Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Rassegnazione
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RASSEGNAZIONE

XVII.

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XVII.

 

Ripensando il mio stato di animo di quel tempo, non mi stupisco di aver potuto resistere al doloroso spettacolo che avevo ogni giorno sotto gli occhi. La mia intelligenza era talmente ossessionata dalle prepotenti idee metafisiche insinuatemi dal vecchio professore di filosofia, che pur sapeva contemperare per conto suo l'ideale col reale, da rendermi una specie di macchina dove il raziocinio avea distrutto ogni vestigio di sentimento.

E così mi spiego in che modo potei assistere con crudele indifferenza alla morte della mia bambina.

Il latte alterato dai dispiaceri l'aveva, pur troppo, come diceva Fausta, avvelenata. Il mutar latte non valse a niente.

Nei primi giorni dell'autunno eravamo ritornati in città, per avere più pronta l'assistenza del medico.

Ogni altra preoccupazione di Fausta e di mia madre era sparita davanti al pericolo che minacciava il piccolo organismo. Fausta sembrava dovesse impazzire. Vegliava la malatina giorno e notte, e le esortazioni e i consigli di mia madre non riuscivano a moderarne gli eccessi.

- Ti ammalerai anche tu!

- Non importa, - rispondeva. - Voglio far guarire mia figlia, anche a costo della mia esistenza!

E quando il dottore, che mi credeva desolato dall'angoscia di poter perdere la bambina, mi annunziò, sottovoce, che non c'era più speranza di salvarla, lasciando a me l'incarico di preparare l'afflittissima madre alla imminente sventura, io risposi seccamente:

- Grazie!

- Le dia coraggio lei che è un uomo, - egli soggiunse. - Il disastro può accadere da un momento all'altro. Vuole che ne parli anche alla signora Maria?

- Si, sì!

E chiamai io stesso mia madre. Sentivo che non avrei saputo trovare le parole opportune. Nel cuore non mi vibrava niente. Mi sembrava anche giusto che quel testimone del mio disinganno sparisse; e già m'invadeva nuova sorda irritazione contro Fausta, che non sapeva più sperare nel rifiorimento della mia illusione da cui avrei potuto essere ricondotto a lei. Non le avevo detto un giorno: - Possiamo attendere? - Avevo dimenticata la smentita data recentemente a quelle mie parole; e non riflettevo che sarebbe stato peggio se fosse avvenuto altrimenti.

Vedendomi aggirare, cupo, per la camera dove la bambina agonizzava, e fermare davanti al lettino di ottone, sotto le coperte del quale si scorgeva appena il corpicino ridotto pelle e ossa, irriconoscibile, Fausta mi guardava ansiosa a traverso il velo di lagrime che le offuscava gli occhi. Poteva mai immaginare che non mi sarei neppure commosso in faccia alla dissoluzione di quell'esserino innocente, nelle cui vene davano le ultime pulsazioni il suo e il mio sangue? E per ciò, lei, la buona creatura che aveva tanto bisogno di conforto, riusciva a trovare parole di conforto per me.

- La salveremo, è vero, Dario? Io la ristoro col mio alito, Dario! Non ci sarà concessa altra gioia, mai più, mai più, se questa ci manca!... Dobbiamo salvarla!... Non mi rispondi, Dario?

Assentii fiaccamente col capo, stupìto del profetico senso delle sue strazianti parole.

Poco dopo, mia madre ed io la trascinavamo mezza svenuta di , per impedirle di accorgersi che la bambina era spirata!

Provai subito un senso di sollievo, di liberazione; qualcosa di così feroce, di cui ho orrore ricordando.

Quando però tornai dal camposanto dove avevo accompagnato la piccola cassa mortuaria, coperta di raso bianco che spariva sotto il cumulo di fiori sciolti profusovi sopra e attorno, fui preso da improvvisa commozione alla vista di Fausta stesa come una morta sul letto, sussultante pei singhiozzi che non arrivavano a risolversi in pianto.

- Fausta! Per carità! Fausta! - balbettai, chinandomi a baciarla, passandole la mano sui capelli con carezzevole gesto da molti mesi obbliato.

