Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Rassegnazione
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RASSEGNAZIONE

XXII.

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XXII.

 

Vorrei cancellare dalla mia memoria il ricordo dei sei mesi passati a Milano. Arrossisco ripensando quella specie di frenesia di godimenti di ogni sorta a cui mi abbandonavo con ansiosa avidità che talvolta raggiungeva l'acuta sensazione di violentissima sofferenza. Ne rimanevo prostrato per parecchi giorni, con gran maraviglia di Lostini e dei nuovi amici della redazione di «Nemesis», tra i quali avevo trovato un compiacente iniziatore.

Questo personaggio di età incerta, che vestiva con pretenziosa eleganza, e affettava la rigidezza quasi meccanica delle maniere inglesi, da principio mi aveva ispirato un senso di diffidenza e di repugnanza per lo straordinario cinismo delle sue opinioni. Sembrava avesse adottato l'istigazione di Otello a Jago: - Esprimi la tua peggiore idea con la tua peggior parola. - Ma quando capii che era un deluso della vita mio pari, mi divenne simpatico.

Lostini aveva detto parlando di me:

- Non c'è peggio di coloro che non si sono mai permessa qualche piccola follia in gioventù. Hanno fretta di riguadagnare il tempo perduto.

- È un inganno - aveva risposto Grigoni (si chiamava così). - Il tempo perduto non si riguadagna mai. Le follie non valgono per loro stesse, ma pel sentimento con cui noi le apprezziamo. A vent'anni l'amore, il piacere sono assolutamente diversi da quel che ci appaiono a trenta, a quarant'anni; e la loro diversità consiste soltanto nell'animo nostro. Essi rimangono immutati, misera e spregevole occasione di sensazioni irritanti che la nostra immaginazione trasforma ed esalta. La deficienza dell'educazione attuale sta appunto nel divieto che quasi interdice il godimento sensuale, come se nella vita ci fosse qualcosa di meglio. La vita è fango, e la maggior soddisfazione di vivere dovrebbe ridursi unicamente nell'avvoltolarcisi bene. L'animale più ragionevole è, senza dubbio, il maiale. Io ho un gran rispetto per esso; e quando ne mangio le carni fresche o salate, mi par di praticare un atto religioso, una comunione, augurandomi di poter divenire altrettanto maiale quanto lui.

- Ci sei riuscito! - gli gridò Lostini dalla scrivania dove correggeva, alcune bozze.

Grigoni non gli rispose; e rivolgendosi a me, soggiunse:

- Lo compiango, caro signore, se è vero quel che ha detto di lei il nostro amico. Egli, vede? ha il suo particolar modo di avvoltolarsi nel brago: s'immagina, o finge di immaginarsi, che la letteratura sia qualcosa.... di superiore, di elevato. E se gli dico che essa è un brago come un altro, protesta; ma ciò non significa niente. Abbiamo il brago dell'arte, il brago della politica, il brago della filosofia o delle filosofie, perchè credo che ce ne siano parecchie per comodo dei diversi temperamenti; abbiamo in fine il brago della Scienza che stimo il più delizioso di tutti. Ah! La Scienza è furba; si tiene bene afferrata al reale, al positivo. Ed io, così dimesso come le appaio, li ho provati un po' quasi tutti questi e gli altri braghi che non ho enumerati. Ora però il mio residuale godimento è di guardare in che modo vi si ravvòltoli la gente. Ed è la ragione della mia frequenza in questo ufficio messo con tanto lusso e tanta eleganza dall'amico Lostini, a cui voglio bene.... non so perchè. Romanzieri, poeti, critici - tutti questi bravi giovani qui si stimano tali, e, più o meno, sono tali o ne hanno l'apparenza; io non giudico - mi consentono di assistere allo spettacolo del loro brago letterario. Vo poi a godermi, nei ricevimenti eleganti, nei circoli, lo spettacolo, non meno interessante, del brago mondano. Oh! Non ho voluto specializzarmi. Dovrebbe fare così anche lei. È romanziere? No? Poeta? No? Filosofo.... No!

- È stato, - lo interruppe Lostini che rideva.

Ridevano anche gli altri che gli facevano corona, in piedi, fumando, stando ad ascoltarlo con deferenza non ostante le risa.

Mi era parso di udir predicare un nuovo vangelo, quello del Fango. Mi era parso, anzi, di sentir formolare chiaramente quel che si trovava nel mio spirito in istato di incubazione, e di confusione. E fummo amici inseparabili; lui maestro, io discepolo. L'amarezza delle sue parole mi produceva un appagamento che mi gonfiava, il cuore con senso di tenerezza puerile. Mi compiacevo di sentir vilipese da lui tutte le cose belle e sante che avevo adorato, e che non avrei saputo vilipendere neppur ora che mi apparivano inutili e vane.

