Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Schiaccianoci ed altri racconti
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UNA BUGIA

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UNA BUGIA

 

Ernesto cominciava già a rassicurarsi; erano passate tre settimane, tre terribili settimane, e nessuno s'era accorto della mancanza del cucchiaio d'argento da lui rotto.

Egli lo avea riposto in fondo a una cassetta dell'armadio di camera sua, involtato in mezzo giornale; e durante quei giorni non aveva osato di aprirla neppure una volta, per paura di essere sorpreso in quell'atto dalla mamma, a cui non piaceva che si frugasse nei mobili.

Era pentito di averlo nascosto; ma nel turbamento della disgrazia, dopo che s'era messo in testa di piegare il cucchiaio quasi fosse stato di legno flessibile, la paura di essere sgridato e castigato gli aveva sùbito suggerito quell'espediente. Ora rifletteva che sarebbe stato meglio lasciarlo , sul tavolino, dove l'aveva trovato quel giorno che gli era venuta la brutta tentazione di mettersi a giocare con esso.

Chi gliel'avea visto rompere? Nessuno. Se avessero sospettato di lui — sospettavano sempre di lui quando si trattava di qualche rottura! — egli avrebbe potuto francamente negare e fare, se occorreva, un giuramento pur d'evitare una punizione. Da qualche tempo in qua, babbo, mamma, zia ce l'avevano, tutti, con lui. Pareva destino ch'egli dovesse rompere qualunque oggetto gli capitasse alle mani.

— O che poteva farci? —

Si scusava così della sua sbadataggine, invece di pensare a stare attento e di sforzarsi a maneggiare le cose con le debite precauzioni.

Quel cucchiaio rotto e nascosto gli aveva fatto passare cattive giornate e peggiori nottate. Lo sognava. Gli pareva che si agitasse e tintinnisse di fondo alla cassetta per farsi sentire, e avvertire la mamma: — Mi ha spezzato Ernesto e mi ha riposto qui! — E si svegliava di soprassalto, sbarrando gli occhi, tendendo l'orecchio nel silenzio della notte, quasi il cucchiaio avesse potuto davvero agitarsi e tintinnire in fondo alla cassetta.

Ma nessuno lo cercava, nessuno ne parlava; neppure Betta, la nuova servotta arrivata dalla campagna un mese addietro, e che con l'argenteria era meticolosa assai, e la rassegnava e la contava e la ricontava, dopo che l'aveva lavata e ripulita e asciugata, prima di riconsegnarla alla padrona.

Ed egli fantasticava, più e più rassicurandosi:

— Un giorno prenderò quel cucchiaio e confesserò la mia colpa; ma dirò anche: Vedete? Nessuno si è accorto che mancava un cucchiaio. Siete sbadati anche voialtri!

Così forse non lo avrebbero castigato.

Ma una mattina sentì la mamma che diceva a Betta

Cerca bene in cucina; manca un cucchiaio. —

Cacciò fuori la lingua per significare: Ci siamo! e corse in camera sua, a fine di sfuggire a un'interrogazione. Il cuore gli batteva forte; non avrebbe saputo mentire, preso così alla sprovvista. In camera, aperse un libro, finse di leggere e intanto preparava mentalmente le risposte da dare.

Infatti poco dopo capitò la mamma.

Ernesto, hai preso tu un cucchiaio di argento?

— Io? Per che scopo?

Dove l'hai riposto? —

La mamma, sapendo con chi avesse da fare, aveva soggiunto quella domanda a bruciapelo. Ernesto, con voce indignata, protestò:

— Ma io non so di cucchiaio, di forchetta! —

Sopraggiunse la zia.

— Ah! Lo ha preso lui?

Dice di no, — rispose la signora. E soggiunse: — È strano; in casa nostra non è mai mancato niente.

Betta, piange in cucinarispose la zia.

— Chi l'accusa? — disse la signora. — Questo mi fa sospettare. —

Ernesto, con gli occhi sul libro, vedeva ballare le lettere e non poteva leggere una sola parola.

