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XXIV.
In pochi giorni l'idea del suicidio mi aveva talmente invasato, che io ne sentivo una specie di esaltazione, di ebbrezza gioconda. Non dovevo fare nessuno sforzo per ingannare mia madre e il signor Bardi che avevano voluto informarmi di alcuni particolari di amministrazione, e consultarmi intorno allo impiego di un grosso capitale inaspettatamente recuperato.
- Sono stato uno sciupone nei mesi scorsi, - avevo detto scherzando.
- Se tutti gli sciuponi somigliassero a lei! Di tanto in tanto è bene però dare una scossettina alle rendite, per impedire che ammuffiscano.
Era una delle tante curiose teoriche del signor Bardi. L'altra, più savia, era questa:
- Sapere come si fa il denaro è il miglior insegnamento per goderselo.
Io, secondo il signor Bardi, ero per ciò un cattivo goditore.
- Dovresti sollevarmi un po' dal peso della responsabilità....
- Quale responsabilità, mamma? - la interruppi. - Non ne hai nessuna. Tu sei padrona assoluta in questa casa, ed io mi stimo felicissimo di poter rimanere ancora figliuolo di famiglia e nient'altro.
L'idea della morte volontaria ha un fascino incredibile. Stordisce o annulla la nostra sensibilità; forse lusinga anche il nostro amor proprio o, meglio, la nostra vanità col farci credere superiori alla maggioranza degli uomini così attaccati alla vita. Quel che dà la spinta verso la morte è il meno, nella più gran parte dei casi. Il coraggio, la freddezza nell'esecuzione provengono dall'anestesia morale che tien dietro alla decisione di finirla con la esistenza. Non so spiegarmi altrimenti la serenità, la imperturbabilità con cui facevo i preparativi senza badare menomamente al dolore che avrei cagionato a mia madre, senza sentirmi commosso dalla vista della povera donna che mi voleva tanto bene e che aveva tanto sofferto per me. Pensavo solamente di evitarle lo spettacolo del mio corpo insanguinato; e per questo avevo risoluto di prendere il pretesto di andare a sorvegliare gli urgenti lavori di riparazione nella casa dei contadini a Villa Fausta. Precauzione superflua, perchè mia madre non aveva nessuna ragione di sospettare di me. Infatti non sospettò neppure quando io, sul punto di partire, l'abbracciai e la baciai con insolita insistenza.
Oh come mi parve che Fausta mi venisse incontro per l'ombrato viale! Oh come mi parve di rivederla sotto il portico, su per la rampe della scala esterna, o affacciata alla terrazza tra i vasi di azalee in fiore che la ornavano! Così l'avevo vista più volte in quel mese della luna di miele che rimaneva tuttavia il più puro, il più eccelso, il più commovente ricordo della mia vita coniugale.
E mi sembrava, nei primi momenti, che io fossi andato colà non per cercarvi la morte, ma per rivivervi quasi realmente, con l'immaginazione, le ore, i giorni, le settimane passativi insieme, a rinnovare con essi il mio cuore e la mia intelligenza, e a prendervi nuove forze per impiegare la vita in modo assai più degno che non pel passato.
E trascorsi tutta la giornata, cercando di qua e di là, frugando i posti consacrati dalle nostre deliziose passeggiate, dalle nostre soste sull'erba, all'ombra degli alberi e delle siepi; dolcemente scosso dalla scoperta di un fiore di campo nello stesso punto dove allora ne avevo raccolto uno simile per lei, contento di sedermi sul ciglione di un sentiero dove mi ero seduto accanto a lei; maravigliato di scorgere che l'aspetto dei luoghi e la vita vegetale erano poco o niente cambiati, quantunque già cominciassi a riprendere coscienza che intanto tutto era cambiato, e irrimediabilmente, dentro di me.
- Oh! signor Dario! Buon giorno!
Era il medico condotto di campagna, vecchietto grasso, rubicondo, sempre di buon umore, grande amico di mia madre da lui chiamata la «Tesoriera dei poveri», o pure il suo «braccio diritto» nelle opere di carità.
- Solo, questa volta? Peccato!
- Mia madre, - risposi, - mi ha investito delle sue funzioni di «Tesoriere»; disponga di me.
- Grazie pei malati. Ne ho parecchi. Cattiva stagione l'estate! Dominedio ha avuto torto di creare i contadini. Che cosa poteva costargli di far fruttificare la terra senza bisogno della mano dell'uomo? Lavorano peggio delle bestie, soffrono come le creature ragionevoli, e non sono interamente nè l'uno nè l'altro. Io che li pratico da quarant'anni ne so qualcosa.
- Le macchine, - dissi, - a poco a poco emanciperanno l'uomo dal lavoro manuale.
- Non me ne parli! Le hanno ridotte così perfette da sembrare che vogliano vendicarsi di essere costrette a lavorare per conto altrui; e di tanto in tanto storpiano, mutilano, stritolano un povero diavolo che non c'entra. Giusto un mese fa.... che orrore! Un misero padre di famiglia... Quella trebbiatrice ha qualche diavolo negli ingranaggi. Non è la prima volta.... Non me ne parli!