E nel primo mese era stato un oblìo intenso, quasi avessi sorbito un possente filtro che aveva addormentato dentro di me ogni sensazione, ogni idea del passato. Mi sembrava di ricominciare a ogni istante una vita novella, di rinascere giorno per giorno con la invincibile curiosità di scoprire il mistero della esistenza che mi si preparava dall'istante in cui aprivo gli occhi stanchi alla luce alta del sole, fino alla tarda ora notturna che me li avrebbe richiusi nella spossatezza del sonno.

Grigoni mi ammoniva:

- Non bisogna avere entusiasmo neppure pel piacere; se ne esaurisce presto la virtù. Centellinare è profonda sapienza....

Questo io non lo intendevo. Inconsapevolmente proseguivo la mia idea di un tempo: Raggiungere anche nel piacere il grado supremo. Soltanto così mi sembrava che mettesse conto di ricercarlo. E giacchè, secondo la teorica di Grigoni, il piacere era qualcosa di amorfo a cui la nostra immaginazione doveva dar forma, volevo foggiarmelo in guisa che anche quella bassissima cosa riuscisse, sì, una bassa opera d'arte, ma creazione vissuta, in azione.

Nel delizioso quartierino che avevo mobiliato per la Savina, questa bella, umile e quasi sentimentale creatura, si trovava come sperduta. Mi guardava con occhi stupiti, non sapeva rispondere alle mie interrogazioni, aveva paura dei miei scatti, delle mie pretese che la facevano strabiliare.

Mi piaceva appunto per questo. Mi aveva raccontato la sua triste storia; non le avevo creduto, per suggerimento di Grigoni.

- Non credere a quel che raccontano coteste infelici, mentiscono tutte; ma fingi di crederle. È un modo di godimento anche l'ascoltare la menzogna che fiorisce su le loro labbra, specialmente quando, a furia di ripeterla, finiscono col credervi esse pure.

E se in certi momenti mi persuadevo che la Savina fosse sincera, esclamavo:

- Tanto meglio! Sarà più arrendevole al mio scopo di trasformazione.

Forse, se avesse potuto intendermi, ella si sarebbe piegata ad assecondarmi nell'opera di raffinamento - di pervertimenti dovrei dire - a cui volevo ridurla. Invece mi resisteva con inconcepibili ritrosie, con inattesi pudori, che qualche volta assumevano, involontariamente, atteggiamenti di rimprovero.

Fu in uno di questi momenti che io ebbi l'impressione di una scossa, di un lampo, di non saprei dire che cosa che mi spinse a rigettare indietro Savina, col gesto e con l'espressione di un uomo colto in fallo e che vorrebbe nascondersi.

- Perchè? - mi domandò, stupita del mio atto.

Io la guardavo come chi non presta fede ai suoi occhi. E, da prima, credetti proprio a una allucinazione. Appena però potei riflettere, mi spiegai facilmente la sensazione provata. Savina aveva fatto un'insolita mossa delle pupille e delle labbra.... E immediatamente....

Ne fui atterrito. In quei primi mesi di intenso oblìo, poche volte il fantasma di Fausta mi si era affacciato alla mente. Mi era perdurata l'impressione di quel «me» malato che mi era parso di lasciarmi addietro partendo per Milano; mi era perdurata anche la impressione di sentirmi divenuto affatto un altro appena arrivatovi.

- Ed ora? - mi domandavo.

Mi accomiatai bruscamente, senza darle nessuna spiegazione del mio contegno. Quella mossa delle sue pupille e delle sue labbra era stata così identica alle mosse di pupille e di labbra che Fausta adoprava in certe circostanze, per dar maggiore evidenza al ragionamento, che io stetti parecchi giorni senza tornare da Savina.

Povera Fausta! Era sparita dal mio cuore. Il vedermela però ricomparire nella memoria mi produceva una vivissima sorda irritazione, quasi ella commettesse una soverchieria venendo ad intorbidarmi la vita nuova che volevo assoluta negazione della precedente.

Questa volta neppure il cinismo di Grigoni valse a serenarmi.

- Eh, via! Il rinascere dei ricordi è una forma delicatamente sottile di godimento, se possiamo gridar loro in faccia tutto il nostro disprezzo. È bello, è fiero poter dire al passato: - Tu mi avevi foggiato così, mio malgrado; ed io mi son foggiato volontariamente tutt'altro! - C'è poi una forma di godimento ancora più sottile, più raffinata: il rimorso artificiale, la ironia rimordente, come io la chiamo. Ma per arrivare a questa superiorità, bisogna disumanarsi molto, imbestialirsi molto; e tu sei alle prime prove.