Aperse gli occhi, mi fissò, e li richiuse senza pronunziare una sola sillaba. Era sfinita.

Baciai anche mia madre che, seduta presso il capezzale, con la testa appoggiata al guanciale accanto a quella di Fausta, le teneva strette amorosamente le mani.

- Lasciala riposare, - mi disse sottovoce.

I singhiozzi erano cessati; sul pallido volto di Fausta già si scorgeva la benefica calma del sonno.

Accostai un po' più gli scuri della finestra, evitando di far rumore, e mi sedei a pie' del letto, con un lieve sbalordimento che mi dava l'impressione di aver sognato e di continuare a sognare.

Che cosa accadeva dentro di me? Non sapevo rendermene conto. Nell'istante del contatto delle mie labbra con quelle di Fausta avevo sentito un leggiero brivido corrermi dalla nuca lungo la schiena. Le labbra di lei erano ghiaccie, sì, ma il brivido o non proveniva da quella sensazione, o la oltrepassava. Un principio di vano risveglio? Una iniziale e oramai stolta ripresa della vita trascorsa con gentile delizia dal giorno della nostra unione fino al terribile momento in cui mi era parso che tutto fosse crollato attorno a me? Vita punto sensuale, vita di affetto purissimo, quasi i nostri corpi fossero rimasti verginalmente intatti per virtù dell'esaltazione prodotta dal grandioso scopo che aveva reso il nostro congiungimento un atto di adorazione, celebrazione di un sacro rito.

E nella penombra, proprio come in dormiveglia, mi passavano quasi sotto gli occhi tutti i particolari, dal momento in cui avevo portato via dalla sua casa il ritratto confidatomi dal fratello, fino al nostro primo incontro e a le settimane passate nella villa ribattezzata allora allora col suo nome; settimane d'ineffabile intimità, quasi di estasi da parte mia, di cui Fausta sorrideva, ammonendomi: - Mi farai insuperbire!

La visione si arrestava ; la memoria rifuggiva di andare più avanti. Tutto il resto doveva essere dunque come non avvenuto?

Ahimè, no! Mi riafferrava lo scoramento, il terrore della spietata sentenza pronunziata dal dottore. Ma, anche senza di essa, quel che sentivo dentro di me da qualche ora mi sarebbe sembrato da a poco atto di fiacchezza intellettuale, contro cui dovevo tenermi in guardia; seduzione alla quale dovevo assolutamente resistere; forse, anche principio di infermità del corpo che influiva sullo spirito. No! No!

Intanto, con contradizione che mi meravigliava, di mano in mano che Fausta andava superando l'abbattimento prodottole dall'immenso dolore, tornavo a sentirmi spingere verso di lei da soave corrente di compassione e di tenerezza che m'ispirava parole di gentile affettuosità, gesti di carezze da un pezzo inusate. E mi affliggevo di vedergliele accogliere con glaciale indifferenza.

- Non affaticarti ancora a mentire! - mi disse una sera che volevo indurla a suonare al pianoforte alcuni pezzi dell'opera nuova di un maestro da lei tenuto in gran pregio.

Fui spaventato della devastazione avvenuta nell'animo della dolente creatura, e tentai di disingannarla, di rassicurarla,

- Non respingermi, Fausta! - esclamai, - Non sono stato mai così sincero come in questo momento....

Un incredulo sorriso accompagnò la sua risposta:

- Può darsi!

Mi era parso che la calma fosse rientrata nel suo cuore, vedendole riprendere le sue cure della casa dov'ella aveva messo un'impronta di squisita eleganza che formava l'orgoglio e l'ammirazione di mia madre. Mi compiacevo del ritorno dei fiori in tutte le stanze, disposti da lei con mirabile senso di arte nei molti vasi e vasetti di porcellana e di cristallo, su i tavolini e le mensole, e che spargevano una gaiezza di colori e un'ebbrezza di profumi specialmente nel mio studio, nel suo salottino, e in quello di mia madre.