- E lei, sempre contento di vivere in campagna, tra' contadini?
- È il mio mestiere; non saprei farne altro. Ognuno deve fare quel che può, se vuol oprare un po' di bene. Io sarei stato un cattivo medico di città; sono troppo rozzo e troppo allegro. I contadini mi prendono come sono, ed io li ricambio della stessa moneta. Una buona parola, una barzelletta, certe volte, valgono meglio di una medicina. Per questo il farmacista mi vuol bene quanto il fumo agli occhi. I contadini mi compensano. Povera gente! Ma cominciano a guastarmeli. Non si contentano più del loro stato, messi su da certi apostoli.... Prima erano contadini, di padre in figlio, buoni fittavoli, buoni giornalieri.... È questo il gran guaio: non adattarsi alla propria sorte.... Si figuri me, se mi fossi messo in testa di voler essere professore di clinica! La mia felicità è stata di riconoscere che avrei potuto essere soltanto un mediocre medico condotto. Non l'ho sbagliata.... Salute, appetito, buon umore, e non importa se pochi quattrini. Svaghi? La caccia, la pesca con la lenza, quando i malati me lo permettono. Ho un roccolo famoso. Ma io chiacchiero, chiacchiero, e non ero venuto precisamente per questo. Appena seppi: - Alla Villa Fausta c'è gente - dissi: È arrivata la Tesoriera dei poveri.... E son venuto.... prima che si presentasse il parroco.... Mi fa la concorrenza.... E la signora Maria gli usa un po' di maggior riguardo, per via della veste. Si sa; coi servi di Dio.... Bisogna portar rispetto al cane per amor del padrone.... Lei faccia pure come la mamma: un po' a me, un po' a lui. Spesso ci troviamo attorno allo stesso letto di miseria, io pel corpo, colui per l'anima; e facciamo ognuno del nostro meglio. Quando mi accorgo che non c'è più speranza di guarigione, gli dico: - Tocca a lei! - E, poverino, li fa andar via contenti all'altro mondo, promettendo un paradiso, che sarebbe proprio un'infamia se non ci fosse, che ci sarà, spero.... quantunque, in certi momenti.... Non capisco, ecco, perchè il Signore non ha voluto darcene una piccola anticipazione anche quaggiù.
Non lo interrompevo. Quella figura tozza, un po' volgare, mi si trasformava sotto gli occhi, mi si spiritualizzava quasi, e per le cose che diceva, e per la giocondità con cui le diceva. Lo conoscevo da un pezzo; ma quando veniva a farci spesse visite, io lo lasciavo volentieri in compagnia di mia madre. La serenità, l'inesauribile buon umore di lui mi riuscivano, per le mie idee di allora, un pochino antipatici. E per ciò ora mi maravigliavo di stare ad ascoltarlo volentieri, e di sentirmi penetrare nell'animo conturbato qualcosa di quella sua semplice, dolce filosofia ch'egli metteva in pratica da tanti anni, che lo aveva fatto arrivare alla sana robusta vecchiezza, e gli permetteva di adempire, senza stancarsi, le gravi fatiche di quel che egli chiamava umilmente il suo mestiere.
Si era arrestato ridendo, per esclamare:
- Guardi: il mio concorrente!
Il parroco veniva verso di noi, con passi così frettolosi, che sembrava dovesse impigliarsi da un momento all'altro nella scolorita zimarra di mussola nera, stretta attorno al corpo lungo e magro. Invece di tricorno, portava calcato su la testa un rozzo cappellone di paglia. Salutava da lontano, agitando le braccia.
- Sta bene? E la signora Maria? Sente che caldo?... I miei poveri l'attendevano.... Io ho il brutto viziaccio di correre invece di camminare; non so frenare le gambe. Se avessi una giumenta come il nostro dottore.... La signora Maria non ci mancherà quest'anno, voglio augurarmi.... Le fa specie il mio cappellone di paglia?... Qui in campagna, possiamo permetterci tutto.
- L'abito non fa il monaco, - dissi io.
- Eh!... Lo fa, lo fa! Sembra una sciocchezza, ma se non avessi addosso questo straccio di zimarra, non mi stimerei prete neppure da me. Il dottore mi ha preceduto.... Ci sarà però qualcosina anche pei miei poveri....
- Perchè non dire: nostri? - fece il dottore.
- È vero. Ma, infine, essi non sono di nessuno, o di chi fa loro la carità.... Starebbero freschi se dovessero contare soltanto su noi!... Riparazioni, eh? Lavoro; è la miglior carità. Non umilia, non degrada. Io, se fossi signore, non darei un soldo di elemosina: lavoro, lavoro, lavoro; nient'altro.
- E a chi non può lavorare?
- Stia zitto, dottore; in famiglia c'è sempre qualcuno che può lavorare per gli altri. Dico bene, signor Dario? Non lavora anche lei, a modo suo? Siamo stati messi al mondo per fare ognuno qualcosa; tant'è vero, che chi non può e non sa fare il bene, fa il male, pur di non stare inoperoso, con le mani in mano.