No: io volevo soltanto dimenticare, non commettere nessun sacrilegio contro il passato. E mi sembrava una debolezza lo irritarmi contro quella sensazione, il fantasticare una stupida gelosia postuma da parte della morta. Non ero convinto che ormai tutti gli atomi del suo corpo erano dispersi per lo spazio, e forse già entrati in altre combinazioni di vita? Eppure eran bastate quelle mosse degli occhi e delle labbra di Savina per darmi la impressione che qualcosa fuori di me ora interveniva a turbarmi, a menomarmi lo stordimento, l'ebbrezza, il tentativo di crearmi il piacere supremo!

Quella sera avevo giocato sfrenatamente al club, e avevo sfrenatamente vinto. Mi ero quasi vergognato di così costante fortuna. Mi sembrava di barare contro tutti quei visi pallidi, sconvolti, quelle mani increspate che buttavano le puntate su le carte con gesti imprecanti, raddoppiandole colpo su colpo, sperando che la Fortuna avesse dovuto stancarsi e voltare indietro la sua ruota, secondo i calcoli loro.

E il giorno dopo scrivevo alla Savina:

«Sei libera. Tieni tutti i mobili dell'appartamentino per ricordo di me. Aggiungo seimila lire per le pigioni future, se vorrai restare costì. Ti auguro un nuovo amante migliore di me».

Non era trascorsa una settimana, ed io istallavo la Gilda in un quartierino più elegante, intonato alla figura scultoria di questa ragazza fredda, quasi insensibile e nello stesso tempo ben pervertita, come diceva Grigoni.

L'attrattiva di tale scelta era stata il maligno piacere di toglierla al suo nobile giovane amante allora malato e quasi moribondo. Ella lo aveva abbandonato con squisita indifferenza.

- Ti voleva molto bene, è vero?

- Era noioso con la sua gelosia.

- Tu lo tradivi?

- Facevo il comodo mio. Dovevo essere la sua schiava?

- Farai lo stesso con me?

- Chi lo sa? Tu non sarai geloso, mi figuro.

Aveva un'inconsapevolezza da bellissimo animale. Con lei il piacere supremo doveva consistere nel far vibrare quei nervi ben difesi dalla bianca opulenza delle carni, nel riuscire ad infondere almeno un tepore di sentimento in quel cuore di ghiaccio.

- La guasti! Bisogna prenderla come è. A certe donne non si deve mai chiedere più di quel che sono capaci di dare.

Grigoni aveva ragione; ma io cominciavo a sentire la stanchezza, la sazietà, la nausea di quella vita, che non manteneva nessuna delle sue promesse per le quali mi ero lusingato di rinnovarmi.

La Gilda mi resisteva diversamente dalla Savina. Si arrendeva, compiacente, ai miei capricci, ma rimaneva sempre padrona di , fredda, insensibile, libera da ogni soggezione, quasi fosse convinta che il possesso del suo perfettissimo corpo era già concessione superiore a tutto quel che io facevo per lei. E per lei spendevo pazzamente; la portavo attorno quasi in trionfo.

Ella gradiva poco questa ostentazione. Spesso non la trovavo in casa; mi toccava di attenderla lunghe ore; e rientrando, non si scusava, si levava tranquillamente il cappellino, si fermava davanti allo specchio per aggiustarsi i capelli. Io mi spazientivo, ma non volevo farglielo scorgere.

- Dove sei stata?

- Ho passeggiato un po'.

- Dovevi figurarti che ero qui ad attenderti.

- Saresti per caso geloso anche tu?

Sembrava che dicesse: - Saresti, per caso, imbecille anche tu? - E volevo mostrare che non mi importava niente di quel che lei faceva o avrebbe voluto fare; tanto, appena me ne fosse venuto il capriccio, avrei potuto prenderla per le spalle e metterla fuori l'uscio. Con lei non mi sembrava il caso di comportarmi con qualche delicatezza, come con la Savina.

Lo pensavo, per scusare la mia debolezza, ma capivo benissimo che non avrei avuto la forza di farlo. Già provavo uno spossamento fisico uguale per lo meno a quello morale. Un gran senso di tristezza mi invadeva ogni giorno più.

- Tu non sei un temperamento da buttarsi anima e corpo tra i piaceri, - mi diceva Grigoni con intonazione sarcastica. - Che cosa ti eri immaginato? Vorresti idealizzare il fango? Pena perduta! La vita ha qualche valore soltanto per chi è convinto che essa non ha nessun valore. È.... è....

E pronunziava solennemente una famosa parola, ripetendola due, tre volte, con enfasi crescente. Ma così dicendo, produceva in me un effetto contrario a quel che intendeva di ottenere.