Assistevo, lieto, a queste operazioni di ornamento, quasi il riapparire dei fiori fosse emblema della rifioritura del suo cuore intristito. Seguivo Fausta, con intima compiacenza, su la terrazza affollata di vasi con piante di ogni sorta, alcune in isboccio nella mitezza di quell'autunno che aveva tepori primaverili.

Erano state la sua passione. Voleva innaffiarle di sua mano, ripulirle delle foglie morte, liberarle dai polloni soverchi, curarle come creature sensibili, che le esprimevano la loro gratitudine col verde rigoglio dei rami e i tenui colori delle corolle. Ora però ella faceva tutto questo senza l'entusiasmo di una volta, quando mi invitava ad ammirare ogni manifestazione di vita vegetale, quasi ne comprendesse il segreto, quasi ne sentisse una sottile ripercussione nella sua.

Allora udendola parlare delle piante con tanta squisitezza di immagini, la interrompevo sorridendo:

- Poetessa! Poetessa!

- La miglior poesia, - ella rispondeva, - è quella che si sente e non si scrive.

- La più grande è quella, che si fa, - replicavo, pensando al germe che già sapevo le palpitasse nel seno.

Ora attendevo invano una sola parola dalle sue labbra ridivenute rosee, un guizzo di luce nei suoi occhi che avevano cessato di piangere. Quelle cure, che ella era tornata a prodigare alle piante, sembravano unicamente l'esecuzione di un dovere se non gravoso neppur piacevole.

E come più io mostravo di voler vincere la sua diffidenza, più ella mi faceva apertamente capire che non credeva affatto alla sincerità dei miei atti, e che non si sarebbe lasciata lusingare e illudere come la prima volta, quando mi era venuta incontro - me lo aveva detto un giorno - quasi con le mani cariche di rose da sfogliare ai miei piedi, fidente e lieta di ricoverarsi così tra le mie braccia, come in un rifugio di gioia e di pace. E vedendomi continuare in quel che lei stimava gioco di astuzia infantile, una sera, su la terrazza dove mia madre, dopo cena, ci aveva lasciati soli senza che noi ci fossimo accorti della sua discreta sparizione, mi parlò duramente:

- Sono stata la tua disgrazia, lo capisco. Soltanto la mia morte potrebbe renderti libero di rinnovare la vita; ma io non ho il coraggio necessario per sparire volontariamente....

- Non dire così, Fausta!

- Ormai!

- La vita, - replicai, - non ostante le nostre aberrazioni, le nostre miserie, le nostre colpe, è bella, Fausta; massime quando le sorride una giovinezza come la tua, massime quando possiamo adoprarla per qualcosa di nobile, di eccelso, da soddisfare la nostra coscienza, da appagare il nostro cuore.

- Tu insegui sempre il tuo sogno!

- No, Fausta. Ormai! ripeto come te. In questo momento, te lo giuro per la nostra morticina, non lo rimpiango neppure.

- È la prima volta che la ricordi.

- Non volevo inacerbirti la piaga.

- Me la inacerbiva peggio il tuo silenzio. Parlami di lei, mi farai bene. Io la sogno ogni notte; non so ancora persuadermi che ci abbia abbandonati!... Ma no, - s'interruppe a un tratto, - dimentichiamo, Dario; facciamo di tutto per dimenticare. È finita! Non possiamo far altro che trascinarci, stanchi, delusi, pel corso degli anni che ci rimangono a vivere. Siamo già due ombre!... È finita! Vi sono istanti in cui ti sono grata degli sforzi di addolcire la fatalità che si è aggravata sopra di noi; ma, più spesso, io provo - perchè celartelo? - un grande sdegno della tua pietosa menzogna.... Non ostinarti.... È finita!

Chinai la testa, colpito dall'improvviso mutamento che aveva fin alterato la dolcezza della voce con cui aveva pronunziato le parole: Parlami di lei, mi farà bene!

- Se è finita per un verso, - ripresi dopo lunga pausa, - potrà ricominciare da un altro.

- In che maniera, Dario? Tu non mi ami più.