— Si troverà.... — borbottò, affettando indifferenza.

Ma quell'indifferenza non capacitava la zia.

Cercalo tu! — gli disse con intonazione un po' ironica.

— O che si mangia un cucchiaio? Che ne avrei dovuto fare? Se lo avessi preso io, sarei tornato a riporlo.

Torna a riporlo, — insistette la zia con lo stesso tono di prima.

Ernesto si sentì montare le fiamme al viso, si vide scoperto e dette in uno scoppio di pianto.

—Ecco! Ce l'avete tutti con me! —

Mamma e zia lo lasciarono in pace.

Quella mattina la casa fu sossopra; con la signora non si scherzava, la zia canzonava, trattandosi d'argenteria.

Il babbo se la prendeva con le donne che non volevano sentir parlare di posate di metallo bianco o argentate, quasi in tutte le famiglie, anche ricchissime, non si usassero queste pei giorni ordinari. Anche lui sospettava di Betta, che piangeva in cucina.

Ernesto, incaponito e indurito, aveva avuto la sfacciataggine di presentarsi in salotto, dove babbo, mamma e zia deliberavano il licenziamento della servotta.

— Potrei farla arrestare, — diceva il babbo. — Ma, per non aver seccature con la questura con la giustizia, preferisco mandarla via. Peccato ! Pareva una persona onesta. —

Betta, con gli occhi rossi e col viso ancora bagnato di lagrime, venne a dire:

— Non lo trovo.

Basta, — disse il signor Bindi. — Io trovo, invece, che sarà meglio che tu ti cerchi un altro padrone.

— Mi credono una ladra? — piagnucolò la poverina atterrita.

— No, figliuola cara; ma io, quando mi accadono questi casi, faccio così. —

Betta cominciò a strapparsi i capelli, a graffiarsi la faccia:

— Ah, mamma mia! Ah, mamma mia! —

Ernesto stava , con le mani in tasca, arcigno, col cuore più indurito che mai.

Se avesse parlato ora, il castigo sarebbe stato più forte, pensava.

Ma Betta non voleva andarsene; gridava, piangeva, pareva presa da furore contro stessa; e i suoi padroni, si guardavano in viso, scossi, turbati.

— È inutile che tu urli, — disse il signor Bindi; — se non si trova il cucchiaio.... —

E guardò in faccia al figliuolo, quasi per distrarsi dalla vista di quella meschina, che non sentiva e urlava e piangeva e si strappava i capelli. Vedendolo pallido pallido, si alzò dalla seggiola, lo afferrò per un braccio, e scotendolo con violenza gli gridò:

Va' a prendere il cucchiaio!

Mah... — balbettò Ernesto.

— Sùbito! — gli ordinò il babbo, che ormai era certo di avere indovinato.

Ernesto non si muoveva.

— Sùbito! — ripetè il signor Bindi.

— L' ho rotto! — balbettò Ernesto che non ne poteva più.

E i singhiozzi gl'impedirono di proseguire.

La zia lo prese per mano, e con voce insinuante gli disse:

Via, conducimi; non sarai castigato. —

La condusse davanti la cassetta dell'armadio.

— È !.... L'ho rotto.... per casosinghiozzava.

Bugiardo! — lo rimproverò la mamma, quando lui e la zia tornarono in salotto col cucchiaio in due pezzi.

Domanda perdono a quella poverina, in ginocchio! — gli disse il babbo severamente.

Betta, abbracciandolo e baciandolo, cercava di difenderlo, d'impedire l'atto umiliante, e pregava il padrone

— Un'altra volta non lo farà più! —

Il signor Bindi fu inesorabile. Ed Ernesto, in ginocchio, davanti alla servotta, dovette dirle:

 Perdono! Perdono! —

Ma da quel giorno in poi, quando gli capitava — e, pareva proprio destino, gli capitava spesso — di spezzare un oggetto, cercava sùbito del babbo, o della mamma o della zia e, senza che glielo domandassero, confessava spontaneamente

— Ho spezzato questo! —


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