Più non mi confidavo con lui. La bellezza plastica della Gilda mi ossessionava, ridestando nel mio spirito aspirazioni, sentimenti, che credevo di già distrutti. Diventavo veramente geloso di lei. Non volevo che quella magnifica euritmia di forma e di colore fosse esposta all'avvilimento di prodigarsi a chi non se ne curava perchè non la intendeva e non poteva intenderla; il mio supremo piacere doveva consistere nell'esclusività.

E soffrivo di non avere il coraggio di dichiararglielo, e di esser convinto che, forse, non avrei potuto ottenerla da quella invincibile sua indifferenza morale.

E, a poco, a poco, timidamente, mi voltavo indietro, verso il passato, senza che mi fissassi precisamente su qualche punto di esso, senza che ne rievocassi un particolare, una figura; quasi tutto si fosse oramai ridotto a qualche cosa di astratto, a una specie di nebbia che i miei occhi non riuscivano a penetrare, ma che mi dava dolci e consolanti sensazioni di rimpianto. Da una frase sfuggitami, Lostini indovinò quel che stava per accadere.

- Bada: tu corri un grave pericolo. Tu sei già in procinto di innamorarti della Gilda.... È una miserabile creatura, indegna di qualunque riguardo. Ti rende ridicolo. Ho l'obbligo di avvertirti.... Mi ha scritto tua madre.

Mi sentii avvampare il viso. Da parecchi giorni trascuravo fin di mandare a mia madre le brevi letterine con cui solevo darle mie notizie. Ella non si era mai lagnata della mia troppo prolungata assenza. Probabilmente non immaginava neppure dalla lontana a quali eccessi mi abbandonavo; probabilmente si augurava che la tumultuosa vita milanese servisse a distrarmi, e sopratutto a darmi quel senso pratico delle cose di cui difettavo. Ah, se avesse saputo!

- Mi ha scritto tua madre, - replicò Lostini. - Ti vorrebbe con lei nell'imminente anniversario....

Un improvviso groppo di pianto mi salì dal cuore alla gola.

In quel momento il cameriere mi annunciava la inaspettata visita del Bissi.

Mi buttai tra le braccia del mio amico, con un senso di rifugio, quasi chiedendogli protezione.

- Che cosa avviene? - egli domandò a Lostini.

- Una guarigione, se non mi inganno, - rispose questi commosso.

Aveva ricevuto una lettera di mia madre anche lui, e chiesto e ottenuto un permesso di otto giorni, era accorso a Milano.

- Milano, Dario mio, non è città pei sognatori come te. Avresti dovuto andare a Venezia. , chi non vi è nato, vive davvero come in sogno.

- Ha voluto conoscere un altro lato della vita, - rispose Lostini a Bissi che mi guardava stupito. - Ed è andato un po' in . Dario è stato sempre eccessivo.

Feci uno sforzo per uscire dallo stato di prostrazione che mi teneva come istupidito davanti ai miei amici.

- È finita anche questa! - esclamai, tentando di sorridere.

E pensavo che aveva ragione Grigoni quando mi ripeteva che la vita ha qualche valore soltanto per chi è convinto che essa non ha nessun valore.

- No, Dario, - fece Bissi. - Niente finisce, tutto continua. La nostra esistenza è una evoluzione indefinita, un crescente germogliare di cose nuove da quelle che ci sembrano morte e rivivono sotto forma più perfetta; tu lo sai meglio di me.

- E qui consiste l'inganno! Non si dovrebbe tornar addietro; e invece io sono la dolorosa riprova che niente c'impedisce di cascare molto in basso.

- Hai tentato un'esperienza - disse Lostini. - L'eccesso non significa niente; tornerà l'equilibrio.

E da quel giorno mi sembrava di sentirmi liberare lentamente da nodi che mi avevano tenuto stretto e quasi imbavagliato. Riprendevo possesso della mia intelligenza, del mio cuore con commozione straordinaria. Una ventata di pazzia mi aveva certamente travolto, se ero potuto arrivare fino al punto di essere vicino a precipitare in un abisso di depravazione in cui sarei rimasto soffocato.

Ma assieme con questa immensa gioia di rivivere, quanta tristezza, quanto scoramento! Non potevo più illudermi intorno al mio avvenire; non mi balenava davanti agli occhi nessun elevato intento, nessun nobile scopo. Niente vedevo mutato nella mia sorte, nei miei sentimenti, nelle mie idee; c'era invece nella mia vita qualcosa, che non avrebbe dovuto mai esserci, una bassezza, un avvilimento, inutili anch'essi quanto l'orgoglio dei miei vani ideali!

 

 

 


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