lavoro di Bissi, dove la realtà e la poesia si fondevano con arte squisita, organicamente, con originalità schietta e sincera, con robusto impeto di stile. L'ammirazione e la gelosa invidia che riprendevano a torturarmi col vivo ricordo della mia impotenza artistica venivano a stento represse dall'idea che tra poco avrei veduto venire alla luce il mio capolavoro, di natura diversa, Colui che avrebbe dovuto attuare quel che al suo genitore era stato negato. Non osavo di dubitare un solo momento che ciò non dovesse accadere. La ragione della mia esistenza consisteva tutta .

Tornavamo col mio amico da una lunga passeggiata, in aperta campagna. La primavera era arrivata da parecchi giorni coi suoi tepori, coi suoi profumi, col suo vasto sorriso di verde e di sole, con la lieta gazzarra degli uccelli nidificanti tra i rami degli alberi, tra le siepi, con le farfalle che ci volteggiavano su la testa, d'attorno, mentre noi procedevamo per l'ampia strada, riandando con lieta spensieratezza i bei giorni della giovanile comunanza di studi, di aspirazioni, di sogni ora parte svaniti, e parte sostituiti da altre aspirazioni, da altri sogni, o da tristi e dolci realtà. Le circostanze della vita ci avevano divisi. Il fratello di mia moglie, con la madre e la zia, stava a Roma, dove aveva aperto il suo studio di avvocato; il Lostini era andato a Milano e già spadroneggiava nel basso giornalismo, poeta, novelliere, critico letterario e teatrale. La sua improntitudine e la sua audacia lo aiutavano a far rapida carriera più che il suo ingegno incolto, bislacco, ma che però progrediva e si fortificava oltre di quel che da principio non facesse sospettare.

- Noi due siamo rimasti, in disugual modo, sognatori ostinati, - diceva Bissi sorridendo malinconicamente. - Il mondo è dei violenti.

- C'è violenza e violenza, - risposi. - Io preferisco quella che adopriamo noi, tu più di me. È la più sicura.

Ci eravamo dilungati troppo. Una carrozza vuota ci veniva incontro. La fermai. Bissi voleva ritornare a piedi; ma io sentivo una strana agitazione, un'impazienza improvvisa di trovarmi a casa.

- È puerile. Devi perdonarmi; in certe circostanze si diventa superstiziosi. Ho il presentimento d'una novità che mi attende. Infatti nell'anticamera, ci venne incontro mia madre.

- Fausta ha cominciato tutt'a un tratto a soffrire. C'è di la levatrice. Ho mandato ad avvisare anche il dottore, per precauzione.

Avevo provato una gran stretta al cuore, come davanti a un pericolo di morte; e per sorreggermi mi ero afferrato fortemente al braccio di Bissi.

- Dario!... Eh, via.... coraggio!

Egli tentò di trascinarmi in salotto o nello studio; ma io volli, a ogni costo, vedere Fausta prima che le sue sofferenze aumentassero.

Era in piedi, appoggiata alla spalliera di una seggiola, pallida, col viso un po' contratto. Vedendomi entrare, si sforzò di sorridermi e mi stese una mano.

- Non è niente.... Sono forte!

- Fausta!... Fausta!... - balbettai.

- Non è niente!... Va' di ; mi fa più male il vederti soffrire.

E mi offerse le labbra, ghiaccie come la mano.

Ah, quelle terribili ore, quando le sue grida strazianti arrivavano fino al mio studio, dove andavo su e giù senza sapere quel che facessi, cacciandomi le mani tra i capelli, invocando il nome di lei - Fausta! Fausta! - sollevando le braccia in atto di supplicazione, stringendo forte i denti quasi avessi potuto in quel modo aiutar Fausta a sopportare lo strazio che la costringeva ad urlare.

Di tratto in tratto, mia madre si affacciava all'uscio per dirmi:

- Sta' tranquillo! Tutto procede regolarmente!

Com'era lenta la crudele Natura!... Le ore mi sembravano secoli. Le lancette dell'orologio a pendolo si erano dunque fermate?

E nei momenti di tregua, quando all'orecchio ansiosamente intento non arrivava nessun grido, io pensavo: - Eccolo! Eccolo! - E mi sembrava che il miracolo valesse bene tutti gli strazi della madre e miei, e che quanto più essi erano maggiori, tanto più grande e più stupendo sarebbe il risultato che stava per essere prodotto.

Mia madre si fermò su l'uscio, esitante. Aveva su le labbra qualcosa che avrebbe voluto essere un sorriso e che mi parve subito l'anticipazione di tristissimo annunzio.

- Mamma!... - gridai.

- Fausta sta bene, - rispose.

- E.... - feci senza aver forza di proseguire.

- Rassegnati, Dario!... È una bambina!

Ripensandoci sento di nuovo l'urlo bestiale che mi uscì dalla gola; sento l'urlo, la violenza del colpo che mi piombò sul capo quasi avessero tentato di atterrarmi con una mazzata! E mi lasciai cascare, sbalordito, sur una seggiola, coprendomi il viso con le mani, sussultando, smaniando, con uno sgorgo di odio nel cuore contro la innocente creaturina che distruggeva in un istante il mio superbo sogno di tanti mesi, quasi ella avesse fatto ciò con malvagia intenzione, povera creaturina innocente!

 

 

 


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