- Oh, questo poi! - esclamò il dottore, dando in una delle sue rumorose risate.
- Non dovrebbe essere così, ma è così, - rispose il parroco. - Tante cose noi pensiamo che dovrebbero andare in un modo e, invece, vanno in un altro. Lei mi aveva dato per ispacciata la povera moglie di Testagrossa.... Io le ho amministrato il viatico e l'estrema unzione. Le hanno profittato meglio del chinino; non me lo aspettavo neppure io. La ho vista ora ora, davanti a l'uscio di casa; pettinava una bambina.... E i famosi uccelletti che mi ha promesso, da mangiare con la polenta?
Il parroco mi divertiva per quel passare da una cosa all'altra, senza transizioni, ruzzolando le parole con la stessa nervosità con cui moveva le gambe.
Egli e il dottore mi seguirono, invitati, fino alla villa. La serata era dolcissima. Mi sentivo compenetrato tutto dalla divina serenità della campagna. E quei due, così diversamente semplici, buoni e allegri, sotto il portico, attorno al tavolino di ferro coi bicchieri e due bottiglie di vino, ragionando, ridendo, mi producevano un inatteso sollievo, che somigliava a un soave sbalordimento.
Mi avevano guardato in viso un po' stupìti di quel che avevo dato in nome della «Tesoriera dei poveri».
- È anche troppo! - aveva esclamato il parroco, ringraziandomi.
- Non è mai troppo! - soggiunse il dottore ridendo.
Era già tardi quando andarono via, con quello splendido lume di luna piena che pareva piovesse calma e riposo dattorno. E quasi immediatamente fui ripreso dalla tristezza, dal cupo proposito per cui ero andato colà.
Perchè indugiavo? Perchè rimanevo alla finestra, dopo di averli accompagnati con l'occhio fino allo svolto della strada, laggiù? Perchè quel grido lontano della botta che interrompeva il gran silenzio notturno mi teneva intento ad ascoltarlo quasi potesse avere un qualche significato per me?
Avevo fatto un'opera buona a nome della mamma, e (quei due non se n'erano accorti) mi eran tremate le mani vuotando il portafoglio di tutti i biglietti di banca che mi trovavo per caso. Riflettevo.
- A quest'ora, certamente il suo pensiero è qui, ed io mi preparo ad abbandonarla!
La vedevo, con l'immaginazione, andare da una stanza all'altra, osservare attentamente ogni cosa, riparare un piccolo disordine, chiudere bene un uscio, borbottando, intanto, le preghiere della sera....
La botta continuava lo stridulo grido. Anch'essa vegliava, invocava forse il maschio; forse esprimeva soltanto un rudimentale sentimento di gioia per la frescura, pel silenzio, per la bianca luce lunare.
Pensavo a quel ritratto di Fausta che non avevo voluto portare con me per non far insospettire mia madre; sarebbe stato un atto così insolito! Eppure sentivo che, se lo avessi avuto sotto gli occhi, mi sarei deciso subito, senza esitare un istante, quasi per precipitarmi tra le braccia in attesa, o immergermi assieme con lei nella gran pace del Nulla.
Tornavo a pensare a quei due che adempivano modestamente, tranquillamente il loro dovere di uomini; consapevoli della loro pochezza, contenti del loro stato, come altri ne avevo osservati quella mattina, contadini, operai che lavoravano alacremente, cantando, scherzando, soffrendo in silenzio, accettando la vita quale l'avevano ricevuta in sorte, rendendosi utili a sè stessi ed agli altri, contribuendo, per quanto era in loro, al benessere comune.
Era forse la prima volta che osservavo questo? No. Ma allora sentivo un profondo disdegno per tutto quel che non era pensiero o opera di pensiero; non mi ero mai fermato a riflettere che tutte quelle creature umane condannate a rimanere nei bassi strati della vita sociale esercitavano una necessaria e benefica funzione, preparatrice di materiali, di alimenti a coloro che si trovavano destinati a funzioni più alte; e che questi, alla lor volta, lavoravano per quei pochi nei quali funzionava, per così dire, soltanto il cervello, artisti, scienziati, pensatori, e che erano la somma di tutte le altre attività, il resultato complesso di tante funzioni diverse ma indirizzate a unico fine.
E mi tornavano in mente le allegre parole del dottore:
- Si figuri me, se mi fossi messo in testa di voler essere professore di clinica!
Io avevo voluto tentare qualcosa di simile; e la mia superbia delusa mi spingeva a finirla con la vita!
Ma subito mi rimproveravo:
- Tu già ti lasci lusingare dalla vigliaccheria!
E subito rispondevo a me stesso:
- Non è forse maggiore vigliaccheria disertare dalla vita unicamente perchè essa non ha soddisfatto la tua vanità, il tuo orgoglio, i superbi tuoi sogni?
Mi sembrava impossibile che l'insegnamento, la salvezza, forse la redenzione, dovessero venirmi appunto dalle umili cose e dalle umili persone tanto da me misconosciute e disprezzate!