- Si può amare in tanti modi.

- In un solo ed unico modo! Quel che tu chiami amore è una falsificazione di esso; l'amicizia larvata. Che cosa vuoi fartene di me?

- La cara compagna della mia vita.

- Ero, potevo essere tale tuttavia; ora non più. Ti ho atteso; non sapevo convincermi che tu fossi arrivato al punto di sentir repugnanza dei miei baci, dei miei abbracci.... E perciò ti attendevo, pensando: - Gli ho voluto immensamente bene! La mia più grande gioia, il mio più grande orgoglio consistevano nel contribuire alla sua felicità con tutte le forze dell'anima e del corpo. E se, contro ogni mia intenzione, la cattiva sorte mi ha fatto complice del gran dolore che gli ha scombuiato la vita, l'ingiusto rancore con cui mi gastiga non potrà essere durevole.... Tornerà da me più affettuoso, più amante, come forse non è mai stato - dopo l'arrivo della bambina cominciavo a capirlo. - Tornerà! E attendevo, spiando ogni tuo atto, ogni tuo gesto, con l'orecchio intento a indovinare, dal suono della tua voce, quel che la parola non diceva.... Invano! Invano! Poi non ressi più all'ansia angosciosa, e tentai di scuoterti, di strapparti un gesto, una parola che potessero darmi lena di attendere ancora.... ricordi? Nel boschetto.... Fosti senza pietà! E te ne fui grata.... Da alcune settimane intanto, vuoi farmi vedere che qualche cosa di nuovo avviene nel tuo cuore.... Oh, se fosse vero! Non è vero, povero Dario! Tuo malgrado probabilmente, ma non è vero!

- Ah, Fausta! se tu sapessi!...

- Che cosa? Parla.... Vorrei crederti.... Parla!... Ma no; non voglio udir niente.... Voglio sentir stringermi violentemente tra le tue braccia! Voglio sentir soffocarmi dai tuoi baci.... se è proprio vero, Dario! Così! Così! Così!...

Non avevo saputo resistere alla malìa del suo accento, al contatto delle sue mani che, brancicando, avevano afferrato le mie con predente carezza. Mi sentii tutt'a un colpo trasportato indietro, alle prime settimane del nostro matrimonio, quando Fausta mi era sacra come futura cooperatrice nel gran miracolo di creazione per cui l'avevo prescelta. Se non che, ora mi ritornava sacra, diversamente, pel suo dolore, per la sciagura da lei ignorata e che non avrei più a lungo potuto nasconderle; e perciò mi abbandonavo a quest'effusione che mi faceva assaporare i suoi baci, le sue carezze per loro stessi, per quel che avevano di umano, fin di sensuale; per tutto quel che m'era parso di dover trascurare e sdegnare al tempo della mia infatuazione, quando Fausta era desiderata e voluta soltanto come mezzo, come strumento del mio sogno superbo.

Ella mormorava: - Così! Così! Così! - insaziata, insaziabile di sentirsi baciare e ribaciare al cospetto del cielo stellato, nella oscurità notturna, rischiarata appena dal fil di luna che si affacciava incerto dietro una cupola.

- Ah, Fausta!... Se tu sapessi! - replicai, sciogliendomi con uno sforzo di riflessione dalle sue braccia.

- Oh, Dio!... Parla dunque, Dario!

Non ricordo con quali parole le appresi il terribile divieto.

Ricordo soltanto che la vidi balzare indietro, con gli occhi spalancati, con le labbra contorte da un riso sarcastico, quasi io le facessi orrore.

- Mentisci! - gridò. - Ti sei messo d'accordo col dottore!

- No, Fausta!

- Mentisci! - replicò. - Che cosa ti figuri.... Oh!

- No, Fausta! - esclamai, così vivamente che ne fu impressionata.

- È forse infallibile costui?... - riprese. - Quand'anche? Voglio sacrificare la mia vita al tuo e al mio sogno! Non me n'importa! Fammi morire così, Dario!... Sarò felice di morire così!...

E mi si gettò tra le braccia con un delirio di baci.

 

 

 


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